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Prof. Carluccio Bonesso carlucciobonesso.info

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Presentazione sul tema: "Prof. Carluccio Bonesso carlucciobonesso.info"— Transcript della presentazione:

1 Prof. Carluccio Bonesso carlucciobonesso.info
Educare e insegnare Prof. Carluccio Bonesso carlucciobonesso.info

2 Cosa vuol dire educare?

3 La relazione educativa è una delle relazioni fondamentali che fanno parte della grande aerea relazionale della cura. Della cura possiede sia l’occuparsi e sia il preoccuparsi heideggeriani, che stanno all’origine della premura, che è il precedere il bisogno dell’Altro, e della devozione, che è il dedicarsi ricco di senso alla crescita dell’Altro. In ciò risiede il reciproco svilupparsi dei protagonisti nell’evento educativo.

4 L’edonia della relazione educativa sta nel sentirsi dentro un processo di autorealizzazione condiviso. Qui ha origine la sollecitudine e la fatica che alimentano la motivazione. Educare è porre ascolto al bisogno di crescere dell’Altro e non quello che piacerebbe fare. Perciò è un sentire intelligente, che legge dentro, secondo un pensare emotivo denso, che nasce dall’attenzione, non dalla selezione.

5 Nell’educazione vince il desiderio dell’Altro ad essere pienamente e a crescere.
Perciò l’educazione dev’essere empatica, un mettersi in relazione dimenticando se stessi, avendo riguardo, perché è dall’empatia che nasce la propensione, la spinta e la forza dell’azione educativa.

6 Educare deve esser principalmente una presenza piena dell’assenza di sé, un saper attendere sicuri, senza aspettative, un essere massimamente presenti all’assenza di sé. Chiunque sia dentro una relazione educativa ed abbia troppo presente il proprio successo, i propri impegni, sé stesso, è inevitabilmente assente: non educa, ma induce o obbliga.

7 Piano della relazione educativa PROEDONIA E +y Sedurre Educare Affascinare Motivare Conquistare Liberare ANTITROPISMO E -x PROTROPISMO E +x Indurre Insegnare Obbligare Condurre, Convincere Costringere Correggere o Confermare ANTIEDONIA E –y (E = educazionale)

8 Il piano della relazione educativa ha in ascissa il tropismo, la propensione, la spinta, la vocazione educative, mentre in ordinata l’edonia, il piacere, ma anche la fatica del compito educativi. Nel quadrante eutimico, x e y positivi, è centrale la motivazione, cioè ciò che da dentro muove.

9 Ogni comportamento ha due possibili origini: una emotiva esterna data dall’interazione con l’ambiente, in cui l’individuo agisce spinto dagli eventi contingenti, ed una seconda in cui l’agire è determinato dalla motivazione. Davanti un semaforo rosso ci si può fermare per paura (emozione) o per rispetto del codice della strada (motivazione).

10 Educare è un ē-dūcĕre, un tirar fuori da dentro, cioè abbandonare le vie emotive mosse da fuori per andare verso la via interiore: la motivazione. Da qui discende la libertà e la responsabilità. Educare alla responsabilità è saper scoprire e scegliere il motivo valido che muova a fare. Il compito dell’educatore è quello di sollecitare le motivazioni, non di indurre l’educato, né sostituirsi ai suoi doveri.

11 Quante volte riflettiamo con gli studenti sulla motivazione ed il senso del venire a scuola?

12 EMOZIONE  MOTIVAZIONE

13 Il problema è presto risolto.
Vogliamo che i nostri studenti siano mossi dall’esterno (emozioni, passioni e mode)? Oppure vogliamo che siano autonomi, cioè mossi dall’interno (motivazioni)? Indurre e condurre è guidare dall’esterno. La seduzione è il prevalere dell’adulto sul minore. Educare è rendere gli studenti capaci di autonomia, cioè di libertà.

14 L’ambiente esterno, il nostro corpo e la memoria ci forniscono gli stimoli che attivano emozioni, passioni e gli atteggiamenti. Nel rapporto educativo da una parte c’è lo studente con i suoi bisogni e dall’altra l’adulto. Quando l’adulto agisce sullo studente in-duce, con-duce o se-duce, attraverso le emozioni, le passioni e gli atteggiamenti.

