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Un paziente con sindrome metabolica

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Presentazione sul tema: "Un paziente con sindrome metabolica"— Transcript della presentazione:

1 Un paziente con sindrome metabolica
DALLA MICROALBUMINURIA ALL’INSUFFICIENZA RENALE CRONICA: UN PROGRESSO INEVITABILE? Caso clinico Un paziente con sindrome metabolica e danno renale cronico Realizzato con il contributo educazionale di

2 Presentazione clinica (I)
Paziente di sesso maschile di 62 anni Anamnesi familiare anamnesi familiare positiva per ipertensione arteriosa e cardiopatia ischemica (padre iperteso, infarto miocardico all’età di 54aa). Anamnesi fisiologica ex fumatore da circa 6 anni (in precedenza >30 sigarette/die), non consumo abituale di alcolici, vita sedentaria. Anamnesi patologica Non riferisce precedenti anamnestici di rilievo. Sovrappeso da oltre dieci anni, da circa cinque anni è in trattamento per ipertensione arteriosa. Anamnesi farmacologica Riferisce tosse stizzosa in trattamento con ACE-I. Un ulteriore tentativo terapeutico con questi farmaci, avendo indotto nuovamente la sintomatologia, aveva portato alla sospensione di tutta la terapia antipertensiva da parte del paziente per alcune settimane Il nostro paziente è un uomo di… 2

3 Presentazione clinica (II)
Esame obiettivo Altezza 175 cm, peso 89 Kg, BMI 29, circonferenza addominale 106 cm Ascoltazione cardiaca e toracica negativa, polsi periferici normosfigmici, non edemi PA 170/98 mmHg Laboratorio Glic 117 mg/dl, creat. 1.3 mg/dl, BUN 25 mg/dl, uric. 7.9 mg/dl, K 3.9, TG 198 mg/dl, Col. Tot. 265 mg/dl, p.t. 6.8 g/dl, Hb 13.4 g/dl, Ht 39%, Es urine: pH 6.5, glucosio ass., Hb ass., proteine ass., sedimento: rari GR, alcuni leucociti. L’escrezione urinaria di albumina è 171 mg/24 ore. Esami strumentali ECG: Ritmo sinusale, Fc 76 bpm, morfologia del tracciato nei limiti. Rx Torace: non lesioni PP in atto; FCV: lieve aumento dei diametri cardiaci La terapia in atto comprende: clortalidone 25 mg/die amlodipina 10 mg/die

4 Diagnosi in itinere Si tratta di un paziente iperteso, dislipidemico, con obesità centrale, alterato metabolismo glucidico e profilo di rischio cardiovascolare globale sicuramente aumentato.

5 Quesiti (1) Si può affermare che il paziente è affetto da malattia renale cronica? 5

6 La malattia renale cronica è classificata in base alla gravità
Stadio I Marcatori Urinari (AlbU/ProtU, etc.) Stadio II Disfunzione Renale Lieve Stadio III Disfunzione Renale Moderata Stadio IV Disfunzione Renale Severa Stadio V Uremia (ESRD) La classificazione della CKD in stadi La classificazione più accreditata della malattia renale cronica (CKD) è quella delle K/DOQI americane (2). Gli stadi 1-2 sono caratterizzati dalla presenza di segni di interessamento renale, come proteinuria dosabile o microematuria, in assenza di riduzione dei valori calcolati di filtrato glomerulare (GFR), che risultano superiori a 60 ml/min. Lo stadio 3 è caratterizzato dalla riduzione del GFR a valori inferiori a 60 ml/min, indipendentemente dalla presenza di segni di danno renale. Attraverso lo stadio 4 la CKD progredisce poi fino all’ESRD (stadio 5) cui corrispondono valori di GFR inferiori a 15 ml/min e che coincide con l’inizio del trattamento sostitutivo della funzione renale mediante dialisi o trapianto. Filtrato Glomerulare, ml/min

7 La Malattia Renale è molto prevalente! Albuminuria, lieve GFR
Stadio Descrizione GFR (ml/min/1/73 m2) Prevalenza USA GRONINGEN 1 Albuminuria, GFR normale o  > 90 3.3% 1.3% 2 Albuminuria, lieve GFR 3.0% 3.8% 3 Moderata  GFR 4.3% 5.3% 4 Severa  GFR 0.2% 0.1% 5 Uremia < 15 or RRT 0.0% Totale 11.0% 10.5% La malattia renale cronica nei suoi vari stadi è relativamente frequente nella popolazione generale (intorno al 10-12%). Nei sottogruppi a maggior rischio cardiovascolare, ipertesi, diabetici, anziani e obesi la prevalenza di danno renale raggiunge il 30-50%. K/DOQI Clinical Practical Guidelines Am J Kidney Dis 2003 Coresh et al; Am J Kidney Dis 2004 De Zeeuw et al; Kidney Int; in press 7

8 GFR e Microalbuminuria
ACR (Albumin/creatinine ratio) mg/mmol Cockroft-Gault Formula Non è necessario chiedere al paziente di raccogliere le urine delle 24 ore per valutare accuratamente l’escrezione urinaria di albumina. La determinazione del rapporto albumina /creatinina su un campione di urine del primo mattino (ACR, Albumin to Creatiinine Ratio), meglio se ripetuto in due giorni diversi, consente di identificare i pazienti microalbuminurici (quelli con ACR compreso tra 2.5 e 25 mg/mmol). Anche la stima del GFR con una delle varie formule proposte e validate (qui indicata quella di Cockroft e Gault) non necessita di raccolta urinaria delle 24 ore. (140- age) x body weight (serum creatinine * 72) 8

