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Didattica Speciale Seconda lezione

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Presentazione sul tema: "Didattica Speciale Seconda lezione"— Transcript della presentazione:

1 Didattica Speciale Seconda lezione

2 IL PEI e IL PROGETTO DI VITA
Le condizioni problematiche che causano difficoltà di apprendimento e Bisogni Educativi Speciali sono molte: alcune gravi e ben definite, come può essere il ritardo mentale in una sindrome organica, altre più sfumate, come i disturbi dell’apprendimento o i problemi di comportamento. Di fronte a queste oggettive difficoltà nel seguire la programmazione rivolta alla classe e altre forme di partecipazione sociale ai vari ruoli della vita di alunno, gli insegnanti si trovano nella necessità di elaborare forme di didattica individualizzata. In generale, ciò significa costruire obiettivi, attività didattiche e atteggiamenti educativi «su misura» per la singola e specifica peculiarità di quell’alunno, ponendo particolare attenzione ai suoi punti di forza, dai quali si potrà partire per impostare il lavoro.

3 Dobbiamo ricordare che la costruzione del Piano educativo individualizzato e la sua applicazione concreta non dovrebbero mai essere delegate unicamente all’insegnante di sostegno, coinvolgendo al massimo qualche suo volenteroso collega: tutti gli insegnanti devono esserne partecipi, perché l’integrazione degli alunni in difficoltà deve riguardare tutti gli ambiti della vita scolastica e non essere solo una presenza limitata a qualche ora o a qualche attività svolta con l’insegnante specializzato, magari in qualche «aula di sostegno» (Ianes e Cramerotti, 2009).

4 Le attività dell’insegnante di sostegno dovrebbero estendersi e integrarsi in una più globale «funzione di sostegno», attivata dalla comunità scolastica nel suo insieme, nei confronti delle tante e diverse situazioni di disagio e difficoltà che si manifestano. In questo caso sarà l’insieme della comunità-scuola, composto di insegnanti, personale tecnico, altri alunni e varie persone significative, che mobiliterà tutte le risorse disponibili,formali e informali, per soddisfare i bisogni formativi e educativi speciali degli alunni, in relazione al tipo e al grado di difficoltà che presentano (Ianes e Macchia, 2008; Booth e Ainscow, 2008).

5 In quest’ottica, che cerca di superare la vecchia logica di emarginazione della coppia «alunno con disabilità-insegnante di sostegno», si sono ormai sperimentate molte attività didattiche alternative e soluzioni organizzative diverse, che mettono in primo piano il ruolo attivo degli alunni, lo sviluppo di reti di rapporti di amicizia e di aiuto, il lavoro con gruppi di apprendimento cooperativo, il tutoring o insegnamento reciproco tra alunni, il coinvolgimento delle famiglie e delle realtà sportive, culturali e di volontariato della comunità territoriale

6 La certificazione: dall’individuazione della disabilità al Piano educativo individualizzato
Dal 2000, il regolamento dell'autonomia scolastica ha individuato tra le finalità della scuola quella di rispondere alle "caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo" e ha sottolineato il pieno riconoscimento e la valorizzazione delle diverse abilità. Il comma 5 dell’art. 12 della Legge quadro identifica alcuni momenti significativi dell’iter finalizzato alla piena integrazione scolastica degli alunni con disabilità: – l’individuazione dell’alunno come «persona handicappata»; – la definizione di una «Diagnosi funzionale»; – la predisposizione di un «Profilo dinamico funzionale»; – la formulazione di un «Piano educativo individualizzato»; – le occasioni di verifica degli interventi realizzati e di aggiornamento della documentazione (questi ultimi, contemplati dai commi 6 e 8)

7 Circa le modalità, la Legge quadro richiama l’esigenza di una integrazione di tutte le competenze e di tutte le professionalità che entrano in gioco: – la scuola, nelle sue diverse componenti (dirigente scolastico, docenti curricolari, docenti per il sostegno, eventuali insegnanti utilizzati con funzioni psicopedagogiche, collaboratori scolastici); – gli operatori delle Aziende Sanitarie Locali (ASL); – i genitori della persona con disabilità; – lo stesso alunno, specie nella scuola secondaria di secondo grado; – gli altri alunni.

