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Problem Solving Idee e proposte a.tifi.

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Presentazione sul tema: "Problem Solving Idee e proposte a.tifi."— Transcript della presentazione:

1 Problem Solving Idee e proposte a.tifi

2 La piantina della curiosità
“La curiosità di quei bambini mi commuove. Mi chiedo dove è finita la curiosità dei miei alunni di liceo ormai diventati bravi ragazzi, educati.., ma non più curiosi. Penso che andrebbe ridefinito il concetto di “buona condotta” e che bisognerebbe far di tutto per conservare il più a lungo possibile negli adulti la curiosità dei bambini.” La constatazione di Jannamorelli va a toccare l’aspetto centrale di questo progetto: il “patto tacito” Da Bruno Jannamorelli: Strumenti di calcolo aritmetico ingenui … ma ingegnosi, ed. Qualevita

3 Alcuni spunti: 1. Glasersfeld
L. Cardellini: che qualità sono importanti e quanto l'entusiasmo nell'istruzione? E. von Glasersfeld: L'entusiasmo per la disciplina che viene insegnata è importante, ma le qualità principali che un insegnante deve avere sono la pazienza, l'immaginazione e la prontezza a credere che gli studenti possano pensare, e fare in modo che gli studenti lo sappiano. Fonte: Intervista di Liberato Cardellini a Ernst von Grasersfeld: su I&S anno XII n.3

4 Glasersfeld Teoria costruttivista dell’istruzione:
Se assumiamo che lo studente deve costruire la propria conoscenza consideriamo che non è una “lavagna pulita”, in quanto possiede conoscenze e misconoscenze; Qualunque risposta dia uno studente a una domanda o a un problema ha per lui, in quella circostanza, un senso; Se un insegnante desidera modificare i concetti o le strutture concettuali di uno studente, cerca di dar forma a una propria personale idea di studente; Domandare allo studente di chiarire come sia giunto a formulare una risposta lo induce a scoprire qualcosa sul suo modo di pensare

5 Segue Teoria costruttivista dell’istruzione di Glasersfeld
Se si desidera motivare lo studente ad affrontare questioni che non lo sembrano interessare, bisogna creare situazioni in cui possa sperimentare il piacere di risolvere un problema; Un ragionamento corretto è molto più importante di una risposta corretta; Per comprendere e apprezzare le idee di uno studente bisogna avere una mente molto flessibile; Un insegnante “costruttivista” non può mai giustificare ciò che insegna affermando “che è la verità”.

6 Glasersfeld, conclusioni
Insomma, si può spingere lo studente a costruirsi “conoscenza” lasciandolo di fronte al problema, aiutandolo solo se richiesto e limitandosi a indirizzarlo senza coercizione. Infatti, non c’è un grado profondo di comprensione (la “consapevolezza operativa”) senza riflessione, e la riflessione è un’attività che gli studenti devono compiere autonomamente, partendo sempre da qualche forma di esperienza sensomotoria, che della riflessione non è comunque la causa. Sono, queste, considerazioni che per molti costituiscono ormai luoghi pedagogici comuni e la cui accettazione – come riconosce lo stesso von Glasersfeld – non implica necessariamente l’adesione all’epistemologia costruttivista.

7 Spunti: 2. Jonassen Non si apprende leggendo o ascoltando, ma facendo, impegnando cioè, le persone in attività che obbligano chi apprende a pensare, ad utilizzare ed allenare le sue proprie abilità e risorse cognitive. Non si impara dalla tecnologia come non si impara dall’insegnante. Si impara attraverso il pensiero: pensando a cosa si sta facendo o alle cose in cui si crede…pensando al processo che il pensiero svolge. Il pensiero media l’apprendimento. L’apprendimento è il risultato del pensiero.

