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Economia e gestione delle imprese 2010

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Presentazione sul tema: "Economia e gestione delle imprese 2010"— Transcript della presentazione:

1 Economia e gestione delle imprese 2010
Università degli Studi di Padova Facoltà di Lettere e Filosofia Stefano Grigoletti

2 Obiettivi didattici Il corso affronta gli aspetti strategici ed organizzativi della gestione d'impresa, con una particolare attenzione alla realtà della piccola e media impresa e dei sistemi produttivi locali. Saranno forniti gli strumenti teorici per comprendere le relazioni tra l’impresa e l'ambiente competitivo e le dinamiche che sottendono la definizione delle strategie e delle scelte organizzative. L'attenzione si focalizzerà quindi sulle scelte strategiche relative al settore, al mercato, al raggiungimento e mantenimento del vantaggio competitivo, con un focus sulle dinamiche di internazionalizzazione e di orientamento alla soddisfazione del cliente. Verranno infine approfonditi i processi di business, con alcuni riferimenti alla gestione dell'innovazione, all'area marketing, alla gestione della produzione, della logistica e della distribuzione.

3 Contenuti e testo di riferimento
Impresa e ambiente competitivo Sistemi produttivi locali e imprese distrettuali Lo sviluppo dell’impresa e le scelte strategiche Le scelte di progettazione organizzativa Le scelte relative al settore e al mercato Il vantaggio competitivo Internazionalizzazione e orientamento al cliente I processi di business B. Di Bernardo, V. Gandolfi, A. Tunisini (a cura di), 2009, Economia e Management delle Imprese, Hoepli, Milano

4 Lezione 1 Impresa e ambiente competitivo
Parte 1 – Complessità ambientale e nuovi paradigmi di management Capitolo 1

5 La produzione in età moderna
A partire dalla rivoluzione industriale, la produzione moderna si è basata sull’utilizzo di macchine: sapere replicabile attraverso la tecnologia incorporata nei macchinari. Se aumenta l’utilizzo dei macchinari, i costi unitari tendono a ridursi. Nella produzione artigiana (pre-moderna), il sapere non è replicabile, i costi unitari non si riducono.

6 La produzione di massa Agli inizi del Novecento, la produzione di massa estende la rivoluzione tecnologica iniziata con la meccanizzazione. Produzione di massa: grandi imprese, produzione di migliaia di prodotti standard; risparmio di costo (processi produttivi) a scapito della qualità (personalizzazione del prodotto). I protagonisti: Taylor e l’organizzazione scientifica del lavoro, Ford, sistema di fabbricazione complesso.

7 Taylor e Ford Taylor e l’organizzazione scientifica del lavoro.
Parcellizzazione, ogni operaio della linea produttiva compie un’operazione semplice (specializzazione) L’operazione è ottimizzata con metodo scientifico (tempi e metodi). Ford e il sistema di fabbricazione complesso. Si applica la parcellizzazione del lavoro alle macchine: la linea di montaggio diventa una sequenza di macchine che svolgono operazioni semplici (meccanizzare la produzione). È un’innovazione organizzativa. Il presupposto tecnologico è la disponibilità di energia elettrica.

8 L’organizzazione nell’impresa fordista
Il sistema di fabbricazione fordista, richiede organizzazione: disciplinare l’impiego di lavoro e integrare le operazioni meccanizzate. Organizzazione applicata alla fabbrica: Si richiede figure specializzate (operai, tecnici, ingegneri) Esigenze di progettazione, sia di prodotti, sia del layout della fabbrica, sia di produzione (pianificazione, programmazione, schedulazione) È affidata ai manager, con un ruolo di Connessione, tra fabbrica e direzione. Codici organizzativi. Governo, progettare e ottimizzare le attività (operations). Codici tecnologici.

9 La gestione nella produzione di massa: un sapere firm specific
Il rapporto tra tecnologia e organizzazione non è predefinito: il know how è conoscenza pratica (informazione) che si sviluppa nel contesto specifico di ciascuna impresa, è legato alla sua storia, alle sue persone e si traduce in specifiche soluzioni produttive, organizzative, dimensionali, di prodotto. Legame tra risorse e contesto (resource based view): differenziazione tra imprese nella produzione di massa come fonte del vantaggio competitivo.

10 Il costo dell’organizzazione
Il know how è firm specific, nasce e si sviluppa nella relazione tra risorse e contesto: non è riproducibile a costi nulli! L’organizzazione nella produzione di massa ha quindi un costo elevato, così come il costo delle risorse integrate è elevato (sunk cost) pur avendo un gran valore per l’impresa (valore d’uso). Ridurre l’impatto dei costi: Accrescere le vendite Spostare il baricentro dalla produzione alla commercializzazione

11 Ridurre i costi attraverso la crescita
Per ridurre l’impatto dei costi è necessario utilizzare al massimo la conoscenza firm specific: crescita dimensionale quantitativa e qualitativa. Quantitativa (economie di scala): grandi volumi in tutte le fasi produttive, riducendo il costo unitario. Necessità di standardizzazione. Qualitativa (economie di regolazione sistemica): ridurre l’incertezza centralizzando l’elaborazione delle informazioni e le decisioni Sistemi di pianificazione e controllo. Economie di scopo, espansione delle attività attraverso la complementarietà di prodotti e processi

12 Crescere e governare l’ambiente
La crescita dimensionale, in particolare quantitativa, si scontra con l’instabilità dell’ambiente: mercato (bisogni e preferenze) e concorrenza (quote di mercato). Necessario un rapporto tra crescita dimensionale e stabilità dell’ambiente: governo delle relazioni tra impresa e soggettività ambientali, portatrici di interessi nell’impresa (stakeholder: azionisti; finanziatori; fornitori; clienti; lavoratori).

13 L’ambiente competitivo
Ambiente competitivo: concorrenti; consumatori; Stato. Consumatori. Costruire rapporti diretti, tramite strutture commerciali, rafforzando la forza vendita, riducendo l’intermediazione di distributori e dettaglianti. Politiche di marca e legame di “fedeltà”. Concorrenti. Strategie di differenziazione, rivolte a segmenti del mercato ma con attenzione ai sunk cost. Mondializzazione (‘50-’60) intensifica la concorrenza. Necessario investire sull’innovazione e proteggere l’impresa innovativa (R&S). Stato. Dopo crisi produttiva ‘29 , lo Stato interviene come soggetto economico. Patto Impresa – Stato: maggiore occupazione, reddito e qualità - spesa pubblica, istruzione, lavoro, politica estera.

14 Lezione 2 Impresa e ambiente competitivo
Parte 1 – Complessità ambientale e nuovi paradigmi di management Capitolo 1

15 La crisi della produzione di massa
‘70, crisi produzione di massa a causa di fattori destabilizzanti: Congiunturali, tra cui fluttuazione dei cambi, aumento px materie prime e del lavoro (e loro rigidità dovuta anche al sistema della produzione di massa), elevati tassi di interesse e inflazione. Strutturali (‘80), innovazioni di processo legate all’evoluzione della microelettronica, automazione, informatica, materiali, ICT (scambio dati tra imprese, gestione dell’informazione a monte e a valle, flessibilità e velocità di risposta)

16 Come varia la tecnologia disponibile e la domanda di beni
L’innovazione tecnologica, a partire dagli anni Ottanta, cambia l’ambiente competitivo. Tecnologie e informazioni sono fruibili maggiormente (pervasività, riduzione dei costi), anche da parte dei nuovi entranti. Si Modifica la competitività in molti settori. Cambiano i consumi: nuove esigenze di qualità, differenziazione, valore legato a servizi, design, estetica, qualità della vita e rispetto ambientale. Dall’economia dei bisogni all’economia dei desideri (Rullani, 2004).

17 Complessità della domanda e flessibilità produttiva
La risposta al cambiamento dell’ambiente competitivo e in particolare della domanda, diviene la flessibilità: Ridurre il controllo e la programmazione, puntando sulla capacità di risposta e adattamento; Decentrare e deverticalizzare, mantenendo interne all’azienda solo le attività strategiche (core); Risposte innovative al consumatore con riduzione del time to market.

18 Una risposta alternativa: lean production
Sistema alternativo alla produzione di massa: lean production di Toyota Nasce da un complesso processo di risoluzione di problemi organizzativi e di relazione con fornitori e clienti; Si fonda su collaborazione (cultura giapponese della mancanza di conflitto) e valorizzazione della creatività; Punta sulla qualità, ampliamento di gamma (varietà), rinnovo rapido della gamma (variabilità, attraverso progettazione e sviluppo nuovi prodotti).