8 Rispetto alle caratteristiche della documentazione da elaborare, la Legge quadro chiarisce senza ombra di dubbio che l’iter da seguire per la sua predisposizione deve evitare il rischio di una sanitarizzazione degli interventi e valorizzare invece appieno gli aspetti propriamente educativi e didattici. Il comma 5 dell’art. 12 prevede un approccio non solo «alle caratteristiche fisiche, psichiche, sociali e affettive dell’alunno» o alle «difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di handicap», ma più diffusamente alle «possibilità di recupero, alle capacità possedute che devono essere sostenute, sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate».

9 Fig. 1 Le fasi di programmazione e di lavoro del Piano educativo individualizzato. Fonte:Ianes e Cramerotti, 2009.

10 LA DIAGNOSI FUNZIONALE EDUCATIVA
E’ la prima componente del piano educativo individualizzato e si pone come obiettivo fondamentale la conoscenza e la comprensione più approfondite dell’alunno in difficoltà. Deve anche essere FUNZIONALE EDUCATIVA, e cioè utile alla realizzazione concreta di attività didattiche ed educative appropriate Deve risultare da un lavoro interdisciplinare che veda la collaborazione degli insegnanti, degli operatori delle ASL e dei familiari

11 QUALI SONO I DATI FONDAMENTALI DA RACCOGLIERE IN UNA DIAGNOSI FUNZIONALE UTILE PER LA PROGRAMMAZIONE INDIVIDUALIZZATA? D. Ianes individua la necessità di far derivare la diagnosi funzionale dall’attuale modello ICF. Questa diagnosi funzionale si lega ai processi di integrazione scolastica, di apprendimento e socializzazione, non si esprime solo in termini tecnico sanitari e cerca di attivare collaborazioni a più ampio raggio, coinvolgendo direttamente gli insegnanti e la famiglia. I dati di conoscenza raccolti nella diagnosi dovrebbero consentire di operare direttamente nel concreto della prassi scolastica quotidiana

12 - La diagnosi funzionale, finalizzata ad un intervento educativo o ad un percorso didattico individualizzato rivolto agli alunni in difficoltà cerca di raggiungere la conoscenza più estesa possibile delle varie caratteristiche della persona nella situazione/relazione che esamina. - Oltre alla finalità descrittiva dovrebbe elaborare ipotesi e possibilmente verificarle, sulle interconnessioni e relazioni di reciproca influenza tra fattori diversi

13 L’aspetto analitico e descrittivo dovrebbe essere compresente e integrato con lo sforzo di comprendere relazioni che interconnettono. Una diagnosi funzionale redatta facendo riferimento al modello proposto dall’ICF permette di organizzare in modo globale e concreto la raccolta di informazioni sul soggetto e sui suoi contesti di vita

14 Fig. Struttura del modello ICF-CY in base alla quale definire la Diagnosi funzionale. Fonte: Ianes e Cramerotti, 2009.

15 DUE PRINCIPI GENERALI:
1) Non è utile immergersi nei particolari, perdendo di vista la necessità di fare una sintesi significativa di una realtà umana globale e unitaria,di una persona reale, che è molto di più e ben altro che che una serie di dati oggettivi sul suo “funzionamento” 2) Non bisogna fermare il fluire nel tempo delle situazioni personali relazionali e contestuali, cristallizzando come definite e stabili le nostre osservazioni

16 La situazione globale di una persona, del suo stato di salute e di funzionamento nei suoi reali contesti di vita, va descritta mettendo in relazione informazioni su: - condizioni fisiche - funzioni corporee - strutture corporee - Attività personali - partecipazione sociale - fattori contestuali ambientali - Fattori contestuali personali

