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L’età di mezzo fra progetto e dispersione

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Presentazione sul tema: "L’età di mezzo fra progetto e dispersione"— Transcript della presentazione:

1 L’età di mezzo fra progetto e dispersione
Adolescenza L’età di mezzo fra progetto e dispersione

2 Fasi dell’Adolescenza
10/12 ↔ 14 anni: prima adolescenza o pubertà* 15 ↔ 17 anni: media adolescenza 18 ↔ 20: tarda adolescenza 21 ↔ 24: post-adolescenza 20…: adolescenza lunga (o «gioventù»): a stabilire la «fine» dell’adolescenza sono anche le circostanze sociali e gli «impegni di realtà» che l’adolescente si assume. *Pubertà e adolescenza si riferiscono a fasi evolutive diverse. La pubertà è il periodo dei cambiamenti fisici che permettono di iniziare a procreare; l’adolescenza è il periodo di transizione psicologica e sociale tra l'infanzia e l'età adulta.

3 Il compito dell’adolescenza è la scoperta di sé, della propria identità in quanto autonoma e indipendente. ↓ autonomia vs dipendenza Gli adolescenti hanno bisogno di tutto il loro «voler vivere» per morire all’infanzia e nascere alla vita adulta (Dolto)

4 → Solo in quanto indipendenti possiamo sperimentare l’intimità e la capacità di amare.
→ passaggio dalla «dipendenza immatura» (basata sull’identificazione «simbiotica») all’indipendenza o, meglio, alla «dipendenza matura» (Fairbairn), basata sulla reciprocità, sull’ «oblatività»; → passaggio dal logica del bisogno alla logica del desiderio

5 → passaggio dall’altro in quanto fascio di proiezioni all’altro in quanto qualcosa di reale e diverso da me.

6 In adolescenza vi è un grande uso della «proiezione» di parti di sé accettate o nascoste-rifiutate (aspetti ammirati/deprecati nell’amico/a, simpatie/antipatie, odio/pietà, idolatria del cantante di successo/disprezzo del diverso…) Nel «gioco» di proiezione di aspetti di Sé nella loro riappropriazione vi è una crescita del Sé, un prendere contatto con possibilità emotive che ancora non si erano riconosciute come proprie. Il grande cambiamento nei gusti e nell’abbigliamento dei giovani fra i 13 e i 15 anni può indicare il bisogno di esplorare per capire cosa sia “meglio” essere (Waddell).

7 Naturalmente, non tutto è proiezione
Naturalmente, non tutto è proiezione! Vi è anche un’autentica ricerca di un «altro», diverso dalle figure genitoriali, con cui relazionarsi in modo maturo. L’investimento affettivo dell’amico/a del cuore è un misto di fusionalità e oblatività. Ecco perché l’amicizia tradita è la prova più importante della pubertà. Se gli amici tradiscono, dopo aver investito tanto su di essi come dimensione altra dal nucleo familiare, ci si sente come spossessati (Dolto).

8 Quindi: la sperimentazione e la ricerca di sé nel contesto sociale, anche se provvisorie e confuse, non è solamente un mero «fare esperienza», ma rappresenta un vero e proprio terreno in cui si provano parti di sé, in cui si testano i propri affetti, si capisce chi si è nello sperimentare emozioni e vissuti congruenti o non congruenti con il proprio Sé. Ciò rappresenta l’occasione per un autentico apprendimento e scoperta di sé.

9 Ecco perché il gruppo e i rapporti sociali sono importantissimi per l’adolescente, che ha modo di mettersi in gioco, sperimentarsi, conoscersi. Se il bambino è interessato a conoscere il «perché» dei comportamenti dei personaggi quando gli si racconta una storia, l’adolescente è interessato a conoscere sé in relazione agli altri.

10 E. Erikson aveva evidenziato che l’adolescente si muove fra ricerca dell’identità e dispersione
→ con l’adolescente ci si muove spesso al limite fra esperienza come qualcosa di costruttivo e esperienza come qualcosa di confusivo e caotico. L’alcool e la droga rappresentano modi per non accedere a un Sé pensante ma anche, entro certi limiti, modi di esplorare. Il problema principale sta nella differenza fra “troppo” e “troppo poco”: fino a che punto l’esplorazione di sé diventa ossessione? Fino a che punto il masochismo diventa automutilazione? Fino a che punto il gruppo di appoggio diventa una banda sovversiva? Fino a che punto la mischia adolescenziale diventa noia e indifferenza fino a che punto la preoccupazione per la sessualità diventa timore e ostilità per l’omosessualità? (Waddell)

11 Ai margini di ogni gruppo c’è un ragazzo depresso o una fanciulla depressa che tenta il suicidio; allora l’intero gruppo manifesta un umore depresso e sta “con” quello che fa il tentativo di suicidio. Ma in un altro momento un altro membro del gruppo rompe una finestra senza nessun motivo e tutto il gruppo sta con lui. Se poi un altro fa irruzione con dei compagni in un negozio e ruba sigarette, o fa qualcosa che attira l’attenzione della legge, tutto il gruppo sta con questo che viola la legge. Eppure si può dire che, nell’insieme, i ragazzi e le ragazze appartenenti a questo gruppo supereranno la situazione senza suicidio, senza delitto, senza violenza e senza furto. In altre parole, mi pare che gli adolescenti […] usino gli individui malati ai argini del gruppo per dare realtà alla propria sintomatologia potenziale (Winnicott, 1965).

12 L’adolescenza è un periodo di ri-strutturazione della personalità
→ L’adolescenza rappresenta l’ultima fase dell’età evolutiva: si può dire che un individuo diventa adulto in uscita dalla fase adolescenziale. Pertanto, l’adolescenza consente un vero e proprio «rimaneggiamento» di quegli affetti che si erano consolidati nelle prime fasi dello sviluppo. → l’adolescenza è essa stessa una… psicoterapia!