19 Gli obiettivi della lean production
Si abbandona la parcellizzazione applicata alle macchine; l’obiettivo è rendere polivalenti macchinari e personale, attraverso Nuove procedure per velocizzare il riattrezzaggio delle linee Organizzazione di squadre di operai intercambiabili e auto-coordinanti, dedicate ad un insieme definito di operazioni Si agisce sulla sincronizzazione degli approvvigionamenti: piccoli lotti, lead time ridotti, immobilizzazioni (costi) inferiori. Si amplia il ruolo dei rivenditori: trasferiscono gli ordini, attivando il processo produttivo; forniscono dati di vendita e informazioni sulle preferenze del consumatore, preliminari al NPD; servizi post vendita (assistenza), nella logica di una relazione duratura con il cliente.

20 Le dimensioni del modello lean
Il modello lean production: Eliminazione degli sprechi (ottimizzazione dei processi e dell’impiego delle risorse); Partecipazione dei dipendenti (collaborazione, auto-coordinamento, capacità decisionale); Collaborazione duratura con i fornitori (commitment). Trasparenza informativa (kanban) tra reparti e verso fornitori, per approvvigionamenti snelli (just in time) Rapporti contrattuali ad hoc (definizione dei profitti a partire dal px finale); coprogettazione; condivisione delle idee. Qualità Totale

21 Lezione 3 Impresa e ambiente competitivo
Parte 1 – Complessità ambientale e nuovi paradigmi di management Capitolo 1

22 Un nuovo rapporto tra produzione e consumo
Nel periodo successivo alla produzione di massa, la minore prevedibilità e maggiore complessità del mercato richiede una risposta produttiva in termini di varietà di offerta. L’evoluzione tecnologica – già accennata – si manifesta soprattutto nell’applicazione dell’informatica alla produzione (CIM), integrando progettazione prodotto e processo (CAD, CAE) e trasmissione di dati (es, EDI) tra sedi produttive e tra aziende. La produzione automatizzata diviene in tal modo flessibile. La varietà può essere prodotta a costi inferiori. La produzione di massa diviene personalizzazione di massa (mass customization). new

23 Mass customization e ICT
Le ICT hanno consentito nuove forme di mass customization: Progettazione modulare; un prodotto modulare è costituito da componenti indipendenti (moduli) e combinabili (interfacce standard). Architettura/ caratteristiche tecniche del prodotto (…il computer) Standardizzazione a monte e personalizzazione a valle. Flessibilità incorporata nei prodotti; la varietà risiede nelle funzionalità del prodotto, che vengono selezionate dall’utilizzatore attraverso l’interazione con il prodotto stesso. Personalizzazione con l’uso. La personalizzazione tramite servizi; oltre il prodotto (modalità di pagamento; formazione) La personalizzazione è veicolata dal punto vendita. new

24 Personalizzazione e varietà attraverso il marketing relazionale
L’evoluzione: marketing industriale + marketing dei servizi + approccio relazionale. L’enfasi è sulla relazione: dalla massa ai singoli (approccio one to one). Le relazioni sono durature (lifetime customer value). Un nuovo sistema di tecnologie, organizzazione e servizi: il CRM. Obiettivi: customer satisfaction (incontro tra varietà offerta e domandata), learning relationship (apprendimento, suggerimenti, miglioramento, NPD), bidirezionalità e collaborazione Le ICT: Customer DB e marketing knowledge management.

25 Dalla relazione all’esperienza
Non solo approccio one to one, relazionale, volto alla customer satisfaction, bensì coinvolgimento e partecipazione del cliente: dal paradigma transazionale dell’acquisto a quello relazionale dell’esperienza. Trasformazione dei contesti fisici di acquisto (il concept store di Nike; i flagship store, con immagine e servizi evoluti, supportati da tecnologie); Comunicazione più coinvolgente, attraverso eventi culturali, spazi espositivi, fieristici e virtuali. Comunità di consumatori

26 Accrescere il vantaggio competitivo attraverso la rete del valore
L’impresa ha una tensione ad accrescere il suo vantaggio competitivo: insieme di fattori che consentono all’impresa di prevalere sui concorrenti e mantenere/aumentare quote di mercato. Economie di scala, produzione snella, flessibilità e varietà, sono leve su cui l’impresa fordista e postfordista ha agito per essere competitiva. Anche la costruzione e valorizzazione di relazioni nella rete del valore costituisce un driver del vantaggio competitivo d’impresa.

27 Rete del valore: concetti ed evoluzione
Partiamo dalla catena del valore (Porter): identificazione delle attività svolte dall’azienda. La catena del valore è funzionale ad individuare ed isolare le attività che creano valore, considerando sia come sono svolte le attività sia le relazioni tra attività (logica per processo). Svolgimento e relazioni sono fattori che determinano il vantaggio competitivo (es. progettazione e logistica nella produzione su commessa). Sistema verticale del valore (Porter): relazioni tra catene del valore, in una logica di fornitura. Efficienza ed efficacia nel sistema, incide sulla competitività, in particolare dell’ impresa “focale”. Rete del valore: relazioni incrociate all’interno dell’ambiente competitivo. Comprende le relazioni orizzontali con partner, intermediari, et c.

28 Le relazioni nella rete del valore
Per essere fonte di vantaggio competitivo, le relazioni nella rete del valore devono essere cooperative. Intervengono i seguenti processi: Commitment tra i partner; obiettivi, risorse, continuità. Trasparenza informativa; scambio di conoscenze costruttivo e aperto. Adattamento reciproco; rapporto in divenire difficile da pianificare. Fiducia reciproca; prima tessera del “circuito” Tali processi sono dipendenti tra loro. Innescano un percorso di apprendimento (strategicità, ruoli e contenuti della cooperazione) e di cambiamento.

29 Crescere nella rete del valore
Quando aumenta la complessità dell’ambiente competitivo, l’impresa può fare leva sulle proprie risorse interne e sulle relazioni esterne: Da un alto, sviluppare la catena del valore, attraverso la crescita dimensionale. Dall’altro, sviluppare relazioni con soggetti detentori di conoscenza, attraverso la crescita relazionale. Spesso, dimensione e relazione sono in alternativa (make or buy). In realtà, possono essere complementari. Morellato: Acquisisce Diffusione Italiana Preziosi (rete punti vendita) = sviluppo della distribuzione. Acquisisce Sector, con in dote alcuni marchi in licenza = relazioni con i proprietari dei marchi. new

30 La dimensione geografica
Economia globale: l’internazionalizzazione è la dimensione “normale”. L’internazionalizzazione a monte (delocalizzazione produttiva) e a valle, implica la scelta di un territorio: le discriminanti sono legate alle risorse, ai servizi, alle infrastrutture, et c. Il territorio diviene fattore del vantaggio competitivo di un’impresa.

31 Lezione 4 Servizi e economia dell’immateriale
Parte 1 – Complessità ambientale e nuovi paradigmi di management Capitolo 2 (par , 2.2.1, 2.2.2, 2.2.4, 2.2.5, 2.3, 2.4)

32 Beni vs servizi Variabili qualificanti Produzione di beni
Produzione di servizi Caratteristiche del prodotto Replicabile Personalizzato Caratteristiche della produzione Produzione in un luogo e nel momento scelto dall’offerta; fruizione presso l’utente Segue la domanda; produzione e fruizione - quasi – contestuali Obiettivi della produzione Standardizzazione e economie di scala Flessibilità

33 Le caratteristiche dei servizi
Le caratteristiche dei servizi – che ne definiscono l’immaterialità – vincolano la gestione dell’attività d’impresa: Impossibilità di immagazzinare l’output; Contestualità tra produzione e erogazione; Partecipazione del cliente al processo produttivo; Importanza delle risorse umane.

34 La relazione tra beni e servizi
Sempre più imprese offrono un sistema di beni e servizi. Lo sviluppo tecnologico supporta la creazione di prodotti complessi: Le imprese manifatturiere correlano sempre più servizi ai beni realizzati (es. impiantistica + post vendita); Imprese di servizi veicolano la loro offerta attraverso prodotti (es: telefonia e connettività). Verso l’industrializzazione dei servizi: logiche gestionali tipiche della produzione di beni applicate alla realizzazione di servizi (es. sw gestionali che incorporano metodologie; call center e la replicabilità del servizio di contatto pre-post vendita).

35 L’offerta di servizi L’offerta di un’impresa di servizi si caratterizza per l’erogazione di un “pacchetto”: Nucleo, servizio di base (primario)che soddisfa il bisogno manifestato dal mercato (trasporto aereo); Accessori, servizi secondari, ausiliari alla vendita del servizio primario e funzionali a soddisfare bisogni correlati (modalità di prenotazione; check-in; consegna bagagli). È spesso sui servizi accessori che si concentra la ricerca di vantaggio competitivo.

36 Servizi nel settore industriale: differenziazione
L’offerta di servizi diviene sempre più una leva per la competitività delle imprese industriali. I servizi ampliano il concetto di prodotto, consentendo di differenziare l’offerta rispetto ai concorrenti. Strategie product plus: si aggiungono servizi ai beni prodotti. Dal materiale all’immateriale; verso l’economia moderna.