9 Quesiti (1) Si può affermare che il paziente è affetto da malattia renale cronica? Il paziente ha un’aumentata escrezione urinaria di albumina (microalbuminuria) e la stima del GFR con la formula C-G è 74 ml/min. È dunque presente malattia renale cronica allo stadio 2. Il danno d’organo renale è costituito da un modesto aumento dei livelli di creatinina serica, una riduzione della clearance della creatinina e/o dalla presenza di microalbuminuria. Il filtrato glomerulare può essere misurato in termini di clearance di un marcatore endogeno come la creatinina. Tuttavia, la misura della clearance della creatina richiede, oltre al prelievo ematico, anche la raccolta delle urine delle 24 ore, spesso gravosa per il paziente e soggetta ad errori metodologici. Per queste ragioni la misura della clearance della creatinina non è più raccomandata routinariamente per stimare la funzione renale. Un altro metodo per stimare il filtrato glomerulare è l’uso di formule a partire dai valori di creatininemia e dai dati antropometrici del paziente. Attualmente, la maggior parte delle organizzazioni Scientifiche raccomanda l’uso di queste equazioni al fine di identificare il paziente con malattia renale cronica. Nei soggetti adulti le formule più comunemente utilizzate sono la formula di Cockcroft-Gault e la formula “Modification of Diet in Renal Disease” nella sua versione normale o semplificata. La formula di Cockcroft-Gault, a causa dell’inclusione a numeratore del peso corporeo come espressione della massa muscolare, sovrastima la clearance della creatinina in pazienti edematosi, sovrappeso ed obesi. Inoltre, l’equazione tende a sottostimare la clearance nei soggetti anziani con minori masse muscolari. Il risultato ottenuto è espresso in mL/min e non è corretto per superficie corporea. È pertanto necessario, dopo aver eseguito il calcolo, determinare la superficie corporea a partire dall’altezza ed aggiustare per 1.73 m2. La formula “Modification of Diet in Renal Disease” (MDRD) fornisce un valore già espresso in mL/min/ 1.73 m2. Nella popolazione dello studio MDRD questa equazione ha fornito risultati più accurati rispetto alla formula di Cockcroft-Gault ed alla clearance della creatinina misurata anche dopo correzione per superficie corporea. Questo dato è stato confermato da numerosi studi anche se altri hanno ottenuto risultati simili con le due formule. Infine, la formula MDRD sembra essere più accurata di quella di Cockcroft-Gault nei soggetti anziani ed obesi. Entrambe le formule sono state validate in popolazioni con vario grado di insufficienza renale cronica, pertanto la loro applicabilità a popolazioni differenti non è riconosciuta. In particolare, è stato osservato che queste formule non stimano il filtrato glomerulare in maniera precisa nei pazienti con funzione renale normale, come giovani pazienti con diabete tipo 1 senza microalbuminuria e potenziali donatori di rene. Nei soggetti diabetici la formula MDRD è più accurata rispetto a quella di Cockcroft-Gault, in quanto non influenzata dall’indice di massa corporea e, quindi, dall’elevata prevalenza di sovrappeso presente in questa popolazione. Tuttavia, per elevati valori elevati di filtrato glomerulare, la formula MDRD sottostima sistematicamente la funzionalità renale. Tra le varie metodiche per la raccolta e la determinazione della microalbuminuria, la misura del rapporto albumina/creatinina (ACR) su campioni urinari del mattino al risveglio è preferibile per accuratezza e riproducibilità e per la sua notevole praticità. La sensibilità del test è favorita dal fatto che le urine del primo mattino sono le più concentrate della giornata; la riproducibilità dalla stabilità delle condizioni emodinamiche notturne. 9

10 Quesiti (2) Come si definisce la sindrome metabolica?
(A) Sono state proposte numerose differenti definizioni di sindrome metabolica; quale è quella più facilmente impiegabile nella pratica clinica? (R) Recentemente sono stati stabiliti criteri diagnostici facilmente utilizzabili nella pratica clinica (vedi Figura). La definizione proposta dall’’ATP III (Adult Treatment Panel) è forse meno precisa da un punto di vista fisiopatologico ma ha certamente il pregio della semplicità. I pazienti con sindrome metabolica presentano tipicamente obesità di tipo centrale, dislipidemia (ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, bassi valori di HDL-Colesterolo), ipotolleranza glucidica o diabete, ipertensione arteriosa, microalbuminuria, elevati livelli di uricemia. La definizione dell’ATP consente di inviduare un minor numero di soggetti, ma è la più semplice dal punto di visto clinico perché non richiede la detrminazione dell’insulino-R (e neppure della microabuminuria). 10

11 Criteri diagnostici della sindrome metabolica
OMS, 1999 DM tipo 2, IFG, IGT o insulino resistenza e due o più fattori fra: Obesità centrale M vita/fianchi > 0.90 F vita/fianchi > 0.85 Trigliceridi  150 mg/dL o HDL < 35 (M) < 39 (F) Ipertensione Microalbuminuria ATP III, 2001 Tre o più fattori fra: Obesità addominale M circ. > 102 cm F circ. > 88 cm Trigliceridi  150 mg/dL Colesterolo HDL M < 40 mg/dL F < 50 mg/dL P.A.  130/  85 mm Hg Glicemia  110 mg/dL IFG: glicemia a digiuno tra 110 e 125, poi modificata dall’ADA a 100. IGT: glicemia a due ore in test da carico tra 140 e 199 mg/dL. La prima definizione della sindrome metabolica, creata al fine i promuoverne l’introduzione nella pratica clinica, è stata quella dell’OMS. La definizione si incentra sul fatto che l’insulino-R è la causa, meccanismo fisiopatologico, della sindrome. La presenza di Insulino R è definita da IFT, IGT, DM2 o insulino –R con la tecnica della clamp euglicemica. Nel 2001 ATP III ha proposto una definizione diversa della sindrome metabolica. Sulla base della considerazione che la tencina della clamp iperinsulinemica euglicemica è complessa e che i test da carico non sono utilizzati così spesso nella pratica clinica, questa definizione prende in considerazione solo i valori di glicemia. Inoltre non c’e “conditio sine qua non”. La definizione proposta dall’’ATP III (Adult Treatment Panel) è forse meno precisa da un punto di vista fisiopatologico ma ha certamente il pregio della semplicità. Inoltre è la definizione con cui sono stati fatti la maggior parte degli studi clinici. Nel 2005 la AHA ha proposto una nuova definizione uguale a ATP ma con cut off per la glicemia di 100 sulla base della considerazione che la ADA ha abbassato il cut off per la definizione di IFT a 100 mg/dL. 11

