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Gabriele D’Annunzio.

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Presentazione sul tema: "Gabriele D’Annunzio."— Transcript della presentazione:

1 Gabriele D’Annunzio

2 Terzogenito di cinque figli, nasce a Pescara il 12 marzo 1863 (Verga ; Pascoli 1855), da Francesco Paolo Rapagnetta e Luisa de Benedictis. Della madre eredita la sensibilità, del padre il temperamento sanguigno, la passione per le donne e la disinvoltura nel contrarre debiti, cosa che portò la famiglia a una difficile situazione economica. forse per motivi estetici o fonetici, Gabriele nascose sempre il primo cognome "Rapagnetta", firmando ogni sua opera come "Gabriele d'Annunzio", questo si pensa che sia dovuto anche al difficile rapporto col padre di cui rinnegava in parte il cognome. Il cognome d'Annunzio deriva infatti dal suo padre adottivo, lo zio Antonio D'Annunzio, ricco commerciante.

3 Manifesta una personalità priva di complessi e inibizioni, portata al confronto competitivo con la realtà. ne è esempio la lettera che, ancora sedicenne (1879), scrive a Giosuè Carducci, mentre frequenta il prestigioso liceo Cicognini di Prato >>>> E’ scolaro eccellente, con doti linguistiche spiccate e narcisistica ansia di primeggiare.

4 Nel 1879 il padre finanzia la pubblicazione di Primo vere, prima raccolta di poesie - recensita sulla rivista romana Il Fanfulla della Domenica. Il lancio pubblicitario si basa sulla falsa notizia della morte dell’autore per una caduta da cavallo. Spettacolarizzazioene della propria vicenda biografica Valore promozionale degli scandali Divismo-Mercato-Pubblicità

5 Periodo romano ( ) Dopo aver concluso gli studi liceali presso il Liceo Classico G.B.Vico di Chieti, giunge a Roma nel 1881. Si inserisce in un gruppo di scrittori, artisti, musicisti, giornalisti di origine abruzzese (Scarfoglio, Michetti, Tosti, Masciantonio, Barbella, ecc.) che fece parlare in seguito di una "Roma bizantina". (rivista “Cronaca bizantina”) “peccato di maggio”: seduce la duchessina Maria Hardouin di Gallese, che sposerà (1883) con matrimonio riparatore dopo una fuga amorosa. l’unione, da cui nasceranno tre figli, a causa dei continui tradimenti durerà solo fino al 1890 Tutti i biografi sono concordi nell’individuare nella data del 5 febbraio 1883 il momento in cui i due si conobbero per la prima volta. Lo si ricava da un autografo dello stesso D’Annunzio sul frontespizio di un album regalato a Maria. E questo è l’unico indizio di cui disponiamo. Il futuro Vate, terminati gli studi al Collegio Cicognini di Prato si trasferì a Roma e venne introdotto da Edoardo Scarfoglio, suo corregionale ed amico, nelle redazioni dei molti giornali che si pubblicavano nella Capitale. D’Annunzio si tuffò nell’avventura giornalistica, abbandonando di fatto l’università. Era dunque diventato redattore delle testate più in voga, specializzandosi in un genere che è tutt’ora largamente in auge: la cronaca rosa ed il pettegolezzo. Teatro delle sue cronache erano tutti gli avvenimenti mondani, ricevimenti, feste e quant’altro fosse necessario per far sfoggio di sé ed alimentare l’immancabile gossip che condisce gustosamente ogni cronaca. Non era il suo mondo, ma ci stava bene e desiderava frequentarlo. I nobili romani erano l’oggetto dei suoi studi: toilette, abitudini, usi e convenzioni, ma anche duelli, risvolti piccanti ed intrecci amorosi. Null’altro si esaminava  del mondo che si stava svolgendo al di fuori di questa nicchia riservata ad una classe sociale che contava i suoi ultimi anni. E così il giovane Gabriele, rabbioso per non essere un nobile di pari schiatta, entrava dalle scale di servizio, rendendosi famoso per le cronache quotidiane e gli articoli di giornali, capaci di attirare la curiosità del pubblico e la soddisfazione di chi vi era descritto. Palazzo Altemps, ora sotto la direzione della Duchessa Natalia, era un bersaglio invidiabile. Era noto, negli ambienti chiacchierati, quanto costei fosse infelice e che vivesse di fatto separata in casa. Era, del pari, nota la sua avvenenza di donna quarantenne, non ancora sfiorita, così come era noto il circolo letterario ed artistico che aveva istaurato a Palazzo; circolo nel quale prediligeva i poeti, specie giovani, come il nostro Gabriele. Quest’ultimo vi si era introdotto per ragioni di lavoro, ma anche per essere beneficato da un’amicizia che avrebbe potuto condurlo verso traguardi ambiti. Ma c’era anche Maria. Orgoglio di casa. Bella da mozzare il fiato. Bionda ed alta, a cui la natura aveva risparmiato ogni difetto, tranne forse un acume non eccessivamente sviluppato ed un’intelligenza che non arrivava sino alle soglie della determinazione e della cattiveria. Senza dubbio il più bel partito di Roma. Jules contava molto su di lei.  La riteneva degna di un matrimonio che illuminasse  ancor di più la sua famiglia e molte erano le richieste, tanto che se ne poteva vagliare la scelta in tutta libertà. Ma a diciannove anni la ragazza scalpitava e sognava l’amore come lo aveva appreso dall’ambiente letterario ed artistico che con la madre condivideva. Cuore, passione e travolgimento dei sensi. Li trovò tutti nel poetino abruzzese che le si parò davanti negli splendidi saloni di palazzo. Del resto lui con la penna e con la voce  non era secondo a nessuno e la ragazza non aveva nessuna protezione per distinguere un’emozione, pur forte, da un affetto solido e duraturo. Qualche anno dopo dirà : “…a quel tempo amavo la poesia, ma avrei fatto bene a comprare un libro, che mi sarebbe costato assai meno.”    Intanto però le cose procedevano nel loro corso naturale. L’incontro aveva infiammato i due giovani, ma aveva suscitato il più aspro contrasto dei genitori di lei. Donna Natalia, pur affascinata da Gabriele, del quale apprezzava il garbo e gli slanci artistici, si rendeva conto della disparità sociale dei ragazzi e che – cosa più grave – questo amore avrebbe potuto nuocere alle possibilità di un matrimonio all’altezza di Maria. Il Duca Jules era su posizioni ancor più conservatrici. Colpevolmente dimentico dei suoi trascorsi e del modo in cui era giunto in quella ambita posizione, giudicava semplicemente irriverente che un borghese, per giunta con scarsi mezzi, potesse ambire a cotanta mano e semplicemente ordinò che il poeta abruzzese non mettesse più piede a palazzo. Iniziò un breve periodo di clandestinità, dove le intuizioni degli innamorati, sopperiscono ad una sutuazione avversa. Gabriele si appostava di notte sulle scalinate della chiesa di S. Apollinare, prospiciente palazzo Altemps ed aspettava che la luce di una stanza si accendesse. Era il segnale convenuto. Il Duca dormiva e quindi Maria poteva scendere ad aprirgli il portone. Si andò avanti così, con sotterfugi, fin quando fu possibile. Donna Natalia era ora impegnata nel comitato delle dame d’onore per il festeggiamento delle nozze tra Maria Isabella di Baviera e S.A.R il Duca di Genova ed aveva lasciato la corda un po’ lenta. Gabriele vinti tutti gli assalti, pubblicò sulla Cronaca Bizantina, il celebre sonetto: “ Il Peccato di Maggio” dove, tra lirismo decadente ed esagerato melodramma, è descritta la loro “ prima volta”. Ora la loro relazione era di dominio pubblico. Compreso, quindi, che con il Duca Jules non l’averebbe davvero spuntata, cominciò a pensare ad una fuga, per mettere tutti davanti ad un fatto compiuto e raggiungere così l’obbiettivo agognato. Il 28 giugno Maria usci da palazzo e si recò all’incontro nel luogo convenuto con Gabriele. Insieme raggiunsero la stazione Termini dove presero un treno per Firenze; qui scesero all’Hotel Helvetia dove vi trascorsero la notte. La mattina successiva, a stanarli ci furono il prefetto Clemente Corte, senatore del Regno e Federico Colajanni, deputato abruzzese, amico di entrambe le famiglie, cui venne affidata Maria, che riportò immediatamente a Roma. I giornali diedero molto risalto alla notizia che fece immediatamente il giro delle redazioni. Per non compromettere totalmente l’onore di Maria, venne inventata una pietosa bugia, riportando che gli amanti erano stati raggiunti al loro arrivo alla stazione di Firenze, senza quindi passare la notte del 28 giugno insieme, ma pur con tale limitazione lo scopo era raggiunto. Riflettendo sulla tempestività dell’azione di Corte e Colajanni è verosimile pensare che la regia, nemmeno troppo occulta, dell’operazione fosse dello stesso Gabriele, il quale aveva avvertito per tempo chi di dovere affinchè intervenisse e sancisse, con la scoperta, l’inevitabilità del matrimonio. Ma Il Duca tenne duro. Chiuse la figlia nelle sue stanze e si oppose con rinnovato vigore a quelle nozze che sembravano una conclusione naturale. Forse c’era ancora da scegliere un buon partito e non tutto era perduto. La sua rabbia era del pari diretta contro la moglie che riteneva complice di quell’inetto di D’Annunzio, capace di abbindolare con le sue fandonie poetiche, solo donnette di scarso acume. Quello che il Duca non sapeva era però più grave. Il “peccato di Maggio” aveva dato i suoi frutti e Maria era incinta. Bisognava maritarla velocemente se si voleva evitare che un scandalo colossale travolgesse tutta la famiglia. Gabriele aveva vinto, ovvero il Duca era stato ripagato di tutto il beneficio ricevuto dagli Altemps.  Il matrimonio venne celebrato il 28 Luglio 1883 nella cappella di Palazzo Altemps. Fu una cerimonia triste e quasi deserta. Assente il Duca, che per protesta si era rifugiato a Gallese a covare il suo dolore; la Duchessa Natalia nascosta in un angolo assistette alla cerimonia tra i singhiozzi. Assenti ovviamente anche i genitori di Gabriele, cui era stata dal figlio spiegata la situazione e non ritennero opportuno partecipare. Si limitarono a mandare un telegramma augurale alla futura nuora. La cerimonia officiata da un cardinale, come si conveniva a nozze ducali, venne seguita da amici, tra i quali Matilde Serao, buona amica di Maria. Testimoni di nozze di Gabriele furono il fratello spirituale Francesco Paolo Michetti e Baldassarre Avanzini, direttore del “Fanfulla” di cui D’Annunzio era redattore.  