37 Servizi e relazioni: il ruolo del consumatore
Dietro all’erogazione di un servizio, sia che si tratti di un’offerta di “pacchetto” sia di beni con strategia product plus, si cela la relazione con il consumatore. È tale relazione che permette all’impresa di migliorare l’offerta (learning relationship). È in tale contesto di relazione che il consumatore assume un ruolo nella produzione del valore. Specificazione del bisogno, Partecipazione attiva (testing). Co-produzione. INTENSITA’

38 Relazione – esperienza – sense making
I contesti di relazione consentono all’impresa di stimolare il coinvolgimento e la partecipazione del cliente, secondo le logiche del marketing relazionale e della ricerca dell’esperienza. Il valore della prestazione che il cliente acquista è legato in gran parte all’immaterialità (marchio, servizi, design) costruita attraverso la partecipazione (relazione, valori, et c.) L’economia moderna si fonda sulla smaterializzazione dell’offerta, caratterizzata da conoscenza incorporata, servizi, partecipazione del cliente alla creazione di valore (Sense-making: creazione di un legame – appartenenza). Il brand CocaCola (generale) L’uso e personalizzazione di un sw (personale)

39 “Legame” e ICT Le tecnologie dell’informazione e comunicazione consentono di creare contesti di legame prima inesplorati, a vantaggio della realizzazione di servizi e della creazione del valore produttore-consumatore. IngDirect; FB e la sponsorizzazione dei gruppi. È il contesto dell’economia moderna, costituito dalle seguenti dimensioni: Conoscenza Servizi Clienti co-creatori del valore.

40 Lezione 5 La varietà delle imprese
Parte 1 – Complessità ambientale e nuovi paradigmi di management Capitolo 3

41 Le determinanti della varietà d’impresa
I fattori che determinano la varietà d’impresa: Firm specific; struttura proprietaria, stile di gestione, organizzazione e risorse, storia e valori; Industry specific: Settore, da cui dipende R&S, scelte distributive, dimensioni; Offering, B2B / B2C, prodotti / servizi; Processo produttivo, artigianale / industriale; continuo / stagionale; Context specific, servizi, finanza, normativa (sistema Paese) e relazioni con gli stakeholder: capitalismo renano (sindacati e finanza), anglosassone (public Co.), giapponese (finanza). Capitalismo italiano: pmi con stile imprenditoriale, presenza di famiglie imprenditoriali e banche d’affari, utilities pubbliche.

42 Le componenti del sistema Paese: l’attrattività
Strutture di governo; politiche economiche-monetarie, di spesa, stabilità politica; Istituzioni finanziarie; Ist. Credito e mercati azionari, sia come fonti finanziarie, sia come soggetti valutatori, sia come partecipanti al capitale. Infrastrutture, fisiche e telematiche; Acquisizione materie prime; energia e lavoro (contratti, prelievi, ammortizzatori sociali); Valori sociali e culturali e la formazione del capitale intellettuale; Interazione pubblico – privato, in relazione all’innovazione e allo sviluppo tecnologico.

43 I parametri dimensionali quantitativi
Parametri quantitativi, come il fatturato, il numero di addetti, il valore della produzione, il valore aggiunto, consentono di distinguere in modo oggettivo le imprese. A tali parametri, si legano effettivamente alcuni aspetti distintivi della gestione e dell’attività d’impresa (ad esempio, numero di addetti e strutture organizzative; valore della produzione e produzione per magazzino / commessa; valore aggiunto e tipologia di attività produttiva/commerciale).

44 Istat/Eurostat e UE Ente Parametro Micro impresa Piccola impresa
Media impresa Grande impresa Istat e Eurostat Addetti Da 1 a 9 Da 10 a 99 Da 100 a 499 Oltre 500 Unione Europea < 10 Da 10 a 49 Da 50 a 249 Oltre 250 Fatturato < € 2 mln € 2 – 10 mln € 10 – 50 mln Oltre € 50 mln Volume totale di bilancio € 10 – 43 mln Oltre € 43 mln

45 I parametri qualitativi
Consentono di considerare gli aspetti relativi al percorso evolutivo di un’azienda, il territorio, il periodo temporale, et c. Per la piccola impresa, stile di gestione imprenditoriale, flessibilità strategico - organizzativa, elasticità e velocità di risposta; Per la grande impresa, stile di gestione manageriale, strutturazione organizzativa, processi decisionali, capacità di influenzare il mercato.

46 La grande impresa: connotati qualitativi - 1
Dimensione elevata e elevata quota di mkt, relativamente al settore. 22° Gruppo ENI, 36° Generali, 66° FIAT, 100°-500° Enel, TI, Intesa-SanPaolo, Finmeccanica, Fondiaria SAI e Unipol. (Fonte: Forbes, 2008). Il controllo al CdA, che nomina i dirigenti / manager (governo). Il rapporto controllo-governo: Impresa familiare; capitale e controllo nelle mani della/e famiglia/e; Public Company; molti azionisti e separazione tra proprietà e direzione; Proprietà organizzata e gestita da manager; azionisti istituzionali di maggioranza (fondi, banche, et c.) condizionano l’azione dei manager.

47 La grande impresa: connotati qualitativi - 2
Organizzazione autonoma di alcuni fattori della produzione: R&S, formazione, disponibilità finanziarie (derivanti dalla diversificazione in più settori). Potere di condizionamento verso Consumatori (brand; dati e analisi di Mkt); Operatori (potere contrattuale); Istituzioni (ruolo sociale / occupazionale). Organizzazione in gruppo (holding e specializzazione per prodotti / Mkt / attività: es. AcegasAps; Gruppo Benetton [Est, Far Est; RE]). Dimensione vs costi? new

48 La piccola impresa: connotati qualitativi
Gestione imprenditoriale: coincidenza tra controllo e gestione (governo), nelle mani dell’imprenditore (e della famiglia) fondatore. Modello decisionale “autoritario”, accentrato nella figura dell’imprenditore, con deleghe ridotte. Opera nella rete del valore, con relazioni internazionali e modelli di business “aperti” (interdipentenze con il mercato e l’ambiente). Organizzazione semplice. Patrimonio limitato. Strategia basata su specializzazione, flessibilità, soddisfazione del cliente, settori a bassa tecnologia, eventuale crescita congiunta con imprese di dimensioni maggiori (automotive; elettronica).

49 La piccola impresa: i limiti
Commistione tra vicende familiari e interessi aziendali (scelte gestionali; assunzione di incarichi). Age management. Gerarchia accentrata e limitata valorizzazione dei collaboratori. Pragmatismo e attitudini. Sottocapitalizzazione, conseguente difficoltà di crescita e accesso al credito più oneroso. Strategie basate sulla reattività (no anticipazione del Mkt) e in settori tradizionali del made in Italy (4 A). Scarsi R&S, marketing, innovazione e ridotto personale qualificato.

50 L’impresa artigiana Meno di 20 addetti; esclusi i settori agricolo, commercio e intermediazione. Si differenzia dalla micro (e piccola) impresa per aspetti qualitativi organizzativi (apporto diretto del lavoro dell’imprenditore) e produttivi (processi non standard). La formula imprenditoriale dell’impresa artigiana può essere descritta attraverso tre variabili: Base conoscitiva impiegata (know how). Grado di meccanizzazione (labour/capital intensive). Remunerazione dei fattori produttivi.

51 Le formule imprenditoriali nell’impresa artigiana
In relazione alle tre variabili indicate, si distingue tra la formula imprenditoriale artigiana tradizionale e quella moderna (es. Vetro srl vs Freddo srl). Variabili Formula tradizionale Formula moderna Base conoscitiva impiegata Empirica e manuale – Artigianato di mestiere Intellettuale – Artigianato di professione Grado di meccanizzazione Alta intensità del lavoro (labour intensive) – Artigianato lavorativo Elevata meccanizzazione (capital intensive) – Artigianato industriale Remunerazione dei fattori Sottoremunerazione – Artigianato marginale Di mercato – Artigianato imprenditoriale Fonte: elaborazione da Grandinetti e Rullani, 1997.

52 La media impresa Evoluzione della piccola impresa e tendenza alla grande impresa? È grande nel comparto, piccola nel settore; in grado di essere impresa di riferimento e attenta alle strategie imitative. Coniuga stili imprenditoriali (proprietà famigliare e intuizione) con stili manageriali (pianificazione e controllo). Orientamento al prodotto ma anche al valore per il cliente. Creatività e problem solving assieme a razionalizzazione, standardizzazione. Nella rete del valore locale e globale. Sviluppa la propria catena del valore e spesso è traino nel sistema verticale. Imprenditorialità individuale e collettiva. new

53 Necessità e criticità della crescita
L’impresa di medie dimensioni è un’entità definita e non solo di transizione. La crescita è spesso intrapresa per incontrare esigenze strategiche ed organizzative, tra cui l’internazionalizzazione, l’investimento in R&S e marketing. La crescita, tuttavia, porta con sé delle criticità, legate alla rigidità organizzativa e di costi, alla maggiore complessità gestionale. Le soluzioni, basate sulla specializzazione, adottate dalla media impresa sono: Delega al mercato. Organizzazione di gruppo (es: Edilizia srl).

