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Sociologia dei processi culturali e comunicativi

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Presentazione sul tema: "Sociologia dei processi culturali e comunicativi"— Transcript della presentazione:

1 Sociologia dei processi culturali e comunicativi
Corso di laurea triennale in sociologia a.a. 2012/13

2 Il concetto di cultura Cultura termine polisemico. In linea generale, ci si riferisce alle dimensioni dell’agire umano che hanno carattere simbolico e appreso (linguaggio, religione, usi e costumi…). Spartiacque tra mondo umano e non umano.

3 Le diverse famiglie di significati del termine
1. Cultura in senso specializzato: oggetto delle discipline umanistiche, regno della dimensione spirituale e intellettuale (‘coltivazione’ dello spirito) Ciò che di meglio è stato detto e scritto. La sociologia dell’arte

4 2. Cultura come modi di vita di un gruppo o di una società (accezione descrittiva) Vedi la tradizione antropologica. Perché questa accezione può difficilmente essere applicata oggi. La complessità culturale

5 3. Cultura come rete di significati incontrati e creati dagli esseri umani. Il concetto semiotico di cultura (Geertz, Interpretazione di culture). Semiotica: scienza generale dei segni

6 La cultura permette agli esseri umani non solo di adattarsi all’ambiente, ma di adattare l’ambiente a se stessi. • Sulla relazione ‘natura’ versus ‘cultura’ Ciò che è ‘naturale è sempre interpretato culturalmente dagli esseri umani

7 La diversità tra gli esseri umani è legata alla cultura
La diversità tra gli esseri umani è legata alla cultura. Gli esseri umani apprendono attraverso strumenti culturali. Cultura come ciò che viene appreso e ciò che consente di apprendere.

8 La cultura mette a disposizione significati e sistemi di credenze
* La cultura mette a disposizione regole per l’azione sociale. Senza queste regole sarebbe impossibile per gli esseri umani comprendersi reciprocamente

9 La falsa antitesi idealismo versus materialismo
Visione idealista: centralità delle norme e dei valori (Parsons) Visione materialista: centralità degli interessi materiali (Marx). La riflessione sulle ideologie come ‘veli’ che coprono la realtà.

10 M. Santoro e R. Sassatelli, Studiare la cultura, il Mulino
Passaggio dall’idea di cultura come coltivazione dello spirito a cultura come insieme dei valori, delle norme, delle rappresentazioni all’interno di un contesto culturale dato

11 Visione della cultura come insieme di pratiche e di atteggiamenti che diamo per scontati nella nostra vita quotidiana. Cultura come pratica: forma di azione quotidiana. Alla sua base ci sono i significati (e le norme, credenze, le visioni del mondo, i valori… a cui essi rinviano)

12 Ann Swidler (1986). “Cultura in azione: simboli e strategie” (in Santoro e Sassatelli, 2009)
Cultura come ‘cassetta degli attrezzi’ (tool-kit): abitudini, stili, competenze. Non contano i valori ultimi, ma queste competenze nell’influenzare l’azione.

13 Domande generali: E’ possibile separare cultura e società? Come studiare la cultura?

14 Lo stesso concetto di cultura è figlio di una data ‘concezione culturale’ (vedi la sociologia della conoscenza, K. Mannheim) La concezione illuministica di cultura. Visione ottimista: la cultura si incarica di disperdere le tenebre dell’ignoranza e della superstizione. Equivalenza di cultura e ragione.

15 Cultura sinonimo, qui, di ‘civiltà’ e ‘civilizzazione’
Cultura sinonimo, qui, di ‘civiltà’ e ‘civilizzazione’. Universalismo del concetto di cultura. In seguito contrapposizione tra ‘cultura alta’ (prodotti dell’élite intellettuale) e ‘cultura bassa’ (cultura popolare).

16 Il romanticismo tedesco (fine Settecento, Ottocento): legame tra cultura e nazione. La centralità dell’idea di tradizione; specificità, sotto questo profilo, di una nazione. Nasce in questo contesto il concetto di Kultur come unicità (contro l’universalismo illuminista).

17 L’antitesi tedesca fra ‘cultura’ e ‘civilizzazione’
L’antitesi tedesca fra ‘cultura’ e ‘civilizzazione’. L’ analisi di Norbert Elias (‘Il processo di civilizzazione’, 1936). Cultura rimanda qui all’unicità e specificità delle singole culture contro la ‘civilizzazione’ che richiama la civiltà di corte (aristocrazia). Cultura come strumento per prendere le distanze dall’aristocrazia da parte della borghesia tedesca.

18 La concezione antropologica di cultura
La concezione antropologica di cultura (fine Ottocento): cultura come specificità di un popolo Dimensione descrittiva. Relazione con le imprese coloniali, e i cosiddetti ‘grandi viaggi’. I resoconti della vita delle popolazioni ‘altre’.

19 La cultura diventa dimensione collettiva. La centralità dei costumi.
La diversità tra le culture

20 E. Tylor (1871): cultura come insieme di conoscenze, credenze, arte, morale, diritto, costume e “qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società”. Ogni cultura racchiude al proprio una pluralità di dimensioni.

21 Tre dimensioni centrali dell’universo culturale nella visione antropologica:
a) il mondo delle norme e credenze (pensiero) b) il mondo delle azioni quotidiane (costumi) c) i prodotti del lavoro umano (cultura materiale)

22 Quali sono i caratteri centrali della cultura nella visione dell’antropologia?
1. La cultura è appresa. 2. La cultura rappresenta la totalità dell’ambiente sociale e fisico. Cultura e società finiscono in questo caso per sovrapporsi. 3. La cultura è condivisa. La cultura è uniformemente distribuita all’interno della società. I problemi posti da questa visione nella società contemporanea.

23 Il relativismo culturale al centro di questa visione di cultura – rifiuto della gerarchizzazione delle culture. Influenza di questa visione sulla sociologia – ma la sociologia, in quanto ‘scienza della società’ deve guardare ai processi di mutamento e analizzarne le dinamiche.

24 In che modo tre importanti scuole sociologiche - la scuola americana (Scuola di Chicago); la scuola francese (Durkheim); la tradizione di pensiero tedesca (Weber e Simmel) – interagiscono con la visione della cultura ereditata dall’antropologia.

