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1° lezione 14 ottobre 2014 educazione, esperienze

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Presentazione sul tema: "1° lezione 14 ottobre 2014 educazione, esperienze"— Transcript della presentazione:

1 1° lezione 14 ottobre 2014 educazione, esperienze
Lucidi dal primo cap. del testo: Pietro Lucisano, Anna Salerni, Patrizia Sposetti, Didattica e conoscenza,Carocci Editore, Roma, 2013

2 educazione formazione pedagogia
istruzione formazione educazione formazione pedagogia educazione quale e come frankenstein pinocchio dio e uomo Meirieu-mito della fabbricazione psicologia pedagpgia sociologia didattica ripensare educazione quindi.. esperienze come interazione con qualcosa/qualcuno artigiano-muro a secco dewey ammaestrare con modello rigido da seguire oppure concepire altre vie poiché il lavoro docente è empirico, non programmabile esperienza e apprendimento esperienze educative continuità impegnatività continuità progressività visalberghi no INVALSI, ma prendersi carico tuttavia, senza dimenticare di seguire giochi e attività ludiformi att. alienanti e scuola esperienze e cose da insegnare dalla disciplina imposta alla disciplina dell’esperienza

3 Meirieu-mito della fabbricazione
formazione istruzione educazione formazione educazione pedagogia educazione quale e come frankenstein pinocchio dio e uomo Meirieu-mito della fabbricazione psicologia pedagogia sociologia didattica

4 artigiano-muro a secco ripensare educazione quindi..
oppure concepire altre vie poiché il lavoro docente è empirico, non programmabile esperienze come interazione con qualcosa/qualcuno ammaestrare con modello rigido da seguire dewey continuità esperienza e apprendimento esperienze educative tuttavia, senza dimenticare di seguire no INVALSI, ma prendersi carico impegnatività continuità progressività visalberghi esperienze e cose da insegnare dalla disciplina imposta alla disciplina dell’esperienza attività alienanti e scuola giochi e attività ludiformi

5 educazione Educazione: il processo attraverso il quale vengono trasmessi ai bambini, o comunque a persone in via di crescita o suscettibili di modifiche nei comportamenti intellettuali e pratici, gli abiti culturali di un gruppo più o meno ampio della società. L’opera educativa è svolta da tutti gli stimoli significativi che raggiungono l’individuo; ma, in modo deliberato e organizzato, da istituti sociali naturali (famiglia, clan, tribù, nazione ecc.), e da istituti appositamente creati (scuole, centri educativi ecc.). significato etimologico: deriva dalle parole latine educare, che vuol dire allevare, nutrire, ed e-ducěre, che vuol dire trarre fuori (derivante dall'unione di e- (“da, fuori da”) e ducĕre ("condurre")).

6 istruzione (dal latino instruere = rendere abile, preparare a) si riferisce all’ambito cognitivo e ai processi dell’acquisizione di conoscenze e competenze ( ). Essa vive prevalentemente nelle istituzioni formali e principalmente nella scuola, luogo specializzato dei processi di insegnamento-apprendimento, ma non solo.

7 etero-educazione L’educazione ha due aspetti, uno interno ed uno esterno. L’aspetto più appariscente è quello esteriore, cioè quell’insieme di azioni, atteggiamenti, parole accorgimenti che una persona mette in opera per educarne un'altra. Si chiama etero-educazione tutto quel complesso di atti e di circostanze ambientali esterne che costituiscono il contributo indispensabile alla nostra formazione.

8 auto-educazione ciascuno, come ha la propria struttura fisica, così ha il proprio temperamento; possiede un certo quoziente intellettivo e una propria forma specifica di intelligenza (più teorica o più pratica, più intuitiva o più logica); ha delle particolari attitudini e un proprio modo di sentire e di reagire alle situazioni più diverse. L’educazione non può prescindere da tutto questo, anzi deve porsi al servizio di queste doti naturali, offrendo loro la possibilità di esprimersi. Ciascuno collabora alla sua personale formazione e tale contributo viene chiamato auto-educazione.