54 Lezione 6 Sistemi produttivi e distretti industriali
Parte 1 – Complessità ambientale e nuovi paradigmi di management Capitolo 3

55 Sistemi produttivi e distretti
Sistema produttivo: insieme di attività per la produzione di beni e servizi, legate da rapporti input-output Integrazione verticale (grande impresa) o Divisione del lavoro tra imprese specializzate (distretti). La caratteristica distintiva del distretto, rispetto alla verticalizzazione della grande impresa, è la presenza di relazioni produttive tra imprese (supply chain) = specializzazioni di fase, nella filiera produttiva. Economie esterne vs economie di scala: la divisione e specializzazione consente di raggiungere elevati livelli di efficienza.

56 I connotati dei distretti industriali
Territorio specifico, Specializzazione produttiva, Popolazione di imprese, Componente socioculturale, Interconnessione tecnologico-produttiva. Il distretto è costituito da una rete di operatori anche istituzionali: PPAA, Ass.ni, Centri servizi per imprese, et c.

57 Le tipologie di distretto
Distretti “indotto”, presenza di poche imprese di riferimento in grado di accedere ai circuiti commerciali internazionali; organizzazione piramidale della supply chain. Es. Natuzzi, distretto murgiano del mobile imbottito, Bari. Distretti “concorrenziali”, numerose imprese capofila con propria supply chain, continui rapporti con le pmi del sistema produttivo e con i buyer commerciali. Es. Sportsystem di Montebelluna, con Geox, Gruppo Tecnica, Alpinestars, Diadora, Lotto, Stonefly. Distretti “polverizzati”, molte imprese di piccole dimensioni, artigiane, divisione del lavoro ridotta e difficoltà di crescita del sistema locale. Es. calzatura di lusso del Brenta.

58 Diversificazione del prodotto e ampliamento della filiera
La varietà di operatori e le relazioni produttive in un distretto, portano spesso ad una diversificazione orizzontale del prodotto, dovuta a Ampliamento della gamma di prodotti, da parte di alcune imprese (specie di dimensioni maggiori); Specializzazione di prodotto (imprese più piccole). Il percorso evolutivo di un distretto porta inoltre alla nascita di imprese esterne alla filiera ma strumentali alle attività di filiera A monte, sviluppo di tecnologie, produzione di macchinari e materie prime; A valle, servizi logistici, intermediazione commerciale.

59 La dimensione innovativa dei distretti
Considerando le dinamiche evolutive esaminate (rete; diversificazione; estensione della filiera), i distretti si connotano come: Forma di organizzazione spaziale della produzione (geographical cluster), e Sistemi locali di innovazione, in cui si sviluppano dinamiche di knowledge transfer (Camuffo e Grandinetti, 2005): Imitazione (reverse engineering); Relazioni (accordi orizzontali; relazioni sociali); Mobilità delle risorse umane (passaggio di conoscenze tacite).

60 L’assorbimento di conoscenza nei distretti
I meccanismi di trasferimento risultano particolarmente frequenti nei distretti grazie alla capacità di assorbimento delle imprese distrettuali: Prossimità cognitiva, le imprese sono portate a condividere molte conoscenze in quanto sono culturalmente simili (medesime specializzazioni produttive), Interazione cognitiva, il contesto socio-culturale è unico e genera dinamiche di confronto pervasive. Il trasferimento di conoscenza, talvolta, si manifesta attraverso lo sviluppo di nuove imprese. La principale modalità, a riguardo, è costituita dal processo per “gemmazione” (spin-off).

61 I distretti italiani: elasticità, flessibilità, innovazione incrementale
Elasticità: modificare (ridurre) i volumi di produzione in corrispondenza di variazioni della domanda, senza subire modifiche del costo unitario. Flessibilità, è funzione della suddivisione del lavoro: Statica, produzione qualitativamente diversa a partire da medesima struttura tecnico-organizzativa; Dinamica, innovazione di prodotto. Fonte di vantaggio competitivo a partire da ‘90; Accompagnata da sviluppo di medie imprese e distretti secondo un modello impresa-centrico (vs distretto-centrico). Tradizionalmente, incrementale ed esperienzale-collaborativa.

62 Parte 3 – Le strategie di corporate e di business FIGURA 14.4
Catena del valore Parte 3 – Le strategie di corporate e di business FIGURA 14.4

63 La catena del valore di Porter
Attività primarie: Logistica in entrata (collegamenti e relazioni con i fornitori); Attività operative (produzione); Logistica in uscita (consegne); Marketing e vendite; Servizi (post–vendita; pre-sale). Attività di supporto: Attività infrastrutturali (amm.ne; controllo; SI; et c.); HRM; Sviluppo della tecnologia (R&S); Approvvigionamento.

64 Lezione 7 Sviluppo delle imprese e strategia generale
Parte 2 – Il processo decisionale e la progettazione dello sviluppo Paragrafi 4.1.2, 6.1.1, 6.3 e 6.4

65 Crescita, sviluppo e gli obiettivi dell’impresa
Crescita: incremento del volume delle attività. Sviluppo: crescita qualitativa, miglioramento della gestione senza risvolti dimensionali. Obiettivi dell’impresa: coniugano sia crescita sia sviluppo = incremento del valore economico. Si riferisce all’attività d’impresa nel tempo, vale a dire all’impresa come investimento, e si calcola attualizzando i flussi di cassa futuri (valore ad oggi della differenza tra E e U). Investimenti, per aggredire nuovi spazi di mercato (concorrenza e potere contrattuale); Efficienza dei processi produttivi e distributivi, e focus su core business; Economie esterne (vantaggi conoscitivi), attraverso relazioni con clienti, fornitori, partner.

66 Le decisioni strategiche per raggiungere gli obiettivi
2 tipologie: Orientamento strategico di fondo. Confini dell’impresa (relativamente a settori e mercati). Le decisioni strategiche di fondo includono i concetti di: Mission; Vision; Business idea.

67 Mission, vision, business idea
Business idea: l’attività economico-produttiva, imitativa (da opportunità esistenti) o innovativa (crea nuovo mercato). Mission: ciò che l’impresa si propone di essere nel Mercato (il posizionamento competitivo): Offerta, ampiezza del portafoglio prodotti; Segmenti di domanda a cui rivolgersi; Tecnologie produttive da utilizzare, in funzione dell’offerta e della domanda di riferimento. Vision: l’intento strategico a lungo termine; comprende i valori insiti nell’organizzazione. Dainese: produzione e vendita abbigliamento tecnico > segmenti che richiedono innovazione e sicurezza > “angelo custode delle 2 ruote”. Freddo srl? Cucine srl? Edilizia srl, come varia? new

68 Le decisioni sui confini di impresa – i livelli di gestione
A cosa si riferiscono, come si sviluppano e come si attuano in azienda? Riguardano le scelte di m-l termine, relative ai rapporti con l’ambiente competitivo, in termini di “settore e mercato”. (gestione strategica) Vengono sviluppate attraverso la programmazione delle attività, l’organizzazione (ruoli, responsabilità, e schemi di gestione operativa), il controllo e valutazione dei risultati. (gestione direzionale) Vengono attuate per tramite della gestione operativa, che traduce la gestione strategica e direzionale in azioni. I LIVELLI DI GESTIONE new

69 Le decisioni sui confini di impresa – le strategie
Le decisioni si distinguono in tre livelli di strategie: Strategie complessive (corporate), tra cui Sviluppo orizzontale (prodotti correlati); Integrazione verticale; Diversificazione produttiva (nuove Aree Strategiche di Affari (segmenti di mercato), che richiedono nuove competenze tecniche e/o di marketing); Internazionalizzazione; Turnaround (crisi strutturali – ristrutturazione aziendale). Strategie di business o di base (BU o divisioni); Strategie funzionali. Quali settori e quali mercati Competi_ tività Opera_ tività new

70 Le decisioni strategiche: un modello unitario e integrato
Le decisioni di orientamento strategico e sui confini dell’impresa costituiscono un modello unitario e integrato, in termini di: Coerenza tra obiettivi di m-l termine (business idea, mission e vision), le relazioni con l’ambiente competitivo (gestione strategica, direzionale e operativa) e le strategie da attuare (corporate, business, funzionali); Integrazione tra strategie corporate, business e funzionali. In tal senso, la strategia è un processo dinamico, che propone un progetto (intenzione iniziale) e giunge ad un risultato (esito di azioni svolte) [V.Ec - Tempo]. new