25 1. La Scuola di Chicago Stati Uniti, prima metà del Novecento. Il metodo etnografico applicato alle realtà delle metropoli americane. Forti fenomeni migratori, coesistenza di culture diverse; comunità culturali che convivono, ma separate territorialmente. Principali autori di riferimento: Thomas e Znaniecki, Park, Robert e Helen Lynd

26 Perché conta la dimensione culturale in questo scenario: quali sono le interpretazioni soggettive che i nuovi immigrati danno della situazione in cui si trovano a vivere. La ‘definizione della situazione’ di Thomas.

27 A differenza dell’antropologia: centralità della costruzione sociale delle visioni culturali di cui i soggetti/i gruppi sono portatori. Park e ‘l’uomo marginale’: a cavallo tra più sistemi culturali. Rapporto tra definizione dell’identità e dinamiche culturali (specificità dello sguardo sociologico sul tema)

28 Park (The City) applica gli strumenti dell’antropologia culturale allo studio dell’organizzazione culturale complessa della città. Coesistenza di diversi gruppi: si base etnica, professionale, eccetera. Viene anticipato da Park il concetto di ‘subcultura’, che diventerà centrale per la sociologia del Novecento. La “città dentro la città”.

29 Attraverso la complessità culturale della metropoli si accentuano aspetti come la differenziazione simbolica, l’individualizzazione, la pluralità degli stimoli e delle relazioni. Crescono le relazioni secondarie rispetto a quelle primarie. La lezione di Simmel (La metropoli e la vita dello spirito, 1903) e la sua influenza su Park.

30 2. La scuola francese (Durkheim)
Le analisi dell’antropologia culturale sono utilizzate per formulare una teoria generale (vedi Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, 1912). Obiettivo: formulare leggi generali di funzionamento del mondo sociale.

31 Per Durkheim: importante cogliere le dimensioni stabili nel tempo delle forme religiose, non la loro variabilità a seconda delle culture (diversità rispetto al programma dell’antropologia culturale). Carattere simbolico della vita sociale: la dimensione simbolica è al centro della vita sociale; consente la comunicazione; attiva forme di solidarietà pre-contrattuali. La polemica con l’utilitarismo di Spencer.

32 Le rappresentazioni collettive (visioni del mondo, credenze, miti, valori, norme): dimensione istituzionale e oggettiva della cultura. Rappresentazioni collettive come fatti sociali. Cultura come dimensione cruciale per garantire l’ordine e la coesione sociale.

33 3. La tradizione di pensiero tedesca (Weber e Simmel)
Il dibattito metodologico (Methodenstreit) di fine Ottocento. La posizione di Max Weber. Esseri umani come esseri culturali: la centralità del significato che si annette all’azione.

34 La definizione weberiana di cultura (1922): “ sezione finita dell’infinità priva di senso del divenire del mondo, alla quale è attribuito senso e significato dal punto di vista dell’uomo”. Le ricadute metodologiche di questa visione. Il condizionamento reciproco tra economia e cultura (Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo).

35 L’analisi di Simmel della ‘cultura oggettiva’ e l’impossibilità del soggetto, nel mondo moderno, di appropriarsene, traformandola in ‘cultura soggettiva’. Nasce qui, per Simmel, la ‘tragedia della cultura’ moderna. L’analisi di Simmel ne ‘La metropoli e la vita dello spirito’ (1903)

36 I complessi problemi della relazione fra società e cultura oggi: le diseguaglianze e le differenze; la ‘deterritorializzazione’ della cultura; l’individuo ‘slegato’ dalle appartenenze culturali nell’universo globalizzato. Al tempo stesso, queste appartenenze si trasformano e possono generare identità non integrabili.

37 I valori Nel linguaggio comune i valori sono intesi come gli ideali verso i quali si tende. Due significati specifici nel linguaggio sociologico: Dimensioni ritenute soggettivamente/ oggettivamente rilevanti Criteri di valutazione dell’importanza di queste dimensioni

38 Le diverse dimensioni dei valori
Affettiva Cognitiva Selettiva Normativa

39 Nel discorso pubblico contemporaneo è entrato fortemente il tema della ‘crisi dei valori’. In realtà, non sono ‘i’ valori ad essere in crisi, ma alcuni specifici valori. La variabilità storica dei valori. Nuovi valori possono via via orientare l’azione.

40 Un esempio del mutamento dei valori:
un valore tradizionale: l’ʻonore’; un valore contemporaneo: l’autorealizzazione (Inglehart) e l’emancipazione personale Gli ‘indignati’ e la lotta intorno a nuovi valori. Il ruolo dei movimenti collettivi.

41 Durkheim e i valori La distinzione fra morale – ideali normativi e valori - e mores - condotte abitudinarie, costumi. I valori non possono essere ricondotti al comportamento. La dimensione valoriale è centrale per la vita sociale ( la coesione sociale)

42 Parsons e i valori T. Parsons sviluppa la visione durkheimiana dei valori: centralità del concetto di interiorizzazione dei valori nel corso del processo di socializzazione. I valori entrano a far parte della struttura motivazionale della persona. Importanza strategica dei valori per l’integrazione sociale (ma i valori dividono tanto quanto uniscono – v. Weber)

43 Il meccanismo di acquisizione dei valori secondo questa prospettiva teorica:
il bambino/la bambina apprendendo i ruoli si familiarizza e apprende i valori e le norme sociali ad essi collegate.

44 Weber e i valori Comprendere significato e funzione dei valori per comprendere l’azione sociale (valori come guida e orientamento delle scelte). Politeismo dei valori: non solo numerosità dei sistemi di valore, ma loro inconciliabilità. I conflitti che possono nascere.

45 Marx e i valori Le idee e i valori dominanti in una società sono i valori della classe dominante. Sono le ‘attività materiali’ ad ispirare i valori, e non viceversa. I valori vanno compresi nel contesto di un’analisi sull’ideologia.

46 Falsità dell’universalismo di valori quali libertà, uguaglianza, fraternità (i valori dell’Illuminismo). Mascheramento, attraverso i valori, di interessi particolari. Affinità fra la visione marxiana dei valori e quella utilitarista (accettazione dei valori in base all’interesse dell’attore sociale).