9 formazione Un processo dinamico che si sviluppa lungo due dimensioni:
«con-formarsi» alla conoscenza e alla cultura di un gruppo sociale; «formar-si», «processi auto-costruttivi attraverso i quali il singolo soggetto elabora e trasfigura tale cultura con l’apporto della propria specifica individualità»; (Frabboni, Pinto Minerva, pp. 9, 42)

10 educazione e formazione
etero-educazionecon-formarsi euto-educazioneformar-si Educazione è formazione L’educazione è formazione, in quanto acquisizione di una forma interiore e in quanto processo aperto e autoregolato da/verso l’esterno. F. Cambi, Formazione e processo nella pedagogia occidentale: momenti, modelli, funzioni, in Fondamenti teorici del processo formativo, a cura di F. Cambi e P. Orefice, Napoli, Liguori, 1996, pp

11 Natura e finalità dell’educazione
Sulla natura e le finalità proprie dell’educazione le opinioni risentono dei differenti orientamenti filosofici e culturali. L’accento cade, di volta in volta, sui contenuti del sapere da trasmettere e acquisire; sulla necessità di promuovere la formazione del soggetto, la sua autonomia e libertà ovvero di assicurare l’integrazione dell’individuo nella società tramite l’assimilazione [e la costruzione] di modelli e comportamenti che ne garantiscono la conservazione e lo sviluppo; sui valori etici dell’educazione.

12 quando Attenzione dedicata alle età precedenti, a quelle tradizionalmente soggette a educazione intenzionale e istituzionale, a quelle seguenti, riconfermando il principio che l’educazione dura tutta la vita (educazione permanente). In questo quadro, l’educazione infantile occupa un posto primario: di qui l’opportunità di un’ educazione […] [nelle] strutture destinate alla prima infanzia (asili nido) e di una fase di socializzazione precoce prescolastica (scuole materne) per la seconda infanzia. da

13 quando Al polo opposto, l’educazione degli adulti si propone l’alfabetizzazione di quanti non hanno raggiunto un adeguato livello di istruzione, il completamento dell’ educazione di base e di quella formazione professionale necessaria a un inserimento funzionale nel lavoro, la libera fruizione della scienza e delle opere d’arte e di quant’altro costituisce il patrimonio culturale di una comunità. Mentre il rapido avanzamento in tutti i settori del sapere rende sempre più evidente e urgente l’esistenza di un aggiornamento continuo; la convenienza di non protrarre troppo a lungo il periodo di scolarità giovanile suggerisce di scaglionare la formazione in tempi diversi, alternando fasi di studio e di lavoro anche nell’età adulta, secondo uno schema di educazione ricorrente.

14 didattica La riflessione sui problemi e i fenomeni educativi prende il nome di pedagogia; In rapporto alla pedagogia (e non solo con essa) trova spazio la didattica: Didattica: […] quella parte dell’attività e della teoria educativa che concerne l’insegnamento*. * parleremo di didattica in modo più ampio e articolato in seguito

15 didattica si distingue:
una didattica generale, riferita a saperi, a metodi, a condizioni generali teorici e pratici; dalle didattiche disciplinari relative alle singole discipline d’insegnamento, dalle didattiche speciali relative alle caratteristiche particolari (età, capacità, ambiente) dei soggetti dell’apprendimento.

16 Educazione: quale e come?
In un libro che si intitola Frankenstein educatore, Meirieu tratta il tema dell’educazione a partire dal libro di Mary Shelley Frankenstein. “La creatura, o se volete il mostro, non ha nome: noi lo chiamiamo Frankenstein, ma soltanto perché quello è il nome del padre. Il padre, il professor Victor, si dimentica di dargli un nome, il padre lo fabbrica, non per cattiveria, ma perché vuole risolvere dei problemi dell’umanità, vuole combattere la morte, vuole fare un uomo fatto meglio. Questo professor Victor Frankenstein non è uno con la mania di voler essere Dio, ma è uno che dice: “l’uomo cosi com’è ha dei limiti, muore, io vorrei arrivare al di là di questi limiti e vorrei fare un uomo fatto meglio” e poi lo costruisce.”(*) (*) Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012 , pag

17 “Dopo aver costruito la sua creatura Victor è deluso perché non corrisponde al suo progetto, è un mostro, così l’abbandona, anzi cerca di ucciderlo ma, la creatura fugge cresce nei boschi e cresce buona. Tutta la prima parte della crescita di questa creatura sembra orientarsi al bene, tant’è che impara a leggere, vive nascosta accanto a una famiglia, cerca di rendersi utile. Diventa amico di una bambina e di un vecchio cieco. Poi la realtà ha il sopravvento: viene scacciato, e mentre prova il dolore del rifiuto ingiustificato dovuto al suo aspetto esteriore scopre nel diario del dottor Frankenstein la storia della sua origine e del rifiuto e diventa cattivo.” (*) Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012 , pag

