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Lezione V L’eruzione del 79 d.C..

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Presentazione sul tema: "Lezione V L’eruzione del 79 d.C.."— Transcript della presentazione:

1 Lezione V L’eruzione del 79 d.C.

2 Una catastrofe improvvisa?
Alcuni indizi lasciano pensare che le comunità dell’area vesuviana non siano state colpite improvvisamente dalla catastrofe il agosto 79 d.C. Tracce archeologiche di piccole scosse nelle settimane che precedettero l’eruzione. Il ritrovamento di solo corpi a Pompei: un numero molto inferiore a quello degli abitanti della città, anche tenendo conto delle aree non scavate e dei corpi che sono sfuggiti all’indagine archeologica.

3 Pompei il 24 agosto del 79 d.C.: una città in stato di emergenza
L’eruzione dunque non sorprese improvvisamente una città perfettamente normale, congelandola. Molti degli abitanti di Pompei ebbero il tempo di mettersi in salvo, portando con sé gli oggetti che non volevano abbandonare. Questo spiega l’aspetto piuttosto spoglio delle abitazioni pompeiane. A ciò si deve forse qualche stranezza, come il ritrovamento di attrezzi da giardino in una elegante sala da pranzo, dove difficilmente sarebbero stati conservati usualmente.

4 Il problema della datazione della catastrofe del 79 d.C.
In genere si data l’inizio dell’eruzione il 24 agosto, verso le 13, sulla base della testimonianza di Plinio il Giovane, Lettere, VI, 16, 4: Nonum kal. Septembres hora fere septima … (“il nono giorno prima delle calende di Settembre, verso l’ora settima …). In realtà questa indicazione è quella ricostruita nelle odierne edizioni critiche; la tradizione manoscritta non è affatto unanime.

5 La tradizione manoscritta del passo pliniano
Codex Mediceus plut. XLVII, 36 (X sec.): nonum kal. Septembres. Codex Dresdensis D 166 (XV sec.), Codex Ottobonianus lat (XV sec.), Codex Vindobonensis 48 (XV sec.): nonum kll. o nonum kl. Edizione romana del 1474: November Calend. Altre edizioni a stampa di fine Quattrocento - inizi Cinquecento: Novembris.

6 Altri elementi di dubbio sulla datazione tradizionale
Il fatto che molti dei fuggitivi indossassero pesanti abiti di lana, poco adatti al mese di agosto. La presenza tra gli strati dell’eruzione di frutti autunnali. Una moneta persa da un fuggitivo, la cui coniazione è posta nel settembre del 79 d.C. L’eruzione avvenne nell’autunno del 79 d.C., piuttosto che nell’agosto di quell’anno?

7 Plinio il Giovane, Lettere, VI, 16, 4-6: una nube inquietante
Era a Miseno e teneva diretta-mente il comando della flotta. Il 24 agosto, verso l’ora settima, mia madre lo informa che spun-tava una nube fuori dall’ordinario per grandezza e per aspetto … Si elevava una nube ma chi guardava da lontano non riusci-va a precisare da quale monta-gna (si seppe poi in seguito che era il Vesuvio): nessun altra pianta meglio del pino ne potreb-be riprodurre la figura e la forma. Infatti, slanciatasi in su come se si sorreggesse su di un altissimo tronco, si allargava poi in quelli che si potrebbero chiamare dei rami. Erat Miseni classemque imperio praesens regebat. Nonum Kal. Septembres hora fere septima mater mea indicat ei apparere nubem inusitata et magnitudine et specie … Nubes – incertum procul intuentibus ex quo monte; Vesuvium fuisse postea cognitum est – oriebatur, cuius similitudinem et formam non alia magis arbor quam pinus expresserit.

8 Gli elementi di rilievo il Plinio, Lettere, VI, 16, 4-6
La precisazione del fatto che Plinio il Vecchio teneva praesens il comando della flotta lascia pensare che spesso il prefetto della flotta di Miseno rimanesse a Roma. L’efficace paragone di Plinio della nube generata dall’eruzione con un albero si riferisce chiaramente al pino marittimo, con la sua ampia chioma.