71 La strategia: processo in ridefinizione ma teso ad una vision definita
Processo in continua ri-definizione Strategia intenzionale > strategia deliberata (- strategia rimossa; + strategia emergente; - strategia non realizzata) > strategia realizzata. (Mintzberg e Waters, 1985) Processo vision oriented Obiettivi (sviluppo del valore economico) e finalità (decisioni prese ai vertici), considerando le risorse, l’organizzazione, le ASA. (adattamento da Collis e Montgomery, 1999)

72 Lezione 8 L’analisi per le scelte strategiche
Parte 2 – Il processo decisionale e la progettazione dello sviluppo Capitolo 7

73 La formulazione della strategia: l’analisi
Il processo: Verifica posizione competitiva; gap analysis rispetto ai concorrenti. Analisi esogena; individuazione minacce e opportunità, da cui derivare strategie potenziali. Analisi endogena; individuazione punti di forza e debolezza, per passare da strategie potenziali a strategie attuabili. Valutazione culturale; management e stakeholder, quali filtro nella scelta delle strategie attuabili. Valutazione della fattibilità; ritorno in termini reddituali, di quote di Mkt. Redazione di un piano economico-finanziario. Implementazione e monitoraggio. STRUMENTI DI ANALISI

74 Gli strumenti per l’analisi strategica: performance aziendale
Analisi per la verifica della posizione competitiva (diagnosi strategica): performance aziendale Analisi economico-finanziaria Analisi di informazioni quantitative contenute nei prospetti di bilancio. Analisi di informazioni qualitative relative alle aree funzionali. Le matrici portafoglio (BCG e GE). Il benchmarking (confronto e trasposizione) interno, competitivo, non competitivo.

75 b) le matrici portafoglio: BCG
Rappresenta le Strategic Business Unit secondo 2 dimensioni: Tasso di sviluppo del settore: iSS; Quota di Mkt relativa (Xazienda / Xconcorrente Max): QMr. I casi Freddo srl e Condizionamento spa. Se iSS è elevato, cresce l’assorbimento di risorse, dovuto agli investimenti. Se QMr è elevata, aumenta la generazione di risorse finanziarie, grazie alle curve di esperienza. I quadranti CashCow, Stars, ProblemChildren, Dog.

76 b) le matrici portafoglio: GE
Alcuni limiti della BCG Legame tra QMr e curve di esperienza. Legame tra QMr e vantaggio competitivo. iS è un parametro limitante. Matrice GE: attrattività del settore (dimensione, redditività, sviluppo, concentrazione, maturità, et c.); Posizione competitiva dell’impresa (QM, qualità, prezzo, distribuzione, brand, et c.). I quadranti Disinvestimento (BB), Sviluppo selettivo (AB), Investimento (AA) e Riposizionamento (BA) I parametri per le 2 dimensioni vengono scelti dall’impresa, si valuta il loro peso % (nel descrivere la dimensione) e si attribuisce un punteggio (da 1 a 5) per qualificarli dal punto di vista dell’impresa. new

77 c) Benchmarking Gli ambiti del confronto: prodotto > attività > processi > funzioni > business (organizzazione e strategia). Tipologie di confronto Interno: confronto sulle prestazioni di processi, attività e prodotti delle unità organizzative all’azienda. Competitivo: confronto sulle prestazioni di funzioni, processi, attività e prodotti tra aziende concorrenti. Non competitivo: confronto tra best practices tra aziende di settori diversi (best in class).

78 Gli strumenti per l’analisi strategica: l’ambiente esterno
L’analisi esogena: l’ambiente esterno. 3 livelli di analisi Analisi macroambientale; ampio, comprende più settori, non influenzato dall’impresa. Analisi settoriale; il settore (business) in cui opera l’impresa, approfondendo il ciclo di vita del settore, l’identificazione del business, la concorrenzialità, i fattori per raggiungere il successo. Analisi competitiva; analisi dei diretti concorrenti e dei loro comportamenti.

79 a) Il macroambiente Due principali approcci:
Analisi sulla base di esperienze pregresse, vale a dire sulla base di quando si è verificato in precedenza nell’ambiente esteso. Non considera i cambiamenti nuovi! Rilevazione e lettura dei segnali di cambiamento, tra cui, la globalizzazione, l’innovazione tecnologica, i comportamenti dei diversi soggetti (concorrenti; clienti finali e intermedi; et c.). L’analisi del macroambiente è volta a supportare il management nel vedere possibili tendenze evolutive e definire le adeguate azioni in termini di flessibilità dell’offerta, definizione dei Mkt, mix prodotti/servizi, et c.

80 b) Il settore: ciclo di vita, business, concorrenzialità e successo
Analisi del ciclo di vita del settore: le vendite nel tempo, secondo le fasi di introduzione, sviluppo, maturità e declino. Incide sui ritmi di crescita, sulla competitività e sulla profittabilità del business. Identificazione del business (Segmentazione): ASA, secondo le dimensioni di clienti, funzioni dell’offerta (come si soddisfano i bisogni), tecnologie impiegate nell’offerta. Concorrenzialità nel business: le 5 forze di Porter; fornitori (concentrazione), clienti (volumi, peso sul bene finale, et c.), potenziali entranti, prodotti sostitutivi, concorrenti (innovazione, prezzo, differenziazione). I fattori di successo nel proprio business: la cooperazione nella rete del valore; clienti (bisogni; valore), fornitori (strategici; locali/internaz.), concorrenti e imprese complementari (cooperazione/partnership); l’impresa al centro, con la sua struttura produttiva.

81 c) La competizione I raggruppamenti strategici: qualifica le imprese del settore in funzione della loro strategia (mappa) in termini di specializzazione (ampiezza di gamma) e verticalizzazione. Es: gamma limitata e bassa verticalizzazione -> qualità, tecnologia, px elevato; alta/bassa gamma -> politiche di distribuzione. Analisi dei concorrenti: strategie, obiettivi, ipotesi e previsioni sul settore. Le reti collaborative, ovvero gli accordi tra imprese, e il grado di competizione: orizzontali (tra concorrenti) -> verticali a monte (R&S) -> verticali a valle (distribuzione); l’intensità della competizione si riduce.

82 Gli strumenti per l’analisi strategica: l’ambiente interno
L’analisi dell’ambiente interno: SWOT Analysis per focalizzare la convenienza a mantenere/abbandonare una ASA e l’opportunità di entrare in nuove ASA. Le componenti: Punti di forza e di debolezza, consentono all’impresa di sfruttare o meno le opportunità nel business e di agire o meno contro le minacce. Nel business, le opportunità sono condizioni positive per lo sviluppo dell’impresa mentre le minacce sono ostacoli al suo successo. L’analisi è in termini relativi, vale a dire in relazione ai concorrenti. Il processo: identifico le componenti, le valorizzo in termini relativi, conferisco un peso (priorità), rilevo le implicazioni per l’impresa (relazioni S-W -> O-T).

83 La pianificazione strategica
Parte 2 – Il processo decisionale e la progettazione dello sviluppo Paragrafo 8.3.1

84 Pianificazione strategica e piano aziendale
Il processo decisionale, in termini di analisi e scelte strategiche da attuare, sfocia in una pianificazione strategica, che sempre più considera un approccio non solo top down ma bottom up, in un percorso di coinvolgimento e confronto tra management e ruoli operativi (strategic thinking). La pianificazione strategica viene codificata e formalizzata in un piano aziendale (business plan), costituito dai seguenti elementi: Obiettivi, Azioni, Tempistiche, Risorse (finanziarie e umane), Modalità di controllo.

85 Il piano aziendale: sviluppo e start up
Si distingue tra piano aziendale per lo sviluppo dell’attività d’impresa e piano aziendale per l’avvio di una nuova attività (start up). Le 5 fasi per la redazione del piano aziendale: Piano di sviluppo Piano di start up Analisi della performance. Analisi esogena e endogena. Obiettivi (decisioni strategiche corporate e business). Decisioni strategiche funzionali. Previsione degli impatti economico e finanziari. Sostenibilità della business idea. Analisi esogena (e endogena). Valutazione risorse / competenze e fabbisogni.