18 Nello stesso libro Meirieu parla anche di Pinocchio; un burattino che Geppetto costruisce per avere compagnia, al quale rimprovera sempre di farsi influenzare e manovrare; Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

19 “[…] c’è qualcosa nella stessa creazione che richiama la pretesa di educare e di fare i giovani a nostra immagine e somiglianza. Forse c’è qualcosa di difficile da capire anche nel racconto della Bibbia.’Io ti ho creato a mia immagine, ora sei libero di fare tutto quello vuoi purché tu faccia quello che voglio io, e se disobbedirai io ti scaccerò’.” L’uomo poi disobbedisce e Dio, deluso dalla creatura fatta a sua somiglianza, lo scaccia, lo condanna, e l’uomo disorientato e ferito dall’abbandono e anche costretto nella sua maledizione, diviene cattivo. (*) Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012 , pag

20 “Questo che Meirieu chiama mito della fabbricazione, è un problema col quale dobbiamo imparare a confrontarci, perché noi pensiamo che, per il bene dei ragazzi, è bene che loro facciano quello che noi pensiamo sia bene che loro facciano. È difficile pensare che noi possiamo voler bene ai ragazzi per come sono. Nel caso della creatura, il rifiuto iniziale avviene per l’aspetto. La mostruosità della creatura è solo nella mente e nel cuore di chi lo vede mostro, perché diverso dalle sue attese, però il vederlo mostro lo trasforma in mostro. È difficile pensare che è bene che i ragazzi siano liberi e possano crescere secondo la loro natura se non possono crescere diversi da come ci aspettiamo.” (*) Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012 , pag

21 Dobbiamo dunque ripensare [pensare] l’educazione come pratica di libertà e abbandonare il mito della fabbricazione delle persone che debbono essere come vogliamo noi. Questo è un cambio di marcia impegnativo. (*) Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

22 un muratore che costruisce muri a secco*;
Può essere utile pensare al lavoro di un artigiano che costruisce muri, quando si pensa di educare; un muratore che costruisce muri a secco*; sceglie pietre pesanti da mettere alla base, poi via via sempre più leggere (piccole) ; la profondità va a decrescere sono pietre concave e convesse, sistemate in modo opportuno, senza l’aggiunta di cemento; non occorre perché i muri a secco sono più elastici e quindi resistenti proprio per l’assenza di questi collanti; si flettono e resistono con più facilità alle diverse sollecitazioni. Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag costruire muri a secco:

23 Non si usano mattoni, tutti uguali, combinati secondo modalità standard; non si costruiscono ville, case (forse l’immagine comune di ‘villette a schiera’ rende meglio l’idea); i ragazzi/studenti sono tutti diversi fra loro ed hanno bisogno di costruzioni che valorizzino le proprie caratteristiche Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

24 “Per questo la prima cosa che chi si occupa di educazione deve comprendere è una visione di sé come artigiano, e non come impiegato addetto all’addestramento. Un artigiano che lavora a costruire conoscenza […]” Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag. 19

25 Ammaestrare oppure ..? il fine è mettere ordine, ammaestrare, integrare? Allora basta farsi un modello, individuare degli obiettivi, perseguirli, misurare continuamente le distanze fra questi ed il livello dei ragazzi, misurare alla fine i risultati e prendere decisioni; significa fare propri gli standard che definiscono la qualità nei termini di prodotto e quindi conformarsi ed accettare che la qualità possa essere misurata. Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

26 Possiamo accettare queste modalità di lavoro, oppure intravvedere altre possibilità;
probabilmente il lavoro di insegnati/educatori è un lavoro diverso; non completamente razionalizzabile e programmabile: è infatti basato sulla relazione, sui rapporti, è spesso/sempre diverso*, ha un radicamento empirico. *ovviamente ciò non significa non tentare di trovare delle soluzioni che possano essere generalizzate ed usate per migliorare l’esperienza Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

27 Tuttavia non possiamo esimerci dal chiedere a noi stessi se, quando operiamo, lo stiamo facendo bene e “se stiamo aiutando i nostri allievi a crescere o li stiamo ammaestrando per formare dei buoni e obbedienti consumatori.” la risposta a questo quesito non sta nei test dell’INVALSI; “la comprensione inizia quando ci coinvolgiamo nella relazione educativa, quando decidiamo di prenderci carico dei nostri allievi.” Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