12 Criteri diagnostici della sindrome metabolica
IDF, 2005 Obesità centrale definita come circ  94 cm M,  80 cm F (valori specifici in diversi gruppi etnici) più due dei seguenti fattori: TG 150 mg/dL o terapia ipolipemizzante HDL < 40 mg/dL M < 50 mg/dL F Glicemia a digiuno  100 mg/dL o diabete tipo 2 precedentemente diagnosticato PAS  130 o PAD 85 mm Hg o terapia antiipertensiva Se glicemia 100 mg/dL OGTT fortemente consigliato, ma non necessario per definire la presenza della sindrome International Diabetes Foundation Ha cercato di mantere la semplicità dell’ATP sottolineando però l’importanza dell’insulino-R. Sulla base dell’osservazione che l’insulino R è strettamente correlata con l’obesità addominale, ha reso quest’ultima criterio indispensabile per la diagnosi. I cut off utilizzati per definire l’obesità addominale sono più bassi rispetto a quelli usati dall’ATP III, e diversi nei diversi gruppi etnici. 12

13 Criteri diagnostici della sindrome metabolica
AACE Presenza di almeno uno dei seguenti: Malattia cardiovascolare, ipertensione, PCOS, NAFLD, acanthosis nigricans Familiarità per diabete tipo 2, ipertensione, malattie cardiovascolari Storia di diabete gestazionale o intolleranza al glucosio Etnia non causasica Stile di vita sedentario BMI > 125 Kg/m2 e/o circonferenza > 40 M e > 35 F Età > 40 anni e almeno due dei seguenti: TG >150 mg/dL HDL < 40 mg/dL M e < 50 mg/dL F PA >135/85 Glicemia a digiuno mg/dL o glicemia a 2 ore in test da carico mg/dL (i diabetici non rientrano nella definizione) Associazione Americana degli endocrinologi clinici 13

14 Criteri diagnostici della sindrome metabolica
EGIR Iperinsulinemia a digiuno (> 25%) e almeno due dei seguenti criteri: Glicemia a digiuno ≥ 6.1 mmol/L (diabetici esclusi) PA ≥ 140/90 mmHg o terapia antiipertensiva TG > 2.0 mmol/L o HDL < 1 mmol/L o terapia ipolipemizzante Circ ≥ 94 cm M e ≥ 80 cm F Gruppo di studio europeo sull’insulino resistenza 14

15 Quesiti (3) Quanto è frequente la SM nella popolazione generale?
b) 24-25% c) 35-40% 15

16 Quesiti (3) Quanto è frequente la SM nella popolazione generale?
b) 24-25% c) 35-40% I più recenti studi osservazionali indicano un preoccupante aumento di pazienti affetti da diabete ed ipertensione nei paesi occidentali. Si stima infatti che in Europa la percentuale di pazienti ipertesi si aggiri intorno a al 35-40, mentre i pazienti diabetici (per la stragrande maggioranza di tipo 2) sono circa il 6-8 %. Infine, la sindrome metabolica è estremamente comune e può arrivare ad interessare il 43% della popolazione di età maggiore di 50 anni. Oltre lo 80% dei diabetici di tipo 2 è portatore di sindrome metabolica. I rapporti tra insulino resistenza, obesità ed ipertensione arteriosa sono evidenti, sia dal punto di vista epidemiologico sai da quello fisiopatologico. Sono state identificati tre possibili elementi eziologici alla base della SM : (1) l’obesità e le alterazioni funzionali del tessuto adiposo, (2) l’insulino-resistenza e (3) una serie di fattori indipendenti di origine epatica, vascolare e immunologica che agiscono da mediatori per specifici componenti della sindrome metabolica. Ognuno di questi meccanismi risente poi di influenze genetiche e ambientali. Studi epidemiologici hanno dimostrato che l’obesità è fortemente associata con tutti i fattori di rischio cardiovascolare conosciuti ed il tessuto adiposo (particolarmente quello viscerale) è una fonte di numerose molecole con potenziale patogeno: acidi grassi non esterificati, citochine come il TNF, l’adiponectina, la leptina, il PAI-1. E’ stato ipotizzato che il tessuto adiposo rilasci citochine in eccesso e questo provochi lo sviluppo di insulino-resistenza anche se i meccanismi fisiopatologici che mettono in relazione l’obesità centrale con la sindrome metabolica sono probabilmente molto più complessi e per molti aspetti ancora da chiarire. Il secondo fattore patogenetico, l’insulino resistenza è fortemente associata con la dislipidemia di tipo aterogeno e lo stato proinfiammatorio. Inoltre, alcuni studi suggeriscono che l’insulino-resistenza si associa ad iperinsulinemia e che quest’ultima costituisce un fattore di rischio cardiovascolare di per sé. In buona parte una l’eterogeneità nelle manifestazioni cliniche della sindrome metabolica può essere dovuta al fatto che molti dei suoi componenti sono regolati anche in modo indipendente dalla resistenza insulinica. Ullteriori importanti fattori come l’invecchiamento e l’attività fisica, le variazioni degli ormonali sessuali e la funzionalità renale e surrenale possono influenzare profondamente lo sviluppo di sindrome metabolica. La tecnica di riferimento per la determinazione dellla sensibilità all’insulina in vivo è il “clamp” proposto da De Fronzo alla fine degli anni ’70. Esso consiste in una infusione endovenosa continua di insulina in quantità fissa e sufficiente a sopprimere la produzione epatica di glucosio (in media 40 mU/m2/min) così da ottenere valori stabili nel sangue periferico (clamp iperinsulinemico). Contemporaneamente viene infuso glucosio a ritmo variabile in modo da raggiungere e mantenere una concentrazione plasmatica periferica di circa 100 mg/dl (clamp euglicemico). La media di tre misurazioni di insulina nella seconda ora dall’inizio dell’infusione costituisce il valore di insulina ematica allo steady state (I). La quantità totale di glucosio infuso alla fine della procedura rappresenta il disposal rate di glucosio (M), ossia la quantità di substrato utilizzato dal tessuto muscolare alle dosi di insulina raggiunte. Il rapporto tra questi parametri (M/I) costituisce una misura della sensibilità all’insulina e viene espresso in mg/m2/min/uU/ml. Ovviamente, quanto maggiore la sensibilità all’insulina tanto maggiore sarà la quantità di glucosio infusa durante il test. Un metodo più semplice per valutare l’insulino resistenza è l’Insulin Suppression Test (IST). Esso prevede l’impiego di octreotide (o di somatostatina) allo scopo di inibire la produzione endogena di insulina e consiste in una infusione endovenosa di glucosio e insulina a dosi fisse e predeterminate in tre ore. I valori di glicemia al raggiungimento dell’equilibrio, in genere negli ultimi trenta minuti di infusione (il cosiddetto steady state) rappresentano una misura dell’insulino resistenza del soggetto. Con valori di insulinemia costante, tanto più elevata la glicemia all’equilibrio tanto maggiore l’insulino-resistenza del soggetto. Il metodo descritto da Bergman (o test di tolleranza al glucosio) è una alternativa valida e attendibile ma rimane troppo indaginoso da eseguire, poiché richiede ripetuti e frequenti prelievi ematici. Recentemente, i risultati ottenuti con l’applicazione del modello omeostatico proposto da Matthews si sono dimostrati correlare strettamente con i dati rilevati dal clamp euglicemico. La semplicità della sua determinazione (glicemia a digiuno (mmol) x insulina a digiuno (uU/ml)/ 22.5) lo rende una valida alternativa al clamp euglicemico iperinsulinemico. 16