47 I valori e l’azione sociale
in linea generale va sottolineato come l’azione sociale risulti orientata non solo da valori, ma anche da interessi, consuetudini e, più in generale, aspirazioni. Una questione teorica (e empirica) aperta: in che misura i valori influenzano effettivamente i comportamenti?

48 Valori e norme sociali Importanza della distinzione fra valori e norme (anche se i due termini vengono talvolta usati in modo indifferente). Valori come principi generali, norme come dimensione vincolante che dai valori discende. Divieti e sanzioni come espressione delle norme.

49 I valori garantiscono riferimenti generali per l’azione; le norme regolano l’agire in contesti specifici (regole pratiche). Quando vengono apprese le norme? A differenza dei valori, interiorizzati nel corso della socializzazione primaria, le norme hanno un orizzonte di apprendimento aperto. Diffusione delle norme in tutti gli ambiti della vita sociale

50 La distinzione fra comportamenti ‘regolari’ (routine, tradizione, senso comune) e comportamenti ‘regolati’, cioè normati (se la norma è violata esistono sanzioni).

51 Weber e la legittimazione: relazione fra legittimazione dell’agire e possibilità di stabilire norme.
Autorità di carattere carismatico, tradizionale e legale razionale.

52 La classificazione delle norme:
Costitutive e regolative Definite in base al contenuto (variabile in relazione ai diversi ambiti sociali) Definite in base al diverso grado di formalizzazione (norme consuetudinarie e statuite). Il ruolo delle norme che delimitano il ‘territorio del sé’ (Goffman)

53 Importanza del diritto in relazione alle norme: norme giuridiche come sistema di norme autonomo rispetto al potere. La sfera del diritto si riferisce sia alla produzione delle norme sia alla loro interpretazione e applicazione.

54 I simboli Differenza tra segni e simboli
Segno: qualsiasi oggetto o evento usato come richiamo di altro oggetto o evento Dimensione affine a ciò che significa (fumo > fuoco; orma > animale). Simbolo (‘mettere insieme’). Segno di ordine superiore. Il simbolo come ricomposizione . L’usanza dell’antica Grecia.

55 Simbolo: segno o contrassegno riferito a dimensioni astratte
Simbolo: segno o contrassegno riferito a dimensioni astratte. Espediente che ci consente di operare astrazioni. I simboli si riferiscono a concetti (corona > regalità; buio > mistero; bandiera > patria). Appartengono alla dimensione ‘nascosta’ della cultura. Studiare i simboli per conoscere le diverse culture. Dimensioni universali e specifiche dei simboli. La dimensione mitologica.

56 Non c’è nulla, nella natura delle cose, che conferisca al simbolo il suo significato. I significati sono prodotti umani, che i gruppi umani assegnano a determinati oggetti o eventi, per accordo e convenzione. Carattere arbitrario, ma condiviso del simbolo.

57 Ruolo centrale della interazione sociale (e della socializzazione) nell’interpretazione comune dei simboli. Una collettività si riconosce in una serie di simboli condivisi. La scuola durkheimiana: la dimensione simbolica come cemento della società. Il ruolo dei simboli nel creare coesione sociale.

58 Simboli sono qui anche le credenze e i rituali condivisi (E
Simboli sono qui anche le credenze e i rituali condivisi (E. Durkeim, ‘Le forme elementari della vita religiosa’, 1912). Società come comunità simbolica. Simboli comuni = identità comune. I simboli creano identità. Ruolo fondamentale, sotto questo profilo, delle credenze religiose e delle forme rituali.

59 Centralità dei simboli naturali nelle religioni antiche
Centralità dei simboli naturali nelle religioni antiche. Dimensioni che appartengono alla natura, all’ambiente esterno - ad esempio rocce, alberi, fonti - possono trasformarsi in altrettante dimensioni simboliche. Queste dimensioni non dipendono dalla creazione umana (diverso il caso, ad esempio, di una stele di pietra eretta – vedi Stonehange, UK).

60 Diverse funzioni dei simboli:
Strumenti di espressione artistica Strumenti di comunicazione. Linguaggio come sistema simbolico. Ma attraverso le azioni simboliche (ad esempio i rituali) si ha la possibilità di condividere idee senza fare uso di parole, o con una verbalizzazione minima.

61 Relazione simboli & memoria.
I simboli aiutano a ricordare il passato. La memoria collettiva e gli oggetti simbolici (es.: l’orologio della strage di Bologna del 1980). Gli oggetti simbolici generano significati in modi molteplici: registri verbali, visuali, olfattivi, e così via. Gli oggetti simbolici creano ambienti memonici che coinvolgono i partecipanti alla commemorazione.

62 Ancora sulla relazione fra dimensione simbolica e dimensione del senso
Ancora sulla relazione fra dimensione simbolica e dimensione del senso. Il senso è prodotto dall’interazione sociale . La lezione weberiana e simmeliana. La lezione etnometodologica (Garfinkel)

63 Le religioni Ruolo delle religioni nella produzione e trasmissione del senso (dell’agire e, più in generale, dell’esistenza). Mentre le istituzioni economiche e politiche (‘razionali rispetto allo scopo’) hanno tradizionalmente messo a disposizione significati funzionali e oggettivi, sono state le istituzioni religiose (‘razionali rispetto al valore’) a rendere disponibili riserve di senso per le più ampie condotte di vita.

64 Questi schemi di significato collegano il tempo della vita ad un tempo che trascende (‘eternità’) l’esistenza individuale. La biografia ricava luce da questa connessione. Che cosa accade oggi, quando si diffonde la crisi del tempo ‘lungo’: crisi non solo del ‘differimento delle gratificazioni’, e dunque del progetto di vita, ma difficoltà anche nella produzione del senso sul piano collettivo.

65 Oltre alla dimensione del tempo (aspetto socio-culturale), quali sono le condizioni strutturali che favoriscono crisi di senso: Due tipi fondamentali di strutture sociali: 1. Società con un unico e vincolante sistema di valori. Le istituzioni sociali sono i referenti indiscussi della vita sociale (società aracaiche, grandi culture antiche).