17 Condizioni fisiche Comprende malattie (acute o croniche), disturbi, lesioni o traumi. Può inoltre comprendere altre circostanze biologicamente significative come la gravidanza, l’invecchiamento, un’anomalia congenita o una predisposizione genetica. Le condizioni di salute vengono codificate secondo i criteri dell’ICD-10 (OMS, 2002)

18 Questa parte della diagnosi funzionale dovrebbe essere suddivisa in due distinti campi di informazione: 1) La storia clinica. Gli eventi vissuti dall’alunno dal punto di vista organico: le malattie, i ricoveri, le cure tentate, i risultati raggiunti. 2) Gli effetti riscontrati o prevedibili sulla prassi scolastica causati dalle condizioni cliniche dell’alunno.

19 FUNZIONI CORPOREE Le funzioni corporee sono le funzioni fisiologiche dei vari sistemi corporei. Le menomazioni sono problemi nella funzione del corpo, intesi come una deviazione o una perdita significativa.

20 1) funzioni mentali 2) funzioni sensoriali e dolore 3) funzioni della voce e dell’eloquio 4) funzioni dei sistemi cardiovascolare, ematologico, immunologico e dell’apparato respiratorio 5) funzioni dell’apparato digerente, e dei sistemi metabolico ed endocrino 6) funzioni genitourinarie e riproduttive 7) funzioni neuro-muscoloscheletriche e correlate al movimento 8) funzioni della cute e delle strutture correlate

21 STRUTTORE CORPOREE Sono le parti anatomiche del corpo, come gli organi, gli arti, e le loro componenti. Le menomazioni sono problemi nella struttura del corpo, intesi come deviazioni o perdite significative.

22 1 strutture del sistema nervoso
2 occhio, orecchio e strutture correlate 3 strutture coinvolte nella voce e nell’eloquio 4 strutture dei sistemi cardiovascolare, immunologico e dell’apparato respiratorio 5 strutture collegate all’apparato digerente e ai sistemi metabolico ed endocrino 6 strutture collegate ai sistemi genitourinario e riproduttivo 7 strutture collegate al movimento 8 Cute e strutture correlate

23 ATTIVITA’ PERSONALI L’attività è l’esecuzione di un compito o di un’azione da parte di un individuo. Le limitazioni dell’attività sono le difficoltà che un individuo può incontrare nello svolgimento delle varie attività. Ogni attività può essere descritta con due qualificatori

24 Ogni attività può essere descritta con due qualificatori:
- capacità ( l’abilità di eseguire un compito o un’azione senza l’influsso, positivo o negativo, di fattori contestuali e/o ambientali) - performance ( l’abilità di eseguire un compito o un’azione con l’influsso, positivo o negativo, di fattori contestuali personali e/o ambientali)

25 1 apprendimento e applicazione delle conoscenze
2 compiti e richieste generali 3 comunicazione 4 mobilità 5 cura della propria persona 6 vita domestica 7 interazioni e relazioni interpersonali

26 PARTECIPAZIONE SOCIALE
La partecipazione è il coinvolgimento attivo in una normale situazione di vita integrata. Le restrizioni della partecipazione sono i problemi che un individuo può incontrare nel coinvolgimento nelle normali situazioni di vita

27 FATTORI CONTESTUALI AMBIENTALI
I fattori contestuali ambientali costituiscono gli atteggiamenti, l’ambiente fisico e sociale in cui la persona vive. 1 prodotti e tecnologie 2 ambiente naturale e cambiamenti effettuati dall’uomo 3 relazioni e sostegno sociali 4 atteggiamenti 5 servizi, sistemi, politiche

28 FATTORI CONTESTUALI PERSONALI
I fattori ambientali personali sono il background personale della vita e dell’esistenza di un individuo e rappresentano quelle sue caratteristiche individuali che non fanno parte della condizione fisica. Questi fattori comprendono il sesso, la razza, l’età, lo stile di vita, modelli di comportamento generali e stili caratteriali