15 La modalità educativa interiore risponde invece soprattutto ai bisogni alti di senso, significato e finalità. Chi vive secondo senso, cioè sensatamente e razionalmente riesce bene nella vita; soddisfa i bisogni di riuscita, di approvazione sociale e di autorealizzazione, ma soprattutto trova un significato, qualcosa dentro di Sé, ricco di un valore che regala serenità, operosità ed anche felicità.

16 Nell’educazione il bisogno dello studente è prevalente sul bisogno dell’adulto.
Nell’induzione e nella conduzione è maggiormente prevalente il bisogno dell’educatore. Perché il bisogno dello studente prevalga occorre che emerga la motivazione. Ciò è possibile solo nell’esercizio della libertà.

17 IN - DUCO L’induzione si pratica attraverso l’esercizio delle aspettative, la pretesa ed il comando. “Io mi aspetto che tu …” “Io voglio che …” Tu devi: essere il primo, essere vincente, essere bravo” ecc. “Se non fai … sei un fallito, non vali niente” ecc. L’induzione alleva i forzati del successo, sempre competitivi, futuri nevrotici, modaioli, infelici consumatori di psicofarmaci e droghe.

18 Le emozioni tipiche dell’induzione e del comando, sono la paura di far brutte figure, la rabbia delle aspettative deluse dell’adulto e dello studente costretto, la tristezza e i sensi di colpa nelle sconfitte, la soddisfazione nella riuscita. Essendo l’induzione basata sulle aspettative, la relazione non è mai serena e quindi sarà priva di felicità, poco piacevole e conflittuale.

19 Questa modalità educativa risponde bene ai bisogni biologici e in parte sociali.
Chi ha successo e riesce nella vita risolve efficacemente i bisogni biologici di sussistenza e sopravvivenza; inoltre attraverso il successo soddisfa i bisogni di riuscita, di approvazione sociale e di realizzazione, ma spesso a scapito dei bisogni spirituali di senso e significato, di conoscenza, e dei bisogni etici e morali.

20 In-segno «Il termine "insegnare" deriva dal latino insignare composto dal prefisso "in" unito al verbo "signare", con il significato di segnare, imprimere. L’attività dell’insegnante, quindi, lungi dal limitarsi alla trasmissione del sapere fine a se stesso, consiste nel "segnare" la mente del discente, lasciando impresso un metodo di approccio alla realtà, che va ben oltre lo studio».

21 È l’attività dell’insegnante ad essere la protagonista,
agendo attraverso l’istruzione modulata dalla conferma/correzione. In questa prospettiva il pericolo del nozionismo è latente costantemente alimentato dalla minaccia del programma incombente.

22 CON - DUCO Il Condurre è tipico di chi si mette davanti e tira gli altri spesso dove ha deciso lui! La conduzione educativa è di tipo accuditivo: è un mettersi a fianco per fare quello che si ritiene giusto per il ragazzo/a. L’adulto a volte si sostituisce, a volte aiuta, a volte sollecita. È molto presente, ma anche apprensivo, talvolta ossessivo … toglie il fiato!

23 Il rapporto di conduzione è caratterizzato dalla confusione dei ruoli: l’adulto sovrappone i ruoli o si sostituisce al ragazzo/a. Ciò libera ansia e un sottile fastidio ed impazienza nell’adulto costretto a estenuanti contrattazioni con il ragazzo ritenuto privo di autonomia. Mentre la risposta dell’interessato è la noia e i sensi di colpa. Tutto sarà faticoso, non privo di aggressività, e con tanta insoddisfazione per mancanza di motivazione da parte dei protagonisti.

24 Questa modalità educativa, anzi accuditiva, risponde soprattutto ai bisogni e alle paure dell’adulto. Altro è aiutare e motivare, altro è sostituirsi. Lo studente che non ha capito che fare autonomamente il proprio dovere è funzionale ai suoi bisogni, è confuso, già tagliato fuori dal gioco della vita: un forzato del gregarismo, un futuro bamboccione!