66 2. Società in cui non esistono più valori comuni e vincolanti, a carattere prefissato; questa assenza impedisce che i diversi ambiti di vita siano tra loro interconnessi. Pluralismo degli orientamenti di valore, coesistenza di diverse comunità di senso (società moderne). In queste società è la sfera privata di vita a soddisfare l’esigenza di integrare l’esistenza personale in un sistema di valori sovraordinati.

67 Da qui il significato di secolarizzazione: non perdita del senso religioso (interpretazione diffusa, ma erronea) ma, nella modernità, ‘privatizzazione’ della ricerca di senso nella sfera religiosa. Individualizzazione delle credenze. Più in generale va comunque rilevato che l’influenza delle chiese in Europa è diminuita a partire dal XVIII secolo.

68 Il ruolo del ‘disincantamento del mondo’ (Weber) – la diffusione dell’idea che ogni aspetto della vita può essere, in linea di principio, controllato razionalmente – nel ridimensionamento moderno della dimensione pubblica della religione. Disincantamento come tendenza all’eliminazione della dimensione magica dall’esistenza. Oggi: tendenza al ‘re-incantamento’ del mondo.

69 Che cos’è invece il fondamentalismo:
il tentativo di ricondurre l’intera società a valori e tradizioni antiche. Oggi legame fra ricerca dell’affermazione del fondamentalismo e rivendicazioni sociali e politiche

70 La visione di Durkheim della religione (‘Le forme elementari della vita religiosa’, 1912).
Secondo D., le società non possono sopravvivere senza una morale generale. Questo ordinamento morale-simbolico viene definito ‘religione’. Si tratta di un ordinamento capace di garantire senso e, insieme coesione sociale.

71 La differenza fondamentale fra mondo ‘sacro’ e ‘mondo profano’
La differenza fondamentale fra mondo ‘sacro’ e ‘mondo profano’. Sacro come dimensione trascendente, ma capace di strutturare le vicende e le azioni umane. Contrapposizione fra spazi e tempi sacri e spazi e tempi profani.

72 Come conseguenza, grazie alla religione, le interpretazioni comuni della realtà (‘rappresentazioni collettive’) sono ricondotte ad una visione unificata. Durkheim concentra la sua attenzione sulla religione come dimensione simbolica e garante dell’ordine sociale a partire dagli aspetti meno elaborati dell’esperienza religiosa (vedi religioni totemiche).

73 A differenza di quanto sottolineato da Durkheim, nella modernità la religione diventa un’’istituzione secondaria’, con funzioni più limitate e specializzate (vedi Berger e Luckmann, Lo smarrimento dell’uomo moderno).

74 Weber si concentra, per contro, sulle grandi religioni universali (cristianesimo, islam, buddismo, induismo, ebraismo). Importanza, per Weber, delle immagini del mondo e dei modi di ottenere la salvezza per classificare le religioni universali

75 * Immagini teocentriche - cristianesimo, islam, ebraismo - o cosmocentriche -induismo, buddismo.
* Modi di ottenere la salvezza: differenze fra ascetismo e misticismo. L’’ascetismo intramondano’ dei primi imprenditori protestanti (‘L’etica protestante e lo spirito del capitalismo’).

76 L’ideologia Tema di riferimento per la sociologia della cultura. Varietà dei significati attribuiti al termine. Il termine risale al XVIII secolo (Destutt de Tracy) . Ideologia come forma di analisi che riguardano le origini delle idee

77 La questione dell’ideologia e la legittimazione del potere
La questione dell’ideologia e la legittimazione del potere. L’ideologia come sostituto della religione. E’ abolito il riferimento al trascendente, e sostituito con il riferimento alla scienza moderna.

78 Caratteri dell’ideologia:
Elevato grado di coerenza interna delle idee proposte Visione del mondo totalizzante Funzione di legittimazione del potere (un esempio contemporaneo: l’ideologia di genere) Richiamo all’autorità scientifica

79 Le ideologie come sistemi culturali sofisticati, dotati di coerenza razionale. Ideologia come sistema di riduzione della complessità, per nulla segnato dall’irrazionale, funzionale alla “tecnica sociale moderna” (Luhmann)

80 Importanza della dimensione rituale per il mantenimento e rafforzamento delle ideologie (dal ‘rito dell’ampolla’ al rito del consumo)

81 Dagli ideologi agli esperti
Si può davvero parlare di fine delle ideologie nella società contemporanea? Variano le forme della loro espressione, non viene meno la loro presenza. Dagli ideologi agli esperti

82 Le diverse visioni critiche dell’ideologia
1) La visione illuminista e la centralità della dimensione del pregiudizio (inteso come distorsione della realtà prodotta ad arte per difendere l’ancien régime) in relazione all’ideologia. La ragione come antidoto alla superstizione e al pregiudizio.

83 La visione ‘ottimista’ dell’Illuminismo
L’ideologia è uno strumento del potere, e viene imposta attraverso la menzogna e l’inganno. E’ sufficiente ‘smascherare’ l’ideologia attraverso la ragione per riconquistare la capacità di scorgere i rapporti di potere e il loro uso strumentale delle idee. La visione ‘ottimista’ dell’Illuminismo

84 2) La visione marxiana e la centralità della ‘falsa coscienza’
Che cos’è la falsa coscienza. Il paragone con la camera oscura (dispositivo ottico alla base della tecniche fotografiche) fotografici. Coscienza di sé come prodotto delle relazioni sociali. L’autonomia della coscienza è per Marx illusoria. Marx considera la propria visione come ‘oggettiva’ (‘scientifica’).

85 L’ideologia indica qui le rappresentazioni illusorie della realtà che ne occultano i fondamenti materiali (economici in primo luogo). La forza di un’ideologia è correlata all’assenza di consapevolezza da parte di chi la sperimenta. L’I. legittima gli interessi del potere.

86 L’ideologia all’opera: religione, filosofia, teorie economiche e politiche, ecc. come forme ideologiche: forme di giustificazione delle diseguaglianze sociali esistenti. Il rapporto fra ideologia e reificazione; fra ideologia e de-storicizzazione.

87 3) L’ideologia come forma di razionalizzazione
La visione di Pareto (sociologo ed economista italiano: 1848/1923). Che cosa sono le derivazioni: razionalizzazioni a posteriori dell’esistente. Per Pareto, tuttavia (a differenza che per Marx), le cause non sono sociali , ma psichiche.