8 David Jonassen 2 Uno dei principali problemi che vedo è la produzione di quella che potremmo chiamare “conoscenza inerte”, una “conoscenza” che è presente nelle menti delle persone, ma che non viene usata quando si tratta di usarla per risolvere problemi del mondo reale e non solo scolastico.

9 David Jonassen 3 La consuetudine scolastica genera conoscenze valide solo in contesti scolastici: qui, infatti, si favorisce lo sviluppo di conoscenza con modalità astratte (pensando, illusoriamente, che l’astrattezza del contesto in cui sono sviluppate favorisca poi le applicazioni), si valutano gli apprendimenti con esercizi scolastici, si semplificano i concetti, perché altrimenti “non sono appresi”, non si considerano le conoscenze già possedute dall’individuo, che invece sono presenti, agiscono e spesso prevalgono.

10 David Jonassen 4 Dobbiamo sviluppare sistematicamente lo sviluppo di apprendimenti significativi. Il risultato dell’apprendimento significativo è prodotto dalla risoluzione di problemi. Questo perché nella vita e nel lavoro di tutti i giorni, le persone risolvono, costantemente problemi, i quali danno uno scopo all’apprendimento: senza un’intenzione per apprendere è difficile che si verifichi un apprendimento significativo. La conoscenza costruita in un contesto è maggiormente significativa, integrata, meglio ritenuta e più trasferibile.

11 David Jonassen 5 Anche quando abbiamo svolto attività formative basate su problemi con i bambini delle elementari, abbiamo trovato grande adesione. Tutti venivano a scuola anche con la febbre, pur di non perdere il passo. Avevano un problema da risolvere. Avevano una ragione per apprendere e non sentivano la scuola come un obbligo. Da: Conversazione con David Jonassen; G. Marconato e P. Litturi, Sistemi & Impresa N

12 Chat: Eterogenesi dei fini
Domanda: stiamo finalmente per dotarci di un laboratorio. Mi potresti suggerire delle esperienze da fare? Risposta: prima spiegami, perché vorreste fare delle esperienze?? … perché credo che fare qualche esperimento sia utile per rendere la materia più coinvolgente. Riemerge il motivo di fondo è che una materia scientifica (solo?) abbia vita propria e sia qualcosa di staccato dall’esperienza. La “licealizzazione” delle scienze comporta che una scienza sia ripresentata dalla scuola e quindi sia di fatto trasformata, come oggetto culturale, come una somma di contenuti. Per la massa di diplomati (e anche bambini di prima elementare) è chiaro che esista un’altra scienza fatta di speculazione, ricerca, sperimentazione, ma tutto ciò è perfettamente percepito come alieno all’esperienza culturale e formativa di ciascuno e mai associato alla scuola. “Lo scopo principale di questo discorso è di dimostrare che in Brasile non si insegna scienza”, da: Sta scherzando Mr. Feynman?, pagg

13 La mezza mela mancante Nel sistema educativo italiano l'insegnamento della metodologia scientifica non trova applicazione sistematica, intenzionale e prolungata in nessun curriculum formativo. Eppure il Quadro di Riferimento P.I.S.A. per la Literacy Scientifica (2006) assegna il peso dovuto alla scienza in quanto metodo: “:. .. ciò che occorre è un certo grado di conoscenza della scienza in quanto metodo, cioè in quanto processo che produce conoscenza e che propone spiegazioni sulla natura." E, più avanti: "... comprensione degli aspetti distintivi della scienza intesa come forma di sapere e di indagine...", e "... comprensione dei processi attraverso i quali gli scienziati ricavano i propri dati e propongono le proprie spiegazioni...la natura congetturale delle ipotesi scientifiche, la disposizione a rivedere sempre in modo critico i risultati..." È possibile fare tutto questo prescindendo dalle discipline specifiche? Evidentemente sì, altrimenti questi criteri generali non sarebbero stati assunti dalla commissione PISA.