25 Se-duco Nella seduzione e nell’esercizio del fascino la motivazione auto centrata dell’educatore è predominante sulla motivazione dell’educato. Perciò non si può parlare di processo educativo, ma d’un avvincere ed ammaliare, indice di assenza della propensione educativa empatica. È uno stravolgimento della relazione educativa, che genera dipendenza, e non la libertà propria del processo educativo.

26 E - DUCO Educare vuol dire tirar fuori da dentro, cioè abbandonare le vie emotive mosse da fuori per andare verso la via interiore: la motivazione. Educare alla responsabilità è saper scoprire e scegliere il motivo valido che muova a fare. Il compito dell’educatore è quello di sollecitare le motivazioni, non di indurre l’educato, né sostituirsi nei suoi doveri.

27 Questa modalità educativa risponde ai bisogni alti di senso e significato.
Chi vive secondo senso, cioè sensatamente e razionalmente riesce bene nella vita; soddisfa i bisogni di riuscita, di approvazione sociale e di autorealizzazione, ma soprattutto trova un significato, qualcosa dentro di Sé, ricco di un valore che regala serenità, operosità ed anche felicità.

28 Nell’educazione il bisogno dell’educato è prevalente sul bisogno dell’adulto.
Nell’induzione, nella conduzione e nella seduzione è maggiormente prevalente il bisogno dell’educatore. Perché il bisogno dell’educato prevalga occorre che emerga la motivazione. Ciò è possibile solo nell’esercizio della libertà.

29 LE SEQUENZE DI FLUSSO induce Bisogno conduce dell’adulto seduce
il processo formativo Bisogno dello studene e-duce L’adulto sa cosa vuole, mentre lo studente lo scopre attraverso le scelte che fa.

30 Si è liberi a scuola?

31 Che vuol dire educare alla libertà?

32 Essere liberi vuol dire poter scegliere.
Fare scelte giuste determina conseguenze positive. Fare scelte errate comporta conseguenze negative. Costantemente siamo dentro una scelta: “Io ho scelto d’esser qui a parlarvi e voi ad ascoltarmi.” “Posso impegnarmi o meno e voi esser attenti o distratti”. La coscienza ci “condanna” alla libertà! Noi non possiamo che esser liberi. Stiamo sempre scegliendo, indipendentemente dal rendercene conto. La non scelta è scegliere di non scegliere!

33 SCELGO > AGISCO > CONSEGUO
Libertà e responsabilità sono le due facce di una stessa medaglia: una non esiste senza l’altra. La libertà è la capacità di scegliere; la responsabilità (da respondeo) è la capacità di far fronte alle scelte, alle quali seguono le azioni che generano le conseguenze. “Scelgo (libertà), quindi sono consapevole che devo” (responsabilità), per conseguire ciò che mi propongo (conseguenza).

34 Una volta presa l’abitudine a leggere e ad interpretare i segnali emotivi traducendoli in parole, cioè imparato a “sentire”, il passo successivo è imparare a “scegliere”. Scegliere non è una funzione dell’intelligenza cognitiva, ma dell’intelligenza emotiva. La cosiddetta intelligenza sa e spiega, ma è il cuore e la volontà che scelgono.

35 Non ci si sposa, non si sceglie di generare un figlio, una professione, un luogo di vacanza facendo un calcolo. Sono le valutazioni legate al sentire che portano alla decisione. L’intelligenza cognitiva decide ciò che è: “Vero o falso?” “Corretto o scorretto?” L’intelligenza emotiva ciò che è: “Utile, opportuno o No?” “Buono o cattivo?” “Conviene o No?” “Mi piace o No?”

36 Per scegliere bisogna che ci sia almeno un’alternativa.
E un’alternativa c’è sempre: non scegliere! Allora scelgono gli altri, gli eventi e la realtà. La perdita della libertà comincia da qui: demandare le scelte, far scegliere all’altro. Insegnare a scegliere vuol dire dimenticare il “tu devi” “bisogna” “è necessario” che tu …

37 Non si mette il carro davanti ai buoi!
Il dovere, la responsabilità seguono la scelta, perché non si è responsabili di ciò che ci viene imposto con la costrizione. Non si educa con il “devi”, ma con il “scegli e decidi”. La libertà si apprende esercitandola: si dice infatti che la democrazia non è esportabile. Educare alla responsabilità comporta una rivoluzione educativa: cambiar testa e metodo!