88 Che cosa viene razionalizzato
Che cosa viene razionalizzato? Impulsi e istinti sono presentati con argomentazioni razionali, ‘mascherati’ dalle forme ideologiche (‘derivazioni’). Gli individui non hanno coscienza di questo meccanismo. I diversi livelli di analisi delle ideologie proposti da Pareto.

89 4) La visione di Karl Mannheim e la concezione ‘totale’ dell’ideologia
Ideologia non come distorsione legata a forme particolari di interesse, ma concezione del mondo complessiva (Weltanschauung). Differenza fra concezione particolare e totale dell’ideologia.

90 A differenza della concezione particolare, quella totale di ideologia non mira a smascherare le affermazioni di un dato gruppo sociale, ma a comprendere queste affermazioni inquadrandole storicamente. Legame fra studio dell’ideologia e sociologia della conoscenza. Concezione ‘neutrale’ dell’ideologia (oltre la falsa coscienza).

91 Il ‘senso comune’ Il senso comune (‘ciò che tutti sanno’, Jedlowski) può essere definito come lo specifico stile cognitivo, il modo di pensiero proprio della vita quotidiana. E’ lo ‘sfondo’ entro il quale la nostra esperienza personale si colloca.

92 Esso appare stabile sotto il profilo cognitivo.
In accordo a questo modo di pensiero il mondo è, per così dire, dato per scontato, è esente dal dubbio che le cose possano stare diversamente da come appaiono (Schutz, Saggi sociologici) Esso appare stabile sotto il profilo cognitivo.

93 Il senso comune comprende credenze, visioni della realtà, modi di metterla a tema, ‘massime’ con finalità pratiche, riferite alla vita quotidiana. Tutte queste dimensioni sono condivise all’interno di un gruppo sociale dato. Il ruolo delle interazioni sociali nella sua formazione.

94 Sotto questo profilo il s. c
Sotto questo profilo il s.c. è un insieme di certezze la cui verità non si lega a ragionamenti, ma ad evidenze. E’ il regno dell’ovvio, del non problematico, del familiare (Jedlowski). E’ anche, al tempo stesso, un sistema di aspettative Delimita, prima ancora che le risposte, le domande che è lecito porsi.

95 Secondo la prospettiva della sociologia fenomenologica questo atteggiamento assume la realtà come non problematica. Mette fra parentesi il dubbio che le cose possano essere diverse da come appaiono.

96 Sul piano piano pratico questo atteggiamento corrisponde alla formazione di routine e abitudini.
Il ruolo strategico della routine nel proteggerci dalla minaccia dell’incertezza contemporanea (vedi Berger, Berger e Kellner, The Homeless Mind: Modernization and Consciousness, 1973).

97 Il senso comune può essere considerato anche come una forma di memoria sociale - come un insieme di regole, precetti, aspettative – legata ad una tradizione (vedi articolo di Jedlowski, Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 1994). Dimensione normativa del senso comune: ciò che ritenuto non solo ovvio, ma giusto. Dimensione plurale del senso comune: non solo ogni società, ma anche ogni gruppo sociale, ha e riproduce un proprio senso comune.

98 L’innovazione, sul piano cognitivo, corrisponde precisamente ad una rimessa in discussione del senso comune: ad una sospensione, in altri termini, dell’atteggiamento che dà il mondo per scontato. Ne derivano apertura all’incertezza, ma anche alla creatività.

99 Cultura e identità Non si può parlare di identità personale in modo separato dall’identità sociale. Il ruolo delle appartenenze sociali sotto questo profilo. L’identità, personale o collettiva, richiede forme di autoriconoscimento per potere essere considerata tale. Se si parla di identità non vi può essere mancanza di consapevolezza (a differenza di quel che può accadere per la cultura).

100 L’identità personale L’identità si definisce al crocevia fra uguaglianza e differenza (con altri); fra continuità e discontinuità (con se stessi). Centralità della dimensione di unità (del sé). Questa unità nasce dalla tensione fra due processi: di identificazione e di individuazione.

101 La nozione di identità è in tal senso indissolubile da quella di tempo: rapporto con il passato (la memoria), con il presente (l’azione) e con il futuro (i progetti). Identità come continuità temporale nonostante i cambiamenti

102 L’identità collettiva
Si sente di ‘appartenere’ a un gruppo, concepito come una dimensione unitaria e coerente. Il gruppo, a sua volta, enfatizza il mantenimento nel tempo della propria cultura – memorie, valori, specificità. Centralità, di conseguenza, della dimensione culturale (una cultura comune è necessaria per fare riferimento ad un’identità collettiva)

103 Identità collettiva come baluardo contro l’incertezza sociale contemporanea: l’I. ci ‘colloca’ nel mondo. Tutte le identità sono costruzioni sociali e storiche. Contro l’essenzialismo (l’I. non è una dimensione ‘naturale’, ‘eterna’). Per definizione, le I. sono soggette a continue trasformazioni.

104 Ogni identità si definisce sulla base del rapporto con le differenze.
Le ‘politiche dell’identità’ nascono dallo scarto fra dinamiche di auto-riconoscimento e etero-riconoscimento (es: gruppi etnici, gruppi femministi, ecc.). Rifiuto delle identità imposte.

105 La negazione dell’identità
Le istituzioni totali (Goffman); i processi migratori. L’identità culturale Centralità dell sentimento di appartenenza sulla base di un’origine comune, della condivisione di un territorio, di una lingua.

106 Relazione fra globalizzazione e crisi di identità - identità sempre più frammentate in un contesto di flussi culturali transnazionali. La risposta a questa condizione di incertezza è sovente costitita dal revival di identità etniche, culturali e religiose. Nuovo riferimento alle identità ascritte identificate come strumento di libertà.