17 Sindrome metabolica: prevalenza
5 10 15 20 25 30 35 40 Uomini Donne Prevaleza, % Bianchi Afro Americani Ispanici Altri La prevalenza di SM varia a seconda delle diverse etnie: è più elevata nei soggetti di origine ispanica (uomini e donne). Ford, E. S. et al. JAMA 2002; 287: 17

18 Prevalenza della sindrome metabolica in età > 50 anni (NHANES III)
Normali 54,2% S. metabolica 28,7% Diabete+/ SM+ 14,8% Diabete+/ SM- 2,3% Oltre lo 80% dei diabetici di tipo 2 è portatore di sindrome metabolica. Nei pazienti con ipertensione arteriosa la prevalenza si sindrome metabolica è pari a: 30% (Cuspidi, ma ipertesi non diabetici), 34% (ipertesi senza precedenti CV del PIUMA, Schillaci) In pazienti con vasculopatia ATS la prevalenza è intorno al 45%. Nell’NHANES III la prevalenza è simile usando ATP III e WHO. Alexander CM, Diabetes 2003; 52: 18

19 Quesiti (4) Quale è il significato prognostico della sindrome metabolica? Aumenta l’incidenza di eventi CV di 2-4 volte Aumenta l’incidenza di eventi CV di 5 volte Aumenta l’incidenza di eventi CV di 10 volte E’ stato detto che la sindrome metabolica comporta un rischio di eventi cardiovascolari simile al diabete mellito; quali implicazioni cliniche può avere questa affermazione? (R) I soggetti con sindrome metabolica hanno un rischio da due a quattro volte più elevato di incorrere in incidenti cerebro e cardiovascolari, sebbene nel complesso i fattori di rischio classici (ipertensione, ipercolesterolemia, età) siano in grado di spiegare la quasi totalità dell’eccesso di rischio. Secondo alcuni studi inoltre, la presenza di diabete mellito implica un rischio pari a quello di un paziente che ha già avuto un infarto miocardico. Questi dati indicano chiaramente che i pazienti ipertesi con diabete e/o sindrome metabolica devono essere oggetto di misure preventive particolarmente intense al fine di ridurre la mortalità per cause cardiovascolari. (A) Quale è il significato clinico della microalbuminuria? (R) Il riscontro di microalbuminuria fornisce utili informazioni di significato prognostico cardiovascolare. Nel paziente iperteso la microalbuminuria è considerata segno di danno d’organo subclinico, al pari dell’ipertrofia ventricolare sinistra e dell’aterosclerosi carotidea. Nel paziente diabetico, oltre a segnalare un eccesso di rischio cardiovascolare essa può essere espressione di nefropatia progressiva allo stato incipiente. Essa è inoltre, come abbiamo visto, una delle caratteristiche tipiche del paziente con sindrome metabolica. In un gruppo di pazienti ipertesi non diabetici e non obesi i valori di albuminuria risultavano ocorrelati con la presenza di sindrome metabolica (Figura). Recentemente è stato inoltre dimostrato che una aumentata escrezione urinaria di albumina ha un significato prognostico sfavorevole anche nei soggetti normotesi e nella popolazione generale. Il riscontro di microalbuminuria richiede dunque un atteggiamento terapeutico più aggressivo non solo per la correzione dell’ipertensione ma anche per eventuali altri cofattori di rischio. E’ stato dimostrato che la riduzione dell’ albuminuria in corso di terapia antipertensiva comporta, a parità di valori pressori, un miglioramento della prognosi e pertanto la regressione della microalbuminuria può essere considerato un end-point surrogato nel paziente ad elevato rischio cardiovascolare. (A) In questo caso potrebbe essere utile valutare la presenza di danno d’organo anche a livello cardiaco e vascolare; per esempio eseguendo un ecocardiogramma ed un eco-doppler dei tronchi sopra aortici. (R) L’accertamento di segni subclinici di danno d’organo ipertensivo come l’ipertrofia ventricolare sinistra, la microalbuminuria e l’aterosclerosi carotidea è sempre utile perché consente di acquisire informazioni preziose dal piunto di vista prognostico. La necessità di razionalizzare l’utilizzo delle risorse economiche sanitarie e l’elevata prevalenza dell’ipertensione e della sindrome metabolica impone tuttavia di considerare attentamente il rapporto costo-efficacia nella scelta dei vari test diagnostici. Pertanto, è stato proposto di utilizzare il dosaggio dell’albuminuria come primo step, seguito da ecocardiografia ed eventualmente dall’ecodoppler dei tronchi epiaortici per valutare la presenza di alterazioni asintomatiche a carico degli organo bersaglio. 19