6 Il cronista mondano Scrive su La Tribuna: è acuto giudice della mondanità si occupa soprattutto di mostre d‘arte, di ricevimenti d'ambiente aristocratico e di aste d'antiquariato. Attraverso questa attività si costruisce un personale e inesauribile archivio di stili e registri di scrittura

7 I modelli iniziali Le prime due raccolte liriche, Primo vere (1879) e Canto novo (1882) si rifanno al Carducci delle Odi barbare (1877); la prima opera narrativa, la raccolta di novelle Terra vergine (1882), al Verga di Vita dei campi (1880). Sono i due scrittori che in Italia suscitano maggior eco, Carducci e Verga

8 Il vitalismo di Canto novo
Temi naturali Amore come forza animalesca Unione fra il corpo e le cose Impulso a “mordere la vita” con “saldi e bianchi denti voraci” Fisicità, ebbrezza, cromatismo, ma anche anima col suo mistero. In germe c’è già l’esaltazione della “potenza” e della “gioia” di Nietzche

9 I racconti di Terra vergine: erotismo sfrenato e violenza barbarica
D’Annunzio presenta figure e paesaggi della sua terra, l’Abruzzo. ma non vi è la lucida indagine verghiana sui meccanismi della «lotta per la vita» nelle «basse sfere», né l’impersonalità («eclissi» dell’autore e immersione del punto di vista narrativo entro la realtà rappresentata). in una natura rigogliosa e sensuale esplodono passioni primordiali: erotismo irrefrenabile e violenza sanguinaria, barbarie di un mondo ferino Domina la soggettività del narratore Sulla stessa linea si pone la raccolta di novelle successiva, Novelle della Pescara (1902).

10 1887: la relazione con Barbara Leoni: la «rosa» e l’«amico della rosa»
Si conoscono a Roma il 2 aprile 1887, a un concerto, presso il circolo artistico di via Margutta. Lei si chiama Elvira Natalia Fraternali Leoni, romana, sposata. I due si baciano per la prima volta «inginocchiati contro le grate» del chiostro dei Santi Vincenzo e Anastasio, «su la piazza del Fontanone». Barbara o Barbarella o Ippolita, Miranda, Jessica, Bibli, Gorgone, Regina di Cipro o Vellutina, è - bruna, con due occhi grandi neri, magra e pallida -, colta e sensibile, disponibile a ogni avventura e a ogni esperienza sessuale, anche la più folle. Del suo Gabriele, o Ariel o Ariele, è sinceramente innamorata. Quello di D’A. è un amore di sensi, vissuto con atteggiamento egoistico. I loro giochi erotici sono rievocati da D’A. nelle lettere per tenere alta la tensione sentimentale dell’amica, e negli ultimi tempi anche per eccitarla sessualmente, suggerendole l’idea che anche in virtù di essi il loro amore è unico ed eccezionale.

11 Il sesso «levame della sua arte»
Amore = lievito dell’aspirazione artistica. Nascono in quei mesi le prime Elegie romane, rielaborazione artistica della nuova relazione amorosa. Nell’estate i due amanti sono costretti a separarsi per le vacanze. In settembre, il poeta intraprende una "crociera" nell’Adriatico, sul cutter dell’amico Adolfo de Bosis. La meta è Venezia. Ma il cutter perde quasi subito la rotta e solo l’intervento di una nave della marina militare li salva. Affascinato dalla bellezza di Venezia, il poeta vi rimane un mese, benché non abbia soldi e da Roma gli sia giunto l’annuncio della nascita del terzo figlio. Di ritorno a Roma, riprende a vedersi con Barbara. Continua a lavorare per La Tribuna, ma nel luglio 1889 si licenzia dal giornale e si trasferisce a Pescara e poi a Francavilla. Là, ospite dell’amico pittore Francesco Paolo Michetti, comincia a scrivere Il piacere. 

12 Il piacere (1889) Il primo romanzo, in cui confluisce l’esperienza mondana e letteraria vissuta sino a quel momento Soprattutto dopo la pubblicazione del romanzo si crea un "pubblico dannunziano"condizionato non tanto dai contenuti quanto dalla forma divistica, uno "star system", che lo scrittore costruisce attorno alla propria immagine. Egli inventa uno stile immaginoso e appariscente di vita da "grande divo", con cui nutre il bisogno di sogni, di misteri, di "vivere un'altra vita", di oggetti e comportamenti-culto propri della nuova cultura di massa.

13 Il ruolo dell’arte Valore assoluto de Il Piacere è l’arte, programma estetico e modello di vita, a cui Andrea Sperelli subordina il resto, giungendo alla corruzione fisica e morale. “bisogna fare la propria vita come si fa un’opera d’arte […]. La superiorità vera è tutta qui. […]. La volontà aveva ceduto lo scettro agli istinti; il senso estetico aveva sostituito il senso morale. Codesto senso estetico […] gli manteneva nello spirito un certo equilibrio. […] Gli uomini che vivono nella Bellezza, […] conservano sempre, anche nelle peggiori depravazioni, una specie di ordine. La concezion della Bellezza è l’asse del loro essere interiore, intorno a cui tutte le loro passioni ruotano”.

14 Dopo la convalescenza, successiva alla ferita procuratasi a causa del duello con Giannetto Rutolo, Andrea scopre che l’unico amore possibile è quello dell’arte, “l’amante fedele, sempre giovine mortale; eccola fonte della gioia pura, vietata alle moltitudini, concessa agli eletti; ecco il prezioso alimento che fa l’uomo simile a Dio”. Il culto “profondo e appassionato dell’arte” diventa per Andrea l’unica ragione della sua vita, perché è convinto che la sensibilità artistica illumini i sensi e colga nelle apparenze le linee invisibili, percepisca l’impercettibile, indovini i pensieri nascosti della natura.