107 Il multiculturalismo Tre ordini di problemi diversi compresi nel termine: La presenza di differenze culturali (il contrario di monoculturalismo) Il dibattito su ciò che è giusto o non è giusto fare quando il particolarismo culturale chiede riconoscimento nello spazio pubblico (rinvio alla filosofia politica) Le politiche che al multiculturalismo si richiamano (vedi, negli anni Settanta del Novecento, le politiche del Canada)

108 Due strategie di fronte all’immigrazione: assimilazione (precedente gli anni Settanta: il melting pot come assimilazione delle diverse culture in un’unica, grande cultura – vedi USA) e riconoscimento delle diversità culturali (dopo i Settanta: si discute del diritto dei migranti a mantenere la propria identità).

109 Il multiculturalismo prende forma in questo secondo quadro
Il multiculturalismo prende forma in questo secondo quadro. Ma è necessario distinguere fra l’aggettivo multiculturale (differenze culturali) e il sostantivo multiculturalismo. Con questo secondo termine ci si riferisce ad una forma di politica governativa (con il Canada è l’Australia a praticarla per prima negli anni Settanta) messa a punto per fronteggiare le conseguenze di processi migratori su larga scala.

110 Multiculturalismo come approccio alternativo all’assimilazione
Multiculturalismo come approccio alternativo all’assimilazione. Riconoscimento dei diritti dei cittadini e delle identità culturali di gruppi etnici minoritari. Nel discorso pubblico equivalenza di multiculturale e multietnico. In chiave oppositiva, multiculturalismo è inteso come quella prospettiva necessaria a superare concezioni etnocentriche o razziste della vita sociale.

111 Il multiculturalismo ‘forte’
Riferimento al multiculturalismo in chiave conservatrice. Unicità della ‘differenza’ culturale; le culture come entità autonome e non comunicanti; omogeneità e stabilità interna di ciascuna cultura. I diversi gruppi possono coesistere solo perché si ignorano reciprocamente. Il ‘multiculturalismo forte’ promuove la difesa delle differenze in una vera e propria ‘guerra tra culture’

112 Il concetto di M. resta dunque controverso
Il concetto di M. resta dunque controverso. Oggi viene spesso usato per evocare i dilemmi e le difficoltà della politica della differenza (per alcuni critici il M. promuove ad esempio un approccio solo ‘estetico’ alla differenze, celebrando la ‘diversità culturale’. Forma di contenimento della resistenza). Vedi i numerosi festival multiculturali organizzati a livello locale.

113 La critica degli studi postcoloniali e postmoderni: il M
La critica degli studi postcoloniali e postmoderni: il M. presuppone che i singoli gruppi etnici ‘possiedano’ una ‘cultura’, e che quest’ultima costituisca una realtà fissa, statica. Il multiculturalismo critico (versus il M. liberale): la diversità è un obiettivo, che va affermato nel contesto di una politica di critica culturale e di impegno a favore della giustizia sociale.

114 Per i critici conservatori il M
Per i critici conservatori il M. incoraggerebbe il separatismo e metterebbe in discussione l’unità nazionale e la coesione sociale (‘culto dell’etnicità’; ‘ossessione della differenza’) Il problema dell’oggi: come affrontare la proliferazione delle differenze etniche e culturali all’interno della nazione (porosità delle frontiere).

115 Per i critici conservatori il M
Per i critici conservatori il M. incoraggerebbe il separatismo e metterebbe in discussione l’unità nazionale e la coesione sociale (‘culto dell’etnicità’; ‘ossessione della differenza’) Il problema dell’oggi: come affrontare la proliferazione delle differenze etniche e culturali all’interno della nazione (porosità delle frontiere).

116 Il consumo Il sostantivo ‘consumo’ deriva dal verbo latino ‘consumere’ – non solo usare le cose, ma anche distruggerle, esaurirle, portarle a consunzione. E ‘consunzione’ è anche il termine utilizzato in passato per designare l’ultimo stadio della tisi polmonare. Acquisto e distruzione si intrecciano.

117 Da qui anche la contrapposizione fra consumo e produzione, tra consumatore e produttore.
Per l’economia (nel XX secolo) il consumo diventa la soddisfazione di bisogni umani attraverso mezzi economici. Vedi il modello economico neoclassico (consumatore: azione razionale sulla base di informazioni acquisite, calcolo, scelta).

118 Le teorie sociologiche sul consumo
L’economia è interessata alle preferenze di consumo, non al modo in cui queste preferenze si sono formate. Il valore simbolico dei beni. Theodor Veblen (1899, La teoria della classe agiata): Il consumo vistoso. Si riferisce alla tendenza a definire il proprio status sociale attraverso forme di consumo appariscente sul piano sociale. Strategia di distinzione.

119 La leisure class (classe agiata) usa forme di consumo vistoso per distinguersi dalle altre classi. Imitazione da parte delle classi inferiori. Il consumo è vistoso se è superfluo. Il consumo come strumento di onorabilità e rispettabilità. All’origine del consumo c’è il desiderio di supremazia per quel che riguarda lo status. Distanza dalla prospettiva economica ‘neutra’.

120 Simmel e la moda (1911). Imitazione e differenziazione agiscono congiuntamente.
Innovazione nei consumi della classe superiore per segnare la distanza dalle classi inferiori. Non appena il modello viene raggiunto dalle classi inferiori si svaluta e viene sostituito.

121 Bourdieu (La distinzione): i consumi sono un’espressione dell’habitus, che è sempre un habitus di classe. L’insieme delle pratiche e delle preferenze costituisce uno stile di vita. Gli stili di vita, in quanto ‘schemi di percezione e classificazione’ consentono una forma di gerarchizzazione sociale. L’habitus trasforma i beni materiali e gli oggetti di consumo in segni di valore simbolico.

122 In analisi successive sui ‘gusti’ e gli stili di vita (a partire soprattutto dagli anni Novanta) questi ultimi tendono ad essere sganciati dalla differenze di classe e ricondotti, piuttosto, a dimensioni identitarie e scelte su base culturale.

123 Oggetti (e consumo) come sistema di segni (Baudrillard, Il sistema degli oggetti, 1968).
Oggetti come ‘accessori rituali’ attraverso i quali viene costruita cultura (e identità) (Douglas e Isherwood, Il mondo delle cose, 1979)

124 Per concludere. Al consumo possono esere associate visioni sociali differenti (valutazioni positive versus negative). La società dei consumi. Il ‘consumerismo politico’ e il consumo critico.