9 Plinio il Giovane, Lettere, VI, 16, 8-10: Plinio il Vecchio organizza i soccorsi
Mentre usciva di casa gli viene consegnata una lettera da parte di Rettina, moglie di Casco, la quale terrorizzata dal pericolo incombente (infatti la sua villa era posta lungo la spiaggia della zona minacciata e l’unica via di scampo era rappresen-tata dalle navi), lo pregava che la strappasse da quel frangente così pericoloso. Egli allora cambia pro-getto e ciò che aveva incominciato per un interesse scientifico lo affron-ta per impulso della sua eroica co-scienza. Fa uscire in mare delle qua-driremi e vi sale egli stesso, per venire in soccorso non solo di Rettina, ma di molta gente, poiché quel litorale, per la sua bellezza, era fittamente abitato. Egrediebatur domo; accipit codicillos Rectinae Casci imminenti periculo exterritae – nam villa eius subiacebat, nec ulla nisi navibus fuga: ut se tanto discrimini eriperet orabat. Vertit ille consilium et quod studioso animo incohaverat obit maximo. Deducit quadriremes, ascendit ipse non Rectinae modo sed multis – erat enim frequens amoenitas orae – laturus auxilium. Properat illuc unde alii fugiunt, rectumque cursum recta gubernacula in periculum tenet adeo solutus metu, ut omnes illius mali motus omnes figuras ut deprenderat oculis dictaret enotaretque.

10 Gli elementi di rilievo in Plinio il Giovane, Lettere, VI, 16, 8-10
Non altrimenti nota la Rectina che fece appello a Plinio e incertezze anche sul nome del marito (alcuni manoscritti hanno Tasci). La residenza di Rettina doveva trovarsi nei pressi di Ercolano o comunque nel tratto di costa tra questa città e Pompei.

11 Plinio il Giovane, Lettere, VI, 16, 11: la situazione sulla costa di Ercolano
Iam navibus cinis incidebat, quo pro-pius accederent, ca-lidior et densior; iam pumices etiam nigri-que et ambusti et fracti igne lapides; iam vadum subitum ruinaque montis lito-ra obstantia. Ormai, quanto più si avvicinavano, la cenere cadeva sulle navi sempre più calda e più densa, vi cadevano ormai anche pomici e pietre nere, corrose e spezzate dal fuoco, ormai si era creato un bassofondo improvviso ed una frana della montagna impediva di accostarsi al litorale.

12 L’itinerario di Plinio il Vecchio

13 Plinio il Vecchio si sposta a Stabia
Un mutamento del livello del mare, spesso osservato in connessione con eruzioni vulcaniche violente, impedisce a Plinio il Vecchio di approdare ad Ercolano. Non sappiamo più nulla della sorte di Rettina: probabilmente fu tragica, come quella di molti Ercolanesi che si accalcavano sulla riva. Plinio il Vecchio fa dunque vela per Stabia, dove risiedeva un altro amico, Pomponiano. Questi aveva già imbarcato le sue cose sulle navi, ma il vento contrario gli impedisce di salpare. L’ammirevole calma di Plinio il Vecchio, che prende un bagno, partecipa alla cena conversando con giovialità, poi si reca tranquillamente a dormire.

14 I fornici lungo la vecchia linea di costa di Ercolano

15 Gli scheletri ritrovati nei fornici
Negli ambienti a fornice della marina di Ercolano cercarono rifugio diverse decine di persone. Impedite nella fuga via mare, trovarono una morte che si ritiene istantanea, a causa della nube piroclastica.