15 Il Piacere è l’agonia dell’ideale aristocratico di bellezza.
L’opera racconta la vacuità e la decadenza della società aristocratica, infettata dall’edonismo, vicina al proprio annichilimento morale, poiché il valore del profitto ha sostituito quello della bellezza. Emblematica è la fine del romanzo: Andrea, vinto, disfatte le proprie avventure amorose, vaga per le antiche stanze del palazzo del ministro del Guatemala, in rovina, il cui arredamento è stato venduto all’asta.

16 Il protagonista è un esteta, Andrea Sperelli, un dandy
“Egli era per così dire tutto impregnato d’arte, […] poté compiere la sua straordinaria educazione estetica sotto la cura paterna, […]. Dal padre appunto ebbe il culto delle cose d’arte, il culto spassionato della bellezza, il paradossale disprezzo de’ pregiudizi, l’avidità del piacere. […] fin dal principio egli fu prodigo di sé; poiché la grande forza sensitiva, ond’egli era dotato, non si stancava mai di fornire tesori alle sue prodigalità. Ma l’espansione di quella forza era in la distruzione di un’altra forza, della forza morale che il padre stesso non aveva ritegno a reprimere. [...] Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale: bisogna fare la propria vita come un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui”. Andrea Sperelli - come il Barone Des Esseintes di Joris Karl Huysmans o il Dorian Gray di Oscar Wilde - seguendo la tradizione di famiglia, ricerca il bello e disprezza il mondo borghese, conduce una vita eccezionale e rifiuta le regole del vivere morale e sociale. Andrea è una figura intermedia tra il superuomo e l’inetto, che ha perso il dominio di sé, la propria genuinità, la facoltà di agire senza ambivalenze e di godere a pieno i piaceri agognati. E’ sempre e comunque destinato al fallimento, soprattutto in amore, prima con Elena Muti, poi con Maria Ferres. Questo personaggio, che è tipico della letteratura decadente e crepuscolare, segue l’ideologia dannunziana, non solo per quello che concerne l’estetismo, ma soprattutto perché denuncia la crisi dei valori e degli ideali aristocratici a causa della violenza del mondo borghese. È importante che non si cada nel luogo comune che vuole Andrea Sperelli come l’alter ego di Gabriele D’Annunzio: l’autore si identifica, il narratore se ne distacca e lo critica pesantemente. Nel primo caso Andrea è ciò che D’Annunzio è e che vorrebbe essere, poiché impersona le sue esperienze effettive e quelle aspirate, è nobile e ricco, intellettuale e seduttore a tratti timido come Cherubino o cinico come Don Giovanni, accede facilmente ai ritrovi mondani e ai salotti della nobiltà. Nel secondo, la critica è indirizzata soprattutto all' “anima camaleontica, mutabile, fluida, virtuale”, alla sua falsità, alla sua doppiezza, alla menzogna e all’inganno che usa nei confronti delle donne da lui amate e possedute: il personaggio si scinde, infatti, in ciò che è internamente e in ciò che deve essere in realtà, in ciò che è e in ciò che vorrebbe essere.

17 L’eroe è diviso tra due immagini femminili
Elena Muti, la donna che incarna l’erotismo lussurioso e perverso Maria Ferres, la donna pura, che rappresenta l’occasione di un riscatto e di una elevazione spirituale. Ambiguità Tema del doppio

18 impianto narrativo Ma si tratta di un nuovo romanzo psicologico
il romanzo risente ancora del realismo ottocentesco e del verismo, che conservava in quegli anni vitalità (nello stesso ‘89 esce il Gesualdo di Verga). Sono evidenti le ambizioni a costruire un quadro sociale, di costume, popolato di figure tipiche di aristocratici oziosi e corrotti. Ma si tratta di un nuovo romanzo psicologico in cui, più che gli eventi esteriori dell’intreccio, contano i processi interiori del personaggio, complessi e tortuosi, indagati con sottile indugio analitico Rinuncia all’impassibilità del narratore Riduzione della trama (descrizioni prevalenti sulla narrazione) Musicalizzazione della scrittura Il piacere Libro primo (cap. I) Andrea Sperelli, giovane aristocratico, alla fine di dicembre del aspetta con ansia la sua ex amante, Elena, nella sua casa romana a Palazzo Zuccari. Ricorda nel frattempo la scena dell'abbandono, in una carrozza sulla via Nomentana, quando Elena lo ha lasciato, quasi due anni prima, nel marzo del Quando Elena entra, nell'incontro fra i due si alternano ricordo, ardore e di nuovo allontanamento e dolore. (cap. II) Si ripercorre la storia della casata aristocratica degli Sperelli, gli insegnamenti del padre, l'arrivo del giovane a Roma. La rievocazione prosegue con il primo incontro tra Andrea ed Elena, a una cena a casa della marchesa di Ateleta, cugina del protagonista. Subito egli inizia un serrato corteggiamento. (cap. III) Il giorno dopo, i due si riincontrano a un'asta di oggetti antichi in via Sistina. (cap. IV) Andrea viene a sapere che Elena è malata e chiede di essere ricevuto da lei; l'incontro con l'amata, che giace a letto, è erotico-mistico. Comincia quindi la narrazione dell'idillio che nei mesi successivi unisce Andrea e Elena, sullo sfondo della Roma rinascimentale, e dei loro amplessi tra gli oggetti d'arte di Palazzo Zuccari, dove il corpo di Elena nutre l'immaginazione estetica di Sperelli. Una sera, tornando a cavallo dall'Aventino, Elena gli annuncia che sta per partire, lasciandolo. (cap. V) Dopo l'abbandono Sperelli si immerge in un gioco di continue seduzioni, conquistando una dopo l'altra sette nobildonne; si incapriccia infine di Ippolita Albònico. In una giornata di corse di cavalli, Andrea la corteggia ostentatamente suscitando la gelosia dell'amante di lei, Giannetto Rutolo, da cui viene provocato a duello. Nonostante la sua maggiore abilità nella scherma, Andrea subisce una grave ferita. Libro secondo Ospitato dalla cugina nella villa di Schifanoja, sul mare, Sperelli esce da una lunga agonia e inizia la convalescenza, in un'unione mistica con la natura e l'arte. Il 15 settembre del 1886 arriva, ospite a Schifanoja, Maria Ferres con il marito (che riparte subito) e la figlia Delfina. (cap. III) Dieci giorni dopo, il 25 settembre, Andrea è sedotto dalla donna «spirituale ed eletta»; la loro amicizia aumenta ogni giorno, finché il poeta non dichiara il suo amore a Maria, che non risponde, facendosi schermo della presenza della figlia. (cap. IV) Maria Ferres tiene un diario di quei giorni, dove sono annotati i suoi sentimenti, le sue riflessioni, i turbamenti d'amore per Andrea, da cui non vuol lasciarsi vincere. Dal 26 settembre in poi, attraverso il diario, si ha notizia del corteggiamento sempre più serrato, che ottiene infine una risposta, durante una cavalcata nella pineta di Vicomile, il 4 ottobre. Tornato il marito, avviene la separazione tra i due innamorati. Libro terzo (cap. I) Sperelli, tornato a Roma si rituffa nella vita precedente la convalescenza, tra donnine del demi-monde e amici indifferenti e superficiali. (cap. II) lrrequieto e pieno di amarezza, Andrea rincontra Elena. Ora l'attrazione per Elena, nella sua nuova veste provocatrice e schiva, e per Maria, nella sua ingenua purezza e fragilità, si intreccia nel suo spirito e nella sua esistenza, facendolo passare ininterrottamente dall'una all'altra. Tenta così di incontrare Elena nella casa di cui ha ripreso possesso, a palazzo Barberini, ma la presenza del marito lo fa fuggire. (Cap. III) Poco dopo, a casa di lei, Andrea assedia Maria, e la sera dopo i due si rincontrano a un concerto alla sala dei Filarmonici, dove arriva anche Elena; partita Maria, Elena invita Andrea ad accompagnarla in carrozza; nel tragitto, incontrano una folla di manifestanti per i fatti di Dogali; prima di lasciare l'ex-amante, Elena lo bacia intensamente. Sperelli dunque riflette su sé stesso e si giudica «camaleontico, chimerico, incoerente, inconsistente». Ma ormai è deciso a dare caccia senza tregua a Maria, che lo ama. (cap. IV) Maria cede sempre più all'amore; a villa Medici, in una delle passeggiate con cui il giovane offre alla donna l'esperienza di un virgiliato tra le bellezze della città, Andrea e Maria si baciano. Libro quarto (Capp. I & II) Respinto con durezza da Elena, Sperelli viene a sapere dagli amici della rovina del marito di Maria, sorpreso a barare al gioco. Maria si mostra più forte di lui di fronte al dolore di dover partire e separarsi, rimanendogli totalmente fedele. Andrea, al contrario, riesce a nascondere con sempre maggior difficoltà il suo "doppio gioco". Dopo aver visto Elena uscire di casa per andare dal nuovo amante, Andrea torna nel rifugio di palazzo Zuccari, dove, durante l'ultima notte d'amore con Maria, pronuncia inconsciamente il nome di Elena. Maria, con orrore, lo lascia. (Cap. III) Il 20 giugno all'asta dei mobili appartenuti ai Ferres, Sperelli vive con ribrezzo e nausea il senso del «dissolvimento del suo cuore». Fugge alla vista di Elena e degli amici, e verso sera rientra nelle stanze dove Maria aveva vissuto, ora vuote e percorse dai facchini; la vicenda si conclude, per Andrea, amaramente, dietro il trasporto dell'armadio che ha comprato all'asta «di gradino in gradino, fin dentro la casa».