125 I processi comunicativi
Pensiamo il mondo attraverso il linguaggio: coincidenza fra linguaggio e pensiero. Relazione fra linguaggio e dimensione simbolica Linguaggio verbale e non verbale. Le possibili contraddizioni fra le due forme di linguaggio

126 Struttura sociale, cultura e forme linguistiche
Struttura sociale, cultura e forme linguistiche. La variabilità del linguaggio. Gli studi di Berstein (anni Settanta): Classe sociale, linguaggio e socializzazione. Linguaggio e forme dell’identità collettiva

127 Sul rapporto tra cultura e linguaggio
Sul rapporto tra cultura e linguaggio. Secondo una nota formulazione (‘ipotesi Sapir-Whorf ‘, seconda metà del Novecento), a seconda della lingua che pratichiamo comprendiamo il mondo in modo differente

128 Storia della lingua e storia della cultura sono parallele: il caso dell’Italia e dell’unificazione linguistica del paese (vedi gli studi di Tullio De Mauro). A metà Ottocento solo il 2,5% della popolazione parla l’italiano. Il ruolo dell’istruzione di massa e della televisione a partire dagli anni Cinquanta del Novecento. La persistenza dei dialetti locali.

129 La comunicazione interpersonale
Non c’è interazione sociale senza comunicazione. I suoi elementi: Un/a emittente Un/a ricevente Un codice Il messaggio Il canale Il contesto

130 Le differenze fra ‘denotazione’ e ‘connotazione’ (la seconda dimensione ha carattere valutativo). Il ruolo centrale dei processi di interpretazione della comunicazione (riferimento alle dinamiche culturali)

131 La comunicazione di massa
La comunicazione mediata: i mezzi di comunicazione di massa (media). Gli emittenti sono comunicatori di professione. Il contenuto simbolico (messaggio) è standardizzato. Il rapporto emittente/ricevente è senza obblighi reciproci (‘amorale’)

132 Diversi tipi di tecnologie comunicative nella storia: la scrittura, la stampa, le telecomunicazioni.

133 La scrittura (prime forme: 4000 a. C
La scrittura (prime forme: 4000 a.C.; prima scrittura alfabetica fenicia 1300 a.C.). Differenze tra cultura orale e cultura scritta (Ong) (diversi sensi coinvolti; diverse forme di apprendimento; diversa relazione con il tempo; diverse forme di articolazione del discorso)

134 Gli amanuensi (coloro che copiavano i manoscritti)
Gli amanuensi (coloro che copiavano i manoscritti). Prime forme di stampa nel XIV secolo in Europa. L’invenzione della stampa a caratteri mobili è del 1456, ad opera di Gutenberg. Meccanizzazione di un’attività tradizionalmente manuale. Il libro come prima merce nella fase di transizione dal medioevo al nascente capitalismo.

135 Stampa dei libri come attività economica regolata dal mercato.
Trasformazione delle forme di conoscenza e del sistema culturale. Il caso della relazione fra stampa della Bibbia (primo testo stampato secondo la tradizione) e Riforma protestante. Carattere individuale e intimo della lettura.

136 Rapporto fra individualizzazione e diffusione della stampa
Rapporto fra individualizzazione e diffusione della stampa. Nasce l’’autore’ come figura individuale. La proprietà intellettuale.

137 L’opposizioene della Chiesa cattolica alla diffusione della stampa
L’opposizioene della Chiesa cattolica alla diffusione della stampa. Necessità di una licenza per leggere i libri sacri in volgare (escluse comunque le donne e chi non sapeva leggere in latino). A metà del XVI viene creato l’Indice dei libri proibiti (sopravvissuto fino al 1966).

138 Relazione fra nascita di un sistema dei media, alla fine del Settecento, e la nascita dell’opinione pubblica. Nasce il concetto di ‘sfera pubblica’ (Habermas) come ambito intermedio fra società civile e stato.

139 Le telecomunicazioni. Fino al 1800 le informazioni si diffondono con il solo supporto fisico. Le distanze (vincolo fisico) richiedono tempi lunghissimi per essere coperte (versus la simultaneità del nostro tempo, garantita dai media elettronici).

140 1838: nasce in Inghilterra il telegrafo (codice Morse)
1838: nasce in Inghilterra il telegrafo (codice Morse). Un messaggio poteva arrivare in poche ore da un continente all’altro invece che in parecchi mesi. Il pianeta diventa via via più piccolo. 1856: nasce il telefono (Meucci e Bell). Con il tempo diffusione del telefono nelle abitazioni private.

141 A partire dall’Ottocento progressiva riduzione delle distanze geografiche.
Separazione di spazio e tempo nelle telecomunicazioni. La simultaneità non richiede più lo stesso tempo e lo stesso spazio (Thompson).

142 Inizio Novecento: nasce la radio (Marconi)
Inizio Novecento: nasce la radio (Marconi). Primi utilizzi legati a finalità militari. Dopo la prima guerra mondiale viene scoperta l’importanza delle onde radio come strumento di comunicazione 1920: nascono le prime emittenti radiofoniche negli Usa e in Inghilterra. Si trasmette senza sapere a chi ci si rivolge.

143 La radio fa il suo ingresso nella vita quotidiana di milioni di persone come primo medium di massa.
1929: prime trasmissioni televisive negli Usa e in Inghilterra nel Nel 1960 quasi il 90% delle famiglie americane possiede un apparecchio televisivo.In Italia la Rai trasmette i primi programmi nel 1954.

144 Le principali prospettive teoriche nello studio dei media di massa
La teoria dell’ago ipodermico Primi decenni del Novecento Visione apocalittica: la società è atomizzata (società di massa), il pubblico è manipolato dai media (dallo stimolo alla risposta, in modo automatico). Il caso dello sceneggiato radiofonico ‘La guerra dei mondi’, 1938.

145 Il modello delle cinque W di Laswell (anni Trenta):
WHO : chi comunica WHAT: che cosa comunica WHOM: a chi comunica WHERE: dove/come/con quale mezzo comunica WHAT EFFECTS: con quali esiti

146 Il modello ripropone i limiti della teoria ipodermica:
La comunicazione non è una costruzione collettiva, ma un processo unidirezionale; Il processo è asimmetrico; Prevedibilità delle finalità del messaggio e delle forme della reazione del pubblico; Emittente e ricevente sono messi a tema come slegati dal contesto sociale.