16 Plinio il Giovane, Lettere, VI, 20, 2-3: nel frattempo a Miseno …
Dopo la partenza di mio zio, spesi tutto il tempo che mi rimaneva nello studio, dato che era stato proprio per questo che mi ero fermato; poi il bagno, la cena e un sonno agitato e breve. Si erano già avuti per molti giorni dei leggeri terremoti, ma non avevano prodotto molto spavento, essendo un fenomeno ordinario in Campania; quella notte invece le scosse assunse-ro una tale veemenza che tutto sembrava non muoversi, ma capovolgersi. Profecto avunculo ipse reliquum tempus studiis – ideo enim remanseram – impendi; mox balineum cena somnus inquietus et brevis. Praecesse-rat per multos dies tremor terrae, minus formidolosus quia Campaniae solitus; illa vero nocte ita invaluit, ut non moveri omnia sed verti crederentur.

17 Gli elementi di interesse in Plinio il Giovane, Lettere, VI, 20, 2
Una preziosa notizia sulle leggere scosse di terremoto che si erano avute nei giorni precedenti. Proprio grazie a questi segni premonitori molti degli abitanti dell’area vesuviana dovettero riuscire a mettersi in salvo. Le scosse più violente della notte tra il 24 e 25 agosto hanno lasciato chiare tracce archeologiche, con soglie delle porte spezzate e crolli di mura e colonne. Davanti alle prime manifestazioni dell’eruzione la madre di Plinio il Giovane mostra incertezza, il figlio la consueta ottusità. Solo l’intervento di un amico ispanico di Plinio il Vecchio convince i due a prendere la via della fuga.

18 A. Kauffmann, Plinio il Giovane e la madre a Miseno (1785), Princeton, Art Museum

19 Plinio il Giovane, Lettere, VI, 16, 13-14: a Stabia la situazione precipita
Nel frattempo dal Vesuvio risplendevano in parecchi luoghi delle larghissime strisce di fuoco e degli incendi che emettevano alte vampate, i cui bagliori e la cui luce erano messi in risalto dal buio della notte … Ma il cortile da cui si accedeva alla sua stanza, riempiendosi di cenere mista a pomici, aveva ormai innalzato tanto il suo livello che se mio zio avesse ulteriormente indugiato nella sua camera non avrebbe più avuto possibilità di uscirne. Interim e Vesuvio monte pluribus locis la-tissimae flammae alta-que incendia reluce-bant, quorum fulgor et claritas tenebris noctis excitabatur … Sed area ex qua diaeta adibatur ita iam cinere mixtisque pumicibus oppleta sur-rexerat, ut si longior in cubiculo mora, exitus negaretur.

20 Gli elementi di rilievo in Plinio il Giovane, Lettere, VI, 16, 13-14
Nella prima parte la descrizione sembra alludere a colate laviche che scendevano dalle pendici del Vesuvio. Ma nell’eruzione del 79 d.C. l’elemento più caratteristico e distruttivo fu la pioggia di ceneri e pomici. La ricerca archeologica ha confermato che diverse persone furono bloccate nelle case dall’accumularsi di questi materiali, come rischiò di fare lo stesso Plinio il Vecchio. Pompei ed Ercolano fortunatamente non furono interessate da colate laviche, che avrebbero arrecato gravi distruzioni ai monumenti.

21 La stratificazione dei materiali eruttati
Lo strato del suolo prima dell’eruzione (in corrispondenza della mano). Uno piccolo strato con frammenti di magma. Un ampio strato di pomice bianca. Un ampio strato di pomice grigia. Uno strato di ceneri.

22 K. Briullov, L’ultimo giorno di Pompei (1830-1833). S
K. Briullov, L’ultimo giorno di Pompei ( ). S. Pietroburgo, Museo Statale

23 Plinio il Giovane, Lettere, VI, 16, 15-16: piani di fuga
In commune consultant, intra tecta subsistant an in aperto vagentur. Nam crebris vastisque tremoribus tecta nutabant, et quasi emota sedibus suis nunc huc nunc illuc abire aut referri videbantur. Sub dio rursus quamquam levium exesorum-que pumicum casus metueba-tur, quod tamen periculorum collatio elegit; et apud illum quidem ratio rationem, apud alios timorem timor vicit. Cervicalia capitibus imposita lin-teis constringunt; id munimen-tum adversus incidentia fuit. Insieme esaminano se fosse preferi-bile starsene al coperto o andare al-la ventura allo scoperto. Infatti, sotto l’azione di frequenti ed enormi scos-se, i caseggiati traballavano e, come se fossero stati divelti dalle fonda-menta, lasciavano l’impressione di sbandare ora da una parte ora dall’altra e poi di ritornare in sesto. D’altronde a cielo aperto c’era da temere la caduta di pomici, anche se erano leggere e corrose; tuttavia il confronto tra i due pericoli indusse a scegliere quest’ultimo. Si pongono in testa dei cuscini e li fissano con dei capi di biancheria; questa era la loro difesa contro tutto ciò che cadeva dall’alto.