20 Quesiti (4) Quale è il significato prognostico della sindrome metabolica? Aumenta l’incidenza di eventi CV di 2-4 volte Aumenta l’incidenza di eventi CV di 5 volte Aumenta l’incidenza di eventi CV di 10 volte E’ stato detto che la sindrome metabolica comporta un rischio di eventi cardiovascolari simile al diabete mellito; quali implicazioni cliniche può avere questa affermazione? (R) I soggetti con sindrome metabolica hanno un rischio da due a quattro volte più elevato di incorrere in incidenti cerebro e cardiovascolari, sebbene nel complesso i fattori di rischio classici (ipertensione, ipercolesterolemia, età) siano in grado di spiegare la quasi totalità dell’eccesso di rischio. Secondo alcuni studi inoltre, la presenza di diabete mellito implica un rischio pari a quello di un paziente che ha già avuto un infarto miocardico. Questi dati indicano chiaramente che i pazienti ipertesi con diabete e/o sindrome metabolica devono essere oggetto di misure preventive particolarmente intense al fine di ridurre la mortalità per cause cardiovascolari. (A) Quale è il significato clinico della microalbuminuria? (R) Il riscontro di microalbuminuria fornisce utili informazioni di significato prognostico cardiovascolare. Nel paziente iperteso la microalbuminuria è considerata segno di danno d’organo subclinico, al pari dell’ipertrofia ventricolare sinistra e dell’aterosclerosi carotidea. Nel paziente diabetico, oltre a segnalare un eccesso di rischio cardiovascolare essa può essere espressione di nefropatia progressiva allo stato incipiente. Essa è inoltre, come abbiamo visto, una delle caratteristiche tipiche del paziente con sindrome metabolica. In un gruppo di pazienti ipertesi non diabetici e non obesi i valori di albuminuria risultavano ocorrelati con la presenza di sindrome metabolica (Figura). Recentemente è stato inoltre dimostrato che una aumentata escrezione urinaria di albumina ha un significato prognostico sfavorevole anche nei soggetti normotesi e nella popolazione generale. Il riscontro di microalbuminuria richiede dunque un atteggiamento terapeutico più aggressivo non solo per la correzione dell’ipertensione ma anche per eventuali altri cofattori di rischio. E’ stato dimostrato che la riduzione dell’ albuminuria in corso di terapia antipertensiva comporta, a parità di valori pressori, un miglioramento della prognosi e pertanto la regressione della microalbuminuria può essere considerato un end-point surrogato nel paziente ad elevato rischio cardiovascolare. (A) In questo caso potrebbe essere utile valutare la presenza di danno d’organo anche a livello cardiaco e vascolare; per esempio eseguendo un ecocardiogramma ed un eco-doppler dei tronchi sopra aortici. (R) L’accertamento di segni subclinici di danno d’organo ipertensivo come l’ipertrofia ventricolare sinistra, la microalbuminuria e l’aterosclerosi carotidea è sempre utile perché consente di acquisire informazioni preziose dal piunto di vista prognostico. La necessità di razionalizzare l’utilizzo delle risorse economiche sanitarie e l’elevata prevalenza dell’ipertensione e della sindrome metabolica impone tuttavia di considerare attentamente il rapporto costo-efficacia nella scelta dei vari test diagnostici. Pertanto, è stato proposto di utilizzare il dosaggio dell’albuminuria come primo step, seguito da ecocardiografia ed eventualmente dall’ecodoppler dei tronchi epiaortici per valutare la presenza di alterazioni asintomatiche a carico degli organo bersaglio. 20

21 La Sindrome Metabolica: implicazioni prognostiche
Mortalità per coronaropatie Mortalità cardiovascolare Mortalità generale 20 20 20 RR (95% CI) = (1.74, 8.17) RR (95% CI) = (1.96, 6.43) RR (95% CI) = (1.04, 3.61) 15 15 15 Rischio cumulativo (%) 10 10 10 5 5 5 Studio di popolazione. Follow up 11.4 anni. La sindrome metabolica implica un aumento di 3-4 volte dell’incidenza di eventi cardiovascolari e di circa 2 volte e mezzo della mortalità in generale nell’arco di un follow-up di 12 anni. La figura indica un rischio grezzo. Dopo correzione per diversi fattori di rischio, RR era intorno a due volte. Tutto questo confermato usando diverse definizioni della sindrome metabolica. 2 4 6 8 10 12 2 4 6 8 10 12 2 4 6 8 10 12 Follow-up (years) Follow-up (years) Follow-up (years) Sindrome metabolica Si No 1209 uomini Finlandesi Modificato da Lakka H-M et al. JAMA. 2002 21