14 Esperti di insegnamento o scienze?
“… se non sono avvezzo come insegnante e come persona a pormi delle domande e a tentare di rispondervi non riuscirò a mia volta a guidare il discente sulla stessa via. Se non posseggo una robusta e sistematica formazione sperimentale non riuscirò ad apprezzare il senso, le difficoltà, le trappole connesse con la raccolta, la ponderazione, la valutazione dell’affidabilità del dato, né a progettare una sequenza razionale di verifica sperimentale delle ipotesi. Occorre vivere la ricerca scientifica o almeno averne fatto esperienza per superare l’inevitabile iato tra le enunciazioni di intenti dei documenti che attingono alla filosofia della scienza e la concretizzazione pratica quotidiana, anche di tipo didattico …” COME USCIRNE? La Teresa Andena ci sta dicendo che la maggior parte di noi non potrà mai insegnare scienze? Che siamo destinati a rimanere i professionisti dell’insegnamento di qualcosa che non esiste nella realtà? In effetti nel libro non si intravedono vie d’uscita. Ottimisticamente parlando, basterebbe aver fatto qualche esperienza concreta di risoluzione di problemi autentici per avere la spinta emotiva sufficiente per avventurarsi nella pratica delle scienze a scuola. Chiaramente occorre avere un adeguato clima in classe. Teresa Andena: “Insegnare con i concetti le scienze”, pag. 26 Angeli, 2007

15 Alex H. Johnstone come insegnare il problem solving -1
Suddividere il problema separatamente in problemi più piccoli. Considerare il problema da diversi punti di vista. Questo viene facilitato lavorando in gruppo e condividendo idee, non importa quanto strane. Tra tutte ci sarà una buona idea. Se possibile, rappresentare le parole del problema in un diagramma o in un disegno. Questo è molto importante per pensatori visuali, e molto utile per risolvere problemi strutturali. Lavorare all'indietro se nessun metodo dai dati al risultato è disponibile. Quando si è risolto il problema ragionarci di nuovo per rinforzare il metodo "nuovo" che è stato "inventato". In questo modo si sarà aggiunto un nuovo schema al proprio repertorio di know–how

16 Alex H. Johnstone come insegnare il problem solving - 2
L'insegnante può facilitare questi processi insegnando in un modo che favorisce la formazione di nuovi collegamenti nella mente dello studente. In un'area come la chimica bio-inorganica, gli studenti si lagnano perché le lezioni contengono chimica fisica, chimica organica ed inorganica. Vale la pena di sottolineare che Dio non ha mai fatto queste divisioni!! La più grande barriera per diventare abili nel PS è l'apprendimento per comparti: l'apprendimento nel quale ogni nuova idea è chiusa a chiave in una scatola di un singolo contesto e diviene inaccessibile eccetto che in quel contesto.

17 Alex H. Johnstone come insegnare il problem solving - 3
Non credo che sia possibile insegnare l'intuizione, poiché ciascun individuo ha una differente conoscenza immagazzinata, collegata in una maniera peculiare; ma, dal modo in cui insegniamo, da ciò che ci aspettiamo e da quello che richiediamo ai nostri studenti, possiamo incoraggiarli ad esplorare estesamente quanto è depositato nella loro memoria, per cercare collegamenti e sentieri nuovi attraverso le loro menti