38 I. SCEGLIERE Non sono io adulto a determinare il fare dello studente, ma colui che e-duce un fare che sia suo. L’alienazione parte dall’esercizio delle aspettative sull’altro. Alienato è colui che fa, sente, opera per conto terzi, (mosso dall’esterno) non secondo il proprio cuore. Quindi: Innanzitutto insegnare a scegliere.

39 Le domande giuste Si parte sempre dall’analisi delle possibilità e poi si arriva alle domande che chiariscono gli obiettivi personali. Prima si gioca alle possibilità: “Ora voi potreste giocare col cellulare, studiare, far niente, distrarvi, ecc.” Tu cosa vuoi? Cosa vuoi raggiungere?

40 II. CREARE SOLUZIONI II. Creare soluzioni. Una volta espressa una possibile scelta si comprende: ”Ho capito che volete fare ecc.” Seguono le domande saranno: “Come giudicate la vostra scelta?” “Perché avete scelto così?” “Secondo voi, la scelta che avete fatto è giusta? Perché?” “Quando avete scelto così, avete ottenuto risultati positivi, oppure vi conviene modificare?”

41 “Ma soprattutto secondo voi, una scelta del genere può farvi sentir bene?”
Le ultime due domande puntano sulle conseguenze, perché sono i risultati positivi e piacevoli che perpetuano le buone pratiche e i buoni comportamenti. Perciò le buone scelte che portano a risultati positivi vanno evidenziati e rinforzati.

42 Mentre le cattive scelte, le non scelte, vanno fatte risaltare non in se stesse, ma per le conseguenze negative che soprattutto ricadono sullo studente. L’educatore ha il compito di far riflettere sul fatto che gli errori, le cattive scelte ricadono su chi le fa in termini di sconfitta, sensi di colpa, umiliazioni, perdita di autostima e di stima dagli altri.

43 La strategia migliore per far passare questo messaggio nei fatti è quella di non sostituirsi mai ai doveri dell’Altro. Es. Se un ragazzo ha, per esempio, il compito di annaffiare una pianta e non lo fa, si lasci morire la pianta. Se ha il compito di preparare il tavolo, non si mangi, finché lui non l’ha apparecchiata. Ma soprattutto se non fa i compiti, lo si lasci prendere il voto negativo.

44 In natura l’animale impara in base alle conseguenze
In natura l’animale impara in base alle conseguenze. Le conseguenze positive lo premiano, quelle negative lo puniscono. Quindi non si premia o si minaccia e punisce mai prima. Il sistema cerebrale della ricerca (seeking), che determina ogni attrazione e desiderio funziona secondo la logica delle conseguenze. Prima viene l’azione poi il premio o il castigo (lust).

45 La mancanza di rispetto di questi meccanismi di base ha conseguenze imprevedibili.
Il ragazzo che si aspetta gratificazioni avulse dai suoi comportamenti è fuori logica cerebrale (biologia). Riterrà inconsapevolmente di aver il diritto a star bene comunque e indipendentemente dalle sue scelte e dal rispetto dei suoi compiti. Da adolescente nei momenti di tempesta emotiva vorrà compulsivamente aggirare il meccanismo per liberarsi dal malessere e poter star bene.

46 Allora la strada più breve non sarà quella dell’impegno che genera la soddisfazione, ma quella immediata chimica fatta di alcool, fumo, droga, sfida del pericolo. Noia, rabbia, paura, malessere sono le conseguenza non solo della particolare età, ma anche da mancanza di fini forti, di scelte non fatte, di conseguenze non valutate.

47 III. PRENDERE DECISIONI
“Che cosa hai o avete deciso?” Quando un ragazzo ha preso una decisione, va rispettata, fa parte delle regole del gioco, altrimenti non può verificare le conseguenze delle sue scelte ed azioni. È meglio che sbagli da solo, che per indolenza e pigrizia conseguente ad un impulso non suo.