13 → psicoanaliticamente, poi,
l’adolescenza non è solo una fase dello sviluppo, ma una «funzione» che tutti abbiamo, una possibilità di «funzionare» in un certo modo;

14 il modo che ciascuno ha di rapportarci agli adolescenti dipende da si è vissuta la propria adolescenza. La grande minaccia che ci viene dall’adolescente è la minaccia verso quella parte di noi stessi che non ha veramente avuto la propria adolescenza. Questa parte di noi stessi ci rende risentiti verso queste persone che possono permettersi di avere una loro fase di bonaccia e ci spinge a trovare una soluzione per loro. (Winnicott, 1964)

15 Fino a 10-11 il bambino è parte della famiglia
Fino a il bambino è parte della famiglia. L’adolescente è un abitante del Mondo, si confronta con la Realtà intera, non solo esternamente ma anche internamente: è in grado di porsi i grandi dilemmi esistenziali. Per permettere il passaggio verso l’adolescenza, le società tradizionali utilizzavano dei «riti di passaggio» che facevano uscire il soggetto da un mondo e lo immettevano in un altro, quello adulto. Osserva la Dolto che oggi che non ci sono più modelli, i riti di passaggio non hanno senso, ma forse possono essere sostituiti dai progetti.

16 L’adolescente cessa di credere che esistano dei confini circoscritti che gli dicano qual è la sua collocazione nel mondo; deve decidere lui chi o cosa egli è. L’adolescente si assume, cioè, il peso e la responsabilità della propria identità, deve ri-trovarsi ma a partire non dal suo ruolo di figlio, ma dal suo essere un abitante del mondo, confrontandosi con l’intera Realtà che ormai pulsa in lui. L’adolescente è impegnato nel tentativo di trovare il proprio Sé, cui essere fedele […] la lotta per l’identità, la lotta per sentirsi reali, la lotta per non adeguarsi a un ruolo assegnato da un adulto. (Winnicott, 1964)

17 Per tale ragione c’è un profondo desiderio adolescenziale di «non essere capiti» (Winnicott).
Infatti, l’essere capiti comporterebbe un «essere nelle mani» di chi ci capisce, un non avere un proprio essere separato, un proprio spazio, un proprio silenzio. Il mantenimento geloso dell’intimità fa parte della ricerca di identità. Ogni profondo pensatore teme più l’essere compreso che l’essere frainteso (F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, § 290). Per l’adolescenza vale il seguente motto: chi fa domande può aspettarsi bugie (Winnicott).

18 …dobbiamo chiederci anzitutto se i ragazzi e le ragazze adolescenti desiderano essere capiti. Credo che la risposta sia: no. In effetti gli adulti dovrebbe tenere per sé ciò che arrivano a capire dell’adolescenza. Sarebbe assurdo scrivere un libro per gli adolescenti sull’argomento dell’adolescenza, perché questo è un periodo della vita che deve essere vissuto. È essenzialmente un momento di scoperta personale. Ogni individuo è impegnato in una esperienza di vita, in un problema di esistenza e nella formazione di una identità. Esiste in realtà solo una vera cura per l’adolescenza. La maturazione. Questa è il trascorrere del tempo avranno come esito finale l’emergere della persona adulta. Il processo non può essere accelerato, ma può essere interrotto e distrutto da un intervento maldestro. (Winnicott, 1964)

19 Il ragazzo non è però ancora pronto per entrare nel mondo degli adulti; allora si trincera dietro le difese perché vuole difendere il proprio sentirsi reale. La realtà, con la quale è in grado di confrontarsi solo parzialmente, rischia infatti di invaderlo, di sovrastarlo… Anche gli “aggregati” adolescenziali, che non sono veri e propri gruppi, in cui l’apparire tutti uguali dà forma alla crisi di identità, sembrano sottolineare la solitudine essenziale di ciascuno. Il processo di socializzazione scorre tra solitudine e ripetuti tentativi di adattamento evitando il conformismo, piuttosto introducendo la capacità adulta di identificarsi con gli aspetti positivi della realtà senza sacrificare troppo di sé. Si tratta della capacità di essere se stessi senza diventare antisociali.

20 Si tenga presente anche che verso i 10 anni compare il pensiero formale, la capacità di pensare per concetti astratti (Piaget). L’adolescente, dotato di questi strumenti cognitivi, conferisce agli affetti un’ampiezza di significato che non avevano nell’infanzia. L’odio, l’indifferenza, la pietà, l’amicizia ecc. diventano categorie universali con le quali l’adolescente deve confrontarsi in tutta la loro potenza.

21 Nell’adolescenza c’è l’accesso a un nuovo mondo immaginario (Dolto)

22 la prima vita immaginaria ha inizio verso i tre-quattro anni, è rivolta a persone del gruppo familiare. A meno che non ci siano gravi episodi, come la guerra, i bambini si rapportano al mondo esterno per quanto loro ne deriva da ciò che dicono i genitori. I bambini condividono le opinioni del padre. Quando si genera dissenso fra i genitori, per i bambini è difficile farsi un’opinione autonoma e i problemi si appaleseranno dopo gli 11 anni. Tutte le trame affettive (il papà a cui non si vuole bene perché ha divorziato dalla mamma, la nonna a cui si vuole bene…) che turbano la vita del bambino fra i 9 e gli 11 anni esplodono dopo gli 11 anni, quando il bambino entra nel suo secondo immaginario. Egli continua a percepire la famiglia come valore-rifugio, ma si impegna a realizzarsi nella società. Il risveglio dell’immaginario si compie nel mondo esterno, al di là della famiglia.

23 Le «fiamme» emotive che erano per il bambino più piccolo abbastanza ben contenute all’interno di meccanismi consolidati e riferite a persone e situazioni tutto sommato circoscritte (genitori, scuola, coetanei, giochi) (a meno che non verifichino lutti o perdite) esplodono nell’adolescenza dove tutto viene rimesso in discussione.

24 Vi è un’esplosione degli impulsi (sia da un punto di vista fisiologico che emotivo): l’adolescente è un leone fra leoni: ogni tanto aggredisce, ogni tanto è aggredito. C’è un circolare di affetti tendenzialmente «scissi», non in senso negativo, ma perché non integrati e non maturi. → Tale scissione è necessaria affinché quegli affetti facciano la loro comparsa sul palcoscenico della vita mentale in tutta la loro forza. Ma d’altra parte la maturazione e l’integrazione degli affetti che si basa su un proprio senso di identità profondo è lo scopo dell’adolescenza!

25 Il contenimento dell’esplosione degli impulsi dipende da una serie di circostanze, in particolare dai contenimenti iniziali (infantili), dalla stabilità che si è sperimentata durante il periodo dell’infanzia, dalle pressioni interne e esterne con cui il giovane si deve misurare (Waddell).