29 DALLA DIAGNOSI FUNZIONALE AL PROFILO DINAMICO FUNZIONALE
FASE 1: SINTETIZZARE IN MODO SIGNIFICATIVO I RISULTATI DELLA DIAGNOSI FUNZIONALE Le informazioni che sono state raccolte vengono confrontate tra loro e sintetizzate nelle aree significative del modello ICF (condizioni fisiche, funzioni e strutture corporee, attività personali ecc.) Le informazioni dovrebbero essere sintetizzate intorno a quattro poli principali

30 1 Punti di forza, cioè livelli raggiunti, abilità possedute adeguatamente (capacità ICF)
2 Punti di forza, livelli raggiunti, abilità manifestata grazie alla mediazione positiva dei fattori contestuali (performance). 3 Deficit, cioè carenza, mancanza, incapacità o sviluppo inadeguato rispetto ai criteri e alle aspettative 4 Relazioni di influenza e di mediazione tra i vari ambiti di funzionamento dell’alunno

31 FASE 2: DEFINIRE GLI OBIETTIVI A LUNGO TERMNE
Si tratta degli obiettivi che idealmente ci piacerebbe raggiungere in una prospettiva temporale che va da uno a tre anni. Nella prospettiva del progetto di vita, questa dimensione può dilatarsi arrivando a definire obiettivi anche in dimensioni esistenziali dell’età adulta

32 FASE 3: DEFINIRE GLI OBIETTIVI A MEDIO TERMINE
Tra gli obiettivi a lungo termine vengono scelti quelli a medio termine, da raggiungere nell’arco di alcuni mesi o di un anno scolastico.

33 FASE 4: DEFINIRE GLI OBIETTIVI A BREVE TERMINE E LE SEQUENZE DI SOTTO-OBIETTIVI
Si deve lavorare sugli obiettivi a medio termine per ricavarne sequenze facilitanti di obiettivi più accessibili, da presentare al nostro alunno.

34 Tre metodi più utilizzati per costruire sequenze di sotto-obiettivi facilitanti:
1) ridurre le difficoltà dell’obiettivo semplificando le richieste di corretta esecuzione, quali l’accuratezza, la velocità di azione, l’intensità, la durata e la frequenza ottimale di emissione di un determinato comportamento. SHAPING (modellaggio)

35 2) Ridurre la difficoltà dell’obiettivo attraverso l’uso degli aiuti necessari e sufficienti
3) ridurre le difficoltà dell’obiettivo attraverso l’analisi del compito (task analysis) che consente di scomporre l’obiettivo sia in senso sequenziale-descrittivo, elencando la serie di risposte singole che compongono quel compito, sia in senso strutturale gerarchico, individuando le abilità più semplici e prerequisite che costituiscono la struttura di base di quell’obiettivo e che vanno costruite per prime, in ordine gerarchico

36 Le attività, i materiali, i metodi di lavoro
In questa terza parte del PEI-Pdv si elaborano soluzioni operative di insegnamento-apprendimento per favorire il raggiungimento degli obiettivi definiti nel PDF. Si identificano gli spazi, i tempi, le persone e le altre risorse materiali, organizzative, strutturali e metodologiche che serviranno per realizzare attività didattiche,educative e di stimolazione

37 Migliori prassi di didattica speciale e integrazione:
Classi e gruppi di apprendimento eterogenei Modalità cooperative di apprendimento e di lavoro Rapporti prosociali e di collaborazione informale tra gli alunni Curricoli rivolti allo sviluppo di intelligenze multiple Istruzione collocata su diversi livelli di competenza

38 Istruzione orientata all’acquisizione di competenze concrete
Integrazione delle tecnologie nel curricolo Apprendimento attivo e basato su problemi reali Uso sistematico di modelli per la soluzione di problemi, di opportunità di azione con pochi rischi di errore Coinvolgimento attivo degli studenti nelle decisioni Valorizzazione degli insegnanti nelle decisioni di politica scolastica Aumento della collaborazione degli insegnanti di sostegno e curricolari con la altre figure professionali