18 Alex H. Johnstone 8 maniere per pensare al PS
Tipo Dati Metodo Scopo/Risultato 1 Completi Conosciuto Definito 2 Sconosciuto 3 Incompleti 4 5 Non definito 6 7 Familiare 8 Risolvere un problema è molto diverso dal risolvere un esercizio; la soluzione dei problemi è ciò che si fa quando non si conosce che cosa è necessario fare.  Molto di quanto è solitamente chiamato problem solving è in realtà applicazione di algoritmi e non riguarda affatto la soluzione dei problemi.  Ogni problema consiste di tre parti:             (a) Le informazioni di partenza (i dati).             (b) Che cosa si vuole ottenere (lo scopo).             (c) Il metodo con cui collegare (a) e (b). Affinchè un problema reale esista, almeno uno tra (a), (b) o (c) deve essere non familiare o incompleto.  Se tutti i dati di partenza sono completi, se l'obiettivo è chiaro ed il metodo ci è familiare abbiamo l'applicazione di un algoritmico ad un esercizio; la sostituzione di numeri in una equazione conosciuta.  Può essere un allenamento utile per rinfrescare un argomento in modo sistematico, ma NON É Problem Solving.  Precisiamo le forme possibili di un problema e le illustriamo con degli esempi di chimica. Come già abbiamo detto, il tipo 1 non è un problema reale, anche se è la forma che più comunemente troviamo nei compiti di esame. Il tipo 2 è una forma genuina di problema, ma una volta che lo studente ha svolto due o tre esempi, si transforma in un problema del tipo 1, perché il metodo diventa familiare. Il tipo 3 ci porta nei problemi reali. Per esempio: "quanti atomi di rame sono contenuti in questa moneta 'di rame'?"  L'obiettivo è completamente definito, ma molti dati mancano.  Il problema è tutto nella capacità dello studente di trovare o chiedere i dati necessari:                    "Qual è la composizione percentuale della moneta?"                    "Qual è la sua massa?"                    "Qual è il peso atomico del rame?"                    "Qual è il numero di Avogadro?" Questa è la parte che richiede un ragionamento.  Una volta che lo studente ha raccolto questi dati, il resto del problema è una applicazione automatica di semplici calcoli aritmetici.  Imparare come riconoscere quali sono i dati necessari è un'abilità importante da acquisire per diventare uno scienziato. Un problema del tipo 4 potrebbe essereil problema riportato sopra, ma dato da risolvere ad una persona comune. Il tipo 5 si presta bene alle domande di chimica.  Per esempio: "dimmi tutto ciò che puoi circa il complesso Ni(NH3)4Cl2".  Lo studente dovrebbe ricercare in varie parti della sua rete di conoscenza per rispondere a questa domanda in modo completo:             Composizione percentuale             Peso molecolare             Nome degli elementi, dei leganti e del complesso             Struttura e isomeri             Colore             Possibili reazioni             Ecc. Un problema del tipo 6 potrebbe essere lo stesso problema, ma dato da risolvere ad uno studente che non ha ancora studiato i complessi, e potrebbe fare soltanto dei ragionamenti elementari sulla formula. Un esempio del tipo 7 potrebbe essere "quanto lavoro può essere ottenuto dalla reazione di 10 g di bicarbonato di sodio, NaHCO3, con un eccesso di HCl?"  La reazione è familiare, ma l'obiettivo non è chiaro e sarebbero necessari molti più dati.  Alcuni potrebbero fare ricorso alle tabelle termodinamiche utilizzando l'energia libera, altri potrebbero inventare una macchina semplice quale una siringa con una massa sul pistone e misurare la distanza percorsa dalla massa.  Ci sono non una ma diverse possibili risposte! Il tipo 8 sembra essere impossibile, ma è in effetti il tipo più comune di problemi incontrati nella vita reale.  "Dove andrò sulla vacanza questo anno?" è un problema con una mancanza di dati.  Le procedure possono essere sconosciute e l'obiettivo non è chiaro.  Tuttavia risolviamo il problema e andiamo in vacanza.  I chimici nell'industria trattano quotidianamente con problemi di questo tipo.  1. A. Johnstone, Creative problem solving in Chemistry, (C. Wood Ed.), The Royal Society of Chemistry: London 1993, p. IV-VI.