26 Ernst Jones (1922) scriveva che durante la pubertà si ha una regressione verso l’infanzia e un ripercorrere, su un piano diverso, quanto avvenuto nei primi cinque anni. Ciò significa che nel secondo decennio della sua esistenza l’individuo riepiloga ed espande lo sviluppo dei primi cinque anni. Riemergono, quindi, i desideri sessuali e aggressivi e il modo in cui sono stati controllati. Solo che ora c’è la possibilità concreta di mettere in atto questi desideri!

27 In altre parole, vecchi conflitti, soprattutto quelli della prima infanzia […] vengono rielaborati (nel contesto delle nuove pulsioni sessuali), e si tratta di conflitti che mettono alla prova la qualità del contenimento e dell’interiorizzazione originari. (Waddell)  L’adolescente deve letteralmente cambiare pelle, trasmutare, diventar altro (pur restando se stesso).

28 L’adolescenza spezza l’appartenenza del bambino al contesto familiare
L’adolescenza spezza l’appartenenza del bambino al contesto familiare. Tutte le acquisizioni e le conquiste passate devono essere «rigiocate» su un nuovo terreno, devono vagliate per capire se e in che modo possono essere utilizzate per la costruzione della propria identità. In alcuni casi si deve procedere a un vero e proprio distacco da identificazioni nelle quali ci si era riconosciuti nell’infanzia e che ora si scoprono non corrispondere più al proprio Sé. Si tratta di «tagliare» dei pezzi di identità!

29 Tale è la motivazione della cosiddetta «protesta adolescenziale»: l’adolescente deve liberarsi di quelle «identificazioni», profonde e parte del suo Io, che hanno fino a quel momento costituito la sua personalità. Ciò comporta anche una grande incertezza, di debolezza. Il rifiuto rabbioso dell’adolescente verso un aiuto da parte delle figure che gli stanno più vicine indica lo sforzo che egli fa per autonomizzarsi da esse.

30 Proprio perché gli affetti sono poco «mediati», l’adolescente manca di «pensiero politico»: gli affetti tendono a essere sia «agiti» sia «assolutizzati», invece che contenuti e «ragionati». “Agire” significa esattamente questo, in termini tecnici: la sostituzione del pensiero con l’azione per ridurre il conflitto interno (Waddell) I desideri sono scarsamente procrastinabili (difficile impedire a un adolescente l’uscita con gli amici), le delusioni sono abissali («non valgo niente; mi suicido»), il pensiero è «per principio» («gli uomini sono tutti egoisti»; «Dio non esiste»).

31 Il comportamento delinquenziale è un modo per “buttar fuori vapore”; secondo le statistiche è tipico dei 14 anni. Esso allevia la tensione degli impulsi sessuali e aggressivi. Inoltre, essendo un comportamento che probabilmente comporterà una punizione, allevia il senso di colpa inconscio. La delinquenza serve a prendere contatto e a sfidare non solo le figure di autorità reali, ma anche la proiezione su di queste di fantasmi di distruttività inconsci. Quindi è un modo per lenire questa distruttività inconscia (Waddell).

32 Lo stesso vale per la sessualità, che non è mera impulsività scissa, ma rapporto con la persona intera. Già per Freud l’adolescenza comportava l’unificazione delle due correnti principali dell’amore sessuale: la tenerezza e la sessualità Nei rapporti sessuali definiti liberi gli esseri non si incontrano. I corpi non sono nulla se non c’è amore e progetto […] L’amore con i contraccettivi è un amore in cui vale solo lo sguardo e non l’azione aperta al futuro. Oggi c’è solo la responsabilità di amare, senza che quest’amore possa avere conseguenze. Narciso non cerca una donna, ma si rivolge a se stesso. Quando una ragazza non piace, il ragazzo parla con i ragazzi delle ragazze che non gli piacciono e le ragazze fanno altrettanto. Scambi fugaci, onanismo a due… Credo che sia la stessa cosa per ragazzi e ragazze: una prima delusione sentimentale provoca una specie di ricaduta in un’omosessualità occasionale prepubere indotta da una società che non aiuta i giovani a diventare adulti. Ed è diventando responsabili che diventerebbero adulti invece che regredire in una preadolescenza narcisistica. (Dolto, 1988)

33 La non integrazione degli affetti contrastanti e la loro assolutizzazione fa sì che ci sia un’alternanza di vissuti di segno positivo (senso di onnipotenza e speranza per il proprio poter essere se stesso – a cui l’educatore si può collegare per costruire una progettualità) e di segno negativo (caratterizzati da stati depressivi profondi per il proprio «non-essere», senso di perdita per l’uscita dall’infanzia → L’uscita dall’infanzia causa sogni in cui si uccide o si è uccisi.

34 Quello della prima adolescenza in particolare, un periodo contraddistinto da una mancanza di empatia e da un comportamento sfrontato, con venature sadiche e dispregiative, anche in tema di sessualità. In tutte le letterature pedagogiche è presente la figura del «monello», quella che oggi chiameremmo il «bullo» …ho spesso la crudeltà del fanciullo, che con un sasso tappa la buca del formicaio (Pirandello, Dialoghi fra il Gran Me e il piccolo me) Tale mancanza di empatia può essere interpretata come un meccanismo volto a negare il «bambino bisognoso e infantile» che ancora abita nell’adolescente. Chi si separa non può provare nostalgia e benevolenza verso ciò da cui si separa.

35 La sfrontatezza, la mancanza di empatia e la tendenza all’agito del comportamento adolescenziale aveva fatto scrivere a Shakespeare questi versi: Vorrei che non ci fosse età di mezzo Fra i dieci e i ventitré anni O che la gioventù dormisse tutto questo intervallo; poiché non c’è nulla in cotesto tempo Se non ingravidare ragazze, vilipendere gli anziani, rubare e darsi legnate (W. Shakespeare, Il racconto d’inverno, cit. in Winnicott, 1964)

36 → L’adolescente oscilla fra narcisismo e perdita di sé, fra esaltazione e depressione, fra «totalità» (ideologia, totalitarismo, «fuga dalla liberta») e «assenza» (impossibilità di essere alcunché)

37 Il pensiero del suicidio è normale in adolescenza
Il pensiero del suicidio è normale in adolescenza. Il fatto che sia connesso a un senso di onnipotenza (Dolto) testimonia che esaltazione e depressione sono due facce della stessa medaglia. Il desiderio di suicidio è normale, quello di arrivare veramente a compierlo è morboso. Il confine fra i due è molto delicato. Nessun giovane può superare l’adolescenza senza avere pensieri di morte. Occorre dar modo all’adolescente di tematizzare la morte del corpo perché acceda al desiderio del corpo e ai valori dello spirito. Dare una medicina che impedisca al giovane di pensare al suicidio significa drammatizzare, come se colui che la prescrive avesse paura di essere il complice di un eventuale suicidio del giovane. Parlare di morte è importante. La morte fa vivere Lancaster, in un’opera del 1898, ha analizzato 200 biografie di personaggi famosi, le turbolenze ecc. Pare che nessuno sia sfuggito al pensiero del suicidio, anche se poi ha teso a negarlo in età adulta.