28 “Se davvero non te ne importa niente non ti accorgi nemmeno che c’è qualcosa di sbagliato. Non ti viene neanche in mente. Il solo fatto di dire che c’è qualcosa di sbagliato significa che ci tieni” (*) *Robert M. Pirsig , Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, 1974, vers. Ital. Adelphi, 1999, in Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

29 Esperienza Alla base del nostro apprendimento ci sono le esperienze;
noi siamo ciò che abbiamo fatto: siamo il risultato di un lungo percorso di esperienze, fatte con le cose e con gli altri; un bambino si affaccia e riesce a vivere nel mondo guardando, toccando, ascoltando, gustando, annusando; noi a volte ricordiamo le nostre esperienze, altre volte no, tuttavia le abbiamo interiorizzate, sono diventate il nostro abito naturale. Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag. 24

30 Rousseau Rousseau (28, giugno, , luglio, 1778) all’inizio dell’Emilio distingue tre tipi di educazione: l’educazione della natura, quelle delle cose, quella degli uomini; tuttavia, l’educazione degli uomini viene completamente esclusa; dice R. “per formare quest’uomo raro cosa dobbiamo fare? Molto, senza dubbio: impedire che nulla sia fatto”; ciò comporta essenzialmente l’esclusione di tutte le pratiche care alla “nostra mania didascalica e pedantesca”*. Visalberghi A. (a cura), Emilio, Economica Laterza, 2003 educazione negativa che R. chiama anche metodo inattivo.

31 Rousseau Rifuggire l’assillo di una azione educativa verbalistica, come anche le varie ammonizioni, le punizioni dispensate dall’alto, come anche i continui tentativi di anticipare lo sviluppo delle capacità naturali; la più utile regola di un agire educativo “non è di guadagnar tempo, è di perderne”; una educazione siffatta, tuttavia, è possibile perché esiste un naturale sviluppo delle capacità dell’educando, “un principio attivo” intimo al fanciullo; in ciò consiste l’educazione naturale. Visalberghi A. (a cura), Emilio, Economica Laterza, 2003

32 Rousseau Tuttavia non bisogna lasciare lo sviluppo in un vuoto educativo per avere buoni e migliori risultati; una impegnativa esperienza rende possibile lo sviluppo, tuttavia questa esperienza deve essere fatta sulle cose; gli uomini debbono intervenire solo indirettamente apprestando situazioni con le cose che possano soddisfare i bisogni di attività degli allievi e queste esperienze debbono essere scandite con gradualità. Visalberghi A. (a cura), Emilio, Economica Laterza, 2003

33 Rousseau In definitiva
Rousseau accetta l’educazione naturale, respinge quella degli uomini, utilizza quella delle cose accoppiandola strettamente a quella naturale (in questo ultimo senso si parla di educazione indiretta); il rapporto fra educatore ed educando non viene abolito o sminuito, al contrario esso è ancora più difficile e impegnativo: infatti eliminando ogni sorta di approccio didascalico esterno, si realizza nell’allestire situazioni concrete (con le cose) che si rivelano avere un forte valore educativo. sintesi Visalberghi A. (a cura), Emilio, Economica Laterza, 2003

34 Dewey per Dewey (20, ottobre, 1859 –1, giugno, 1952) un’esperienza si sviluppa attraverso una interazione con qualcosa o con qualcuno, un rapporto che ci mette in gioco, un problema da risolvere; ogni esperienza dà significato e può ristrutturare quelle precedenti e finisce e rinforza la nostra capacità di affrontare quelle future; ciò non avviene sempre: non tutte le esperienze sono educative; lo sono quelle che non si esauriscono nel breve termine (dell’attività stessa); studiare per superare un esame senza saper riutilizzare poi quanto ha studiato; Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

35 Dewey sono positive se continuano a vivere nelle esperienze future
quando da esse nasce il desiderio di proseguire verso altre esperienze; possono anche essere dei fallimenti, però sono educativi se ci spingono a cercare una nuova soluzione; non lo sono quando da un fallimento scaturiscono delusione, rabbia, resa.