19 Ciò che manca è il problem solving
Cura contro il verbalismo, facendo anche da freno alla gran quantità di contenuti che in genere si vorrebbe insegnare Favorisce l’instaurazione di un ambiente educativo costruttivista, le interazioni positive con i pari, il docente e le fonti Introduce nell’educazione un elemento mancante: l’invenzione Ha un effetto livellante…

20 Effetto livellante del P.S.
PROBLEM SOLVING Studente docente DOCENTE EROGAZIONE DI CONTENUTI Si introduce una terza componente in classe, decentrando la posizione del docente. Un po’ la stessa cosa che si verifica col CLIL dove il contenuto da insegnare acquista “legittimazione” per il fatto che non è erogato dal docente. Studente

21 Quali doti per il problem solving?
Quando si affrontano problemi autentici (in situazioni per le quali non si ha esperienza diretta) in genere si attraversano soluzioni fallimentari e ingannevoli, che chi ha esperienza escluderebbe a priori. Solo chi non ha l’esperienza, paradossalmente, si trova di fronte a una autentica situazione di problem solving, realmente sfidante, dalla quale potrà uscire solo con ipotesi creative (almeno dal suo punto di vista). “Assumere” il problema: I care – make sense of it Considerare gli errori dei passi avanti o punti di partenza Distanziarsi dal problema: avere tempo e libertà per tornare sul problema a distanza di tempo Considerarsi un solutore di problemi Saper usare risorse (sapendo che le risorse si attivano quando si verificano le condizioni precedenti, e non semplicemente perché si hanno delle conoscenze) Le doti che sono necessarie PER il problem solving sono le stesse che si costruiscono CON il problem solving. Qui sono disposte in ordine decrescente di importanza. La prima condizione è la più importante e decisiva. La situazione da instaurare è quella per cui il docente non è l’erogatore della conoscenza, ma lo “sceglitore” di problemi, che comunque sono “preesistenti”, o esistenti nella natura delle cose o della conoscenza, non compito scolastico, non assegnazione del docente, ma situazione problematica autoevidente, immediata, con proprie caratteristiche di perversione connaturate e tali da continuare a esistere anche se il docente dovesse chiudersi la porta alle spalle. In tale situazione la classe si trova di fronte a due sole scelte: non fare nulla o accettare il problema. I nostri studenti scelgono sempre la prima soluzione e quando l’insegnante rientra trova delle persone che stanno facendo altro e che si aspettano che qualcuno dica loro, prima di stare attenti, e poi che cosa devono fare, esattamente come, nella logica dei bravi ragazzi, sono abituati a fare.. Su questo punto invece non si deve cedere, ma ribadire che “questo è il problema” e che il senso del problema, innanzitutto, lo deve costruire la classe, e il/i tentativo/i di ideazione e risoluzione pure. Per quanto riguarda le conoscenze, il loro semplice possesso, anche in termini significativi, non è sinonimo di abilità di problem solving o di esperienza. Sono spesso le conoscenze di base, quelle sotto gli occhi di tutti, che servono per risolvere problemi. Ma anche possedendo queste e altre conoscenze più sofisticate a volte non si intravedono soluzioni, spiegazioni. Il punto è che la conoscenza in sé può risultare tremendamente inerte. Il modo in cui si utilizzano le conoscenze, combinandole tra loro in modi nuovi, fanno la capacità di problem solving. Ecco perché i primi punti sono più importanti. Non c’è una maniera prefissata per abituare la propria mente a cercare nuovi percorsi. Ma la gratificazione derivante dall’aver risolto problemi (cosa ben diversa dall’essere stato in grado di eseguire una procedura predeterminata) e il considerarsi solutore di problemi alimentano l’utilizzo delle risorse interne. È però necessario superare una barriera di attivazione, una resistenza più o meno forte a seconda dell’alunno. E ciò contribuisce a confermare il modello del patto implicito che avrebbe segnato la storia formativa di questi ragazzi. In genere quelli che consideriamo alunni migliori sono quelli che offrono la maggiore resistenza. Se all’iniziano accettano la sfide dei problemi è perché il docente si rivolge in modo preferenziale a loro o perché desiderano difendere il loro status di outsider dello studio o per ambedue le ragioni. Ma ben presto fanno dietro front e si riassestano sul fronte di opposizione della maggior parte della classe. Mentre in quasi tutte le classi c’è almeno una persona dotata di caratteristiche di intuizione ma con scarsa sistematicità, che stanno a scuola con sofferenza, ma si attivano nei problemi. Ciò che dobbiamo fare è molto semplice: uscire dall’episodicità, e modificare gli uni e gli altri unendo le loro caratteristiche positive proponendo con determinazione il modello alternativo, costruttivista, che si basa sulla risoluzione di problemi. Per quanto riguarda le conoscenze necessarie a risolvere i problemi, e anche a ideare situazioni di difficoltà adeguata, si tenga presente che In genere alcune soluzioni errate possono essere scartate a tavolino usando conoscenze di livello inferiore agli obiettivi disciplinari.

