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ILLUMINISMO (politica)

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Presentazione sul tema: "ILLUMINISMO (politica)"— Transcript della presentazione:

1 ILLUMINISMO (politica)
Prof. Michele de Pasquale

2 l’illuminismo è essenzialmente politico considerato il legame tra la speculazione filosofica e il raggiungimento di obiettivi pratici di portata sociale: costruzione di una politica a servizio dell’uomo e dei suoi diritti naturali, in particolare la felicità pubblica la ricerca del benessere concreto, la lotta contro la miseria, contro la guerra la pace come meta ultima della storia per costruire la quale bisogna superare le barriere nazionali

3 “ Ci sono meno cannibali di una volta nella cristianità; questo è sempre un motivo di consolazione nell’orribile flagello della guerra, che non lascia mai respirare l’Europa vent’anni in pace. Se la guerra stessa è diventata meno crudele, il governo di ogni Stato sembra divenire ugualmente meno inumano e piú saggio. I buoni scritti, pubblicati da qualche anno, sono penetrati in tutta l’Europa, malgrado dei satelliti del fanatismo che controllavano tutti i passaggi. La ragione e la pietà sono penetrate fino alle porte dell’Inquisizione. Gli atti da antropofagi che si chiamavano atti di fede, non celebrano piú cosí spesso il Dio di misericordia alla luce dei roghi e tra i fiotti di sangue sparsi dal boia. In Spagna si incomincia a pentirsi di aver scacciato i Mori che coltivavano la terra; e se oggi si trattasse di revocare l’editto di Nantes, nessuno oserebbe proporre un’ingiustizia cosí funesta […]. Non ripetiamo qui per quali gradini insanguinati si sono innalzati i vescovi di Roma, come sono giunti fino all’insolenza di mettere sotto i piedi i re, e fino alla ridicola pretesa di essere infallibili. Non ripetiamo come essi hanno assegnato tutti i troni all’occidente, e carpito il denaro di tutti i popoli; non parliamo dei ventisette scismi sanguinosi di papi contro papi che si contendevano le nostre spoglie. Questi tempi di orrori e di obbrobri sono fin troppo conosciuti. Si è detto abbastanza che la storia della Chiesa è la storia delle follie e dei delitti […]. Supplichiamo il lettore attento, saggio e uomo dabbene, di considerare la differenza infinita che c’è tra i dogmi e la virtú. È dimostrato che se un dogma non è necessario in ogni luogo e in ogni tempo, non è necessario in alcun tempo e in alcun luogo. %

4 Ora certamente i dogmi che insegnano che lo spirito procede dal padre e dal figlio, non sono stati accolti nella chiesa latina fino all’ottavo secolo, e mai nella chiesa greca. Gesú è stato dichiarato consustanziale a Dio soltanto nel 325; la discesa di Gesú all’inferno è soltanto del quinto secolo; è stato deciso solo nel sesto secolo che Gesú aveva due nature, due volontà e una persona; la transustanziazione non è stata ammessa che nel dodicesimo secolo. Ogni chiesa ha ancora oggi opinioni diverse su tutti i principali dogmi metafisici; essi non sono, dunque, assolutamente necessari all’uomo. Chi è quel mostro che oserà dire a sangue freddo che saremo eternamente bruciati per aver pensato a Mosca in modo opposto da come si pensa a Roma? Quale imbecille oserà affermare che coloro che non hanno conosciuto i nostri dogmi sedici secoli or sono saranno puniti per sempre per essere nati prima di noi? Qualcosa di ben differente è l’adorazione di un Dio, il compimento dei nostri doveri. Ecco ciò che è necessario in ogni luogo e in ogni tempo. C’è dunque una distanza infinita tra il dogma e la virtú. Un Dio adorato con il cuore e con la bocca, e tutti i doveri adempiuti, fanno dell’universo un tempio e di tutti gli uomini dei fratelli. I dogmi fanno del mondo un antro di dispute cavillose, e un teatro di carneficine. I dogmi non sono se non invenzione di fanatici e di impostori: la morale discende da Dio. I beni immensi che la Chiesa ha carpito alla società umana, sono il frutto della litigiosità del dogma; ogni articolo di fede è costato tesori, e per conservarli si è fatto scorrere il sangue. Il purgatorio dei morti da solo ha provocato centomila morti; che mi si mostri nella storia del mondo intero una sola disputa su questa professione di fede: “Io adoro Dio e devo fare del bene”. %