19 il simbolismo sotteso Nel Piacere compare la tendenza di costruire al di sotto dei fatti concreti una sottile trama di allusioni simboliche.

20 Periodo napoletano (1891-1893)
Si trasferisce a Napoli per sfuggire ai creditori Compone il suo secondo romanzo, L'innocente (1892), > Tolstoj-Dostoevskij e le liriche del Poema paradisiaco (1893) >musicalità e sfumatura (Verlaine) Relazione con Maria Anguissola principessa Gravina, da cui ha la figlia Renata Frequenta Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao; conosce la musica di Wagner Tra il 1893 e il 1897 compie un lungo viaggio in Grecia.

21 L’incontro con Nietzche
Dalle opere di Nietzche trae, fraintendendolo in gran parte, l’ideale del superuomo in senso estetico: rifiuto del conformismo borghese e dei principi egualitari che schiacciano e livellano la personalità; esaltazione dello spirito «dionisiaco» (Dioniso = dio greco dell’ebbrezza), cioè di un vitalismo gioioso, libero dalla morale comune; rifiuto dell’etica della pietà, dell’altruismo, eredità della tradizione cristiana, che mascherano l’incapacità di godere la gioia dionisiaca del vivere; esaltazione della «volontà di potenza», dello spirito della lotta e dell’affermazione di sé

22 D’Annunzio dà a questi motivi un’accentuata coloritura aristocratica, reazionaria, imperialistica.
È contro la realtà borghese del nuovo stato unitario, i principi democratici ed egualitari, il parlamentarismo, lo spirito affaristico che contaminano il senso della bellezza, l’energia violenta, il gusto dell’azione eroica e del dominio (propri delle passate élites dominanti). Vagheggia l’affermazione di una nuova aristocrazia, che sappia tenere schiava la moltitudine degli esseri comuni ed elevarsi a superiori forme di vita.

23 Il motivo nietzschiano del superuomo è interpretato da D’Annunzio nel senso del diritto di pochi esseri eccezionali ad affermare se stessi, sprezzando le leggi comuni del bene e del male. Tale dominio deve tendere ad una nuova politica aggressiva dello Stato italiano, che strappi la nazione alla sua mediocrità e la avvii verso destini imperiali, di dominio sul mondo, come l’antica Roma.

24 Il superuomo ingloba la precedente immagine dell’esteta, conferendole una diversa funzione.
l’estetismo non sarà più rifiuto sdegnoso della realtà, ma strumento di una volontà di dominio sulla realtà. l’artista-superuomo assume la funzione di” vate”, di guida in questa realtà, ed anche compiti più pratici, attivi, una missione politica, seppur per ora vaga Tale soluzione può accordarsi con le tendenze profonde dell’età dell’imperialismo, del militarismo aggressivo, del colonialismo.

25 I romanzi del superuomo.

26 Trionfo della morte (1894) non realizza la nuova figura mitica, ma rappresenta una ricerca frustrata di soluzioni. L’eroe, Giorgio Aurispa, è ancora un esteta, ma travagliato da un’oscura malattia interiore in conflitto con il padre e con le nevrosi della famiglia tenta di riscoprire le radici della sua stirpe: insieme con la donna amata, Ippolita Sanzio, si ritira in un villaggio abruzzese sulle rive dell’Adriatico, e qui riscopre il volto primordiale della sua gente, i suoi arcaici costumi, le credenze magico-superstiziose, il fanatismo religioso esaltato. l’eroe non è in grado di realizzare il progetto; si oppongono le forze oscure della sua psiche, che si estrinsecano nelle sembianze della donna, Ippolita: la lussuria consuma le sue forze, gli impedisce di attingere all’ideale superumano a cui aspira. egli al termine del romanzo si uccide, trascinando con sé nel precipizio la «Nemica». barbarico dionisiaco

27 Le Vergini delle rocce (1895), detto da Salinari «il manifesto politico del Superuomo», segna una svolta ideologica radicale. D’A. non vuole più proporre un personaggio debole, tormentato, incerto, ma un eroe forte e sicuro, che va senza esitazioni verso la meta. Espone qui le proprie teorie aristocratiche, reazionarie e imperialistiche L’eroe, Claudio Cantelmo, sdegnoso della realtà borghese contemporanea, del liberalismo politico e dell’affarismo dell’Italia postunitaria, vuol realizzare in sé «l’ideal tipo latino» e generare il superuomo, il futuro re di Roma che guiderà l’Italia a destini imperiali.

28 Elementi di crisi alla ricerca di una compagna degna di lui, entra in una famiglia decadente della nobiltà borbonica, i Montaga, minata dalla malattia e dalla follia, che vive isolata in un’antica villa in sfacelo, convinto che proprio dall’immersione nella «putredine» potrà trarre nuove energie. la scelta finisce su Violante, che si uccide lentamente distillando veleni, incarnazione di un mito ossessivo di D’Annunzio, quello della cupa, distruttiva donna fatale

29 Le nuove forme narrative.
Questi romanzi si allontanano dal modello naturalistico ancora presente nel Piacere. La narrazione sfuma in un clima mitico e favoloso, lontano da ogni riferimento realistico Sono incentrati sulla visione soggettiva del protagonista, sull’esplorazione della sua coscienza travagliata L’intreccio dei fatti si fa scarno, sostituito dalla dinamica dei processi interiori

30 Il superuomo tribuno (1897)
Nel 1897 prova l'esperienza politica in modo bizzarro e clamoroso: eletto deputato della destra nazionalista, sostiene l’ideale eroico della stirpe e propone il suo ideale di gloria mediante l’eloquenza (la parola diviene azione> estetizzazione della politica). Con un mutamento spettacolare passa poi nel nelle file della sinistra considerata più vitale, giustificandosi con la celebre affermazione «vado verso la vita» (non verrà eletto).