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41 Lettera A Boddah Vi parlo dal punto di vista di un sempliciotto un po' vissuto che preferirebbe essere uno snervante bimbo lamentoso. Questa lettera dovrebbe essere abbastanza semplice da capire. Tutti gli avvertimenti della scuola base del punk-rock che mi sono stati dati nel corso degli anni, dai miei esordi, intendo dire, l'etica dell'indipendenza e di abbracciare la vostra comunità si sono rivelati esatti. Io non provo più emozioni nell'ascoltare musica e nemmeno nel crearla nel leggere e nello scrivere da troppi anni ormai. Questo mi fa sentire terribilmente colpevole. Per esempio quando siamo nel backstage e le luci si spengono e sento il maniacale urlo della folla cominciare, non ha nessun effetto su di me, non è come era per Freddie Mercury, a lui la folla lo inebriava, ne ritraeva energia e io l'ho sempre invidiato per questo, ma per me non è così. Il fatto è che io non posso imbrogliarvi, nessuno di voi. Semplicemente non sarebbe giusto nei vostri confronti né nei miei. Il peggior crimine che mi possa venire in mente è quello di fingere e far credere che io mi stia divertendo al 100%. A volte mi sento come se dovessi timbrare il cartellino ogni volta che salgo sul palco. Ho provato tutto quello che è in mio potere per apprezzare questo. Ho apprezzato il fatto che io e gli altri abbiamo colpito e intrattenuto tutta questa gente. Ma devo essere uno di quei narcisisti che apprezzano le cose solo quando non ci sono più. Io sono troppo sensibile. Ho bisogno di essere un po' stordito per ritrovare l'entusiasmo che avevo da bambino. Durante gli ultimi tre nostri tour sono riuscito ad apprezzare molto di più le persone che conoscevo personalmente e i fans della nostra musica, ma ancora non riesco a superare la frustrazione, il senso di colpa e l'empatia che ho per tutti. C'è del buono in ognuno di noi e penso che io amo troppo la gente, così tanto che mi sento troppo fottutamente triste. Il piccolo triste, sensibile...! Perché non ti diverti e basta? Non lo so! Ho una moglie divina che trasuda ambizione e empatia e una figlia che mi ricorda troppo di quando ero come lei, pieno di amore e gioia. Bacia tutte le persone che incontra perché tutti sono buoni e nessuno può far loro del male. E questo mi terrorizza a tal punto che perdo le mie funzioni vitali. Non posso sopportare l'idea che Frances diventi una miserabile, autodistruttiva rocker come me. Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ne sono grato, ma è dall'età di sette anni che sono avverso al genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed essere empatici. Penso sia solo perché io amo troppo e mi rammarico troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato negli anni passati. Io sono troppo un bambino incostante, lunatico! E non ho più nessuna emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente. Pace, Amore, Empatia. Kurt Cobain Frances e Courtney, io sarò al vostro altare. Ti prego Courtney continua così, per Frances. Per la sua vita, che sarà molto più felice senza di me. Vi amo. Vi amo! Kurt

42 Erich Fromm e la necrofilia della società contemporanea
Umberto Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani

43 L’aggressività può essere intesa:
come un’energia che ci consente di separarci, di «esternalizzare» l’altro (è questo il caso quando osserviamo che un «bambino è troppo buono» intendendo che non ha sufficiente aggressività/assertività per essere non compiacente, per compiere un percorso centrato sulle proprie esigenze,) come una caratteristica originaria dell’individuo (affermazione di sé a discapito dell’altro; invidia, distruttività…)

44 → educativamente, l’aggressività non deve spaventare e va praticamente sempre interpretata come un desiderio di crescita che non si è realizzato e che si riversa violentemente verso il mondo esterno perché non ha avuto ascolto. L’aggressività non deve essere moralisticamente interpretata, ma intesa quale richiesta di crescita inascoltata. Solo allora può essere integrata e orientata verso direzioni più costruttive. Gli adolescenti non desiderano distruggere, ma crescere, e distruggono quando non riescono a crescere. In tal senso Winnicott parlava della delinquenza come deprivazione emotiva.

45 Vi sono poi le situazioni il cui la possibilità di essere se stessi è stata, nella storia dell’individuo, talmente traumatizzata che la rabbia e l’aggressività sono diventate modalità irrinunciabili. È il caso di quegli adolescenti che sono stati «deprivati» durante momenti critici della loro infanzia e che faranno prima illudere l’educatore di essere in grado di stabilire un’alleanza ma che, quando si è stabilito un clima di fiducia, tenteranno di attaccarlo e distruggerlo in tutti i modi, mettendo a dura prova la perseveranza dell’educatore.

46 Vulnerabilità dell’adolescente: né carne né pesce
L’adolescente deve confrontarsi con profondo senso di inconsistenza: deve attraversare una fase in cui si sente inutile, fase che Winnicott chiama «zona di bonaccia». Tendenzialmente i ragazzi esprimono la loro angoscia con l’esteriorizzazione dell’aggressività, le ragazze con l’annullamento del loro funzionamento fisiologico Infatti, se l’adolescente accettasse che il senso di inutilità venisse colmato con l’adozione di qualche soluzione che gli viene dagli altri o dalla cultura probabilmente ne proverebbe sollievo, ma rinuncerebbe al compito propriamente adolescenziale di costruire da sé un’identità senza accettare soluzioni preconfezionate.

47 Più l’adolescente rifiuta il compromesso è più si trova a fare un gran lavoro di ricerca del Sé da solo. Il rischio dell’adolescenza sta proprio il questo non accettare nulla come definitivo perché inadeguato a «contenere» la propria identità →il premio per l’adolescenza «riuscita» è la conquista dell’identità; il rischio è la dispersione (E. Erikson)

48 Bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante (Nietzsche, Così parlò Zarathustra) → questo avvicendarsi di affetti poco integrati e «assoluti» crea quella particolare immaturità dell’adolescente, sempre indeciso sulla parte da prendere. Il suo è un «caos creativo», è un aspetto prezioso dell’adolescenza. Ogni autentica ricerca comporta un confronto con il caos, perché comporta un inoltrarsi in territori sconosciuti. La precoce saturazione della ricerca potrebbe indicare superficialità (in alcuni casi anche mancanza di progettualità) o paura per l’indagine e l’esplorazione. → per Winnicott noi invidiamo l’immaturità dell’adolescente, la possibilità che egli ha di costruire il senso del mondo giorno per giorno.

