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Le funzioni dell’impresa e le teorie sulle finalità imprenditoriali

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Presentazione sul tema: "Le funzioni dell’impresa e le teorie sulle finalità imprenditoriali"— Transcript della presentazione:

1 Le funzioni dell’impresa e le teorie sulle finalità imprenditoriali

2 Cosa è l’impresa?

3 DEFINIZIONE D’IMPRESA Adattato da S. Sciarelli, 2002
Organizzazione economica che, mediante l’impiego di un complesso differenziato di risorse, svolge processi di acquisizione e di produzione di beni o servizi, da scambiare con entità esterne per conseguire un profitto Adattato da S. Sciarelli, 2002

4 Perché esiste l’impresa?

5 Le funzioni dell’impresa
L’impresa è un’organizzazione economica il cui scopo è il soddisfacimento dei bisogni umani mediante l’utilizzo di risorse rinvenibili in natura in misura limitata Mediante il principio di divisione e di specializzazione del lavoro, che rende possibile un più razionale uso delle risorse, si generano maggiori utilità per il sistema economico nel suo complesso

6 Le funzioni dell’impresa (segue)
L’impresa è un sistema sociale poiché, mediante gli sforzi di un insieme di gruppi sociali operanti al suo interno, diventa distributrice della ricchezza creata e rappresenta uno strumento per il soddisfacimento delle necessità di chi vi opera Per il suo funzionamento ha bisogno di forza lavoro, capitale di prestito, materie prime, macchinari, servizi che acquisisce da lavoratori, finanziatori, fornitori, etc.

7 Le funzioni dell’impresa (segue)
L’impresa è una struttura patrimoniale, ossia un insieme di beni organizzato e retto per lo svolgimento di processi produttivi. Questa funzione è possibile attraverso l’impiego di due fattori: il capitale la capacità imprenditoriale Essa richiede, dunque, un investimento ad un determinato coefficiente di rischio per la produzione di reddito

8 Le funzioni dell’impresa
Funzione economica Funzione sociale Funzione reddituale ….in realtà sono complementari ma sono anche antagoniste

9 Le funzioni dell’impresa
A quale funzione dare priorità? economica? sociale? reddituale? ….cosa fanno le imprese?…

10 Cosa contraddistingue l’attività d’impresa?

11 Le teorie sulle finalità imprenditoriali

12 Le teorie sulle finalità imprenditoriali
Distinzione fondamentale e propedeutica alla trattazione del tema: Fini e Obiettivi

13 Fini e Obiettivi Fini - universalità - generalità
- permanenza nel tempo 2. Obiettivi - risultato specifico che si intende raggiungere entro un certo tempo e date certe circostanze

14 Le teorie sulle finalità imprenditoriali
La teoria della massimizzazione del profitto La teoria della sopravvivenza aziendale La teoria manageriale dello sviluppo dimensionale La teoria della creazione e diffusione del valore La teoria comportamentista La teoria del successo sociale

15 La teoria della massimizzazione del profitto
Secondo la teoria economica classica, il profitto* è “il compenso che spetta all’imprenditore per l’organizzazione dei fattori produttivi” Secondo la teoria (classica) della massimizzazione del profitto, i comportamenti imprenditoriali sono orientati al conseguimento del più ampio divario positivo tra i ricavi e i costi di gestione Importanza del fattore tempo e del fattore rischio: - max profitto per quale esercizio? - max profitto per quale livello di rischio? *Varie teorie considerano il profitto dell’imprenditore come 1) un compenso (come il salario, la rendita e l’interesse), 2) un premio per il rischio sopportato, 3) un premio per l’innovazione sostenuta (Schumpeter), 4) il risultato di una posizione di rendita monopolistica (malfunzionamento del mercato).

16 La teoria della sopravvivenza aziendale
Secondo la teoria della sopravvivenza, il fine degli imprenditori è quello di assicurare la continuità dell’organismo aziendale Nell’impresa manageriale la contrapposizione tra proprietà e management rende impossibile perseguire il max profitto Ciò si traduce nel puntare al profitto come mezzo per irrobustire la struttura patrimoniale dell’impresa, rifiutando attività gestionali ad alto rischio che possano risultare pericolose per la vita dell’organizzazione

17 La teoria della sopravvivenza aziendale
Secondo Drucker la sopravvivenza dipende dalla: Posizione di mercato rispetto ai concorrenti Capacità d’innovazione Disponibilità di risorse finanziarie e personale qualificato Redditività dell’impresa (capacità di autofinanziamento che garantisce l’indipendenza da fonti esterne e tecnostruttura che, secondo Galbraith, è indice di maggior autonomia decisionale da parte dei manager)