22 La Sindrome Metabolica:
implicazioni prognostiche nell’ipertensione arteriosa 1.0 0.9 0.8 0.7 0.6 0.0 log-rank = 45.4 p < 0.001 HR = 2 n = 1742 Sopravvivenza senza eventi No Sindrome Metabolica Sindrome Metabolica Studio PIUMA pazienti ipertesi con età media di 50 anni senza precedenti cardiovascolari seguiti prospetticamente per 10 anni nell’ambito dello studio italiano Progetto Ipertensione Umbria Monitoraggio Ambulatoriale. Sindrome metabolica definita secondo i criteri dell’ATP III con BMI al posto della circonferenza. I pazienti con SM avevano una significativamente minore sopravvivenza libera da eventi. Dopo correzione per diversi fattori di rischio, i pazienti con SM avevano un hazard ratio doppio di eventi cardiovascolari (sia cardio che cerebrovascolari). Il rischio era attenuato ma sempre significativo quando venivano esclusi dalle analisi i pazienti diabetici. Figure 2. Cardiovascular event-free survival curves in hypertensive patients with (thick line) or without (thin line) the metabolic syndrome. Metabolic Syndrome, Dyslipidemia, and Vascular Abnormalities Prognostic Value of the Metabolic Syndrome in Essential Hypertension Giuseppe Schillaci, MD,* Matteo Pirro, MD,* Gaetano Vaudo, MD,* Fabio Gemelli, MD,* Simona Marchesi, MD,* Carlo Porcellati, MD,† Elmo Mannarino, MD* Perugia, Italy OBJECTIVES We sought to determine the prognostic significance of the metabolic syndrome in hypertension. BACKGROUND Increased cardiovascular risk in hypertensive patients might be partially attributable to metabolic disturbances. METHODS We prospectively followed for up to 10.5 years (mean 4.1 years) a total of 1,742 hypertensive patients without cardiovascular disease (55% men; blood pressure [BP] 154/95 mm Hg; age years). A modified National Cholesterol Education Program definition for metabolic syndrome was used, with body mass index in place of waist circumference. RESULTS During follow-up, 162 patients developed cardiovascular events (2.28 events/100 patientyears). Event rates in the groups with one to five characteristics of the metabolic syndrome were 1.54, 1.96, 2.97, 3.35, and 5.27 per 100 patient-years, respectively (p ). A total of 593 patients (34%) had the metabolic syndrome. Patients with the syndrome had an almost double cardiovascular event rate than those without (3.23 vs per 100 patient-years, p 0.001). After adjustment for age, gender, total cholesterol, creatinine, smoking, left ventricular hypertrophy, and 24-h systolic BP, the risk of developing cardiovascular events was still higher in patients with the metabolic syndrome (hazard ratio [HR] 1.73, 95% confidence interval [CI] 1.25 to 2.38). The syndrome was an independent predictor of both cardiac and cerebrovascular events (HRs 1.48 and 2.11, respectively). The adverse prognostic value of the metabolic syndrome was attenuated but still significant among the 1,637 patients without diabetes (HR 1.43, 95% CI 1.02 to 2.08). CONCLUSIONS In hypertensive subjects, the metabolic syndrome amplifies cardiovascular risk associated with high BP, independent of the effect of several traditional cardiovascular risk factors. (J Am Coll Cardiol 2004;43:1817–22) © 2004 by the American College of Cardiology Foundation 2 4 6 8 10 Follow-up, anni # a rischio 1742 1409 906 282 89 35 Schillaci G J Am Coll Cardiol 2004; 43: 1817 22

23 Decorso clinico (I) Visto lo scarso controllo pressorio il medico di famiglia modifica la terapia antipertensiva con l’aggiunta di clonidina (150 µg, poi 300 µg/die la sera) Dopo due mesi il paziente torna dal suo medico. Ha eseguito ecocardiogramma che evidenzia ipertrofia ventricolare sinistra di tipo concentrico (LVMI 141 g/m2) ed ecoDoppler dei tronchi epiaortici che risulta nei limiti. La P.A. misurata a domicilio e in ambulatorio rimane elevata ( /90-95 mmHg). I valori di sodiuria sono elevati (223 mmol/die) Il paziente viene inviato presso un centro specialistico dell’ipertensione per accertamenti

24 Decorso clinico (I) Vengono effettuati accertamenti che escludono la presenza di diabete e di ipertensione secondaria (ecodoppler renale, catecolamine urinarie) Viene inoltre prescritta dieta iposodica e modificata la terapia antipertensiva con l’aggiunta di olmesartan