49 L’immaturità, se evolve verso il caos, diventa dispersione ed eccesso; se evolve verso un «ordine spontaneo», allora si ha una sorta di «guarigione miracolosa» che si porta con sé il premio di un caos sperimentato e superato con lo stabilirsi di un «ordine interno»

50 Lo sperimentare il caos (senza fuggirne affrettatamente) è positivo perché è connesso con il portare sentimenti e concezioni di vita fino al loro punto estremo per carpirne il valore di verità, senza compromessi. → Tale immaturità dell’adolescente è quindi un’occasione irripetibile per «capire le cose come sono e come hanno significato per me».

51 L’adolescenza ci può insegnare proprio questa intransigenza verso la verità.
La verità è indispensabile per la salute psichica (Bion, 1970). Se la verità viene occultata (senza accettare in pieno il valore emotivo del nostro rapporto con le cose) o sfuggita ci rimane solo un rapporto ipocrita col mondo e siamo condannati a restare imprigionati nel nostro «castello di menzogne e compromessi».

52 → Vi è negli adolescenti una tendenza all’idealizzazione che può fungere da punto focale per una costruzione della vita adulta basata su un’autentica eticità.

53 L’adolescenza ci ricorda che la verità della nostra identità è un compito perenne, un costante ricominciare, che non deve arrestarsi in delle certezze. L’identità non è «qualcosa» se non la ricerca creativa stessa…

54 Ogni ricerca creativa comporta un delicato muoversi «al bordo fra ordine e caos», fra creatività e distruttività, fra misura e dismisura Nel concetto di «sublime» sono contenute sia la bellezza estrema sia il terribile, il delirio, la vertigine L’adolescente cerca tutto e distrugge tutto, fin quando non arriva a scoprire che si può continuare a senza distruggere, ricollegandosi alle tradizioni e alla storia.

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57 La distruzione contiene un potenziale di verità, perché intende negare quella dose di falsità che è presente in ogni «umana costruzione» per giungere a una verità senza compressi.

58 Cosa fare con l’adolescenza (non patologica)?
Per certi versi, come Winnicott suggerisce l’unica cosa da fare con gli adolescenti è «lasciare che il tempo passi» Egli parla bonaccia adolescenziale” per descrivere quegli anni in cui ogni individuo non ha altra scelta che aspettare, senza essere consapevole di ciò che accade, un periodo in cui gli adolescenti non riescono a dominare gli impulsi… Capacita di aspettare che la confusione si chiarisca (Meltzer), senza compiere una «fuga nella salute mentale» (scelte precoci) o non scegliendo affatto, facendo così della confusione la regola.

59 Quando finisce l’adolescenza?
L’adolescenza si può considerare finita quando siamo passati dalla fusione con la famiglia a una vita autonoma. L’adolescenza è stata allora un percorso di «riscrittura» degli affetti per «slegarsi» da una «dipendenza immatura» verso gli altri in direzione di una «dipendenza matura». Scrive la Dolto Un ragazzo/a esce dall’adolescenza quando l’angoscia dei genitori non gli provoca più nessun effetto inibitore. I giovani raggiungono lo stadio adulto quando pensano: “I genitori sono quello che sono, non posso cambiarli e non ci provo neanche. Non mi accettano per quello che sono, peggio per loro, li pianto in asso”. Senza sensi di colpa per l’abbandono (1988, tr. it 1990, p. 16) N.B. quando i genitori cessano di essere qualcosa di assoluto per i figli, i genitori si sentono autorizzati a vivere una seconda adolescenza!

60 L’adolescenza è conclusa quando si è sviluppata la capacità di amare l’altro in quanto altro, quando l’altro non è più espressione di un «bisogno» o di un fascio di proiezioni, ma quando lo si ama in quanto staccato da noi Prendiamo ad esempio un bambino di 9 anni che passa tanto tempo a giocare con gli amici lontano da casa. Sembra «autonomo», e in parte lo è, ma se i genitori si separano e divorziano il bambino smette di giocare. Ciò evidenzia che non ha ancora acquisito un essere indipendente. L’altro, per il bambino, esiste in funzione del suo bisogno di essere accudito e cresciuto. (Ciò non significa che il bambino non sia già capace di amore autentico e di provare responsabilità e colpa per i suoi atti contro le persone a cui vuole bene). I bambini talvolta sembrano indifferenti rispetto all’impegno che i genitori profondono per il loro benessere. In realtà stanno trattando i genitori come base di sicurezza che consente loro di occuparsi dei loro impulsi e di quanto loro interessa.

61 L’adolescente e il gruppo
L’adolescente perde il contenimento della dimensione familiare e trova nel gruppo una nuova appartenenza All’interno del gruppo, le diverse personalità dei ragazzi incarnano i diversi sentimenti, così che questi possono essere sperimentati senza troppo turbamento. I gruppi possono così diventare luoghi sicuri dove mettere in scena parti diverse della personalità, soprattutto di quelle che è difficile accettare. Quando è positiva, la vita di gruppo può offrire la possibilità di capire chi si è. L’appetito apparentemente insaziabile di comunicarsi, di parlare di ciò che si prova offre la possibilità di “collaudare” diverse versioni di sé. Per questo gli adolescenti esercitano un fascino infinito su chi li circonda e spesso utilizzano l’arma impareggiabile dell’umorismo per non prendersi troppo sul serio (Waddell).

62 Nel gruppo si possono sperimentare i propri affetti, anche quelli eccitanti e «proibiti». Contemporaneamente assicurano una certa coesione e appartenenza (dipendenza) e ciò compensa quel tipico vissuto adolescenziale che è l’ «alienazione». Questo dipende da fatto che l’adolescente non sa ancora chi è, non sa dare una consistenza «oggettiva» al suo interno modo di sentirsi. Normalmente, il gruppo perde progressivamente la sua importanza vitale nel passaggio dalla prima adolescenza alla tarda adolescenza, quando si iniziano a formare coppie e amicizie legate alla condivisione di ideali e quando, comunque, investimenti in ideologie mature compensano il senso di alienazione derivante dallo staccarsi dal gruppo.