147 2. Il flusso di comunicazione a due stadi
Anni Quaranta. Si mette in discussione la teoria dell’ago ipodermico. Gli esiti della comunicazione variano a seconda dei tipi di pubblico: Da stimolo > risposta a: stimolo > variabili intervenienti > risposta.

148 In sintesi, per comprendere gli effetti dei media di massa occorre studiare i contesti in cui essi agiscono, vale a dire le relazioni sociali in cui il pubblico/i pubblici è/sono inseriti.

149 Il flusso di comunicazione a due stadi (Lazarsfeld et. al
Il flusso di comunicazione a due stadi (Lazarsfeld et. al. 1944): ripensamento degli effetti mediatici. Il ruolo centrale delle relazioni interpersonali e degli opinion leaders nell’interpretazione dei messaggi dei media. Messaggi mediali > opinion leaders > pubblici.

150 Inoltre, secondo questa teoria, i media rafforzerebbero opinioni già presenti nel pubblico piuttosto che influenzarlo ex novo. In sintesi: con questa visione teorica si passa dalla manipolazione (ago ipodermico) alla persuasione, all’influenza.

151 3. La teoria degli usi e gratificazioni
Seconda metà del xx secolo. Il problema si sposta: dall’influenza dei media sulle persone a come le persone ‘usano’ i media per finalità proprie (per ricevere una gratificazione). La centralità della prospettiva struttural-funzionalista (Parsons) e del concetto di ‘funzione’.

152 La fruizione mediale si presta alla soddisfazione di diversi tipi di bisogni: di informazione ma anche di identità, di relazione, emozionali, di intrattenimento, di evasione, eccetera. Contano, anche qui, i contesti materiali/sociali della fruizione.

153 Ruolo attivo del pubblico/dei pubblici dei media nella costruzione dei messaggi mediali. Il pubblico usa i media per gratificare i propri bisogni sulla base di un modello di influenza circolare: struttura sociale, caratteristiche personali, modelli di consumo mediali, comportamenti sociali.

154 4. La teoria critica Anni Venti-Sessanta
La Scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Marcuse, Benjamin, Fromm): approccio interdisciplinare, marxismo critico (contro l’ortodossia marxista). Lo studio dei mass media si lega a quello dell’industria culturale (cinema, radio, stampa, poi televisione), considerata strumento della classe dominante.

155 Il consumo culturale di massa, l’omologazione dei bisogni, la manipolazione dei desideri.
L’industria culturale produce merci culturali, prodotti preconfezionati destinati ai consumatori. Il ruolo della pubblicità in questa analisi.

156 L’industria culturale è al servizio della classe dominante e legittima l’ideologia dominante.
Visione fortemente critica dei media. Vicinanza con la teoria dell’ago ipodermico. La fruizione mediale massificata anestetizza il pensiero.

157 L’’uomo a una dimensione’ di Marcuse (1964): falsa coscienza e manipolazione dei bisogni. Il sistema dei media persegue il consenso. Contro l’approccio funzionalista e la ricerca statunitense sui media (media communication research)

158 5. I Cultural Studies Anni Cinquanta-Settanta
CCCS (Centre for Contemporary Cultural Studies), Università di Birmingham. La cultura viene studiata a partire dalle pratiche quotidiane dei soggetti e dalle costruzioni di senso in tal modo prodotte.

159 Approccio di impronta marxista, attento alle diseguaglianze di classe e al confflitto, ma plasmato dalla convinzione della centralità delle pratiche di negoziazione attiva dei significati da parte dei soggetti. Cultura come terreno di scontro tra volontà di dominio (cultura dominante) e forme di resistenza (classi subalterne).

160 Analisi su produzione e consumo mediali, considerati come terreni complessi di studio e di analisi.
Hall (1973) e il modello encoding-decoding: produzione come encoding, consumo come decoding. Il possibile esercizio di soggettività dei fruitori.

161 Tre tipi di decoding (decodifica) del prodotto mediale:
1. letterura egemonica-dominante 2. lettura negoziata 3. lettura oppositiva Importanza del ruolo potenzialmente attivo dei fruitori

162 Dal pubblico ai ‘pubblici’
Dal pubblico ai ‘pubblici’. Il ruolo delle subculture (Hebdige 1979) nel costruire significati diversi dei prodotti mediali. Gli audience studies: i pubblici come comunità interpretative. Contro la prospettiva della Scuola di Francoforte: il ruolo attivo della cultura popolare nel mettere in discussione i messaggi dell’industria culturale.

163 6. La Scuola di Toronto Anni Sessanta-Novanta
Riferimenti: McLuhan, de Kerckhove. Centralità della tecnologia della comunicazione. Tecnologia come motore del mutamento sociale.

164 McLuhan fonda a Toronto, nel 1963, il Center of Culture and Technology
Analisi dell’impatto della stampa e dei media elettrici sulla mente umana. Vere e proprie mutazioni antropologiche si producono attraverso l’uso dei diversi media – dalla scrittura ai media di massa.

165 Media come estensioni del sistema nervoso, ma anche della onsapevolezza umana. La metafora del ‘villaggio globale’ legata alle trasformazioni sociali e culturali prodotte dai media di massa.

166 Che cosa sono i ‘media caldi’ e i ‘media freddi’
Che cosa sono i ‘media caldi’ e i ‘media freddi’? I primi, i ‘media caldi’, lasciano poco spazio alla rielaborazione personale del fruitore (cinema, radio). I secondi, i ‘media freddi’, richiedono un suo intervento attivo (per McLuhan sono ‘media freddi’ il telefono e la televisione).

167 La famosa espressione di McLuhan ‘il medium è il messaggio’ rinvia all’incessante processo di mutamento prodotto dai diversi media. E’ questo il ‘messaggio’ mediale. I ‘modelli mentali’ (brain frames) stimolati dai diversi media

168 Forte determinismo tecnologico delle elaborazioni della Scuola di Toronto

169 Nota conclusiva Non ci sono slides relative alle lezioni sul tema del tempo, della memoria e delle generazioni. Per i testi di riferimento si rimanda al sillabo.


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