5 (Kant, Della pace perpetua)
Tutti sentono la forza di queste verità. Bisogna, dunque, annunciarle a gran voce; bisogna ricondurre gli uomini, finché si può, alla religione primitiva; alla religione che gli stessi cristiani confessano essere stata quella del genere umano, al tempo del loro caldeo o del loro indiano Abramo; al tempo del loro preteso Noè, del quale nessuna nazione, fuorché l’ebrea, ha mai sentito parlare; al tempo del loro preteso Enoch, ancor piú sconosciuto. Se in queste epoche la religione era vera, lo è dunque oggi. Dio non può cambiare; l’idea opposta è bestemmia. È evidente che la religione cristiana è una pania nella quale gli imbroglioni hanno irretito gli stolti per piú di diciassette secoli, e un pugnale con cui i pontefici hanno scannato i loro fratelli per piú di quattordici. Il solo modo per restituire la pace agli uomini, è dunque quello di distruggere tutti i dogmi che li dividono e di ristabilire la verità che li riunisce. Questa è in verità la pace perpetua. Questa pace non è una chimera; essa sussiste fra tutte le persone oneste dalla Cina fino a Québec: venti príncipi d’Europa l’hanno abbracciata abbastanza pubblicamente; non rimangono che gli imbecilli a figurarsi di credere nei dogmi; questi imbecilli sono in gran numero, è vero; ma i pochi che pensano, col tempo conducon con sé i piú. Cade l’idolo e la tolleranza universale s’innalza ogni giorno sulle sue rovine: i persecutori sono in orrore presso il genere umano. Che dunque ogni persona giusta lavori, ciascuno secondo le sue capacità, a sgominare il fanatismo, e a ricondurre la pace che questo aveva bandito dai regni, dalle famiglie e dal cuore degli infelici mortali. Che ogni padre di famiglia esorti i figli a non obbedire che alle leggi e a non adorare che Dio.” (Kant, Della pace perpetua)

6 “ I popoli, in quanto Stati, possono essere giudicati come singoli uomini che si fanno reciprocamente ingiustizia già solo per il fatto di essere l’uno vicino all’altro nel loro stato di natura (ossia nell’indipendenza da leggi esterne); e ciascuno di essi può e deve esigere dall’altro di entrare con lui in una costituzione simile a quella civile, nella quale a ciascuno sia garantito il suo diritto. Questo costituirebbe una federazione di popoli, che tuttavia non dovrebbe essere uno Stato di popoli. Questa sarebbe una contraddizione perché ogni Stato ha dentro di sé il rapporto di un superiore (il legislatore) con un inferiore (che obbedisce, il popolo cioè); molti popoli però in uno Stato farebbero solamente un popolo che (dato che noi qui dobbiamo valutare i reciproci diritti dei popoli, in quanto devono costituire esattamente Stati differenti, e non fondersi in uno Stato), contraddice la premessa. Ora, cosí come noi consideriamo con profondo disprezzo l’attaccamento dei selvaggi alla loro sfrenata libertà, che consiste nell’essere continuamente in lotta tra loro invece che sottoporsi a una costrizione legale stabilita da loro stessi, e a preferire quindi una libertà folle a una libertà ragionevole, e la giudichiamo come una rozzezza, una brutalità e una degradazione animalesca dell’umanità, verrebbe spontaneo di pensare che i popoli civili (ognuno dei quali riunito a sé in uno Stato) dovrebbero affrettarsi per uscire al piú presto possibile da una condizione cosí abbietta, al contrario invece ogni Stato ripone la sua maestà (infatti la maestà popolare è un’espressione senza senso) proprio nel fatto di non essere soggetto a nessuna costrizione legale, e lo splendore del suo capo supremo sta nel fatto che, senza che egli si esponga a nessun pericolo, sotto il suo comando stanno molte migliaia di uomini che sono costretti a sacrificare la loro vita per una cosa che non li riguarda, e la differenza tra i selvaggi dell’Europa e quelli americani consiste principalmente in questo: %