18 La teoria della creazione e diffusione del valore
La teoria del valore sostiene che la finalità della gestione è quella di far crescere il valore economico dell’impresa attraverso l’aumento del valore di mercato (azioni, dividendi) L’impegno è quindi concentrato su: orientamento al futuro potenzialità di reddito trasferimento del valore al mercato In una visione più ampia, la finalità della creazione del valore risponde agli obiettivi di tutti i partecipanti all’impresa e non soltanto a quelli della proprietà

19 La teoria dello sviluppo dimensionale
La teoria dello sviluppo dimensionale sostiene che i manager sono più interessati all’espansione dell’impresa. L’obiettivo primario della conduzione aziendale è il fatturato, miglior indicatore del successo d’impresa per Baumol Espansione dell’impresa Irrobustimento dell’organizzazione Assunzione di maggiore forza concorrenziale Incremento retribuzioni della direzione STABILITA’ PRESTIGIO MIGLIORAMENTO ECONOMICO Vedi Marris, Baumol, Williamson

20 La teoria comportamentista
La teoria comportamentista o dei “limiti sociali” alla massimizzazione del profitto pone in rilievo l’aspetto conflittuale e/o collaborativo con gli operatori interni ed esterni al sistema. La massimizzazione del profitto incontra due serie di vincoli: quelli sociali di natura interna ed esterna (relazioni con gli altri operatori) e quelli di conoscenza (innovazione). Il reddito quindi, è un risultato che deriva da accordi di cooperazione o dalla composizione di conflitti interni ed esterni. La sua misura non è mai liberamente determinabile dall’imprenditore. Il fine del massimo profitto diviene, così, il fine del massimo profitto condizionato

21 Analisi dell’equazione aziendale del profitto in rapporto ai gruppi sociali
RICAVI (per aumentarli, si può agire sul prezzo o sulla quantità prodotta) COSTI Profitto Costi di lavoro Lavoratori Costi di approvvigionamento Fornitori Costi di finanziamento Finanziatori Costi di distribuzione Distributori Oneri fiscali Pubblica Amministrazione Costi di organizzazione (es. progettazione e controllo) Manca il gruppo sociale Costi di R & S idem Azionisti/Proprietario *Gruppi sociali: clienti, concorrenti, lavoratori, fornitori, distributori, finanziatori, pubblica amministrazione.

22 La teoria del successo sociale
La teoria del “successo sociale” (per cui il profitto è solo un mezzo) sostiene che l’imprenditore tende al successo, e che il successo è rappresentato dai risultati raggiunti dall’impresa e dal ruolo che attraverso essi egli riesce a conquistarsi all’interno della comunità Il successo sociale è raggiungibile attraverso tre motivazioni principali ordinate in scala crescente: profitto potere (leadership competitiva) prestigio

23 La teoria del successo sociale
Le gratificazioni morali si associano a quelle economiche e ciò comporta un’attenzione agli equilibri economici ed etici. La soluzione di dilemmi morali, che sono propri di un sistema di interessi differenziati, sulla base di principi che attingono anche al campo dell’etica aziendale, si rivela oggi, fattore positivo caratteristico di una superiore interpretazione della funzione dell’impresa

24 L’evoluzione della teoria dell’impresa: teoria degli “stakeholder” e teoria dell’agenzia

25 La visione sociale dell’impresa
Un’impresa non può più essere vista come un’iniziativa imprenditoriale il cui scopo è soltanto la finalità economica dell’investitore proprietario, ma deve essere considerata come un sistema da guidare in funzione di un giusto equilibrio tra obiettivi economici (e, cioè, la ricchezza creata) e responsabilità sociali * Per responsabilità sociali si intendono ricadute occupazionali, d’investimento, di mercato, di inquinamento etc. “Stakeholder è ogni individuo o gruppo (interlocutore) che influenza o è influenzato dalle finalità perseguite dall’impresa” (Freeman, 1984)

26 Gli interlocutori dell’impresa: gli stakeholder
Proprietari Gruppi politici Istituzioni finanziarie Governo Gruppi di opinione Fornitori Clienti IMPRESA Concorrenti Associaz. di consumat. Associaz. di categoria Sindacati Dipendenti

27 Stakeholder primari e secondari
Stakeholder secondari COMUNITA’ LOCALE GRUPPI DI OPINIONE Proprietari GRUPPI DI CONSUMATORI Stakeholder primari Fornitori Clienti IMPRESA MEDIA GRUPPI AMBIENTALISTI Dipendenti SOCIETA’ CIVILE SINDACATI

28 Che interesse hanno i diversi stakeholders nell’impresa?
Alcuni interessi sono comuni a più stakeholders? Gli stakeholders sono un’opportunità o piuttosto una minaccia? Che responsabilità ha l’impresa verso di loro?