63 A meno che il gruppo non sia patologico, la sua vitalità rimane confinata entro certi limiti in quanto, se il percorso evolutivo del giovane fino a quel momento è stato abbastanza buono, questi continua a percepire se stesso a livello profondo. Egli si «fida di sé» (ed è per questa ragione che chiede con forza ai genitori altrettanta fiducia). L’adolescente normale e anche quello relativamente nevrotico mantengono infatti la capacità di descrivere in modo preciso le persone più importanti della loro vita. Il ragazzo ha a cuore i rapporti sociali, mantiene curiosità intellettuale, è in grado di provare sensi di colpa per sé e per gli altri. Tutto ciò è indice di una stabilità degli investimenti relazionali profondi (Kernberg 1998).

64 Diverso è il caso di gruppi con presenza di adolescenti borderline, che non provano alienazione perché non hanno un senso profondo dell’io basato su affetti integrati e proiettano gli proiettano i loro sentimenti sul mondo esterno (che può allora diventare ostile e cattivo). Il gruppo funziona da «contenitore» per la fragilità della loro personalità, ma il loro senso di alienazione esplode nella tarda adolescenza, quando gli adolescenti «normali» riescono a sviluppare identificazioni con ideali più maturi

65 I membri estremisti possono agire per l’intero gruppo, soprattutto quando nel gruppo sia composto da adolescenti che hanno subito una qualche «deprivazione» affettiva e che quindi sono in lotta con l’ambiente affinché questo riconosca il proprio «debito». Winnicott (1964) fa il seguente esempio: Tutte le cose che fanno parte della lotta dell’adolescente, il rubare, l’uso di coltelli, l’andarsene e il tornare, tutto deve essere contenuto nella dinamica di questo gruppo che si trova per ascoltare musica jazz triste o per qualche altro scopo. Se non accade nulla, i singoli componenti del gruppo cominciano a sentirsi insicuri circa la realtà della loro protesta e tuttavia non sono così disturbati da compiere un atto antisociale. Ma se nel gruppo c’è un ragazzo o una ragazza antisociale che provochi la reazione della società, ciò suscita la coesione degli altri, li fa sentire reali e conferisce temporaneamente una struttura al gruppo. Tutti saranno leali e solidali verso l’individuo che agirà come espressione del gruppo, sebbene neppure uno di loro approvi l’azione che il compagno più antisociale ha commesso.

66 Anche nell’adolescenza normale, tuttavia, i sentimenti possono diventare particolarmente intensi e potenti. I gruppi possono assumere un significato quasi tribale, da un lato, e di ostilità e indifferenza verso gli adulti, dall’altro lato. Ai genitori risulta difficile capire questa fluidità e intensità di sentimenti, eppure il gruppo rappresenta l’unica alternativa dall’intimità familiare. È ancora troppo presto per l’intimità della coppia degli anni successivi. Il gruppo rappresenta per il giovane confuso una sorta di paradiso, dal momento che prolunga il momento in cui dovrà integrare i vari sentimenti nel suo sé, un grande contenitore dove egli può riversare i propri molteplici affetti senza prendersi ancora in carico seriamente la loro integrazione. Se prevale l’evacuazione dell’azione rispetto al pensiero, il gruppo si può trasformare in banda.

67 Difese

68 Uso eccessivo della proiezione
Uso eccessivo della proiezione. L’adolescente usa molto la proiezione, di parti cattive o buone. Quando si proiettano le parti buone, che ora si percepiscono nell’altro e non in sé, ci si può trovare privati della propria immaginazione e della propria vitalità. Tale uso eccessivo della proiezione può arrivare ad avere connotati tipicamente schizioidi. Vi allora un’espulsione e un’evacuazione di affetti, una tendenza incontenibile all’agito e alla violenza a scapito del contenimento e dell’integrazione, tipiche del pensare più evoluto

69 Un altro modo per evadere, meno facile da rilevare, è diventare pseudo-adulti, acquisire idee e informazioni per proteggersi dagli affetti più che per capirli. L’uso dell’intelligenza diventa allora una sorta di difesa dal pensare vero e proprio o per sottrarsi all’intimità. Analoga è la difesa «ascetismo e intellettualizzazione» descritta da A. Freud: tipica dell’adolescenza, consiste nel rifugiarsi in attività intellettuali per esercitare un controllo su contenuti affettivo-istintuali e ridurre conseguentemente ansia e tensione

70 identificazione con l’aggressore (A
identificazione con l’aggressore (A. Freud): il soggetto, di fronte ad un pericolo esterno (rappresentato tipicamente dall’autorità) si identifica con il suo aggressore, assumendo sia la stessa funzione aggressiva, sia imitando fisicamente e moralmente la persona dell’aggressore, sia adottando i simboli di potenza che lo contraddistinguono. Può essere fatta rientrare nell’identificazione con l’aggressore anche una forma di altruismo, che implica la resa dei propri impulsi a favore di quelli degli altri;

71 Rinchiudersi in un guscio per evitare la sofferenza
Rinchiudersi in un guscio per evitare la sofferenza. Le forze che inducono a precipitare possono essere generate da circostanze esterne (perdite, rotture di amicizie, malattia, stress da esame, uscire da casa, successi non meritati), oppure interne (impulsi nascosti, pensieri tormentosi e insistenti, ossessioni inesplicabili, desideri perversi, aggressività, alienazione, disperazione). Durante l’adolescenza accade spesso che interno ed esterno si confondano (Waddell).

72 Ma la depressione, la solitudine, la sensazione di rimanere bloccati può derivare da una mancanza di progettualità, l’assenza di quella sperimentazione e ricerca che, per quanto dolorose e possibile fonte di confusione, sono necessarie alla crescita. Il giovane isolato e introverso rischia di trovarsi in un vicolo cieco: infatti egli non partecipa a quel gioco di proiezioni e reintroiezioni che è necessario per stabilire un senso del Sé a qualsiasi età, ma soprattutto durante i continui cambiamenti dell’adolescenza.