48 Le belle pagelle, come la gestione delle proprie cose e dei compiti che discendono da una presenza impositiva, possono all’apparenza andar bene, ma sulla distanza, soprattutto nell’adolescenza sono perdenti. Son molto più importanti e formativi i risultati anche minimi ottenuti autonomamente che quelli ottimi ottenuti con l’imposizione.

49 Questo vuol dire tenere a bada le aspettative e le paure dell’adulto proiettivo che pretende un figlio sempre vincente, sempre ok, di successo, non un bambino in fase di crescita. Educano più le sconfitte, i brutti voti accettati, che mille vittorie o i dieci ottenuti col fiato sul collo Sbagliando … si impara!!! Non sono le prestazioni che generano felicità, ma il rapporto che abbiamo con loro.

50 Quando un bel voto è un pericolo scampato e la vittoria un risultato preteso, non danno felicità, ma solo una breve soddisfazione. I forzati del successo, sono anche i condannati agli antidepressivi!!! Lasciar sbagliare e prendere dei brutti voti può essere un atto d’amore, perché vuol dire che noi amiamo i nostri figli semplicemente perché sono tali e non per le prestazioni che danno. «Il voto non è il volto!»

51 IV. AGIRE SULLA BASE DI DECISIONI PRESE
IV. Agire sulla base delle decisioni prese. Spesso le decisioni prese rimangono solo dei buoni propositi. Allora le domande sono: “Hai agito sulla base di decisioni prese da te o prese da altri?” È fondamentale capire, perché la scelta sia forte, che non sia il frutto delle aspettative o delle forzature esterne.

52 CONSEGUENZE “Hai ottenuto i risultati che ti eri prefissato?”
Spesso le nostre aspettative o previsioni sono sovra o sottostimate. Verificare le discrepanze è migliorare la consapevolezza dei mezzi personali per aggiustare il tiro. “Se sì, come ti senti?” Far consapevolezza del piacere e della soddisfazione che se ne ricava, rinforza.

53 “Se no, dove pensi d’aver sbagliato?”
“Che cosa puoi fare, per cambiare o migliorare?” Assumersi la responsabilità del mancato risultato o dell’errore, è aver coscienza dei propri limiti; è la retroazione che aggiusta e modifica i comportamenti; è la pratica terapeutica per non cadere nei meccanismi pericolosi della vergogna e dei sensi di colpa.

54 “Come pensi che si sentano gli altri?”
È importante che il ragazzo/a prenda sempre consapevolezza delle conseguenze che il suo comportamento genera sugli altri, distinguendo le persone con cui è in relazione dagli estranei. Capire quanto sia diverso il coinvolgimento evita valutazioni errate, tante paure irrazionali e tanti complessi.

55 Educare alla responsabilità comporta un cambiamento di mentalità profonda.
L’autonomia ottenuta vale ogni altro risultato. Vale più un 5 preso autonomamente, che un 10 ottenuto con il continuo aiuto, le ripetizioni, le insistenze continue o ossessive. La libertà e la responsabilità fanno di un bambino un adulto, mai viceversa. Un adulto irresponsabile, non autonomo è infantile!

56 Modalità comunicative
Di fronte al comportamento dello studente il docente ha tre fondamentali possibilità: Ignorare = «Tu non esisti, non mi/non ci tocchi!» Giudicare = «Questo tuo comportamento è, non è ecc.» Informare = «Questo tuo comportamento mi sta provocando ansia, rabbia, o gioia ecc.»

57 Emozione agita ed emozione espressa
L’emozione agita è quella che passa alle vie di fatto. Nella rabbia si traduce in aggressioni, rappresaglie, giudizi ed offese, urla ecc. Nasce dall’impulso del momento. E’ vissuta come incontenibile e perciò giustificata! L’emozione espressa è quella che si traduce in linguaggio verbale chiaro. Informa l’altro delle conseguenze che il suo comportamento genera in noi. L’emozione non viene negata, ma espressa con toni e parole corrispondenti.

58 agire le emozioni

59 comunicare le emozioni !!!?!?!!!

60 Attenzione! Il metodo dell’ignoramento e la comunicazione giudicante evitano l’informazione chiara dello stato emotivo e relazionale. L’emozione non espressa rimane impressa e prima o poi, qualora fosse negativa, darà i suoi frutti velenosi, o determinerà dei sequestri emotivi.