39 Alcune ipotesi per vivacizzare le lezioni frontali: - Presentazioni interattive con diapositive/video e dibattito - Attività di simulazione/role playing - Attività cooperative/competitive di piccolo gruppo per dibattere un tema problematico - Coppie di studenti che risolvono un problema pensando ad alta voce - Dibattiti in piccolo/grande gruppo - Attività di mediazione in cui si cerchi di trovare una posizione che metta d’accordo le parti in una controversia

40 Strategie base di insegnamento/apprendimento Si fa riferimento all’approccio neocomportamentale, ambito operativo e di ricerca che include varie tecniche educative, di insegnamento e diverse metodologie di intervento. Necessità di fondare gli interventi sui dati della ricerca empirica e di rivolgersi al comportamento osservabile, attualmente manifestato dal soggetto e ai fattori controllabili che contribuiscono al suo mantenimento ed alla sua evoluzione.Utilizzo di procedure sistematiche e oggettiva di valutazione dei cambiamenti comportamentali prodotti (Ianes, 2006)

41 La task analysis (analisi del compito)
L’analisi del compito è un insieme di metodi che consente di scomporre in sotto-obiettivi più semplici e accessibili un compito-obiettivo inizialmente troppo complesso per essere proposto nella sua totalità (Ianes, 2006).

42 Una metodologia di task analysis, va sotto il nome di«descrizione del compito» ed è l’identificazione e la descrizione sistematica di tutti i movimenti e le risposte che compongono le sequenze ottimali dell’esecuzione efficace ed efficiente di un compito. Questa elencazione dei singoli comportamenti motori, verbali o cognitivi, deve rispettare esattamente la sequenza temporale in cui devono essere emessi e può essere raffigurata graficamente con il metodo del diagramma di flusso.

43 Seconda metodologia di task analysis:
- L’individuazione delle abilità componenti e prerequisite al compito, che nel livello precedentemente illustrato, è stato descritto in senso sequenziale. Si cerca cioè di identificare le varie abilità il cui possesso sia un requisito indispensabile per l’esecuzione del compito (abilità componenti) e per il suo apprendimento iniziale (abilità prerequisite).

44 Le tecniche di prompting e fading
L’acquisizione di un’abilità è facilitata anche dall’uso di istruzioni, aiuti gestuali, esempi e modelli ed altri stimoli aggiuntivi di vario genere (prompts). Si possono considerare prompts tutti «gli eventi di stimolo» che facilitano il soggetto che apprende nell’iniziare l’emissione della risposta desiderata o di una sua approssimazione positiva, in modo che possa poi sperimentare un risultato gratificante

45 Il comportamento positivo può essere aiutato in molti modi: guidando fisicamente la risposta del soggetto, con istruzioni verbali specifiche sull’azione attesa, indicando l’elemento che dovrebbe essere scelto, mostrando attraverso un modello competente l’esecuzione adeguata delle risposte, aggiungendo immagini o figure esplicative, oppure enfatizzazioni delle caratteristiche distintive visive in compiti di discriminazione

46 Questi ed altri esempi di aiuto possono definirsi forme di prompting solo se possiedono due caratteristiche essenziali: 1) essere efficaci, produrre cioè un effetto di decisa facilitazione sulla risposta corretta. 2) Essere progressivamente ridotti, sparire cioè gradualmente dalla situazione di stimolo che viene presentata al soggetto, la quale, più o meno lentamente, ritorna al suo stato normale, senza più nessuna aggiunta di prompts artificiali.

47 I più diffusi modi per realizzare il fading sono:
- riduzione graduale dell’aiuto inizialmente dato attraverso guida fisica diretta che diventa via via fornito solo da istruzioni verbali; - attenuazione di intensità del modello o del prompt verbale; - attenuazione di varie forme di enfatizzazione di alcuni elementi importanti delle istruzioni; - attenuazione della ripetizione di alcune parole chiave contenute nelle istruzioni verbali; attenuazione e sparizione progressiva delle figure, dei colori o di altre forme di aiuto visivo introdotte come aggiunte facilitanti in compiti di discriminazione (Ianes, 2006).