24 Plinio il Giovane, Lettere, VI, 20, 7: fuga da Miseno
Soltanto allora ci parve opportuno di uscire dalla cittadina; ci viene dietro una folla sbalordita che, seguendo quella finta avvedutezza che è in realtà paura, preferisce l’opinione altrui alla propria e con la sua enorme ressa ci incalza e ci spinge mentre ci allontaniamo. Tum demum excedere oppido visum; sequitur vulgus attonitum, quod-que in pavore simile prudentiae, alienum consilium suo praefert, ingentique agmine abe-untes premit et impellit.

25 Plinio il Giovane, Lettere, VI, 20, 8-9: fenomeni insoliti a Miseno
Una volta fuori dall’abitato ci fermiamo. Là diventiamo spetta-tori di molti fatti sbalorditivi, ci colpiscono molti particolari che incutono terrore. I carri che ave-vamo fatti venire innanzi, nono-stante la superficie fosse asso-lutamente livellata, sbandavano nelle più diverse direzioni e non rimanevano fermi al loro posto, neppure bloccati da pietre. Inoltre vedevamo il mare che si riassorbiva in se stesso e sembrava quasi fatto arretrare dalle scosse telluriche. Egressi tecta consistimus. Multa ibi miranda, multas formidines patimur. Nam ve-hicula quae produci iussera-mus, quamquam in planissimo campo, in contrarias partes agebantur, ac ne lapidibus quidem fulta in eodem vestigio quiescebant. Praeterea mare in se resorberi et tremore terrae quasi repelli videbamus.

26 Plinio il Giovane, Lettere, VI, 20, 8-9: fenomeni insoliti a Miseno
Senza dubbio il litorale si era avanzato e teneva prigionieri nelle sue sabbie asciutte una quantità di animali marini. Dall’altra parte una nube nera e terrificante, lacerata da vampeggianti soffi di fuoco che si esplicavano in linee sinuose e spezzate, si squarciava emettendo delle fiamme di forma allungata: avevano l’aspetto di fulmini, ma erano più grandi. Certe processerat litus, multaque animalia ma-ris siccis harenis detine-bat. Ab altero latere nubes atra et horrenda, ignei spiritus tortis vi-bratisque discursibus rupta, in longas flam-marum figuras dehi-scebat; fulguribus illae et similes et maiores erant.

27 Gli elementi di interesse in Plinio il Giovane, Lettere, VI, 20, 8-9
Forti scosse ondulatorie continuano a colpire l’area di Miseno. Fenomeni di innalzamento del fondo marino, simili a quelli che impedirono a Plinio il Vecchio l’approdo ad Ercolano. Cf. la testimonianza del cronista Francesco del Nero a proposito delle eruzioni del 1538 nella non lontana Pozzuoli: “Al dì 28 settembre, ore circa 18, si seccò il mare di Pozzolo per spazio di braccia secento, talché lì di Pozzolo presero le carrate del pesce rimasto in secco”

28 Plinio il Giovane, Lettere, VI, 16, 17: morte di Plinio il Vecchio
Altrove era già giorno, là invece era una notte più nera e più fitta di qualsiasi notte, quantunque fosse mitigata da numerose fiaccole e da luci di varia provenienza. Si trovò conveniente recarsi sulla spiaggia e vedere da vicino se fosse già possibile tentare il viaggio per mare, ma esso era ancora sconvolto e intransitabile. Iam dies alibi, illic nox omnibus noctibus nigri-or densiorque; quam tamen faces multae variaque lumina solve-bant. Placuit egredi in litus, et ex proximo adspicere, ecquid iam mare admitteret; quod adhuc vastum et ad-versum permanebat.