61 Sono le situazioni cariche di emozioni forti, come la rabbia forte, lo scoraggiamento, o la tristezza cupa. La risposta emotiva pervade il cervello ancora prima che la pensabilità delle aree superiori intervenga, creando il “sequestro emotivo” dell’emozione agita.

62 L’assenza di consapevolezza
emotiva, definita analfabetismo emotivo, determina una relazione non filiaca, a cui seguono azioni veloci e situazioni poco educative.

63 Conduzione della classe
La conduzione della classe ha al primo posto la gestione della relazione e gestire la relazione vuol dire prendersi cura dei bisogni in campo. Mentre le particolari tecniche vengono dopo aver analizzato il setting. In classe si incontrano e scontrano molto semplicemente e liberamente i bisogni degli studenti con i bisogni degli insegnanti.

64 Liberamente! Deve essere chiaro che consciamente o inconsciamente siamo noi a stabilire la gerarchia dei bisogni che mettiamo in campo in ogni situazione. Per inerzia emotiva o per scelta, insegnanti e studenti scelgono quali bisogni intervengano nella scena scolastica. Il primo compito dell’educatore è chiarire il setting a partire prima di tutto da se stesso.

65 A scuola non si dovrebbe venire soprattutto per bisogni primari
A scuola non si dovrebbe venire soprattutto per bisogni primari. Sembra ovvio! Eppure lo si fa. Si tratta di insegnanti insoddisfatti e in continuo ruminamento, spesso lagnosi! Un collega col quale ero in compresenza, mi rimproverò perché secondo lui “per quello che prende un insegnante e per la voglia che hanno i ragazzi di imparare è inutile prendersela!” Era noto che le sue lezioni erano monologhi sul calcio e gossip a sfondo sessuale. I ragazzi non lo sopportavano, non lo volevano e se ne lamentavano con tutti.

66 Nella stessa condizione è lo studente che viene a scuola spinto dall’inerzia emotiva: viene a scuola per forza! Si sente costretto, obbligato. A questo tipo di insegnante e studente va ricordato che è una loro scelta venire a scuola. Se la libertà non è “l’esser liberi da”, ma semplicemente “l’esser liberi, cioè capaci di scegliere”, allora o non si è liberi, e quindi si è schiavi delle situazioni in balia dell’inerzia emotiva, o si sceglie.

67 Ad uno studente che mi diceva che veniva a scuola per forza, rispondevo che poteva stare pure a casa. Ma lui replicava che avrebbe dovuto fare i conti con i suoi genitori. Al che replicavo che lui, fra la scuola e la rabbia dei suoi genitori, aveva scelto la scuola e quindi era una sua scelta essere in classe! Stesso ragionamento gli facevo ogni volta che disturbava: “Mi pare che hai scelto di disturbare! Se è così, avendo io scelto di insegnare, devo intervenire …”

68 “Ovviamente le conseguenze non dipenderanno dalla mia severità, ma dalla tua scelta di disturbare. Perciò ti chiedo se ti va d’esser punito, vista la tua libera scelta di impedire la lezione …” È fondamentale ricordare che la scuola è il luogo dove si impara la cittadinanza, dove si istruisce la libertà. Tutto il resto è accudimento, ammaestramento, istruzioni per l’uso, mai scuola nel senso alto e socratico del termine.

69 A scuola non si viene neanche prevalentemente per motivi
secondari. L’insegnante che si aspetta di poter rispondere ai propri i bisogni secondari, i bisogni soggettivi dell’Io, allora tutte le sue preoccupazioni saranno impegnate a tenere al centro della scena se stesso, per ricevere amore, attenzione, stima ed applausi da tutti, in balia del suo narcisismo e del suo bisogno di successo e di potere, (legge dell’approvazione!)

70 Sono gli insegnanti molto competitivi, che fanno la guerra per ogni minimo ruolo di prestigio. Non amano certo i superiori, oppure entrano in complicità con loro per avere degli eventuali vantaggi. Per inciso sono caratterizzati da una cura costante della loro visibilità. Spesso sono ambivalenti: quando non entrano in rapporti di complicità amicale per ricavarne accettazione, allora rifiutano le critiche, soprattutto dagli studenti e possono essere eccessivamente severi con loro in modo preferenziale.