48 Le tecniche di insegnamento «senza errori» cercano di facilitare apprendimenti discriminativi di varia natura, senza però fare incorrere in errori il soggetto. Ciò è possibile con un’accuratissima programmazione e «manipolazione» del materiale di stimolo che viene presentato al soggetto nel programma di insegnamento (Ianes, 2006). Il materiale visivo di stimolo viene realizzato introducendo massicciamente prompt costituiti da figure e vari richiami per l’attenzione, come colori, o altre aggiunte grafiche (frecce direzionali, disegni, ecc.) (Ianes, 2006).

49 La tecnica più nota è lo stimulus fading che consiste nell’esagerazione di alcune caratteristiche fisiche dello stimolo discriminativo, quello che dovrà poi guidare la risposta di scelta, in modo che tale risposta corretta sia immediatamente facilitata in modo decisivo.

50 Rinforzamento positivo e motivazione estrinseca “di risultato”
La tecnica senz’altro più nota dell’analisi del comportamento è il rinforzamento positivo sistematico, che si basa sul principio, fondamentale nel paradigma dell’apprendimento operante, secondo cui un comportamento si rafforzerà, aumenterà cioè in frequenza e probabilità di emissione, se sarà seguito da un rinforzatore (positivo o negativo) vissuto dal soggetto che emette il comportamento.

51 In ambito educativo e didattico sono state usate infinite varianti e applicazioni quasi esclusivamente del rinforzamento positivo, utilizzando vari tipi di premi e incentivi: rinforzi alimentari, oggetti, attività piacevoli, privilegi, rinforzi simbolici (sistemi di «economie» a punti, stelline, caselle colorate, adesivi, e così via), gratificazioni affettive come attenzione ed approvazione, feedback informativi di vario genere

52 Le tecniche di “shaping” e “chaining”
Lo shaping è una tecnica comportamentale per lo sviluppo di comportamenti complessi, non presenti nel repertorio di abilità del bambino. Si attua tramite l’aiuto ed il rinforzo sistematico di approssimazioni sempre più vicine al comportamento finale. Il chaining è anch’esso una classica tecnica comportamentale. L’obiettivo è lo stesso dello shaping, e cioè costruire un comportamento complesso, attualmente non presente nel repertorio di abilità, ma il metodo è radicalmente diverso.

53 Nel chaining il comportamento finale viene descritto nei suoi micro comportamenti con la task analysis, e diventa così simile ad una catena di unità di risposta singole e facilmente accessibili. L’insegnante inizia poi con il proporre l’ultimo anello di questa catena (concatenamento retrogrado), perché si ritiene che l’ultimo componente del comportamento complesso sia il più rinforzante, essendo quello contiguo al rinforzamento naturale finale.

54 L’uso di modelli competenti (modeling)
L’apprendimento di nuove competenze attraverso la tecnica del modeling si basa sull’apprendimento osservativo, che avviene quando il soggetto osserva un’altra persona (il modello) che esegue il comportamento in questione. Il comportamento desiderato è appreso solamente attraverso l’osservazione «passiva» del modello.

55 Strategie di generalizzazione e mantenimento
Tecniche che si sono dimostrate utili per ottenere generalizzazione e mantenimento delle abilità acquisite. La prima strategia fa riferimento al portare il comportamento sotto il controllo di contingenze di rinforzamento che sono attive naturalmente nell’ambiente reale di vita dell’alunno. In questo modo le contingenze artificiali possono essere interrotte, dal momento che la stessa funzione è svolta ora da eventi regolarmente presenti nell’ambiente.

56 La generalizzazione avverrà inoltre con maggiore probabilità se si verifica un’espansione del controllo che alcuni stimoli (quelli usati originariamente nell’insegnamento) hanno sul comportamento positivo. Il bambino sarà dunque in grado di generalizzare se riconoscerà, in altri contesti o situazioni, degli aspetti di stimolo che gli consentiranno di assimilare questa nuova condizione a quella precedente

57 Strategie metacognitive e di autoregolazione
Nella didattica metacognitiva l’attenzione dell’insegnante non è tanto rivolta all’elaborazione di materiali o metodi nuovi per «insegnare come fare a…», quanto al formare quelle abilità mentali superiori di autoregolazione che vanno al di là dei «semplici» processi cognitivi primari

58 Sviluppare nell’alunno la consapevolezza di quello che sta facendo, del perché lo fa, di quando è opportuno farlo e in quali condizioni; l’approccio metacognitivo tende a formare le capacità di essere il più possibile «gestori» diretti dei propri processi cognitivi, dirigendoli attivamente con proprie valutazioni e indicazioni operative (Ianes, 2006).