36 Dewey Un insegnamento è efficace se aiuta gli allievi ad apprendere, ma lo è ancor di più quando non li allontana dal gusto di apprendere; occorre dare sempre fiducia in se stessi agli allievi: noi non sappiamo ballare, parlare in pubblico, giocare a calcio, siamo preoccupati davanti ad un foglio bianco da riempire o davanti ad un testo di numeri, perché ‘non siamo portati’ oppure perché abbiamo avuto delle esperienze negative? Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

37 Dewey Quindi occorre impostare azioni educative che si basino sulla continuità delle esperienze: è ovvio che possano esserci esperienze negative, però non debbono rimanere tali; l’esperienza successiva che si pone in continuità ci rafforza e contemporaneamente permette di rielaborare le precedenti e questa rielaborazione investe anche quella negativa, sanandola. Per Dewey è fondamentale questa continuità delle esperienze. Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

38 Gioco, lavoro, attività ludiformi
Visalberghi (1, agosto, , febbraio, 2007) introduce il concetto di attività ludiformi affrontando il tema dell’esperienza fra gioco e lavoro. L’autore parla di impegnatività, continuità, progressività nelle esperienze di gioco: impegnatività: deve avere qualche grado di difficoltà, ma non troppi altrimenti non ci si diverte; continuità, progressività: le esperienze debbono essere in un continuo con successivi gradi di progressione; quest’ultima non deve rompere la continuità. Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

39 Il gioco si conclude con il proprio fine (il gioco è fine a se stesso; si gioca per raggiungere il risultato finale; si finisce di costruire una macchina e si abbandona/finisce il gioco), il lavoro produce dei risultati che poi vengono reimpiegati per fini ulteriori; tuttavia alcuni lavori mantengono le caratteristiche del gioco: quando il lavoro ha un fine/termine (artigiano, ingegnere, architetto, medico, ..); altri invece entrano in un ciclo di ripetitività alienante (impiegati, operai nella catena di montaggio, ..); nei primi gli attori (i lavoratori) partecipano alla finalità del lavoro, partecipano in prima persona alla progettazione, all’esecuzione ed anche al profitto, nei secondi invece non partecipano né alla progettazione, né al fine, né tantomeno al profitto (sono solo dei prestatori di opera e per questo vengono retribuiti). Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

40 Quindi: attività ludiformi e gioco sono esperienze accomunate dalla partecipazione al fine da parte di chi esercita l’attività, nel lavoro alienante il lavoratore non partecipa né alla progettazione né al profitto. Nella scuola si assiste alla proposizione di attività alienanti: per gli allievi sono esperienze altre da sé, non ne capiscono le finalità, spesso viene detto loro lo capirai da grande; gli insegnanti/educatori sono visti come coloro che obbligano con bastone e carota a studiare cose di cui sfugge l’utilità. Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

41 Esperienza e cose da insegnare
Se il centro del processo di apprendimento è l’esperienza degli allievi, ci si chiede quali siano le cose da insegnare. Inizialmente esistevano i programmi ministeriali rigidi, da rispettare, poi resi flessibili da programmazioni nelle scuole, infine sostituiti da indicazioni generali per aree e discipline Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

42 Si assiste, comunque, ad una frattura fra il carattere indicativo/esortativo di queste indicazioni e l’esperienza reale di chi lavora in classe e spesso si sente ‘in colpa’ per non essere riuscito a rispettarle; comunque è possibile individuare delle linee di ‘condotta’ che possono aiutare e nella scelta dei contenuti da trattare e nei comportamenti da adottare: Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

43 È bene selezionare fra i contenuti quelli che si conoscono bene;
i contenuti debbono essere in linea con l’esperienza attuale dei discenti ; dovrebbero rispettare i caratteri di impegnatività, continuità, progressività; ciascuna esperienza deve essere proposta fino in fondo; identificare, per ogni esperienza, dei percorsi diversi in relazione ai diversi profili personali degli allievi; evitare di incanalare le esperienze internamente ad una singola disciplina; ricordiamo che la divisione in discipline è un artificio adottato per semplificare l’attività di insegnamento, ma una conoscenza non è riconducibile ad un solo punto di vista; evitare di sostituirsi agli allievi nel raggiungimento del risultato finale. Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

44 Dalla disciplina imposta alla disciplina dell’esperienza
Secondo un approccio basato sull’omologazione, sul controllo e sul comando il problema di ottenere docilità, obbedienza, ricettività è di fondamentale importanza (ricordiamo la famosa proposta del 5 in condotta) Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