31 La divina Eleonora Amore e sodalizio artistico con la più grande attrice teatrale del tempo, Eleonora Duse. L’incontro cruciale è a Venezia, nel 1894: il tempestoso legame sentimentale e artistico dura dieci anni. La Duse interpreta e finanzia i drammi dannunziani, assicurandone il successo di pubblico e di critica con la sua recitazione emotiva, fatta di silenzi e gesti simbolici. Nel 1882 a Roma Eleonora Duse incontra per la prima volta D'Annunzio, un giovane pieno di riccioli, sceso da poco dagli Abruzzi ma già con tre opere pubblicate. Compare davanti alla Duse e con melodiose parole le propone, tout court, di giacersi con lui. Eleonora lo congeda con sdegno, ma forse anche con un segreto compiacimento (in quel giorno lo descrive: Già famoso e molto attraente, con i capelli biondi e qualcosa di ardente nella sua persona). Nel 1888 a Roma al teatro Valle, Eleonora, che sul palcoscenico è morta di tisi e d'amore nelle vesti della disgraziatissima "Signora delle camelie", sta avviandosi ancora in sospiri e lacrime al suo camerino. Ed ecco un giovanotto esile, ma tutto scatti ed eleganza, uscire d'improvviso dalla penombra del corridoio e gridarle con perentorio entusiasmo: O grande amatrice!. Eleonora un po' spaventata, lo guarda per un attimo e prosegue. Il giovanotto è D'Annunzio. Giugno 1892, è la data che D'Annunzio scrive, assieme alla dedica (Alla divina Eleonora Duse), su di un esemplare delle sue Elegie romane. Dai libri nasce in Eleonora il desiderio di un incontro con l'autore. E nell'incontro si abbandona alla presa di quegli occhi chiari, si sorprende a dimenticare tutta la sua amara sapienza della vita e a godere della lusinga che essi esprimono. Il momento fondamentale sia nella vita che nella carriera artistica di Eleonora Duse fu il definitivo incontro a Venezia, nel 1894, con Gabriele D'Annunzio, allora poco più che trentenne. Il tempestoso legame sentimentale ed artistico che si stabilì fra l'attrice e il giovane poeta durò una decina d'anni, e contribuì in modo determinante alla fama di D'Annunzio. Eleonora Duse, già celebre ed acclamata in Europa e oltreoceano, portò infatti sulle scene i drammi dannunziani (Il sogno di un mattino di primavera, La Gioconda, Francesca da Rimini, La città morta, La figlia di Iorio), spesso finanziando ella stessa le produzioni e assicurando loro il successo e l'attenzione della critica anche fuori dall'Italia. Ciò nonostante, nel 1896 D'Annunzio le preferì Sarah Bernhardt per la prima rappresentazione francese de La ville morte. Periodi di vicinanza e collaborazione fra i due artisti si alternarono a crisi e rotture; D'Annunzio seguiva raramente l'attrice nelle sue tournée, ma nel 1898 affittò la villa trecentesca della Capponcina, presso Settignano, per avvicinarsi alla Porziuncola, la dimora di Eleonora. Nel 1900, D'Annunzio pubblicò il romanzo Il fuoco, ispirato alla sua relazione con Eleonora Duse, suscitando critiche vivaci da parte degli ammiratori dell'attrice.

32 Periodo fiorentino (1898-1910)
Per vivere accanto alla Duse, D’A. si trasferisce a Settignano, nei dintorni di Firenze, dove affitta la villa "La Capponcina", trasformandola in un monumento del gusto estetico decadente. in questo periodo si situa gran parte della drammaturgia dannunziana, innovativa rispetto ai canoni del dramma borghese o del teatro dominanti in Italia (La Gioconda, La Gloria, Francesca da Rimini)

33 Le Laudi (1903) L'idillio con la Duse si incrina nel 1904, dopo la pubblicazione del romanzo Il fuoco (1900) Nel 1903 pubblica Maia, Elettra, Alcyone (primi tre libri delle Laudi). Prevedeva 7 libri (7 stelle delle Pleiadi), ma ne usciranno solo 5. In 4 di essi Maia 1903, Elettra 1903, Merope 1912, Canti della guerra latina si riscopre il mito che diviene portatore di un messaggio politico: la parola si fa azione, il poeta vate esalta il legame fra arte, eroismo, mito e nazione. Si distacca da tali temi il terzo libro, Alcyone.

34 Il diario lirico di Alcyone
III libro delle Laudi: 88 liriche, composte tra 1899 e 1903 Libro che celebra l’estate, dal suo arrivo (Lungo l’Affrico), alla sua fine (Nella belletta) Narrazione sul piano reale collocata nello spazio e nel tempo: a giugno sui colli fiorentini, in luglio alla foce d’Arno, In agosto e settembre in Versilia trasfigurazione mitica: quell’estate è l’emblema della perenne trasformazione, del divenire Ermione (= la Duse) è la musa ispiratrice e interlocutrice

35 Fonti e riferimenti, elementi fondamentali
Ovidio, nume tutelare che presiede all’elaborazione (vedi Ditirambo II, l’Oleandro): personaggi mitologici, ninfe, divinità pagane in perenne trasformazione. Metamorfismo barocco Panismo: compenetrazione psicofisica con la vita della natura: poesia come VOCE DELL’INDISTINTO, il poeta parla da dentro il paesaggio, è fatto pioggia, pianta, calura) Poeta fatto Natura Natura fatta persona

36 POETICA DELLA IDENTIFICAZIONE PANICA
“Non ho più nome né sorte tra gli uomini:ma il mio nome /è Meriggio” La vita dell’essere umano diviene istintuale e si confonde con gli elementi naturali Nella natura compaiono figure paniche o mitologiche personificazione del luogo, dell’ora, della stagione, spesso femminili: con esse il poeta entra in un rapporto erotico (ansia di possesso del divino immanente)

37 Tempo, modalità Il tempo fugge e fa svanire le cose (nostalgia e perdita) Il tempo privilegiato per gli incontri con le figure paniche è il mezzogiorno, ora in cui secondo gli antichi si rendevano visibili gli spiriti della natura La modalità del rapporto con la Natura è l’erotismo o l’inseguimento. Trasforma le sensazioni provenienti dalla Natura in provocazione sessuale

38 Struttura di Alcyone secondo F. Gavazzeni
Dominata dalla contrapposizione nietszcheana apollineo/dionisiaco storia di un tentativo di accostamento al divino immanente scandita da una partizione (musicale, Wagner) in 4 sezioni, inframmezzate da 4 ditirambi (dionisiaco-drammatico). Il quarto, dedicato ad Icaro, simboleggia il fallimento: ad esso subentra l’autunno che Nietszche indicava come stagione propria della malinconia dell’uomo moderno privo di miti

39 : teatro e amori 1904: straordinario successo dell’opera teatrale La figlia di Iorio, in cui però non recita la Duse Relazione con la sportiva e dinamica Alessandra di Rudinì >>>>>>>>>>>>>>>>>>>>> (=Nike per il fisico statuario), figlia del presidente del consiglio, morfinomane in seguito a interventi chirurgici, abbandonata nel 1906 e divenuta suora nel 1911 Amori passionali, trasgressivi, incostanti (sperimentazione di diversi tipi di femminilità) : ancora teatro con La fiaccola sotto il moggio, La nave, Fedra Relazioni con Giuseppina Mancini (poi impazzita) e con Natalia de Goloubeff (russa). RINNOVARSI O MORIRE: prima esperienza di volo 1910: Forse che sì, forse che no (romanzo sul volo) Alessandra, ribattezzata Nike per il fisico statuario, era figlia del presidente del consiglio italiano in carica nel 1896, Antonio Starabba di Rudinì, e vedova del marchese Carlotti del Garda che era morto nel 1900 lasciandole due figli. Alessandra conobbe d'Annunzio e ne fu sedotta nel novembre del 1903; nell'inverno successivo la loro relazione divenne pubblica, tanto che la famiglia le tolse la potestà sui figli e ridusse la pensione del marito al minimo. Nel 1904 fu insediata alla Capponcina al posto della Duse. Diventata morfinomane in seguito ad alcuni interventi chirurgici durante i quali fu assistita da d'Annunzio, che chiese il divorzio dalla moglie per sposarla nel 1905, venne abbandonata nel Dopo la morte del fratello e dei figli, Alessandra prese il velo monacale nel 1911, unendosi alle suore carmelitane, fra le quali morì nel Il carteggio con l'amazzone Nike è raccolto in G. GATTI, Alessandra Di Rudinì e Gabriele d'Annunzio da carteggi inediti, Roma, Pinto, 1956.

40 Periodo francese ( ) Nel 1910 D'Annunzio fugge in Francia per evitare i creditori. L'arredamento della villa viene messo all'asta. A Parigi è noto, era stato tradotto da Georges Hérelle. Ciò gli permette di mantenere inalterato il suo dissipato stile di vita fatto di debiti e frequentazioni mondane. Pur lontano dall'Italia collabora al dibattito politico prebellico, pubblicando versi in celebrazione della guerra di Libia o editoriali per diversi giornali nazionali (in particolare per il Corriere) che gli concedono altri prestiti. Nel 1910 Corradini organizza il progetto dell'Associazione Nazionalista Italiana, al quale D'Annunzio aderisce inneggiando a una nazione dominata dalla volontà di potenza e opponendosi all' «Italietta meschina e pacifista».