86 Lezione 9 Lo sviluppo internazionale
Parte 3 – le strategie di corporate e di business Capitolo 12, paragrafi 12.1, 12.2, 12.3 e 12.5 new

87 I fattori di sviluppo internazionale
Internazionalizzazione: strategia complessiva (corporate) Obiettivi di sviluppo del mercato (estero) Ricerca di condizioni favorevoli per lo sviluppo di rapporti di approvvigionamento, per l’utilizzo di fattori produttivi, per lo sviluppo di relazioni commerciali, distributive. Le scelte di internazionalizzazione si estendono a tutte le attività dell’impresa

88 I concetti di concentrazione e dispersione
Concentrazione (nello stesso luogo), per Conseguire economie di scale e vantaggi legati alle curve di apprendimento. Ricercare vantaggi legati a convenienze localizzate (utilizzo di fattori produttivi). Ridurre la dispersione delle attività.  Concentrare le attività a monte (produzione, logistica in entrata, operations) Dispersione (in più luoghi), se Mercati differenziati (no vantaggi di scala e apprendimento). Incidenza costi di trasporto e comunicazione. Frazionamento “Rischio Paese”.  Disperdere le attività a valle (logistica in uscita, vendite, servizi)

89 Le forme di internazionalizzazione
Le forme tradizionali, si distinguono in base a Make, Controllo diretto dell’attività, che viene “internalizzata” attraverso investimenti diretti esteri (IDE) Buy, Affidamento al mercato, acquistando da terzi l’attività esternalizzata Le nuove forme (NFI) si fondano sul make together, Attraverso partecipazioni azionarie (equity agreement), come per JV, consorzi. Accordi contrattuali tra imprese, di fornitura, di produzione condivisa, commerciali, franchising

90 Le strategie di internazionalizzazione
Due variabili: Concentrazione o dispersione delle attività Grado di “coordinamento internazionale” delle attività Attività nel Paese di origine e vendita mediante esportazione, direttamente o tramite operatori specializzati (concentrazione e basso grado di coordinamento). Replicazione della catena del valore nel Paese di destinazione (dispersione e basso grado di coordinamento): autonomia delle sedi estere. Network globale (dispersione di attività a valle e alto coordinamento). Delocalizzazione (concentrata) di una o più attività, spesso di produzione.

91 L’internazionalizzazione commerciale
Iniziative per vendere estendere il mercato oltre i confini nazionali e vendere i propri prodotti all’estero. Modalità di ingresso nel Paese estero: Esportazione diretta (con propria rete vendita verso esportatori o clienti esteri) o indiretta (rapporti con trading companies) Insediamento diretto, presenza nel Paese di destinazione per gestire le vendite, con ricadute talvolta sulle scelte produttive Accordi internazionali con operatori locali (cessioni di licenze, franchising, JV) che hanno una posizione privilegiata per distribuzione, negoziazione, relazioni con Amministrazioni locali.

92 Le strategie di business
Parte 3 – le strategie di corporate e di business Paragrafi 14.2, 14.3 e 14.4

93 Strategie business per costruire il vantaggio competitivo
Esistono 3 strategie di base: Leadership di costo; differenziazione; focalizzazione. Di queste, 2 sono strategie tendenzialmente opposte, che richiedono scelte organizzative e operative differenti: Leadership di costo; consiste nel determinare condizioni organizzative e operative tali da avere costi inferiori rispetto ai concorrenti, portando sul mercato prodotti a prezzi “medi”. Differenziazione; consiste nel realizzare prodotti con caratteristiche “esclusive” e percepite dal consumatore come a valore aggiunto, ottenute tramite innovazione tecnologica, R&S, servizi, brand e comunicazione. La terza strategia, è trasversale alle prime due, dal momento che consiste nel rivolgere l’offerta ad un segmento di mercato (focalizzazione) e scegliere se perseguire strategie di costo o di differenziazione.

94 Lezione 9 Le scelte di progettazione organizzativa
Parte 2 – Il processo decisionale e la progettazione dello sviluppo Capitolo 9

95 La progettazione organizzativa
La progettazione organizzativa presidia la definizione della struttura organizzativa dell’azienda. La progettazione si riferisce ai seguenti livelli: Organizzazione del lavoro (work design), con riferimento a assegnazione dei compiti, definizione di tempi e metodi, attribuzione delle responsabilità; Processi di lavoro (intra-organizational process work design), con riferimento alle tecniche gestionali rivolte alle relazioni intra-organizzative; Configurazione formale (business structure model); unità organizzative e gerarchie; Confini organizzativi (inter organizational design), con riferimento a scelte di insourcing / outsourcing. HRM

96 1) Il work design Tempi e metodi; assegnazione compiti specifici; competenze richieste; esecuzione e controllo. Tre modalità principali di progettazione organizzativa del lavoro delle persone: Specializzazione, standardizzazione, tempi e metodi, controllo; Assegnazione dei compiti con attenzione a prestazioni e motivazione; Team work.

97 a) Specializzazione, standardizzazione, tempi e metodi, controllo
Quale modello? I criteri: Parcellizzazione e assegnazione stabile dei compiti; Tempi e metodi; Separazione tra esecuzione e direzione; Esclusione dell’iniziativa individuale e richiesta di capacità fisico-motorie. Si aggiungono i criteri propri della produzione fordista, vale a dire la catena di montaggio: ordinata progressione del prodotto lungo la fabbrica e automatizzazione del lavoro. Quali vantaggi (per l’azienda) e svantaggi (per le persone)?

98 b) Prestazioni e motivazione
L’impresa come sistema “umano e sociale” (Hawthorne); le human relations (Mayo); l’evoluzione della domanda e la richiesta di flessibilità  Flessibilità del lavoro umano (job redesign): Ampliamento dei compiti assegnati (enlargement); Complessità del lavoro e affidamento di responsabilità sul controllo (enrichment); Cambiamento di mansioni in tempi diversi (job rotation) Alla base del competency based approach (Boyatzys), fondato sull’attribuzione di compiti e la definizione di ruoli a partire da profili di competenze richieste.

99 c) Team work L’approccio sociotecnico; il gruppo di lavoro è l’unità organizzativa di base e la performance dell’impresa dipende dalla soddisfazione delle persone e dalla qualità del loro lavoro (Quality of Working Life): Assegnazione al gruppo di lavoro di obiettivi e responsabilità, relativi ad una fase dell’attività d’impresa; Delega al gruppo della definizione di tempi e metodi, dell’assegnazione dei compiti, dei meccanismi valutativi e retributivi; Iniziativa di azione-reazione delegata ai componenti del team, con ricerca di flessibilità (competenze multifunzionali). Alla base di tecniche di gestione del TQM, BPR – 2) progettazione dei processi; recenti modelli organizzativi per processi, progetti – 3) Configurazione formale; modulari, a rete – 4) Confini organizzativi.

100 2) Progettazione dei processi di lavoro
Ci si riferisce alle scelte di progettazione delle relazioni intraorganizzative per il miglioramento delle performance d’impresa: TQM, con riferimento al ciclo di Deming (PDCA e la ricerca di standard qualitativi in ottica cliente) e alle pratiche Kaizen (miglioramento continuo incrementale e “dal basso”). BPR; tecniche di analisi e miglioramento del workflow (logica per processi) che impattano sul lavoro delle persone, la struttura, i confini. Si distingue il BPR incrementale (BPI – bottom up) dal BPR radicale (discontinuità).

101 3) La configurazione formale
I principi della scuola classica dell’organizzazione: Divisione del lavoro per “affinità tecniche” (specializzazione funzionale); Autorità gerarchica, intesa come attribuzione di autonomia decisionale e responsabilità a ciascuna funzione (separazione funzionale dei poteri); Principio scalare (gerarchia dall’alto verso il basso) e dell’unità di comando (un solo capo per ciascuna persona); Limite numerico e “funzionale” del gruppo da dirigere; Distinzione tra line e staff.

102 Le strutture organizzative
Funzionale; line e staff; efficienza in condizioni di stabilità grazie alla specializzazione ma rigidità e minore flessibilità ed elasticità, con sovraccarico informativo e decisionale al vertice. Una variante: ruoli intermedi (es: product manager), privi di autorità gerarchica formale. Divisionale; raggruppamento per prodotto, cliente (retail, private, corporate), mercato geografico; il “gruppo” ne costituisce una variante. Maggiore delega, al vertice la strategia, il controllo, la gestione finanziaria; focus su business specifici e maggiore flessibilità ma duplicazioni e aumento unità di staff. Es: Ediliza s.r.l.

103 Verso la struttura per processi
A matrice; raggruppamento per funzione e per risultato. Duplice linea di autorità gerarchica formale e duplice dipendenza delle risorse (al resp. e al PM); ricorso al team work; flessibilità e specializzazione ma conflitti di autorità e criticità connesse all’autorità formale con conseguente confusione nei compiti; difficoltà di controllo delle performance. Struttura per processi Definizione di processo; Processi primari e di supporto; Process owner e team work nelle fasi del processo; Utilizzo intenso di SI e gestione del personale in termini di incentivazione e sviluppo.  Condizionamento s.p.a.: Gest. Commesse (delivery, pre e post vendita); NPD

104 Lezione 10 La gestione dei processi di marketing
Parte 4 – La gestione dei processi Capitolo 17

105 Il ruolo della funzione marketing
Creare le basi conoscitive per la formulazione di strategie competitive, la creazione di valore differenziale (differenza percepita) per il cliente, orientare comportamenti, preferenze, relazioni con l’impresa. Presidia il rapporto di “scambio” Transazione; scambio monetario, valutazione di convenienza, nessun legame; Relazione; rapporto basato su conoscenza reciproca, esperienze precedenti, fiducia; Partnership; rapporto personalizzato, coinvolgimento nella definizione della prestazione, scambi informativi, disponibilità reciproca di adattamento.