71 Nella popolazione scolastica italiana, a mia esperienza, venire a scuola per saturare i bisogni secondari è la motivazione prevalente soprattutto fra gli adolescenti. I ragazzi affermano che vengono a scuola soprattutto per socializzare, cioè stare con i loro amici. Il rovescio della medaglia è la competizione e la divisione in classe di gruppi e sottogruppi in conflitto più o meno visibile. L’apprendimento viene dopo e più spesso per inerzia emotiva.

72 Vi sono competizioni e contrapposizioni di tutti i tipi: di prestigio per la scuola o la classe che si frequenta, di immagine per l’adesione a mode e quant’altro, per il potere attraverso bullismi più o meno visibili, e talvolta anche di censo per la famiglia di provenienza o peggio per la razza. La scuola è palestra di democrazia e tutto questo non lo è … anche se prendono bei voti.

73 Ma se invece al culmine della gerarchia dei bisogni si pongono le motivazioni spirituali, cioè la tensione costante verso la realizzazione di sensi, di significati e finalità, allora vorrà dire che in classe si è arrivati per una scelta consapevole: per conoscere, per realizzare dei valori e per generare futuro. Poi possono venire anche gli altri bisogni secondari, sociali, affettivi e di stima … poi!

74 L’insegnante è lì per realizzare un senso che dia valore al proprio agire dentro una relazione in cui si cura del bisogno dello studente di divenire responsabile, cioè capace di scegliere, fornendogli conoscenza e sapienza. Se invece è dentro le motivazioni primarie o secondarie rischia, anziché di curare, di trascurare; di riempire di tensione ed ossessione l’incubo chiamato programma.

75 L’insegnante che opera secondo bisogni spirituali s’impossessa della speranza,
perché il suo agire non poggia più su se stesso, ma su convinzioni e valori che stanno sopra ed oltre il Sé, situati in un tempo che il suo entusiasmo declina secondo un orizzonte che va oltre il contingente.

76 La comprensione Il termine comunicazione indica l’azione del mettere in comune, insieme, del condividere. È più della trasmissione (aspetto informativo) ed include la comprensione (dato di relazione). Essere in relazione comunicativa vuol dire muoversi fra gli opposti del favorevole “ti-comprendo-mi-comprendi” e l’opposto ostile, talvolta rabbioso del “non-ti-comprendo-non-mi-comprendi”.

77 La relazione comunicativa vive la sua tensione fra i confini contrari di comprensione/incomprensione, che conseguentemente conferiscono all’azione comunicativa significati diversi. Il dato di relazione è immediatamente leggibile in alcuni aspetti visibili: la postura, l’atteggiamento, la gestualità, la mimica facciale, la respirazione, la gestione dello spazio (prossemica), e perché no? l’olfatto.

78 La specificità dell’azione comunicativa invece è la trasmissione del messaggio.
Paura e fiducia rallentano e annullano o promuovono la trasmissione, mentre il messaggio può essere chiaro o oscuro. Il tono. Alto può essere irritazione o ansia. Basso è probabilmente timidezza o paura, ma in presenza di accentuata vicinanza indica intimità.

79 “Tu-mi-comprendi-io-ti-comprendo
“Tu-mi-comprendi-io-ti-comprendo!” sono il segno dell’accettazione e del sorriso. “Tu-mi-ascolti-io-ti-ascolto!” sono il segno dell’accoglienza, del contatto oculare. “Tu-mi-capisci-io-ti-capisco!” sono il segno della disposizione a perdonare e comprendere. L’incontro di comprensione e trasmissione genera la vera e propria comunicazione.

80 Le pause dialogiche, le spinte e le accelerazioni possono addirittura cambiare di significato i contenuti. La velocità ed il volume alti indicano agitazione ed aggressività, al contrario si ha la pacatezza.

81 Avere competenza emotiva vuol dire non permettere mai che la scuola diventi un luogo di pena,
ma un luogo di relazione gioiosa, perché a scuola non si butta via il tempo, ma si guadagna un tempo denso di senso, un tempo ricco di significato ed una promessa di futuro!