73 Educazione e adolescenza

74 Stabilire innanzitutto la fiducia
La fiducia è la priorità delle priorità (Dolto) La fiducia va accordata all’ essere del ragazzo, alla sua anima. Senza tale fiducia non ci può essere educazione. Le punizioni sono legittime, anzi, in alcuni casi salutari, perché alleviano il senso di colpa per cose che il ragazzo sa di aver sbagliato; ma sono del tutto da evitare le ritorsioni, spesso basate su ricatti emotivi («tu non hai fatto questo, non sei così… allora io…») che impediscono lo «sganciamento» dai genitori e alimentano sensi di colpa e una «mentalizzazione eccessiva» che inaridisce la maturazione. Occorre voler bene all’adolescente e fidarsi di lui in silenzio e da lontano. Ciò naturalmente non significa che il genitore non possa controllare l’adolescente che rischia di compiere azioni di cui poi potrebbe pentirsi. Ma, se lo fa, deve stare attento in massimo grado a non farsi mai scoprire! (Sennò fa l’adolescente anche lui)

75 Valorizzare il ragazzo
L’insegnante dovrebbe stimolare tutti, non solo quelli che prendono la supremazia, a parlare. Anche se il ragazzo non parla, sente di avere un peso nel giudizio dell’insegnante. È un’età meravigliosa, perché il ragazzo reagisce a tutto ciò che viene fatto di positivo per lui. Ma gli adolescenti non lo manifestano immediatamente. È un po’ deludente per l’educatore non vedere risultati immediati. Ma non si insisterà mai troppo a incoraggiare gli adulti a perseverare. Occorre continuare a valorizzarli anche se i ragazzi sembrano prendervi in giro. Quando sono in gruppo spesso prendono in giro gli adulti, ma quando sono soli le cose cambiano.

76 La responsabilità della società
Durante il periodo c’è una responsabilità di coloro che non hanno uno specifico compito educativo hanno una funzione fondamentale nell’indirizzare i giovani, in quanto tutto ciò che essi fanno può favorire il coraggio e lo slancio o al contrario indurre scoraggiamento e depressione. Oggi, molti giovani, dagli undici anni in poi, cadono in stati depressivi e stati paranoici che si manifestano con un’aggressività irragionevole. Durante quelle “crisi”, il giovane va contro ogni legge perché è convinto che chi rappresenta la legge non gli permetta né di essere, né di vivere. (Dolto)

77 Non delegittimare il giovane nella scoperta della sessualità/affettività
La sessualità degli adolescenti è nell’immaginario. La masturbazione è un falso slancio sessuale. Nei periodi difficili, gli adolescenti la vita immaginaria li sostiene. Essi sono spinti a eccitare la zona che dà loro forza e coraggio, cioè la zona genitale che si sta risvegliando. È una trappola, perché scaricandosi nervosamente in questo modo non hanno più un supporto per affrontare le difficoltà della realtà, per superare le carenze, spesso più immaginarie che reali, alimentati da madri che dicono: “non troverai mai la morosa brufoloso come sei!”. È terribile per un giovane sentirsi spiato in quel al sorgere del sentimento. Ciò può indurlo alla masturbazione come antidoto alla depressione. Purtroppo la masturbazione soddisfa l’immaginario e toglie la forza di cercare nella realtà, in un altro, ragazzo o ragazza, con amicizia e amore, comunicando e sostenendolo a uscire dalla trappola in cui l’hanno rinchiuso adulti indifferenti o aggressivi. O gelosi, perché ci sono adulti che avendo subito in quell’età fanno ad altri lo stesso: “non hai l’età per pensare, sei solo un moccioso!”. La delegittimazione del pensiero del figlio da parte del padre, che non vuole perdere la supremazia. (Dolto)

78 Essere «adulti» L’adolescenza provoca effetti secondari sugli adulti. Gli adulti che rivivono la loro adolescenza sono fragili e disorientati, proprio nel momento in cui il figlio vive la propria. Il figlio si aspetterebbe che i genitori fossero realizzati nella loro vita sessuale, nel lavoro, nella vita sociale, dando senso alla loro vita. Si augura che i genitori non si occupino troppo di lui, pur rimanendo disponibili quando ha voglia di parlare. L’importante è che il padre e la madre facciano bene il loro compito, anche a rischio che l’adolescente affermi un po’ sarcasticamente: “mio padre è fatto così, si ammazza di lavoro”, oppure “non fanno niente, ma sembrano star bene nella loro pelle”. Ciò che fa soffrire i figli è constatare che i genitori vivono come i figli e si mettono in concorrenza con loro. È il mondo alla rovescia: gli uomini hanno amichette dell’età dei figli e le donne si compiacciono di piacere agli amici del figlio, proprio perché non hanno vissuto la loro adolescenza.

79 Non essere invadenti… L’adulto non deve indagare troppo nel cuore dell’adolescente, né cercare nei suoi progetti ciò che è razionale e ciò che non lo è. Rischia di rovinare tutto, i suoi progetti di crescita non ben chiari neppure a lui. Occorre fidarsi dell’ «essere» del ragazzo, del suo impulso e utilizzare quel minimo di conoscenza utile per «tirare avanti la baracca» senza che succedano troppi danni a causa degli «scarti d’umore». La troppa conoscenza è un modo per soffocare la vita. Occorre permettere all’adolescente di restare solo con la sua anima, pur non lasciandolo solo!

80 …anzi: non interferire!
D.H. Lawrence. I genitori non dovrebbero mai stabilire relazioni «adulte» con i figli (adulte nel senso di «mentalizzate»), essere loro amici ecc. perché in tal modo interrompono il circuito primario, quello che fa perno sull’originalità della nostra anima. Occorre «mantenersi vivi nella propria vitale e spontanea essenza». Gli ideali e le norme agiscono spesso come qualcosa di estrinseco, per cui il giovane cessa di sentire e inizia a «idealizzare» → Educare significa «non interferire» Genitori badate che i vostri figli abbiamo il loro pranzo e le lenzuola pulite, ma non amateli. Non amateli neppure un po’ e non permettere ad altri di amarli. Nutriteli e lasciateli soli.