106 Gli approcci e i processi di marketing
In funzione del rapporto di scambio che l’impresa intrattiene con il mercato, il marketing adotta diversi approcci: Tradizionale; focus su transazione. Relazionale; focus su relazione e partnership. L’approccio tradizionale prevede tre processi: mktg information; mktg strategico; mktg operativo. Hanno come obiettivo diffondere in azienda la cultura della conoscenza dell’ambiente esterno, quale fondamento per la costituzione del vantaggio competitivo. Sono correlati, spesso in successione, richiedono integrazione con gli altri processi aziendali (es. product manager).

107 Informazioni, strategie, azioni
Marketing information Informazioni: contesto sociale; ambiente competitivo (forze, fattori, attrattività, et c.); clienti attuali e potenziali, considerando i bisogni, i processi di acquisto, i precedenti acquisti, la percezione verso le marche, et c.; ambiente interno (in relazione ai singoli prodotti o segmenti e considerando volumi di vendite, fatturato, redditività, et c.) Fonti informative: i sistemi informativi aziendali, i contatti attuali con il mercato, ricerche e studi, i diversi canali di informazione. Sistema Informativo di Marketing; “struttura integrata di persone, strumenti e procedure” per rilevare, organizzare, analizzare e distribuire in azienda le informazioni sul mercato.

108 Informazioni, strategie, azioni
Il marketing strategico si riferisce al processo di formulazione di strategie rivolte al brand o al prodotto. A chi vendere il prodotto? L’individuazione del consumatore target (per area, per comportamenti, per bisogni), in mercati dove sono espressi bisogni e modalità di acquisto diversi, condiziona le azioni operative e l’efficacia delle stesse. Perché il target dovrebbe acquistare il mio prodotto? Si esplicita come il prodotto incontra le esigenze del consumatore (value proposition), quali caratteristiche funzionali e fisiche debba avere il prodotto (concept), quale percezione debba avere il target in relazione al prodotto, nell’insieme evocato degli altri brand (posizionamento del brand). Quali capacità distintive (di differenziazione) salvaguardare? Risorse interne e relazioni esterne da valorizzare per la competitività dell’impresa nel m-l termine. Quali obiettivi quantitativi? Volumi, fatturato, redditività, quota di mercato, et c.

109 Informazioni, strategie, azioni
Il marketing operativo presidia la definizione e attuazione delle strategie individuate. Il modello delle 4 P (Marketing Mix): Politiche di prodotto: profondità delle linee di prodotto, denominazione, sostituzione, packaging; Politiche di comunicazione: investimenti pubblicitari, promozioni, sponsorizzazioni, impiego di tecnologie di rete; Politiche di distribuzione; scelta del canale (diretto, breve o lungo), ampiezza della distribuzione (intensiva o selettiva e esclusiva), relazioni con gli intermediari; Politiche di prezzo; definizione del prezzo di vendita in relazione alla redditività attesa (analisi interna), alla quota di mercato da raggiungere (analisi della concorrenza), al posizionamento del brand (analisi della domanda).

110 Lezione 11 La gestione della distribuzione
Parte 4 – La gestione dei processi Capitolo 20

111 Le forme distributive Nel commercio moderno si distingue tra commercio al dettaglio e distribuzione intermedia (commercio all’ingrosso). Il commercio al dettaglio opera nel B2C e include tutte le attività di vendita di beni o servizi diretti ai consumatori finali. La distribuzione intermedia opera nel B2B e comprende le attività di vendita agli operatori del commercio al dettaglio. Il grossista si occupa di selezionare i fornitori e i prodotti; gestisce servizi di logistica (stoccaggio, trasporto, informazioni).

112 Esempi di forme distributive
Nel commercio al dettaglio, si distingue tra e Superette, assortimento ridotto di beni prevalentemente alimentari e ad elevata rotazione; Supermercato, assortimento più ampio, di beni alimentari e di uso corrente; Discount, assortimento limitato e assenza di marche leader (hard discount); assortimento più ampio con alcune marche leader e prodotti freschi (soft discount); Ipermercato, ampio assortimento di prodotti alimentari, abbigliamento, casalinghi, elettrodomestici; Aree dedicate alla vendita di prodotti non alimentari, con almeno 5 reparti (Grandi magazzini, organizzati in corner) o per la vendita specializzata (Grandi superfici specializzate, ampia gamma, servizi e buon rapporto qualità-prezzo). Nel commercio all’ingrosso si distingue il cash&carry (libero servizio, pagamento e ritiro immediato) dall’intermediario per i grandi distributori al dettaglio (Rack Jobber, gestisce servizi di riordino, carico corsie, promozioni in store).

113 I modelli organizzativi della distribuzione
Negli anni 90, la distribuzione svolta da dettaglianti despecializzati indipendenti (gestione familiare) entra in crisi, mentre cresce la vendita specializzata (assortimento ristretto ma profondo). Mentre i piccoli punti vendita si specializzano, si affermano 3 modelli organizzativi per la distribuzione: Grande distribuzione (GD), società commerciali con più di 5 punti vendita con stessa insegna e immagine coordinata. Accentrano funzioni tipiche del grossista. Distribuzione organizzata (DO), è un modello associativo attuato tramite Gruppi di acquisto (orizzontale, una centrale di acquisto per fornitura dai produttori e servizi ai distributori associati) e Unioni volontarie (verticale, tra grossisti e dettaglianti, con obiettivi di riduzione costi di fornitura e politiche commerciali comuni). Modello cooperativo, per la vendita al dettaglio rivolta ai soci. Le cooperative di consumo possono essere chiuse o aperte (modello Coop: tre livelli di cooperative per politiche di acquisto-ordini di fornitura-punti vendita). new

114 I canali distributivi Con il termine “canale distributivo” si identifica l’insieme di aziende interposte tra produttore e consumatore e dedicate alla distribuzione di un prodotto (acquisto e rivendita). Canale lungo; produttore – grossista – dettagliante – consumatore. Il produttore perde il contatto con il mercato  crisi della distribuzione intermedia (anche a causa della GDO), che oggi amplia il suo ruolo con servizi di gestione vendite e logistica; la necessità di consolidare il canale porta al Sistema Verticale di Marketing, canale coordinato / unificato. Canale breve; produttore – dettagliante – consumatore. Utilizzato da produttori di marche leader. Canale diretto; produttore – consumatore; impiegato nel B2B. Il sistema distributivo comprende gli intermediari, gli operatori logistici e la rete di vendita (agenti o venditori diretti). new

115 Strategie di copertura distributiva (place)
La copertura distributiva riguarda l’intensità dei canali distributivi utilizzati, in termini di: Distribuzione intensiva; la strategia è rifornire il maggior numero di punti vendita. Adottata dalla produzione di beni di largo consumo. Distribuzione selettiva; si seleziona, sulla base di criteri predefiniti, un gruppo ristretto di intermediari. Distribuzione esclusiva; i distributori sono pochi, hanno diritti esclusivi di vendita in zone delimitate contrattualmente.

116 Rafforzare la gestione dei rapporti con i distributori
Il franchising è una modalità di semi-integrazione a valle. Consente di superare le difficoltà gestionali e di redditività dei punti vendita di proprietà, pur mantenendo il controllo sulle variabili di marketing (4P). Il franchisor cede all’affiliato la licenza d’uso del marchio, servizi di marketing operativo, il know how per la gestione operativa. L’affiliato corrisponde delle royalties % periodiche (talvolta un entry fee) e mantiene gli standard indicati dall’affiliante. La gestione dei rapporti con la GD e DO – con crescente forza contrattuale -, ha richiesto nuove strategie da parte dei produttori, focalizzate sullo sviluppo di servizi per la distribuzione. Si parla di trade marketing: Merchandising; gestione della presentazione del punto vendita. Servizi logistici; controllo giacenze, riordino, consegne. Scontistica; Promozione; sviluppo di iniziative di promo-comunicazione congiunte.

117 Lezione 12 I sistemi produttivi e la produzione
Parte 4 – La gestione dei processi Capitolo 18, Paragrafi 18.1 e 18.2

118 Una definizione di produzione
Complesso processo di trasformazione - intesa come acquisizione (disponibilità), aggregazione (organizzazione) e impiego (combinazione) – di input in output, che saranno impiegati in altre produzioni o destinate al consumo finale. Input: lavoro, materiali, capitali > processo di trasformazione: input disponibili, organizzati e combinati per essere trasformati > output: beni e servizi.