29 Plinio il Giovane, Lettere, VI, 16, 18-19: morte di Plinio il Vecchio
Colà, sdraiato su di un panno steso per terra, chiese a due riprese dell’acqua e ne bevve. Poi delle fiamme ed un odore di zolfo che preannunciava le fiamme spingono gli altri in fuga e lo ridestano. Sorreggendosi su due semplici schiavi riuscì a rimettersi in piedi, ma subito stramazzò: da quanto io posso arguire, l’atmosfera troppo pregna di ceneri gli soffocò la respirazione e gli otturò la gola, che era per costituzione debole, gonfia e spesso infiammata. Ibi super abiectum linteum recubans semel atque iterum frigidam aquam poposcit hausitque. Deinde flammae flammarumque praenuntius odor sulpuris alios in fugam vertunt, excitant illum. Innitens servolis duobus assurrexit et statim concidit, ut ego colligo, crassiore caligine spiritu obstructo, clausoque stomacho qui illi natura invalidus et angustus et frequenter aestuans erat.

30 Svetonio, Vita di Plinio il Vecchio: la morte di Plinio
Periit clade Campaniae; cum enim Misenensi classi praeesset et flagrante Vesubio ad explorandas propius causas liburnica pertendisset, nec adversan-tibus ventis remeare posset, vi pulveris ac favillae oppressus est, vel ut quidam existimant a servo suo occisus, quem aestu deficiens ut necem sibi maturaret oraverat. Morì nel disastro della Campania. Poiché era al comando della flotta di Miseno ed aveva messo in mare una liburna durante l’eruzione del Vesuvio per investigare le ragioni del fenomeno da vicino, non fu in grado di far ritorno a causa dei venti contrari. Fu soffocato dalle ceneri e dai lapilli oppure, come molti pensano, fu ucciso da un suo schiavo che aveva pregato di affrettargli la fine quando stava per soccombere al forte calore.

31 La morte di Plinio il Vecchio
La fine di Plinio fu probabilmente accelerata dalla sua corpulenza e dal fatto che forse soffriva d’asma (cf. Lettere, VI, 16, 13 ove si nota il suo pesante russare). Un “giallo”: Plinio il Vecchio fu in realtà ucciso? Anche se la Vita svetoniana potrebbe avvalorarla, l’ipotesi non sembra in realtà necessaria. Pomponiano e gli altri membri del disperato drappello di fuggitivi riuscirono probabilmente a salvarsi: furono loro a narrare a Plinio il Giovane le ultime ore di vita dello zio.

32 P. -H. De Valenciennes, L’eruzione del Vesuvio (1779)
P.-H. De Valenciennes, L’eruzione del Vesuvio (1779). Collezione privata

33 Plinio il Giovane, Lettere, VI, 20, 14-15: lo stato d’animo a Miseno
Avevamo appena fatto a tempo a sederci quando si fece notte, non però come quando non c’è la luna o il cielo è ricoperto da nubi, ma come a luce spenta in ambienti chiusi. Avresti potuto sentire i cupi pianti disperati delle donne, le invocazioni dei bambini, le urla degli uomini: con le grida chiamavano o dalle grida tentavano di riconoscere chi i genitori, chi i figli, chi i coniugi; Vix consideramus, et nox – non qualis illunis aut nubila, sed qualis in locis clausis lumine exstincto. Audires ulula-tus feminarum, infantum quiritatus, clamores vi-rorum; alii parentes alii liberos alii coniuges vocibus requirebant, vocibus noscitabant;

34 Plinio il Giovane, Lettere, VI, 20, 14-15: lo stato d’animo a Miseno
hi suum casum, illi suorum miserabantur; erant qui metu mortis mortem precarentur; multi ad deos manus tollere, plures nusquam iam deos ullos aeter-namque illam et novis-simam noctem mundo interpretabantur. gli uni lamentavano le loro sventure, gli altri quelle dei loro cari; taluni, per paura della morte, si auguravano la morte; molti alzavano le mani agli dèi, la maggioranza però si formava la convinzione che gli dèì non esistessero più e che quella notte sarebbe stata eterna e l’ultima del mondo.