59 Conoscenze sul funzionamento cognitivo in generale
Questo primo livello include una serie di conoscenze, notizie e dati su come funziona la mente umana. L’insegnante fornisce all’alunno informazioni generali, organizzate in una sorta di «teoria della mente», rispetto ai vari processi cognitivi e risolutivi (come funziona la memoria, la soluzione di problemi, lo scrivere, ecc.), sui meccanismi che li rendono possibili, sui limiti che necessariamente condizionano le prestazioni mentali e sui fenomeni tipici più frequenti.

60 Autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo
A questo secondo livello si deve parlare di introspezione, autoanalisi e autoconsapevolezza di «cosa e come sto pensando, valutando, ricordando», ecc. Dalle conoscenze teoriche generali si passa a quelle più strettamente individuali e cioè al conoscere da parte dell’alunno stesso il funzionamento dei propri processi cognitivi e comportamentali, rendendosi conto dei rispettivi punti di forza e deficit.

61 Variabili psicologiche di mediazione
L’allievo sviluppa, anche se forse in modo solo parzialmente consapevole, una «immagine di sé come persona in grado (più o meno) di imparare», immagine che entra in rapporto con le caratteristiche più profonde della sua generale immagine e valutazione di sé. All’interno di questa dimensione psicologica fondamentale si possono individuare alcune linee di intervento metacognitivo che sono complementari a quelle precedentemente descritte.

62 Locus of control e stili di attribuzione
Locus of control e stili di attribuzione. Con questa espressione si indica il «luogo» dove l’alunno ritiene si trovino i fattori «responsabili» di quello che gli accade, nel bene e nel male, e cioè dove siano le cause dei successi e degli insuccessi. L’allievo con un locus of control distorto, eccessivamente proiettato su fattori esterni, con conseguente deresponsabilizzazione personale, in genere assume un atteggiamento passivo. Egli ritiene infatti di «non potercela fare», in nessun modo, perché «non dipende da me…».

63 Senso di autoefficacia
Senso di autoefficacia. Gli psicologi cognitivi, ricordiamo in particolare Bandura, ritengono che questa sia una variabile di importanza cruciale nell’influenzare, in senso positivo o negativo, la capacità di autoregolare il proprio apprendimento e la propria motivazione. Come si è già visto, il senso di autoefficacia è la convinzione delle proprie capacità di raggiungere il successo nell’esecuzione di un compito, e cioè il senso di «potercela fare».

64 Autostima. Il complesso di giudizi di valore e sentimenti che proviamo nei confronti dei molti aspetti della nostra persona costituisce il concetto psicologico di autostima. L’enorme importanza di questa dimensione della vita psichica non può essere in alcun caso sottovalutata e si potrebbe affermare addirittura che uno dei principali obiettivi dello sviluppo psicologico sia proprio quello di costruire un senso positivo di autostima come parte integrante dell’identità personale.

65 Le verifiche e le valutazioni
La quarta parte del Piano educativo individualizzato dovrebbe riguardare le attività di verifica, sulla base degli esiti oggettivi delle nostre attività di insegnamento e stimolazione o di intervento educativo. Una prima considerazione riguarda la collocazione temporale delle attività di verifica: esse non dovrebbero essere previste soltanto alla fine dell’anno scolastico,ma dovrebbero accompagnare, come una prassi costante, le varie attività realizzate.