22 Titolo dell’anidride acetica
Normale titolazione dell’acidità: scopriamo che gli equivalenti non cambiano con la trasformazione dell’anidride in acido acetico. Se titolassimo una bottiglia nuova e una tutta idrolizzata non troveremmo nessuna differenza di acidità totale. Cerchiamo un modo per evitare di usare l’acqua che nella titolazione idrolizza l’anidride... … titolazione con NaOH in acetone. Ci rendiamo conto che l’OH¯ forma un equivalente di acetato e uno di acido acetico, il quale a sua volta consumerà altra base. Allora dobbiamo lavorare su una proprietà che sia esclusiva dell’anidride e non posseduta dall’acido acetico: il potere acilante… …facciamo reagire l’aa con il fenolo, in eccesso, che non è acetilato dall’acido acetico. L’anidride si trasforma in un solo equivalente di acido acetico e in un estere non acido. Titolando una stessa aliquota non reagita si avrebbero due equivalenti di acido da ogni mol di AAn. La differenza tra gli equivalenti nelle due titolazioni ci dà metà degli equivalenti di acido che erano presenti nella sola anidride (in quanto l’altra metà è scomparsa formando l’estere) e questi corrispondono alle moli di anidride. Ma ci sono due nuovi problemi: a) anche il fenolo in eccesso consuma NaOH e b) la reazione potrebbe non avvenire senza un catalizzatore acido. i nuovi problemi si risolvono aggiungendo il quantitativo necessario di acido fosforico all’anidride acetica prima di dividerla nella porzione della reazione e in quella della titolazione diretta. Inoltre invece di titolare direttamente con NaOH si aggiunge un eccesso di bicarbonato di sodio 1M e poi si retrotitola, dopo ebollizione, l’eccesso di bicarbonato con HCl 1 M. La differenza tra gli equivalenti di acido prima e dopo la reazione fornirà il numero di moli dell’anidride nel campione. Tutta la procedura si potrebbe semplificare sostituendo il fenolo con un alcol (es. isopropanolo), acetilabile all’ebollizione anche facendo a meno dell’acido minerale. In parallelo una prova di controllo con acido acetico puro. La titolazione avverrebbe direttamente con NaOH 1 M.

23 Ghiaccio secco I Abbiamo una bombola di anidride carbonica compressa. Come si fa a fare il ghiaccio secco? In base ad esperienze precedenti sarebbe dovuta bastare la semplice espansione in aria, contro uno straccio. Anche insistendo molto non si aveva che un leggero raffreddamento, assolutamente insufficiente a ottenere una “neve” di CO2. Durante le ripetute prove notiamo che a un terzo dell’altezza, dalla base della bombola, si forma uno spesso strato di brina, con un limite netto, al di sopra del quale il raffreddamento era inesistente. Forse a livello inconscio, abbiamo attribuito il fenomeno al livello a cui arrivava il liquido, ma non abbiamo dato alcun peso a questo indizio, che sarebbe poi risultato fondamentale alla risoluzione del problema.