119 La gestione della produzione
La gestione della produzione fa leva su tre driver: Centralità del cliente (soddisfazione di richieste varie e variabili - modularità); Importanza delle relazioni di fornitura (outsourcing); ICT (integrazione dei flussi informativi). Gestire la produzione significa: Progettare il sistema produttivo; si riferisce alla scelta tra diversi modelli di produzione alternativi. Programmare e controllare la produzione; si riferisce alle modalità per ottimizzare la trasformazione degli input.

120 1. Progettare il sistema produttivo
Progettare il sistema produttivo significa definirne il processo, in funzione della numerosità del prodotto realizzato (differenziazione) e della sua standardizzazione (produzione di massa standard vs piccola serie su richiesta del cliente). In ambito industriale, i processi disponibili sono: Processo produttivo su progetto (engineer to order); Processo produttivo su modello (make to order); Processo produttivo intermittente a grandi lotti (assemble to order); Processo produttivo continuo (make to stock);

121 I processi produttivi Processo produttivo su progetto (engineer to order); produzione per unità distinte e uniche (unicità della commessa). Processo produttivo su modello (make to order); produzione per unità distinte, in piccola serie e a catalogo ma con continue variazioni su richiesta del cliente. Processo produttivo intermittente a grandi lotti (assemble to order); produzione di massa differenziata, generalmente grazie alle tecniche della modularità per l’alimentazione programmata di un magazzino intermedio e all’assemblaggio all’ordine del prodotto finito. Processo produttivo continuo (make to stock); produzione di massa standardizzata (prodotto unico).

122 2. Programmare e controllare la produzione (PCP)
Il PCP determina cosa produrre, in quale quantità, con quali tempistiche, ottimizzando l’impiego di risorse. Diviene centrale tra l’acquisizione degli input e la cessione degli output e in tal senso le scelte per il PCP rispondono a due logiche: Logica push; gestione del magazzino (stock control): si gestiscono scorte di materie, semilavorati e prodotti finiti; Logica pull; l’input è dato dagli ordini o precisamente da una previsione di ordini, a cui si adatta il flusso produttivo (flow control). I metodi di programmazione sono: Material Requirement Planning (MRP), la previsione dei fabbisogni di prodotti finiti definisce la quantità complessiva da produrre; Just in time (JIT), la previsione dei fabbisogni definisce le quantità da produrre “appena in tempo” in ciascuna fase del processo, secondo i tempi minimi di disponibilità di tali quantità.

123 Il management dei processi logistici
Parte 4 – La gestione dei processi Capitolo 19, paragrafi 19.1 e parte del 19.2

124 Il sistema logistico Con logistica si intende le attività inerenti la gestione di scorte, trasporti e informazioni durante il ciclo acquisti-produzione-vendite. Il concetto di logistica si compone di: Logistica aziendale; relazioni interne all’azienda e dall’azienda verso l’esterno; Logistica realizzata da operatori esterni (trasporto; tracking); Infrastrutture, dedicate alle attività logistiche. nell’insieme: Sistema logistico; la gestione di tale sistema prende il nome di Logistica integrata.

125 I processi logistici Le attività logistiche possono essere suddivise in due gruppi: Processi fisici; riguardano la movimentazione e immagazzinamento di beni durante l’approvvigionamento, la produzione e distribuzione (trasporti in ingresso e in uscita; ricevimento; carico e scarico dei vettori; stoccaggio). Processi informativi; riguardano il flusso di informazioni relative all’avanzamento dei beni lungo i flussi fisici. Supportano pertanto i flussi fisici e ne consentono la gestione e il monitoraggio da parte degli operatori coinvolti.

126 Il management dell’innovazione
Parte 4 – La gestione dei processi Capitolo 16, Paragrafi 16.1, 16.2 e 16.4

127 Il rapporto tra innovazione e attività d’impresa
Invenzione (dal latino invenio, scoprire) indica la scoperta o l’elaborazione di nuove idee e tecnologie, indipendentemente dalla loro possibile applicazione in ambito industriale. L’innovazione, invece, è la traduzione di un’idea o tecnologia in un prodotto commercializzabile, percepito come nuovo da parte dei consumatori. La novità percepita dal consumatore, se incontra bisogni ed esigenze nuove o risponde in modo più efficace a bisogni esistenti, costituisce un elemento fondante il vantaggio competitivo dell’impresa.

128 Il processo di innovazione
Tradizionalmente, l’innovazione è un processo gestito internamente all’azienda e presidiato dalla funzione R&S. può assumere due forme distinte: Innovazione di prodotto; consiste nell’ideazione e nell’industrializzazione di una nuova offerta per il consumatore; coinvolge la funzione Marketing soprattutto in specifiche fasi del processo (ideazione, strategia e analisi economica, test, lancio). Innovazione di processo; comprende nuove tecnologie o soluzioni organizzative volte a ridefinire e migliorare un’attività aziendale, specificatamente in area produzione. Innovazioni che determinano una nuova generazione di prodotti o di processi si definiscono radicali (breakthrough) e comportano cambiamenti sostanziali nell’attività d’impresa. Sempre più spesso, l’innovazione non ha natura tecnologica ma consiste nella definizione di una nuova dimensione immateriale del prodotto (valori, cultura, appartenenza, et c.)

129 Il design come processo di innovazione
Nell’ambito dell’impresa manageriale (grande impresa) il processo innovativo richiede codifica e controllo, al pari degli altri processi aziendali: il processo di innovazione fa leva su elevate conoscenze tecnologiche e scientifiche. Nelle pmi la creatività si traduce spesso in ricerca e gusto per l’estetica del prodotto, che diviene fonte di differenziazione dell’offerta e quindi di vantaggio competitivo, in particolare nei settori tradizionali, a bassa tecnologia. Casi eccellenti (come Geox, Dainese, Alpinestars, Ikea) dimostrano come tecnologia ed estetica possano essere conciliate, approdando ad una concezione di design come progettazione a forte valenza estetica, in cui innovazione e creatività sono entrambi fattori fortemente presenti.

130 Il design italiano Nell’accezione anglosassone, industrial desing si riferisce ad una progettazione di tipo ingegneristico (design si traduce in “progettare”). Nell’interpretazione italiana, industrial desing perde la connotazione industriale, rimane design di cui si recupera il significato etimologico di “disegnare” (dal latino, designare) legato fortemente alla pratica artistica. Il design italiano rappresenta l’incontro tra gusto estetico e saperi artigianali, reso possibile dal particolare tessuto di pmi caratterizzato da: Flessibilità, in termini di differenziazione a costi contenuti, in piccole serie, grazie alla dimensione e alle caratteristiche delle pmi; Qualità del prodotto, gusto per l’estetica abbinato ai significati storico-artistici della tradizione.

131 Evoluzione del design italiano
Dainese, Geox, Nonino: tecnologia, estetica e comunicazione Il design è fonte del vantaggio competitivo non solo per la capacità di innovare il prodotto dal lato estetico; sempre più le imprese leader ampliano il concetto di design abbinandolo ad un percorso strategico di comunicazione: Tale strategia comunicativa prevede la costruzione di significati legati al prodotto, attraverso cui comunicare i valori della tradizione italiana (made in Itlay; italian style); Viene accompagnata e supportata spesso da innovazioni tecniche e tecnologiche del prodotto (concept; packaging; et c.) La strategia viene definita con un forte coinvolgimento della R&S, Marketing, Distribuzione. new

132 Riepilogo dei riferimenti al testo
Parte 1 – Complessità ambientale e nuovi paradigmi di management. Impresa e ambiente competitivo; Capitolo 1 Servizi e economia dell’immateriale; Capitolo 2 (par , 2.2.1, 2.2.2, 2.2.4, 2.2.5, 2.3, 2.4) La varietà delle imprese; Capitolo 3 Sistemi produttivi e distretti industriali; Capitolo 3 Parte 2 – Il processo decisionale e la progettazione dello sviluppo. Sviluppo delle imprese e strategia generale; Paragrafi 4.1.2, 6.1.1, 6.3 e 6.4 L’analisi per le scelte strategiche; Capitolo 7 La pianificazione strategica; Paragrafo 8.3.1 Le scelte di progettazione organizzativa; Capitolo 9

133 Parte 3 – Le strategie di corporate e di business
Lo sviluppo internazionale; Capitolo 12, paragrafi 12.1, 12.2, 12.3 e 12.5 Le strategie di business; Paragrafi 14.2, 14.3 e 14.4 Catena del valore; Figura 14.4 Parte 4 – La gestione dei processi Il management dell’innovazione; Par. 16.1, 16.2 e 16.4 La gestione dei processi di marketing; Capitolo 17 I sistemi produttivi e la produzione; Capitolo 18 Il management dei processi logistici; Par e 19.2 La gestione della distribuzione; Capitolo 20


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