66 Per quanto riguarda poi le modalità operative, la verifica dovrebbe essere rivolta a qualcosa di più della pura e semplice acquisizione degli obiettivi: occorre valutare anche il grado di generalizzazione delle abilità e il loro sviluppo in reali competenze, il grado di mantenimento nel tempo delle competenze acquisite e il livello raggiunto rispetto alle capacità di autoregolazione autonoma dell’alunno nell’esecuzione di una data abilità.

67 Dovremmo introdurre un’altra voce nella valutazione in itinere, e cioè l’appropriatezza, la validità e la sensatezza, rispetto a un progetto complessivo di vita, degli obiettivi inseriti nel Profilo dinamico funzionale. Ci dovremmo chiedere se le abilità che cerchiamo di far acquisire all’alunno sono davvero significative per lui, migliorano cioè in modo effettivo la sua competenza quotidiana, elevando la reale qualità della sua vita attraverso il loro costante utilizzo negli ecosistemi di vita e di relazione in cui l’alunno si trova.

68 DAL PIANO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO AL PROGETTO DI VITA
Progetto di vita è innanzitutto un «pensare» in prospettiva futura, o meglio un pensare doppio, nel senso di immaginare, fantasticare, desiderare, aspirare, volere, ecc. e contemporaneamente di preparare le azioni necessarie, prevedere le varie fasi, gestire i tempi, valutare i pro e i contro, comprendere la fattibilità, ecc. Per allargare il Piano educativo individualizzato in un Progetto di vita possiamo fare riferimento a tre punti di vista, che corrispondono, ovviamente, a tre livelli d’azione complementari: tecnico-didattico, psicologico e relazionale

69 Progetto di vita dal punto di vista tecnico-didattico-formativo
«Orientamento di prospettiva», interno alle varie attività, continuo e costantemente attivo nella definizione degli obiettivi a lungo termine, nella scelta dei criteri per gli obiettivi a medio termine, nelle attività di valutazione autentica, di sviluppo psicologico, ecc.

70 Far entrare il Progetto di vita nel Piano educativo individualizzato vuole dire due cose dal punto di vista tecnico-didattico: 1. scegliere obiettivi orientati il più possibile alla vita adulta; 2. usare modalità «adulte» di lavorare all’apprendimento di questi obiettivi (Montobbio e Lepri, 2000).

71 – ruoli lavorativi: «imparare a lavorare, non imparare un lavoro»; – competenze di gestione del tempo libero, sia in casa che fuori; – competenze di gestione autonoma e/o assistita di un proprio luogo di vita; – competenze di sviluppo/mantenimento di una rete di supporto sociale informale; – competenze di gestione delle proprie risorse economiche; – competenze affettive e sessuali; – competenze per realizzare una propria vita familiari

72 Il progetto di vita dal punto di vista psicologico
La condizione adulta richiede una complessa «maturazione» psicologica e affettiva: la persona diventerà adulta nella misura in cui la sua identità sarà autonoma e stabile, la sua separazione/individuazione dalle persone adulte della sua famiglia d’origine potrà dirsi compiuta, quando le sue capacità autoprogettuali elaboreranno Sé possibili e sequenze di azioni per realizzarli, quando sarà in grado di gestirsi autonomamente le varie qualità del suo tempo, quando sarà in grado di accettae compromessi tra desideri e realtà, quando saprà rivestire ruoli attesi e prescrittivi in vari contesti (il lavoro, la partecipazione sociale, gli amici)

73 Il progetto di vita da un punto di vista relazionale: un’azione collettiva
Avere un approccio rivolto al Progetto di vita richiede un ampliamento di orizzonte rispetto agli «attori» di questo processo nell’ottica dei Piani di Zona previsti dalla legge 328 del Dovrà essere coinvolta la scuola, ma anche la famiglia, i servizi (sociosanitari, sociali, per l’impiego, educativi, domiciliari, ecc.), le risorse relazionali informali della rete familiare (parenti, amici, ecc.), le risorse associative, ricreative e culturali di un territorio e di una comunità, i vicini di casa, i negozianti, il barista, i vigili urbani, ecc. E chi più ne ha, più ne metta.


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