24 Ghiaccio secco II Forse è necessario fare uscire la CO2 da un piccolo foro e farla espandere in una camera chiusa, prima di lasciarla uscire. Ricordo di aver visto qualcosa del genere all’università. I nostri meccanici costruiscono la camera di espansione d’acciaio con ghiera e ugello avvitabile direttamente alla bombola. Ma anche stavolta non accade nulla, indipendentemente da quanto si sviti la ghiera per mantenere la camera di espansione a pressione bassa. Intuiamo che stiamo sbagliando qualcosa di fondamentale, ma non sappiamo che cosa.

25 Ghiaccio secco III Durante le vacanze di Natale, rinunciato oramai a ottenere lo scopo, mi metto a cercare in internet apparecchietti per fare ghiaccio secco. Sembrano abbastanza semplici, ma costano troppo, non si riesce a capire cosa abbiano di particolare. Ricordo che dagli estintori ad anidride carbonica esce una neve di ghiaccio secco, ma perché? Ci saranno pressioni particolarmente elevate? No…!

26 Ghiaccio secco IV Grazie alla curiosità sull’estintore scopro che al suo interno c’è un tubo che pesca nel liquido, ed è questo che, spruzzato fuori dalla pressione del gas, si raffredda per evaporazione e solidifica. Era ovvio! Oltre all’effetto Joule-Thompson, il raffreddamento poteva (doveva) essere causato dall’evaporazione del liquido. Ma non potevamo smontare la nostra bombola!

27 Ghiaccio secco V Come fare allora per far uscire la CO2 liquida?
La soluzione mi si è presentata, come spesso accade, mentre non pensavo al problema, ed era come l’uovo di Colombo: capovolgere la bombola. Solo dopo tornato a scuola avrei potuto provare. Ma delusione, la bombola era finita a furia di provare. Ma oramai eravamo certi che “doveva” funzionare, sicché abbiamo acquistato un’altra ricarica e abbiamo realizzato il primo cilindro di 5x5 di ghiaccio secco.

28 Che cosa hanno in comune queste due esperienze di P.S.?
La soluzione si avvicina per approssimazioni successive, con correzioni di errori che in linea di principio dovrebbero essere evitati. Le conoscenze che vengono, alla fine, mobilitate, sono di livello base, comuni ad esperti e non: chi non sa che un liquido si raffredda quando evapora? Senza dare la dovuta rilevanza alle conoscenze teoriche, a ciò che non si vede e non si tocca, ai modelli teorici, checché ne dicano i “pratici”, non si risolvono i problemi. Einstein disse che non c’è nulla di più pratico di una buona teoria

29 E se il P.S. non si risolve? La funzione educativa del PS non è legata alla sua risoluzione, ma al fatto che si attivino curiosità, immaginazione, e inventiva, si sperimentano ipotesi, si progetta, si mobilitano conoscenze, si comincia a “credere” in maniera diversa nella propria capacità di generare idee e nelle proprie conoscenze, che ne escono comunque rafforzate.

30 I verbi del Problem Solving
Passare da una scuola in cui il docente è l’addestratore dei propri studenti ad una in cui ogni studente è l’addestratore della propria immaginazione I verbi del Problem Solving Riconoscere il contesto, analizzare il problema, definire il problema e i risultati parziali e finali, esplorare, immaginare, scegliere, ipotizzare, provare, applicare principi noti, diagrammare, accorgersi di un errore, ricercare, ipotizzare, inventare, adattare, cambiare percorso, fallire, fiutare, verificare l’adeguatezza, diventare consapevoli delle innovazioni strategiche, comprenderne il valore, i limiti, la validità I verbi dell’addestramento Iniziare, riprendere, applicare procedure note, proseguire, ripetere, ripercorrere, ricontrollare, completare, sbagliare, correggere, rifare da solo, rifare insieme, confondersi, orientarsi, dimenticarsi, ricordarsi.


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