25 Quesiti (5) Quali sono le implicazioni metaboliche dell’impiego di diuretici e betabloccanti nel trattamento dell’ipertensione? Quali sono i possibili vantaggi metabolici dell’impiego di farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone? In un paziente iperteso con sindrome metabolica l’impiego di diuretici potrebbe comportare a lungo termine una maggiore insorgenza di diabete mellito? (R) Alcuni farmaci antipertensivi possono, a lungo termine, presentare potenziali effetti metabolici sfavorevoli. Molti studi hanno infatti dimostrato che in corso di terapia diuretica peggiora l’insulino sensibilità ed aumenta il rischio di sviluppare diabete mellito. Inoltre, un numero piccolo ma non trascurabile di soggetti manifesta ipopotassiemia. Per tali motivi, a parità di effetto antipertensivo, le linee guida ESH-ESC sconsigliano di usare questi farmaci, almeno in prima battuta, nei pazienti con sindrome metabolica e/o diabete mellito. (A) Quali sono i farmaci antipertensivi di scelta nel paziente con sindrome metabolica? (R) Un adeguato controllo della pressione, indipendentemente dai farmaci impiegati, è un requisito irrinunciabile per ottenere una adeguata protezione cardiovascolare e renale. Non vi è dubbio tuttavia che i farmaci antipertensivi di scelta in questo caso siano gli inibitori del sistema renina-angiotensina: Sartani ed ACE-I. I primi soprattutto garantiscono una efficace inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone con una tollerabilità superiore a quella di ogni altra classe farmacologica. (A) In questo caso l’ipertensione sembra avere una certa resistenza alla terapia farmacologica. Può essere utile eseguire ulteriori esami per escludere una ipertensione secondaria? (R) La difficoltà a ridurre i valori di pressione arteriosa in un paziente in politerapia antipertensiva (tre farmaci) a dosaggi adeguati e per un periodo di tempo ragionevole è certamente una indicazione ad eseguire ulteriori indagini per escludere cause di ipertensione secondaria. Naturalmente bisogna verificare la compliance del paziente alla terapia ed eventualmente l’effettivo grado di controllo della pressione, magari con l’esecuzione di un monitoraggio pressorio ambulatoriale non invasivo nelle 24 ore. Le cause più frequenti di ipertensione secondaria rimangono l’insufficienza renale cronica, l’ipertensione nefrovascolare e, assai più raramente, il feocromocitoma e l’iperaldosteronismo primitivo. 25

26 Azioni degli ipotensivi sulla tolleranza glucidica
Negative Diuretici Ipokaliemia ridotta secrezione insulinica, insulino- resistenza  Bloccanti Ridotta secrezione insulinica (2) Ridotta attività periferica insulina (flusso) Positive ACEI Prevenzione ipokaliemia differenziazione adipociti flusso AT II antagonisti come ACE- I Ca++ antagonisti I BETA BLOCCANTI RIDUCONO L’UTILIZZO DEL GLUCOSIO. I Betabloccanti con attività intrinseca simpatomimetica e quelli Beta1 selettivi con proprietà beta 2 agoniste sembrano avere effetti sfavorevoli minimi (ovvero effetti favorevoli) sul metabolismo glucidico. Gli ACE inhibitori possono migliorare il controllo glicemico, prevenire l’ipopotassiemia, promuovere la differenziazione adipocitaria e migliorare l’insulino-sensibilità migliorando il flusso ematico nel distretto muscolare . Quest’ultimo meccanismo può rendere ragione anche degli effetti favorevoli dei Calcio Antagonisti sull’insulino sensibilità. Nonostante i potenziali effetti metabolici sfavorevoli dei Betabloccanti e dei diuretici Tiazidici è importante riconoscere che queste due classi di farmaci si sono dimostrate in grado diridurre significativamente la mortalità e morbilità cardiovascolare nei pazienti con ipertensione arteriosa. I Betabloccanti sono inoltre efficaci nel ridurre la mortalità nel post-infarto. La terapia con Beta Bloccanti e diuretici non dovrebbe dunque essere sospesa nei soggetti a rischio solo per i potenziali svantaggi metabolici. N.B.: Nessuna controindicazione all’uso qualora vi siano indicazioni specifiche Padwal R & Laupacis A, Diabetes Care, 2004 26

27 Insorgenza di diabete: nuovi e vecchi farmaci
Trial Hazard ratio P 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 CAPP STOP II ANBP 2 ALLHAT NORDIL INSIGHT INVEST ASCOT LIFE SCOPE ALPINE NS < 0.001 = 0.02 < 0.004 = 0.03 Numerosi trial clinici (gli acronimi sono indicati nella colonna di sinistra) hanno dimostrato che, a parità di effetto antipertensivo, Inibitori del Ras e Calcio antagonisti (cosiddetti “Nuovi Farmaci”) si asssociano ad una minore insorgenza di diabete a lungo termine. A favore dei ‘nuovi’ farmaci A favore dei “vecchi” farmaci Mancia G et al, JH 2006 27

28 Insorgenza di diabete: nuovi e vecchi farmaci
Trial Hazard ratio P 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 CAPP STOP II ANBP 2 ALLHAT NORDIL INSIGHT INVEST ASCOT LIFE SCOPE ALPINE NS < 0.001 = 0.02 < 0.004 = 0.03 A favore dei ‘nuovi’ farmaci A favore dei “vecchi” farmaci Mancia G et al, JH 2006

29 Insorgenza di diabete: RAS inibitori e CCB
Trial Hazard ratio P STOP II ALLHAT VALUE NS < 0.02 < 0.001 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 A favore di ACE-I e ARB A favore dei calcio antagonisti Mancia G et al, JH 2006

30 Nuova insorgenza di diabete e terapia antipertensiva
CAPPP ACEI vs Conv STOP-2 ACEI vs Conv ALLHAT ACEI vs D HOPE ACEI vs PL STOP-2 CA vs Conv INVEST CA vs Conv INSIGHT CA vs D ALLHAT CA vs D STOP-2 ACEI vs CA LIFE ARB vs BB SCOPE ARB vs Conv CHARM ARB vs PL - 16** * - 30** L’analisi dei principali trial clinici condotti negli ultimi anni nei pazienti con ipertensione arteriosa sembra indicare un eccesso di insorgenza di diabete mellito in corso di trattamento con diuretici. * *, 2 anni; **, 4 anni Modificato da Mancia G., J Am Soc Neph 2006 30

31 Decorso clinico (III) Il paziente viene rivisitato dopo 2 mesi con alcuni esami ematochimici ed urinari di controllo Il peso corporeo è in diminuzione (84 kg). La sodiuria è 97 mmol/die. La terapia antipertensiva attualmente comprende: olmesartan 40 mg/die, clortalidone 12.5 mg/die, amlodipina 10 mg/die, clonidina transdermica (TTS1). La P.A. rilevata in ambulatorio (seduto) è 132/84 mmHg. Anche i valori automisurati a domicilio sono soddisfacenti ( /80-85 mmHg) I valori di colesterolemia rimangono elevati (LDL colesterolo 188 mg/dl) Vengono inoltre inserite in terapia una statina e ASA 100 mg/die