29 Per capire il grado d’influenza che gli stakeholders possono esercitare sulla gestione occorre individuarne: La forza (o potere) alla luce del ruolo ricoperto (es. ambientalisti) La legittimazione o riconoscimento ufficiale della loro capacità di rappresentare e difendere determinati interessi L’attualità dell’interesse difeso, ovvero l’urgenza di ottenere una risposta dall’impresa NB: tutti e tre gli elementi possono variare nel tempo rendendo necessario monitorare l’evoluzione dei rapporti che intercorrono tra management e stakeholders

30 Individuazione e classificazione degli “stakeholder” aziendali
Gli interlocutori aziendali possono essere classificati in quattro gruppi: stakeholder amichevoli (supportive) stakeholder avversari (non supportive) stakeholder non orientati (mixed blessing) stakeholder marginali Tenendo conto del peso rivestito e della propensione dei vari stakeholders nei confronti dell’impresa si può decidere di perseguire strategie di coinvolgimento, di collaborazione, di difesa o di monitoraggio

31 Tipologia di rapporti strategici con gli stakeholder
Possibilità di minacce per l’impresa provenienti dallo stakeholder ALTE BASSE STAKEHOLDER NON ORIENTATO Strategia: COLLABORAZIONE STAKEHOLDER AMICHEVOLE COINVOLGIMENTO STAKEHOLDER AVVERSARIO DIFESA STAKEHOLDER MARGINALE MONITORAGGIO ALTA Possibilità di collaborazione con l’impresa da parte dello stakeholder BASSA

32 Teoria degli stakeholder
Nella teoria degli stakeholders il ruolo centrale rimane sempre quello dell’imprenditore (stockholder): è questi che deve gestire il rapporto con tutti gli interlocutori (primari e secondari) ed è sempre questi che deve creare e ricreare l’equilibrio generale che consente all’impresa di continuare a produrre e distribuire ricchezza Il punto problematico nella teoria degli stakeholder concerne il ruolo della proprietà

33 Il ruolo della proprietà
Caso N°1: La proprietà detiene il governo dell’impresa: l’imprenditore-capitalista cura il rapporto con gli stakeholders e non figura tra questi. Caso N° 2: La proprietà investe nell’impresa, il management la governa: l’imprenditore è rappresentato dal management ma la proprietà risulta il principale stakeholder Teoria dell’agenzia (Berle e Means, 1932)

34 Teoria dell’agenzia Il rapporto di agenzia si ha quando un soggetto (agente) svolge un’attività nell’interesse di un altro soggetto (principale). L’agente si caratterizza per: - discrezionalità nelle scelte - maggiori informazioni (asimmetria informativa) e controllo dei sistemi informativi d’impresa - remunerazione che non dipende dal risultato (es. avvocato, medico etc.) Il rischio d’agenzia consiste nel fatto che l’agente possa sfruttare la discrezionalità per perseguire i propri interessi, l’asimmetria informativa per celarli, e contare sul diritto ad essere remunerati anche in caso di risultato negativo. Jensen e Meckling (1976) introducono il concetto di costi di agenzia.

35 Teoria dell’agenzia Esiste il problema del monitoraggio degli agenti da parte del principale. Per questo nasce la Corporate Governance: Sistema di norme e vincoli che disciplinano i rapporti tra azionisti e management assicurando che l’impresa sia gestita nell’interesse dei primi.

36 Il rapporto tra management e azionisti
Nelle SPA sono previsti 2 organi: L’assemblea degli azionisti* Il consiglio d’amministrazione (CdA)** Questa struttura dovrebbe garantire agli azionisti la possibilità di gestire e controllare l’impresa. In realtà non è così! Perché? * Esso decide sulla nomina e revoca dei consiglieri, approvazione del bilancio, aumenti di capitale, fusioni con altre imprese, messa in liquidazione etc. ** Stabilisce una linea strategica da seguire e ne sorveglia l’andamento, ed esprime il management nominandolo e selezionandolo o dall’esterno o, molto più frequentemente, scegliendolo al suo interno!! In questo caso vi sarà un a.d. ed un comitato esecutivo.

37 Limiti al corretto funzionamento dell’assemblea
Costi elevati nella partecipazione per i piccoli azionisti e difficoltà nel raggiungimento della maggioranza Sistema delle deleghe Meglio vendere che combattere per la sostituzione del management* * Quindi è più facile che crolli il prezzo delle azioni in Borsa piuttosto che ottenere la sostituzione del management.

38 Limiti al corretto funzionamento del consiglio d’amministrazione
I consiglieri operano in più società dedicando poco tempo a studiare i problemi di ognuna Hanno minori informazioni dei manager (asimmetria informativa) Influenza dei manager sulla nomina dei consiglieri (specie per via delle deleghe)* I consiglieri sono anch’essi agenti degli azionisti * Rischio di conflitto d’interesse: un consigliere appoggia un a.d. perché sa che questi potrà farlo nominare nel consiglio di un’altra società.

39 Altri stakeholders che si trovano in un rapporto di agenzia con il management
Creditori Dipendenti e tutti gli altri stakeholders Quindi i manager sono in un rapporto di agenzia multipla verso tutti gli stakeholders.


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