82 Setting emotivo Paura/fiducia e rabbia/filia sono le emozioni costantemente presenti nel setting scolastico. Studente e docente che non abbiano consapevolezza del setting emotivo non hanno il controllo dei processi e della relazione. La paura ha per input un pericolo, come non essere all’altezza o sentirsi trascurati. Il docente non ha la funzione unica di trasmettere un sapere, ma anche colui che crea la condizione favorevole alla comprensione.

83 Il setting emotivo non va ignorato.
L’emozione determina il climax relazionale. Senza fiducia non c’è efficace apprendimento. È propedeutico rilevare la paura e aiutare lo studente ad esplicitarla. È propedeutico affrontare l’antiedonia della paura per generare la proedonia della fiducia. Senza fiducia l’atto scolastico può trasformarsi in una imposizione e la paura inibisce la memoria.

84 Stesso discorso vale per la rabbia
Stesso discorso vale per la rabbia. L’ostilità, il conflitto latente generano rifiuto non solo della persona, ma anche di quello che insegna. Nella comunicazione il 60% è dato da quello che la persona è; il 30% da come lo dice, e solo il 10% quello che dice. « Non si insegna quello che si vuole; dirò addirittura che non s'insegna quello che si sa o quello che si crede di sapere: si insegna e si può insegnare solo quello che si è». Jean Jaurès

85 Potere dei sentimenti! I sentimenti e le motivazioni o le intenzionalità sono protagonisti sia del setting osservativo, che del dato di osservazione. René Peoc’h ha condotto un esperimento molto significativo. Ha fatto costruire un robottino ad andamento randomico, cioè casuale, e lo ha posto in una sala al cui fondo vi era una gabbia per pulcini vuota.

86 Movimenti del robottino con gabbia vuota.
Movimenti del robottino con candelina accesa e gabbia con pulcini imprintati.

87 Come si vede nel grafico della figura A, il robottino si muove in modo disordinato sbattendo più o meno contro tutte le pareti. Quando però (figura B) la gabbia viene occupata da pulcini, che precedentemente sono stati imprintati ad una candelina accesa, ora posizionata sopra il robottino, allora i suoi movimenti si concentrano in prossimità della gabbia secondo un andamento che non può più esser più definito casuale.

88 Tra i pulcini e la macchina non accade il semplice fatto della vicinanza, ma una vera e propria interazione che modifica l’andamento del robottino e scatena il pigolare dei pulcini. Questo esperimento dimostra in modo macroscopico come le situazioni possano essere totalmente modificate dall’osservazione, mentre ciò che trionfa è l’interazione.

89 La classe per effetto dei neuroni a specchio è una vasca d’interazione.
Se entrando abbiamo in mano il veleno dell’amarezza, della rabbia o paura, tutta l’acqua ne viene contagiata. Se invece trasportiamo gioia, entusiasmo e sorriso tutta l’acqua ne sarà positivamente contagiata. Questa è una nostra scelta e responsabilità.

90 Aggressività e capro espiatorio
Ognuno è l’ebreo di qualcuno. Quando non siamo consapevoli della nostra aggressività, troveremo sempre qualcuno su cui scaricarla.

91 L’esercizio dell’aggressività ha infiniti modi di applicazione.
Basta esser di cattivo umore per trovare qualche vittima o malcapitato su cui riversare la nostra rabbia: studente o collega poco importa! Può esser il semplice parlar male, oppure il disprezzo, quindi l’isolamento ed infine la persecuzione e l’annullamento.

92 In ogni classe, come pure in ogni organizzazione umana, l’emergere dell’aggressività trova sempre le sue vittime. A volte è il più debole o il portatore d’un qualche handicap o differenza. Il non averne consapevolezza porta alle tragedie.

93

94 la quale genera la responsabilità.
CONCLUDENDO Educare non è indurre, né obbligare: genera rabbia, opposizione, paure, forzature, eccesso di competizione. Non è condurre, convincere, trascinare o sedurre: genera dipendenza, confusione, mancanza di motivazione. Educare è promuovere la libertà, la quale genera la responsabilità.

95 A R R I V E D E R C I


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