35 Gli elementi di interesse in Plinio il Giovane, Lettere, VI, 20, 14-15
La scena è dominata da una fitta oscurità provocata dalle ceneri vulcaniche. Tuttavia, grazie alla direzione del vento, Miseno e Baia furono almeno parzialmente risparmiate dalla pioggia di pomici, ceneri e lapilli che seppellì Pompei ed Ercolano. L’idea della fine del mondo che si consuma in un grande fuoco, già di origine platonica e ripresa dalla filosofia stoica, in particolare da Seneca.

36 Plinio il Giovane, Lettere, VI, 20, 18: un mondo sconvolto
Tandem illa caligo tenuata quasi in fumum nebulamve discessit; mox dies verus; sol etiam effulsit, luridus tamen qualis esse cum deficit solet. Occursa-bant trepidantibus ad-huc oculis mutata omnia altoque cinere tamquam nive obducta. Finalmente quell’oscurità si attenuò e parve dissiparsi in fumo o in vapori; ben presto sottentrò il vero giorno e risplendette anche il sole, ma livido, come suole apparire durante le eclissi. Agli occhi ancora smarriti tutte le cose si presentavano con forme nuove, coperte di una spessa coltre di cenere, come se fosse stata neve.

37 Gli elementi di interesse in Plinio il Giovane VI, 20, 18
L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. fu violentissima ma relativamente breve. Questa tipologia di eruzione ha preso il nome di “pliniana”, dalla vittima più illustre del 79 d.C. La fase finale fu caratterizzata da una finissima pioggia di cenere bianca, che ha contraddistinto anche le posteriori eruzioni del Vesuvio.

38 Le operazioni di recupero dopo l’eruzione
Cessata l’eruzione, sia i legittimi proprietari che dei saccheggiatori cercarono, qualche volta con successo, di recuperare le ricchezze rimaste sepolte. Le ricerche furono condotte anche scavando pericolosi cunicoli che foravano le mura delle case più lussuose. Testimonianza di questa attività il graffito in lettere greche, ma in lingua latina doummos perpousa, da intendersi come domus pertusa, “casa bucata”, vicino alla porta della Casa di Popidio Prisco: un’avvertenza lasciata da un cercatore di tesori ai suoi compari. Nella Casa del Menandro sono stati rinvenuti gli scheletri di due adulti e un bambino, con un piccone e un badile: forse cercatori di tesori sorpresi dal crollo di una galleria? O piuttosto Pompeiani rimasti intrappolati in casa dall’eruzione?

39 Svetonio, Vita di Tito, 8, 3: i provvedimenti dell’imperatore
Quaedam sub eo fortuita ac tristia acciderunt, ut conflagratio Vesevi montis in Campania, et incendium Romae per triduum totidemque noctes, item pesti-lentia quanta non temere alias. In iis tot adversis ac talibus non modo principis sollicitudinem sed et parentis affectum unicum praestitit, nunc consolando per edicta, nunc opitulando quate-nus suppeteret facultas. Sotto il suo Principato si verificarono alcune catastrofi dovute alla fatalità: un’eruzione del Vesuvio in Campania, un incendio che devastò Roma per 3 giorni e 3 notti e perfino la più terribile pestilenza che si era mai vista. In tutte queste calamità così gravi egli mostrò non solo la sollecitudine di un imperatore, ma anche la tenerezza tipica di un padre, ora confortando il popolo coi suoi editti, ora procurando tutti i soccorsi che dipendevano da lui.