45 Dalla disciplina imposta alla disciplina dell’esperienza
Se si propongono “esperienze di cui gli studenti comprendono il senso e alle quali partecipano da protagonisti, il problema scompare. In tutte le cose che si fanno sul serio è implicita una disciplina del pensiero e dell’azione. Una disciplina che è richiesta dalla necessità di raggiungere lo scopo che ci si è prefisso. […] Le regole nelle cose da fare, se si tiene al risultato, vengono osservate spontaneamente, così come vengono osservate spontaneamente nelle attività di gioco.”(*) Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

46 Dalla disciplina imposta alla disciplina dell’esperienza
in definitiva, quando una attività interessa e coinvolge, i problemi legati all’indisciplina sono ridotti al minimo; possono, comunque, esistere e vanno analizzati per individuarne le cause e quindi apportare le dovute correzioni; Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

47 Dalla disciplina imposta alla disciplina dell’esperienza
La disciplina non è obbedienza; non si deve pensare che il fare una cosa abbia come metodo migliore quello proposto dall’insegnante/educatore e che, necessariamente, occorra insegnarlo e quindi una ‘trasgressione’ a questo sia disobbedienza; sicuramente occorre rispettare le regole, ma non dovrebbero esistere ‘regole disciplinari’ (legate cioè ai contenuti disciplinari); Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

48 Feyerabend in Contro il metodo afferma che il progresso nasce dalla messa in discussione di equilibri che regolano lo stato di conoscenza, di volta in volta, attuale.

49 Grazie, arrivederci

50 Rousseau Rousseau, nell’Emilio (Visalberghi A., a cura, 2003), distingue tre tipi di educazione: l’educazione della natura, quelle delle cose, quella degli uomini; tuttavia, l’educazione degli uomini viene completamente esclusa; dice Rousseau che per formare l’uomo occorre che niente sia fatto; ciò comporta essenzialmente l’eliminazione di tutte le pratiche tipiche di un approccio didascalico che è anche pedantesco. Occorre rifuggire l’assillo di un’azione educativa verbalistica, le varie ammonizioni, le punizioni dispensate dall’alto; ma anche i continui tentativi di anticipare lo sviluppo delle capacità naturali poiché la più utile regola di un agire educativo è di perdere tempo e non di guadagnarlo. Una simile educazione è possibile perché esiste un naturale sviluppo delle capacità dell’educando, «un principio attivo», intimo al fanciullo; in ciò consiste l’educazione naturale. Non bisogna, tuttavia, lasciare lo sviluppo in un vuoto educativo per avere buoni e migliori risultati, ma occorre intervenire, anche se solo indirettamente, apprestando ambienti nei quali sistemare le cose che, sappiamo, possano soddisfare i bisogni di attività degli allievi; non bisogna dimenticare di graduare queste esperienze.

51 Rousseau Un tema centrale per Rousseau è l’educazione indiretta: il bambino impara dall’esperienza con le cose e l’adulto deve organizzare contesti nei quali egli possa sperimentare da solo. Quindi Rousseau respinge l’educazione degli uomini, accetta quella delle cose accoppiandola strettamente a quella naturale. Comunque il rapporto fra educatore ed educando non viene abolito o sminuito, al contrario esso è ancora più difficile e impegnativo: infatti eliminando ogni sorta di approccio didascalico esterno, si realizza nell’allestire situazioni concrete, con le cose, che si rivelano avere un forte valore educativo.

52 Rousseau Nella sua visione, Rousseau sostiene che le facoltà di ciascuno hanno una matrice naturale e quindi che le inclinazioni personali vadano assecondate e sviluppate liberamente. Le disuguaglianze sociali, che esistono, non debbono incidere su quelle naturali; non debbono, cioè, permettere di colmare differenze naturali. «[…] sulla concezione rousseauiana pesa così un determinismo di tipo naturalista: l’educabilità dipende dalle inclinazioni naturali ed è proporzionale a queste» (Baldacci M., 2012, p. 177). Se le inclinazioni naturali non possono essere falsate dalle condizioni sociali, rimane però il problema di capire dove finiscano le prime ed inizino le seconde. In altri termini essendo, i bambini, immersi in un contesto sociale, questo può inevitabilmente influire su quelle naturali o, per lo meno, è di difficile controllabilità la sua azione diretta o indiretta. Rousseau indica come fare per proteggere l’educando. «Emilio potrà manifestare le proprie vere inclinazioni perché cresce isolato dalla società, cosicché su di lui agiscono solo le forze della sua natura» (ibidem).