41 Le faville del maglio (1911-1914)
Alludono alle scintille prodotte dal martello nell’officina della creazione poetica Si tratta di prose artistiche autobiografiche e autocelebrative C’è però anche angoscia, stile rapido e smozzicato

42 Il “volontario esilio”
Dopo il periodo parigino si ritira ad Arcachon, sulla costa Atlantica, dove si dedica all'attività letteraria in collaborazione con musicisti di successo (Mascagni, Débussy,...), compone libretti d'opera, soggetti per film (Cabiria).

43 Cabiria (1914) primo kolossal del cinema delle origini, girato da Giovanni Pastrone. Con astuta strategia promozionale egli ingaggia d’Annunzio, che redige le cosiddette "didascalie vergate" e diede i nomi ai personaggi per un compenso di lire in oro. Il film viene però presentato in sala come CABIRIA / Visione storica del III secolo a.C. / Film di Gabriele d’Annunzio, ottenendo un successo enorme. Accanto a varie innovazioni tecniche, Cabiria dà forma visiva a una certa retorica colonialista; la figura di Maciste (interpretato da Bartolomeo Pagano) si inserisce nel superomismo di alcune opere di d’Annunzio.

44 Altri film Normalmente la sua retribuzione è di circa quattromila lire a film A partire dal 1911 vengono tratti, da altrettante opere dannunziane, numerosi film, fra cui: La Gioconda, La nave (due lungometraggi, il primo del 1912 e il secondo del 1921), La fiaccola sotto il moggio, La figlia di Jorio e L'innocente (due lungometraggi usciti rispettivamente nel 1911 e nel 1976)

45 Il rientro in Italia (1915-1918)
Nel 1915 ritorna in Italia, con i debiti pagati dalla monarchia. conduce da subito una intensa propaganda interventista (discorso di Quarto, 4 maggio 1915) Con l'entrata in Guerra dell'Italia, il 24 maggio 1915 (il cosiddetto "maggio radioso"), D'Annunzio si arruola volontario e partecipa ad alcune azioni dimostrative navali ed aeree. Per un periodo risiede a Cervignano del Friuli per essere vicino al Comando della III Armata, il cui comandante è Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d' Aosta, suo amico ed estimatore.

46 Il notturno Nel gennaio del 1916, costretto a un atterraggio d'emergenza, subisce una lesione all'altezza della tempia e dell'arcata sopraccigliare, urtando contro la mitragliatrice del suo aereo. Non cura la ferita per un mese e ciò lo porta alla perdita dell’occhio destro. Nella convalescenza, immobile e al buio per poter salvare l’occhio sinistro, è assistito dalla figlia Renata, la Sirenetta. Compone il Notturno utilizzando delle sottili strisce di carta (cartigli) che gli permettono di scrivere nella più completa oscurità. L'opera viene pubblicata nel 1921 e contiene una serie di ricordi e di osservazioni caratterizzati da Frammentismo Paratassi Brevità Lirismo visionario Ricerca di autenticità Interiorità

47 Osare l’inosabile ( ) Contro i consigli dei medici, partecipa ad azioni belliche aeree e di terra: Incursioni aeree su Pola (suo il grido di guerra EIA EIA EIA ALALA’) La BEFFA DI BUCCARI (incursione notturna di tre motosiluranti = MAS nella baia di Buccari, in Croazia, per silurare alcune navi austriache). D’Annunzio conia il motto “Memento audere semper” La beffa di Buccari fu l’incursione da parte di tre motosiluranti nella baia di Buccari, nei pressi di Fiume, dove si trovavano ormeggiate le navi da guerra austriache. Tutta l’operazione dimostrò la possibilità di penetrare il sistema difensivo austriaco e fu resa ancor più “epica” dal fatto che le motosiluranti non disponevano dell’autonomia necessaria. Furono dunque rimorchiate con cacciatorpediniere. Al comando della spedizione fu Costanzo Ciano (padre di Galeazzo) e con lui D’Annunzio e Luigi Rizzo, l’affondatore della Viribus Unitis e della Santo Stefano. Gli italiani si limitarono a silurare un grosso piroscafo, ma si allontanarono indisturbati e senza danni solo dopo aver lanciato in mare tre bottiglie sigillate in cui era contenuto un messaggio agli austriaci divenuto celeberrimo: “In onta alla cautissima flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre pronti sempre a Osare l’inusabile. E un buon compagno, ben noto - il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro - è venuto con loro a beffarsi della taglia”. Per l’Italia uscita da Caporetto uno sprone a rimettersi in piedi e a ricacciare gli austriaci dai nostri confini. Ancora oggi Buccari viene ricordata per la beffa della notte fra il 10 e l’11 febbraio del Fu proprio in quella occasione che Gabriele D’Annunzio coniò il motto, utilizzando la sigla dei mezzi, che diverrà il motto dei Mas e che ancora oggi è il motto delle forze veloci costiere italiane: “Memento audere semper”, “Ricordati di osare sempre”. note