40 Svetonio, Vita di Tito, 8, 3: i provvedimenti dell’imperatore
Curatores restituendae Campaniae consula-rium numero sorte duxit; bona oppresso-rum in Vesevo, quorum heredes non exstabant, restitutioni afflictarum civitatum attribuit. Sorteggiò alcuni conso-lari al quale diede l’incarico di restaurare la Campania e assegnò i beni di coloro che erano morti durante l’eruzione del Vesuvio senza lasciare eredi alla ricostruzione delle città distrutte.

41 I provvedimenti dell’imperatore
Le attività della commissione furono finanziate grazie ai beni di coloro che erano morti, senza eredi, nel disastro: questi bona vacantia dovevano essere stati acquisiti dal fiscus imperiale. Chiaramente uno dei primi compiti della commissione fu di redigere una lista degli uccisi e dei loro beni. Interventi nell’area circostante l’epicentro del disastro, con la ricostruzione di edifici pubblici a Napoli, Nola, Nocera, Sorrento, Salerno. Alla commissione istituita da Tito sono state attribuite almeno alcune delle attività di recupero di cui si è detto. In particolare furono recuperati marmi e statue nell’area del Foro, come anche le lastre di travertino che coprivano la piazza.

42 CIL X, 1481 = IG XIV, 729: restauri a Napoli dopo gli eventi del 79 d
CIL X, 1481 = IG XIV, 729: restauri a Napoli dopo gli eventi del 79 d.C. [Αὐτοκράτωρ] Τίτος Καῖσα[ρ] / θεοῦ Οὐεσπασιανοῦ υἱὸς Ο]ὐεσπασιανὸς Σεβαστός, / [ἀρχιερεὺς μέγιστος, δημαρχ]ικῆς ἐξουσίας τὸ ι / [αὐτοκράτωρ τὸ ιεʹ, πατὴρ πατρίδ]ος, ὕπατος τὸ η, τειμητής, / [ἐν Νέαι πόλει δημαρχήσας, ἀγων]οθετήσας τὸ γ, γυμνασιαρχήσας / [---] ὑπὸ σεισμῶν σ]υμπεσόντα ἀποκατέστησεν. / [Imp(erator) Titus Caesar divi Vespasia]ni f(ilius) Vespasianus Aug(ustus), / [pontifex max(imus), trib(unicia) pot(estate) X, imp(erator) XV], co(n)s(ul) VIII, censor, p(ater) p(atriae), / [--- terrae mo]tibus conlapsa restituit.

43 I caratteri di CIL X, 1481 = IG XIV, 729
Un testo bilingue, sostanzialmente con lo stesso contenuto, che conferma la forte diffusione del greco a Napoli ancora alla fine del I sec. d.C. Nel testo greco anche il ricordo della demarchia (magistratura eponima locale), della agonotesia (magistratura per l’organizzazione dei giochi) e della ginnasiarchia (magistratura direttiva del ginnasio) rivestite localmente da Tito, evidentemente a titolo onorario. Gli elementi della titolatura imperiale rimandano al periodo gennaio - giugno 81 d.C., probabile quindi la connessione con gli eventi del 79 d.C. (senza escludere il terremoto del 62 d.C.) Purtroppo perduta la menzione dell’opera oggetto di rifacimento, espressa probabilmente da un sostantivo neutro plurale (balnea?).

44 Marziale, Epigrammi, IV, 44: il paesaggio vesuviano nell’88 d.C.
Ecco il Vesuvio che poco fa era verde per l’ombra delle viti, / ecco il nobile vino che aveva riempito i tini ribollenti; / ecco i gioghi, le colline che Bacco amava più di Nisa; / ecco il monte sul quale, ieri, danza-vano i satiri. Questa era la casa di Venere, a lei più gradita di Sparta; / questa era la città che aveva ricevuto il nome da Ercole. / Tutto giace, distrutto dalle fiamme e dalla cenere crudele: gli dèi non avrebbero voluto che ciò fosse loro concesso. Hic est pampineis uiridis modo Vesbius umbris, / presserat hic madidos nobilis uua lacus: / haec iuga quam Nysae colles plus Bacchus amauit; / hoc nuper Satyri monte dedere choros; / haec Veneris sedes, Lacedaemone gratior illi; / his locus Herculeo nomine clarus erat. / Cuncta iacent flammis et tristi mersa fauilla: / nec superi uellent hoc licuisse sibi.