81 Cfr. Rogers: non si può indurre qualcuno a crescere offrendogli guida e valori (direttività), ma gli si può offrire un rapporto empatico e accettante che gli permetta di crescere secondo propri criteri interni Qualcuno ha definito tale prospettiva di crescita come «botanica»: basta non privare la pianta degli elementi essenziali che questa cresce da sé. In realtà, anche la pianta può aver bisogno di un supporto e un sostegno; fuor di metafora, non si può fare a meno di «fornire» qualcosa all’altro, l’ex-ducere comporta sempre un in-ducere, non c’è formazione senza con-formazione, non c’è educazione senza norma: l’importante è che la norma non sia qualcosa di rigido, ma un modo di vedere la vita, un «clima», una «qualità della relazione» a partire dal quale l’adolescente può formarsi la propria «norma interna»

82 Non occorre essere trattare il ragazzo con troppa delicatezza perché ciò può stimolare troppo la «comprensione» generando una sensibilità esagerata e «adulta» che lo allontanerebbe dalla dinamica primaria della sua spontaneità innata Il possedere la tua anima in silenzio e il sentir calare tutto il clamore. Questo è quanto di meglio io conosca. L’amore è spontaneo. L’amore come principio è una disgrazia. L’amore che proviene dalla volontà è veleno.

83 La nostra cultura postautoritaria, che ha stabilito la regola del parlarsi per capire, per dirsi tutto, del dialogo che ravvicina, nella maggioranza dei casi coglie il tacere dell’adolescente come blocco, problema, inquietudine. Viceversa la scarsa propensione a parlare da parte dell’adolescente e le poche parole che usa per comunicare non sempre dicono da parte sua l’intenzione di non comunicare, di non voler condividere con gli adulti pensieri ed esperienze; nella maggioranza dei casi non si tratta di reticenza, ma di impossibilità a dire la cosa, a dire qualcosa su questa difficoltà. Certamente una parte di questo mondo dovrà farsi parola, ma per una parte altrettanto importante la chiusura va accettata come silenzio che basta a se stesso. Chiede presenze rispettose, non parole. Può diventare contatto solo riconoscimento del diritto a tacere, del diritto a non essere capiti, che rispecchia il diritto a non capire. […] Anche la solitudine è necessaria. Anche il silenzio è comunicazione. (Serena Rossi, 2001, p ) → Winnicott: esiste un diritto a non comunicare

84 Non mortificare la progettualità
…«non mortificare la progettualità», piuttosto che «promuovere la progettualità» perché la progettualità fa parte dell’impulso costruttivo della natura umana. Non va sollecitata, se non in casi estremi, così come non va chiesto a una pianta di crescere: va rintracciata, non offesa, non creata o «estratta». Il ragazzo ha bisogno di progetti e ideali, anche se non si realizzeranno mai. Gli adulti schiacciano la progettualità degli adolescenti tacciandola di irrealismo La Dolto racconta di un’insegnante che per mesi progettò con i ragazzi un viaggio alla tour Eiffel sapendo che non si sarebbe mai realizzato perché non c’erano i soldi. L’uomo stesso ha bisogno di progetti. L’utopia è una categoria irrinunciabile dell’educazione, in ambito cristiano e laico → E. Bloch, Il principio speranza.

85 È la capacità dell’uomo di anticipare i progetti più alti a mettere in modo lo sviluppo storico. Tale «coscienza anticipante» si manifesta nei sogni e nelle aspirazioni che caratterizzano la vita quotidiana, nel mondo fantastico delle favole, nei racconti dei film e degli spettacoli teatrali, nelle utopie sociali sia nelle grandi concezioni religiose, filosofiche. L'importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che fallire. Lo sperare, superiore all'aver paura, non è né passivo come questo sentimento né, anzi meno che mai, bloccato nel nulla. L'affetto dello sperare si espande, allarga gli uomini invece di restringerli, non si sazia mai di sapere che cosa internamente li fa tendere a uno scopo e che cosa all'esterno può essere loro alleato. Il lavoro di questo affetto vuole uomini che si gettino attivamente nel nuovo che si va formando e cui essi stessi appartengono (Boch, Il principio speranza)

86 Permettere impegni di realtà
La nostra società relega gli adolescenti al ruolo di accaniti e avidi consumatori immaturi. Inoltre, i genitori non si fidano di ciò che potrebbero fare gli adolescenti, li delegittimano, impedendo il confronto con la Realtà. Così li tengono «dentro» casa; però li accusano di stare troppo dentro casa e di usarla come un «albergo». Inoltre, la nostra società attuale mortifica qualsiasi prospettiva di inserimento lavorativo, per cui gli adolescenti devono dipendere economicamente in modo totale dai genitori e questa non facilita lo sganciamento ma, anzi, li irretisce in un’autoreferenzialità narcisistica (cr. G. Pietropolli Charmet) Occorrerebbe permettere ai giovani di assumersi delle responsabilità, permettere loro, già a anni, di fare viaggi anche lontano, come suggerisce la Dolto, a patto di rispettare certe regole (avvertire sempre dove si fa, telefonare regolarmente ecc.)

87 Educazione come testimonianza
I ragazzi spesso non sono educati, perché l’educazione è fondamentalmente coerenza dell’educatore.

88 Non ripiegamento su di sé della famiglia
L’attuale epoca di incertezza e di «fluidità» delle rete sociale e delle relazioni minaccia anche la sussistenza della famiglia. Vi è tuttavia il rischio di iper-investire nei rapporti all’interno della famiglia, percepita come baluardo di affetti a fronte della precarietà del mondo. Si genera allora una ipersensibilità per i bisogni dell’infanzia (che rappresenta più un bisogno di protezione dei genitori) a cui corrisponde poi una incapacità di comunicare a livello profondo.

89 I genitori dovrebbero essere soddisfatti delle loro vite, anche al di fuori della pur centrale dimensione familiare Gli adolescenti patologici si trovano soprattutto in famiglie ripiegate su loro stesse, che hanno pochissime relazioni sociali. Quando gli adulti hanno una fitta rete di compagni e amici, gli adolescenti non presentano un atteggiamento passivo o aggressivo. Il rischio di famiglie con uno spirito familiare esasperato è l’impossibilità di partorire il figlio. (Dolto, 1988)

90 …quindi Il transito adolescenziale è a metà strada fra il depressivo e il creativo, fra la tempesta e l’attesa, esaltazione e noia L’adolescenza è il momento in cui successi e fallimenti vengono a galla. Ai genitori spetta la funzione di sopravvivere senza abbandonare la propria posizione (= tenere!). Se abdicano, costringono l’adolescente a un viraggio troppo repentino verso la maturità (autocontenimento dell’adolescente); se si mantengono vigili e “contenitivi” possono osservare dal vivo i cambiamenti personali del giovane e essere un autentico sostegno educativo. Ai progetti ideali, non ancora delusi, i genitori possono rispondere in modo costruttivo, senza rappresaglie e vendette, o intrusioni, mantenendo il diritto a una propria posizione da adulti.


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