32 Trattamento multifattoriale e protezione
cardiovascolare nel paziente ad alto rischio 50 Conv. Tx Variabile RR (C.I.) P 40 P = 0.007 Nefropatia ( ) Retinopatia ( ) Neuropatia Auton ( ) Neuropatia Perif ( ) 30 End point composito primario % 20 Int. Tx 10 Steno 2. Studio randomizzato in pazienti con diabete tipo 2 e microalbuminuria volto a valutare gli effetti di un intervento multifattoriale con target più stretti che comprendeva modifiche dello stile di vita e politerapia. 80 pazienti in terapia “intensiva” e 80 pazienti in terapia convenzionale.End point primario malattia cardiovascolare. End point secondari nefropatia etc. Follow up 8 anni. La forbice continuava ad aumentare suggerendo che il beneficio del lungo periodo potrebbe essere ancora maggiore. L’intervento intensivo riduceva il richio di eventi CV e di complicanze microvascolari di circa il 50%. Terapia intesiva: dieta, esercizio fisico, smettere di fumare, ACE o sartano in terapia indipendentemente dai valori pressori, suppl vitaminici (vit C, D, acido folico), ASA per tutti se non controindicazioni. No effetti collaterali diversi nei due gruppi se non un sanguinamento maggiore in un paziente. Un approccio integrato e multifattoriale si è rivelato in grado di ridurre significativamente sia la mortalità cardiovascolare che l’incidenza di danno d’organo in pazienti ipertesi microalbuminurici con diabete mellito di tipo 2 rispetto ad un regime terapeutico basato sugli stessi farmaci ma con obiettivi meno ambiziosi. 0.5 1 1.5 2.0 Months A favore Tx intens A favore Tx standard PA, mmHg / /73 HbA1c, % LDL-C, mg/dl ASP+STAT, % ACE±ARB, % Modificata da Gaede P et al. N Eng J Med 2003 32

33 Quesiti (6) In quale percentuale di pazienti con ipertensione arteriosa e/o sindrome metabolica vengono raggiunti gli obiettivi terapeutici per una ottimale prevenzione degli eventi cardiovascolari? Nella pratica clinica di tutti i giorni è difficile motivare il paziente ad una dieta ed un regime comportamentale corretti. Anche gli obiettivi pressori indicati sono difficili da ottenere. (R) Purtroppo un adeguato controllo pressorio si ottiene in una minoranza dei casi. Gli studi più recenti indicano che in Italia come nel resto del mondo occidentale solo una percentuale inferiore al 20 % dei pazienti raggiunge il target pressorio. Tale percentuale scende ulteriormente (fino a circa il 10%) quando si considerino i pazienti a rischio, ovvero quel sottogruppo che si gioverebbe maggiormente da un atteggiamento terapeutico aggressivo. Questi numeri possono dare un’idea degli enormi margini di miglioramento attualmente esistenti nel settore della prevenzione cardiovascolare. (A) Quali sono le cause di questo insuccesso ed i possibili rimedi? (R) Sono certamente molteplici. Investono aspetti di natura economica, culturale, scientifica e attitudinale che variano in base alle diverse situazioni socio-politiche ed economiche. Vorrei qui citare ad esempio la scarsa incentivazione e motivazione del medico al raggiungimento degli obiettivi terapeutici, il difetto di comunicazione e collaborazione medico-paziente, la non adeguata conoscenza delle Linee Guida e degli obiettivi terapeutici in esse riportati e conseguentemente un atteggiamento prescrittivo non sufficientemente aggressivo ed infine la scarsa compliance del paziente. Quest’ultimo aspetto può essere significativamente migliorato dall’uso di combinazioni farmacologiche e dall’impiego di farmaci con buon profilo di tollerabilità e che garantiscano un effetto antipertensivo di più lunga durata. 33

34 Percentuale di pazienti con PA < 140/90 mmHg
negli studi condotti in Italia dal 2000 al 2003 Forlife  (n = 12792) Smooth * (n = 2144) Horizon (n = 3812) Silvia (n = 2775) 12.2 % 21.7 % 14.0 % 37.5 % MMG MMG Specialisti (Mancia et al., J Hypert 2004; 22: 51) Centri Specialistici (Mancia et al., J Hypert 2004) Purtroppo solo una percentuale minoritaria, compresa tra il 10 e il 40% dei pazienti in trattamento raggiunge un adeguato controllo dei valori pressori. 34

35 Controllo della PA in base al profilo di rischio
e all’obiettivo pressorio PAS/PAD < 140/90 mmHg PAS/PAD < 135/85 mmHg PAS/PAD < 130/80 mmHg Percentuale con PA controllata (%) 43.2% 33.2% 34.9% 30.1% 24.7% 26.1% La percentuale di pazienti in trattamento che raggiunge un adeguato controllo pressorio si riduce ulteriormente quando si prendano in esame sottogruppi di pazienti a più elevato rischio globale e si considerino “target” presssori più ambiziosi. 18.2% 16.3% 17.7% Rischio medio- basso Rischio alto Rischio molto alto Rischio medio- basso Rischio alto Rischio molto alto Rischio medio- basso Rischio alto Rischio molto alto Mancia G. et al., J Hypertens 2004 35

36 Persistenza alla terapia antipertensiva in base al farmaco
% persistenti Gli inibitori recettoriali dell’angiotensina II si distinguono dalle altre classi di farmaci antipertensivi per un miglior profilo di tollerabilità. Ciò si traduce in una maggiore compliance del paziente e conseguentemente una migliore efficacia terapeutica a lungo termine. Modificato da PR Conlin et al, Clin Ther, 2001 36


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