53 Un docente sta spiegando: in quel momento si dispiegano numerosi e diversi significati associati al suo fare lezione. Innanzi tutto il docente sta parlando di un argomento che fa riferimento ad una disciplina. Ciò significa che aleggiano i significati di quella disciplina. Ma è il docente che li sta presentando e quindi sta mediando fra i saperi autentici e i propri allievi: ha operato una selezione dei contenuti e li sta trattando per presentarli ai propri allievi; sta cercando di esporli in una forma, coerente con i contenuti che sta trattando, comprensibile, interiorizzabile da parte degli alunni. Questa trasposizione non rende questo sapere diverso da quello originario della disciplina ma è solamente un modo diverso di presentarlo. Quindi abbiamo il sapere originario e una sua trasposizione che comprende anche le modalità didattiche con le quale il docente presenta quei contenuti. Possiamo dire che è una sua rappresentazione per indicare che i nuclei del sapere originario rimangono inalterati. G. Alessandri, Intersezioni: didattica, tecnologie, sistemi complessi, intelligenza artificiale, … , in c.s.

54 Tuttavia, il docente non segue un canovaccio narrativo, che inizia dai fondamenti della disciplina e prosegue secondo il percorso del suo sviluppo, ma tiene conto di una visione retrospettiva che riorganizza complessivamente tutto il sapere di quella e ne dà una visione sistemica complessiva. Quindi abbiamo la disciplina e la Didattica della disciplina. Oltre questo sapere s’intravvede qualcosa che va oltre lo specifico che caratterizza la mediazione di quella disciplina (Didattica della disciplina) e si inquadra nei contorni di un campo disciplinare che si interessa di definire criteri e metodi generali che permettano, data una qualunque disciplina, di poterla rendere comprensibile agli allievi. Prende corpo un ulteriore corpo di saperi che è trasversale rispetto alle singole discipline: la Didattica Generale (D’Amore B., 1999, pp , D’Amore B., Sbaragli S., 2011, p. 7). G. Alessandri, Intersezioni: didattica, tecnologie, sistemi complessi, intelligenza artificiale, … , in c.s.

55 Deriva, in questo modo, un significato di Didattica: un insieme di saperi che rendono possibile l’educazione attraverso processi d’istruzione internamente e non alla scuola; si parla di saperi quali la progettazione, la valutazione, le metodologie, la ricerca, ma si parla anche di azioni che avvengono attraverso questi saperi e che sono esse stesse dei saperi: queste azioni sono saperi e quei saperi sono azioni L’elenco è abbastanza lungo e il senso complessivo che restituisce non è sempre riducibile a una somma degli stessi. Molti aspetti dei singoli saperi si intersecano e restituiscono, nell’insieme, un sistema con un più che è dato proprio dalla sinergia fra essi. Se da un lato è impossibile separare meccanicamente i singoli, in quanto alcune loro parti esistono in diversi campi, dall’altro la rete che si costituisce dalle loro intersezioni e interazioni restituisce un sapere che è maggiore della loro somma. G. Alessandri, Intersezioni: didattica, tecnologie, sistemi complessi, intelligenza artificiale, … , in c.s.

56 Durata dell'infanzia Il periodo dell'infanzia dura all'incirca da zero a dieci anni, a parte naturalmente le differenze tra bambino e bambino nel tempo di sviluppo. Solitamente viene fatta anche una distinzione tra vari periodi dell'infanzia: Prima infanzia: dalla nascita ai due anni; i bambini andranno in un asilo nido oppure resteranno con i genitori Seconda infanzia: dai tre ai cinque anni; i bambini di quest'età possono andare alla scuola d'infanzia che non è ancora obbligatoria; Terza infanzia: dai sei ai dieci anni; da sei a dieci anni andranno alla scuola elementare dove si prepareranno ad essere adolescenti

57 competenza “capacità di MOBILIZZARE (attivare),
ORCHESTRARE (combinare) le RISORSE INTERNE possedute (conoscenze, abilità e disposizioni interne stabili) e quelle esterne disponibili, per far fronte a una classe o tipologia di situazioni formative e/o lavorative in maniera VALIDA e produttiva” M. Pellerey, in, Le competenze individuali e il portfolio, La Nuova Italia, Scandicci, 2004, pag. 23

58 didattica pedagogia psicologia didattica sociologia
[Laneve, Per una teoria della didattica, 2000, La Scuola] rielaborazione


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