45 La ripresa Le aree agricole sconvolte dall’eruzione del 79 d.C. dovettero riprendersi abbastanza rapidamente, anche in ragione del consueto effetto fertilizzante delle ceneri vulcaniche. A poco più di un secolo dall’eruzione Cassio Dione, LXVI, 21, 3 descrive le pendici del Vesuvio coperte da alberi e viti. Già intorno alla metà del II sec. d.C. conosciamo ville rustiche che si impiantano sopra gli strati dell’eruzione (via Lepanto a Pompei, località Ponticelli). Anfore vinarie prodotte nell’area vesuviana già nella prima metà del II sec. d.C. Al periodo posteriore all’eruzione risale certamente una delle due centuriazioni visibili tra Pompei e Nocera, la cosiddetta centuriazione Nuceria II.

46 La ripresa Una certa ripresa degli insediamenti si nota, poco dopo l’eruzione, a Stabia, che dopo la scomparsa di Pompei riassume il suo ruolo di scalo marittimo di Nocera. Una serie di milliari datati al d.C. testimonia interventi sulla rete stradale, in particolare sulle vie da Napoli a Nocera e da Nocera a Stabia. Pompei ed Ercolano tuttavia non vennero mai ricostruite: il loro territorio ha ormai solo una destinazione rurale, forse incamerato nel patrimonio imperiale. La memoria dell’eruzione del 79 d.C., fin da subito interpretata su basi irrazionali, si arricchisce di elementi favolistici. Se il nome di Pompei ed Ercolano continua ad essere ricordato, grazie alla testimonianza delle fonti letterarie, si perde la memoria dell’esatta collocazione delle due città.

47 Oracoli sibillini, IV, 130-136: l’eruzione come punizione dell’oppressore romano
Ma quando, un giorno, il fuoco sfuggirà da una frattura sotterranea nella terra d’Italia e raggiungerà le distese dei cieli, esso distruggerà molte città e molti uomini con le sue fiamme e ceneri densissime riempiranno il grande cielo e gocce simili a ocra rossa cadranno dal cielo; allora conoscerai l’ira del Dio celeste contro coloro che hanno distrutto l’innocente stirpe dei pii.

48 L’interpretazione dell’eruzione secondo gli Oracoli sibillini
Una composita raccolta di profezie, in greco, che nel suo nucleo più antico è emanazione dell’ambiente ebraico. Dopo l’eruzione del Vesuvio nel libro IV è inserita la profezia (tipicamente post eventum) che interpretava la catastrofe come una punizione inflitta da Dio ai Romani. Nel 79 d.C. era ancora vivissima l’emozione della distruzione del Tempio di Gerusalemme del 70 d.C., ad opera di quello stesso Tito che regnava ai tempi dell’eruzione.

49 Cassio Dione, LXVI, 22, 2-4: un racconto favolistico dell’eruzione del Vesuvio
Apparvero molti e grandi uomini che oltrepassavano ogni umana natura, simili ai Giganti che vengono descritti, ora sulla montagna, ora nel territorio circostante e nelle città, i quali si aggiravano per la terra giorno e notte e vagavano passando attraverso il vapore. In seguito a ciò ebbero improvvisamente luogo dei terribili inaridimenti e dei terremoti così violenti da far sobbalzare tutta quanta quella pianura e da scuotere i confini della terra. Si producevano continui fragori, alcuni sotterranei che sembravano tuoni, altri alla superficie, simili a boati, il mare rumoreggiava e il cielo echeggiava. Dopo di che si udì un indescrivibile schianto, come se le montagne stessero crollando, e dapprima rotolarono a valle dei massi così enormi da raggiungere le estremità stesse [del territorio], poi tantissima lava ed una caligine così densa da oscurare l’intera atmosfera e da far scomparire il sole come se si fosse eclissato.


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