48 Osare l’inosabile ( ) 9 agosto 1918: volo su Vienna, con lancio di manifestini che invitano alla resa.

49 Il volo su Vienna VIENNESI!
Imparate a conoscere gli italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà. Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d'odio e d'illusioni. Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l'uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s'è volto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell'Ucraina: si muore aspettandola. POPOLO DI VIENNA, pensa ai tuoi casi. Svegliati! LUNGA VITA ALLA LIBERTÀ! LUNGA VITA ALL'ITALIA! LUNGA VITA ALL'INTESA! Gli SVA lanciarono manifestini alla quota di 800 metri. Il volo su Vienna del 9 agosto1918 fu una trasvolata compiuta da 11 Ansaldo S.V.A. dell'87a squadriglia, detta la Serenissima. Dieci erano monoposto, pilotati da Antonio Locatelli, Girolamo Allegri, Censi, Aldo Finzi, Massone, Granzarolo, Sarti, Arturo Ferrarin, Masprone e Contratti ed un biposto pilotato dal Capitano Natale Palli. Il Maggiore Gabriele d'Annunzio, comandante della Squadra Aerea S. Marco, era nell'abitacolo anteriore. Il volo era stato progettato dallo stesso D'Annunzio, più di un anno prima, ma difficoltà tecniche, legate soprattutto al problema dell'autonomia degli apparecchi per un volo di mille chilometri, avevano indotto il Comando Supremo dapprima a negare il consenso e poi a ordinare delle prove di collaudo. Il 4 settembre del 1917 D'Annunzio aveva compiuto un volo di dieci ore senza particolari problemi, così l'autorizzazione necessaria all'impresa arrivò sotto forma di un bizzarro messaggio che avrebbe voluto attingere al dannunzianesimo (moda dell'epoca): « Il volo avrà carattere strettamente politico e dimostrativo; è quindi vietato di recare qualsiasi offesa alla città ... Con questo raid l'ala d'Italia affermerà la sua potenza incontrastata sul cielo della capitale nemica. Sarà vostro Duce il Poeta, animatore di tutte le fortune della Patria, simbolo della potenza eternamente rinnovatrice della nostra razza. Questo annunzio sarà il fausto presagio della Vittoria » Un primo tentativo venne compiuto il 2 agosto, ma a causa della nebbia i 13 apparecchi che vi parteciparono dovettero rinunciare. Un secondo tentativo si compì l'8 agosto, ma il vento contrario fece rinunciare anche questa volta. Finalmente la mattina del 9 agosto, alle ore 05:50, dal campo di aviazione di San Pelagio (Due Carrare - Padova) si partì con undici apparecchi. I velivoli di Ferrarin, Masprone e Contratti dovettero atterrare non appena partiti, mentre Sarti fu costretto ad atterrare per noie al motore, posandosi sul campo di Wiener-Neustadt ed incendiò lo S.V.A. prima della cattura. Gli altri sette compirono l'impresa, giunsero su Vienna alle 9:20 lanciando copie di un manifestino in italiano preparato da D'Annunzio che recitava: « In questo mattino d'agosto, mentre si compie il quarto anno della vostra convulsione disperata e luminosamente incomincia l'anno della nostra piena potenza, l'ala tricolore vi apparisce all'improvviso come indizio del destino che si volge. Il destino si volge. Si volge verso di noi con una certezza di ferro. È passata per sempre l'ora di quella Germania che vi trascina, vi umilia e vi infetta. La vostra ora è passata. Come la nostra fede fu la più forte, ecco che la nostra volontà predomina e predominerà sino alla fine. I combattenti vittoriosi del Piave, i combattenti vittoriosi della Marna lo sentono, lo sanno, con una ebrezza che moltiplica l'impeto. Ma, se l' impeto non bastasse, basterebbe il numero; e questo è detto per coloro che usano combattere dieci contro uno. L'Atlantico è una via che già si chiude; ed è una via eroica, come dimostrano i nuovissimi inseguitori che hanno colorato l'Ourcq di sangue tedesco. Sul vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà, non siamo venuti se non per la gioia dell'arditezza, non siamo venuti se non per la prova di quel che potremo osare e fare quando vorremo, nell'ora che sceglieremo. Il rombo della giovane ala italiana non somiglia a quello del bronzo funebre, nel cielo mattutino. Tuttavia la lieta audacia sospende fra Santo Stefano e il Graben una sentenza non revocabile, o Viennesi. Viva l'Italia! » Il testo di D'Annunzio venne giudicato mancante di efficacia, nonché impossibile da rendere correttamente in tedesco, da Ferdinando Martini che così commentò:  « Quando D'Annunzio fece le sue prime prove come soldato, la gente, poco fidando nel suo valore o nella sua bellica abilità, disse: "Scriva e non faccia". Ora io dico di lui, dopo altre molte prove: "Faccia e non scriva" »  Furono perciò lanciate anche copie di un secondo e più pratico, manifestino scritto da UgoOjetti e tradotto in tedesco: VIENNESI! Imparate a conoscere gli italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà. Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d'odio e d'illusioni. Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l'uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s'è volto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell'Ucraina: si muore aspettandola. POPOLO DI VIENNA, pensa ai tuoi casi. Svegliati! LUNGA VITA ALLA LIBERTÀ! LUNGA VITA ALL'ITALIA! LUNGA VITA ALL'INTESA! Un comunicato ufficiale del Comando Supremo riportò: « Zona di guerra, 9 agosto Una pattuglia di otto apparecchi nazionali, un biposto e sette monoposti, al comando del maggiore D'Annunzio, ha eseguito stamane un brillante raid su Vienna, compiendo un percorso complessivo di circa chilometri, dei quali oltre 800 su territorio nemico. I nostri aerei, partiti alle ore 5:50, dopo aver superato non lievi difficoltà atmosferiche, raggiungevano alle ore 9:20 la città di Vienna, su cui si abbassavano a quota inferiore agli 800 metri, lanciando parecchie migliaia di manifesti. Sulle vie della città era chiaramente visibile l'agglomeramento della popolazione. I nostri apparecchi, che non vennero fatti segno ad alcuna reazione da parte del nemico, al ritorno volarono su Wiener-Neustadt, Graz, Lubiana e Trieste. La pattuglia partì compatta, si mantenne in ordine serrato lungo tutto il percorso e rientrò al campo di aviazione alle 12:40. Manca un solo nostro apparecchio che, per un guasto al motore, sembra sia stato costretto ad atterrare nelle vicinanze di Wiener-Neustadt. »  In effetti non vi fu reazione da parte delle forze austroungariche: solo due caccia austriaci che avevano avvistato la formazione si affrettarono ad atterrare per avvertire il comando, ma non furono creduti. L'impressione che questo raid produsse in Italia e nel mondo fu enorme. A Roma fu lanciata la proposta d'incoronare D'Annunzio sul Campidoglio, ma egli rifiutò. Il ritorno avvenne dopo poco più di 7 ore e mille chilometri di volo, sempre allo stesso aeroporto di partenza. Il valore propagandistico dell'impresa fu soprattutto a uso interno italiano, mentre l'episodio fu militarmente irrilevante. L'episodio fece molta impressione anche a Vienna. I manifestini vennero gelosamente conservati dai viennesi, tanto più in un momento in cui c'era forte penuria di alimenti e tanta sfiducia nelle sorti della guerra. Il sorvolo di D'Annunzio creava ulteriori apprensione da parte dei viennesi, che oltre ai problemi interni, sentivano arrivare dal fronte di guerra le voci del malcontento dei loro soldati.

50 La vittoria mutilata Al volgere della guerra, D'Annunzio si fa portatore di un vasto malcontento, insistendo sul tema della "vittoria mutilata" (mancata annessione all’Italia dei territori sull’altra sponda dell’Adriatico) e chiedendo il rinnovamento della classe dirigente in Italia. La stessa onda di malcontento trova un sostenitore in Benito Mussolini, che nel 1924 avrebbe portato all'ascesa del fascismo in Italia.

51 Penultima ventura (1919-1920) L’impresa di Fiume
Nel 1919 organizza un clamoroso colpo di mano paramilitare, guidando una spedizione di "legionari", partiti da Ronchi di Monfalcone, all'occupazione della città di Fiume, che le potenze alleate vincitrici non avevano assegnato all'Italia. Con questo gesto D'Annunzio, interpretando l’ansia rivoluzionaria che pervade l’Europa del dopoguerra, raggiunge l'apice del processo di edificazione del proprio mito personale e politico.

52 L'11 e 12 settembre 1919: Fiume, occupata dalle truppe alleate, chiede di essere annessa all'Italia. D'Annunzio con una colonna di volontari la occupa, decretandone l’annessione all’italia, e vi instaura il comando del "Quarnaro liberato". Il 12 novembre 1920 viene stipulato il trattato di Rapallo: Fiume diventa città libera, Zara passa all'Italia. Ma D'Annunzio non accetta l'accordo e il governo italiano, il 26 dicembre 1920, fa sgomberare i legionari con la forza.

53 Permanenza al Vittoriale (1921-1938)
Deluso dall'esperienza da attivista, si ritira in un'esistenza solitaria nella sua villa di Gardone Riviera, il Vittoriale degli Italiani. Qui lavora e vive fino alla morte insieme alla pianista Luisa Baccara, curando con gusto teatrale un mausoleo di ricordi e di simboli mitologici di cui la sua stessa persona costituisce il momento di attrazione centrale. Il Vittoriale degli italiani si trova a Gardone Riviera, sul lago di Garda. Gabriele D'Annunzio prima di morire la donò al popolo italiano. Il suo progetto si deve all'architetto Giancarlo Maroni, i lavori di trasformazione dell'abitazione originaria iniziarono nel 1921 e durarono oltre la morte del poeta. Nel 1925 venne dichiarato monumento nazionale. Occupa un terreno molto vasto di nove ettari in cui si trova un complesso di edifici, piazze, viali e fontane fra cui la casa del poeta detta la Prioria, il Museo della Guerra, il Mausoleo, il MAS che effettuò la Beffa di Buccari, la nave Puglia donatagli dalla Marina italiana ed incastonata sul fianco della collina, un auditorium in cui è custodito l'aeroplano con il quale lo scrittore compì il famoso volo su Vienna, il teatro all'aperto costruito ispirandosi ai modelli dell'antichità che può ospitare 1500 persone ed è stato inaugurato nel 1953 con l'Orchestra del Teatro alla Scala, da allora ospita nei mesi di luglio e agosto una ricca stagione di spettacoli il Festival d'Estate. La Fondazione del Vittoriale degli Italiani è aperta al pubblico ed è visitata da persone l'anno. L'interno della villa è suddiviso in: Giardini del Vittoriale Museo di Guerra Villa I giardini I giardini del Vittoriale sono molto estesi, coprono il 50% circa del Vittoriale, al suo interno c'è la tomba di Maria d'Annunzio, verso il lago è stata montata su un pendio la prua della nave militare "Puglia", che al suo interno ospita un museo con modellini di nave con tutte le caratteristiche. Salendo troviamo il monumento dove sono custoditi i caduti del natale di sangue e circondato da tre cinta di mura il mausoleo che custodisce la salma di D'Annunzio. La villa Chiamata Prioria, la villa di D'Annunzio contiene più di libri, la maggior parte ancora da aprire. Tutte le stanze sono caratterizzate dalla penombra, poiché la luce diretta dava fastidio al poeta che soffriva di fotofobia. All'ingresso sono presenti due stanze una per gli ospiti indesiderati e una per per gli ospiti desiderati. Continuando si trova lo studio del poeta, che vi morì il 1 marzo 1938: sulla scrivania sono ancora presenti gli occhiali di D'Annunzio. Forse la stanza più suggestiva è quella dove il poeta si ritirava a meditare, piccola, ma molto ricca di oggetti: il letto ricorda nella forma una culla, rappresentante la nascita e l'infanzia, e al contempo ricorda anche una bara, simbolo invece di morte. La sala da pranzo era caratterizzata da una tartaruga a capotavola ed è curioso notare come D'Annunzio dicesse ai suoi ospiti che quella tartaruga era morta di indigestione; un modo tutto particolare per invitare gli ospiti a mangiare di meno... Nella casa c'è una stanza, lo studio del Poeta detto "Officina" con tre scalini e per accedervi bisogna piegarsi onde evitare il basso architrave della porta: ciò per obbligare l'ignaro visitatore ad inchinarsi al cospetto del luogo dove si respirava arte e lavoro. Da notare come sia l'unica stanza dove la luce diurna entri liberamente. La stanza da letto, chiamata della "Leda", da un grande gesso posto sul caminetto, è caratterizzata invece dalla presenza di numerosi oggetti di origine esotica: sete persiane, maioliche cinesi e piatti arabo-persiani. Il bagno è in stile francese e viene soprannominato anche bagno blu, per via del colore prevalente nell'arredamento composto da più di 600 oggetti.

54 Vittoriale “esilio dorato”
D’Annunzio “postero di se stesso” 1926: Arnoldo Mondadori pubblica l’opera omnia

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57 D’Annunzio al Vittoriale con i suoi levrieri

58 Il gioco delle parti L'ascendente regime fascista lo celebra come uno dei massimi e più fecondi letterati d'Italia, Mussolini gli attribuisce riconoscimenti e ne asseconda i capricci ma lo tiene a distanza come pericoloso antagonista. D’A. non condivide la marcia su Roma, poi però accetta il ruolo di precursore del regime, di cui esalta l’impresa di Etiopia, ma ne critica la volgarità e la goffaggine.

59 Muore nella sua villa il 1º marzo 1938 in circostanze misteriose
Muore nella sua villa il 1º marzo 1938 in circostanze misteriose. Il regime fascista fa celebrare in suo onore i funerali di stato. Il certificato medico di morte, redatto dal dottor Alberto Cesari, primario dell’ospedale di Salò, e dal dottor Antonio Duse, medico curante del poeta, reca come causa (naturale) del decesso "emorragia cerebrale". Qualcuno ha avanzato l'ipotesi che D'Annunzio possa essersi accidentalmente avvelenato con uno dei farmaci che usava per curare numerose malattie psicosomatiche e nevrosi che lo affliggevano, o che, affascinato dall'idea del suicidio (nel Libro Segreto si legge un elogio del suicidio, da lui considerato una atto degno di un uomo coraggioso) possa averlo fatto volontariamente, magari come l'ultimo atto della sua concezione di vita: il poeta fu trovato con la testa appoggiata su un almanacco "Barbanera" che annunciava, nel lunario, per il 1 marzo 1938, la morte di una personalità, e la previsione era sottolineata in rosso. Tutto questo sarebbe stato occultato da Mussolini e dai gerarchi che intendevano trasformare la cerimonia religiosa (che altrimenti non sarebbe stata concessa ad un suicida) del funerale, come avvenne, in una grande occasione di celebrazione per il regime. Il regime non fece mai conoscere la causa della morte di d'Annunzio. Dopo il ventennio si fece strada la storia che il poeta fosse stato ucciso dal suo pianista che lo avrebbe spinto fuori dalla finestra. Mussolini visita il Vittoriale nell’ anniversario della morte di D’Annunzio

60 Onorificenze e titoli nobiliari
Principe di Montenevoso Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia «Conferita con Regio Decreto n. 72 del 1918» 3 giugno 1918 Ufficiale dell'Ordine Militare d'Italia «Conferita con Regio Decreto n. 87 del 1918» 10 novembre 1918

61 Neologismi fu lui a privilegiare in Italia, tra le tante varianti che allora si usavano, la parola "automobile", in origine di genere maschile. italianizzò il sandwich chiamandolo tramezzino. Velivolo e folla oceanica sono espressioni che introdusse lo stesso Vate.

62 Il pubblicitario il nome La Rinascente, per i grandi magazzini di Milano, fu da lui suggerito. I “magazzini Bocconi" furono distrutti da un incendio che ne bloccò per un certo periodo l'attività. In occasione della riapertura, l'esercizio commerciale venne ribattezzato La Rinascente. per la famiglia di industriali Caproni, pionieri del volo, coniò il motto, scritto sopra a un caprone rampante: "Senza cozzar dirocco". fu testimonial dell'Amaro Montenegro e dell' Amaretto di Saronno. D'Annunzio lanciò una propria linea di profumi, l'Acqua Nunzia. coniò il nome Saiwa per la famosa azienda di biscotti. Coniò inoltre il termine "fraglia“( "fratellanza" + "famiglia“), che indica oggi molte associazioni veliche, tra cui la Fraglia della Vela di Riva del Garda

63 Frasi di politici celebri su D’Annunzio
D’Annunzio è il dente cariato d’Italia: o strapparlo o ricoprirlo d’oro  (Benito Mussolini) C'è un solo uomo in Italia, capace di fare la rivoluzione. D'Annunzio  (Lenin agli emissari europei comunisti a Mosca)

64 "Fu un grande poeta Gabriele D'Annunzio, il cui vero nome per inciso era Rapagnetta? E' difficile dirlo, perché le sue opere sono ancora troppo fresche per noi che siamo suoi contemporanei. Forse converrà piuttosto parlare della sua figura di uomo che si mescola con la figura dell'artista. Innanzitutto fu un vate. Amò il lusso, la mondanità, la magniloquenza, l'azione.

65 Fu un grande decadente, dissolutore delle regole morali, amante della morbosità e dell'erotismo. Dal filosofo tedesco Nietzsche desunse il mito del superuomo ma lo ridusse a una visione della volontà di potenza di ideali estetizzanti destinati a comporre il caleidoscopio colorato di una vita inimitabile. Fu interventista nella grande guerra, convinto nemico della pace fra i popoli. Visse imprese bellicose e provocatorie come il volo su Vienna, nel 1918, quando lanciò manifestini italiani sulla città. Dopo la guerra organizzò un'occupazione della città di Fiume, dalla quale fu successivamente sloggiato dalle truppe italiane. Ritiratosi a Gardone, in una villa da lui chiamata Vittoriale degli Italiani, vi condusse una vita dissoluta e decadente, segnata da amori futili e da avventure erotiche.

66 Guardò con favore al fascismo e alle imprese belliche
Guardò con favore al fascismo e alle imprese belliche. Fernando Pessoa lo aveva soprannominato " assolo di trombone", e forse non aveva tutti i torti. La voce che di lui ci giunge non è infatti il suono di un delicato violino, ma la voce tuonante di uno strumento a fiato, di una tromba squillante e prepotente. Una vita non esemplare, un poeta altisonante, un uomo pieno di ombre e di compromessi. Una figura da non imitare, ed è per questo che lo ricordiamo. Firmato Roxy». Necrologio scritto dal personaggio Monteiro Rossi, nel libro di Antonio Tabucchi "Sostiene Pereira", Feltrinelli, 1994

67 Nella VITA Nell’ARTE D’Annunzio ESTETA abbondanza versatilità
Nell’ARTE Nella VITA abbondanza versatilità Condotta come su un palcoscenico Letterato-Divo Ha sperimentato tutti i generi letterari propri del Decadentismo Ha attribuito ai suoi carmi tutti i sentimenti poetici e le funzioni della poesia Parola-sensazione Vive tutte le forme di una vita eccezionale solleticando gli umori antidemocratici ed elitari della piccola borghesia impaurita dall’idea di uguaglianza propugnata da movimento operaio e socialista La forma si fa contenuto


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