7 (Kant, Della pace perpetua)
in America molte tribú sono state interamente divorate dai loro nemici, gli europei invece sanno utilizzare meglio i loro sconfitti che mangiarli, e preferiscono accrescere attraverso di loro il numero dei loro sudditi, e quindi anche la quantità degli strumenti da utilizzare per guerra ancora piú grandi […]. D’altra parte, per gli Stati non può valere secondo il diritto internazionale proprio ciò che vale secondo il diritto naturale per gli uomini che sono nello stato della mancanza di leggi, cioè “il dovere di uscire da questo stato” (poiché essi come Stati hanno già al loro interno una costituzione legale e quindi sfuggono alla costrizione degli altri Stati che secondo le loro idee del diritto volessero portarli sotto una costituzione giuridica allargata); nondimeno la ragione, dall’alto del trono del supremo potere che dà le leggi morali, condanna assolutamente la guerra come procedimento giuridico e fa invece dello stato di pace un dovere immediato, che però senza un patto reciproco tra gli Stati non può essere fondato o garantito: cosí deve necessariamente esserci una federazione di tipo particolare, che si può chiamare federazione di pace (foedus pacificum), che si differenzierebbe dal trattato di pace (pactum pacis) per il fatto che questo cerca di porre fine semplicemente a una guerra, quella invece a tutte le guerre per sempre. Questa federazione non si propone la costruzione di una potenza politica, ma semplicemente la conservazione e la garanzia della libertà di uno Stato preso a sé e contemporaneamente degli altri Stati federati, senza che questi si sottomettano (come gli individui nello stato di natura) a leggi pubbliche e alla costrizione da esse esercitata. Non è cosa impossibile immaginarci la realizzabilità (la realtà oggettiva) di questa idea di federazione, che si deve estendere progressivamente a tutti gli Stati e che conduce cosí alla pace perpetua.” (Kant, Della pace perpetua)

8 la felicità pubblica si realizza con:
la libertà (dalla “libertà da” – tutela dei diritti individuali nei confronti del potere – alla “libertà di” – libertà come partecipazione e sovranità) l’uguaglianza (dall’egualitarismo moderato del primo illuminismo all’egualitarismo democratico e sociale di Rousseau) libertà significa rifiuto del fanatismo e riconoscimento della tolleranza progetto di uno Stato di diritto: nello Stato non devono governare gli uomini ma le leggi progetto di uno Stato laico: autonomia delle pubbliche istituzioni dall’invadenza ecclesiastica e garanzia di uguaglianza di tutte le religioni di fronte alla legge;

9 il pensiero politico del ‘700 si muove all’interno della polarità:
riforma (esigenza pragmatica di modificare l’esistente) e utopia (aspirazione ad una società radicalmente altra rispetto a quella dell’Ancien Regime) le teorie politiche formulate dall’Illuminismo si confrontano con la realtà storica: opposizione all’assolutismo, prospettiva del dispotismo illuminato e suo fallimento, la rivoluzione dell’89 alcuni temi: la legittimità del potere dello stato; il significato della libertà politica e la lotta contro il dispotismo; le caratteristiche delle istituzioni adatte a garantire la libertà; il problema dell’uguaglianza e del rapporto tra libertà politica e giustizia sociale

10 la teorizzazione di un paradigma politico costituzionalista, la valorizzazione dei corpi intermedi, la separazione dei poteri, l’indipendenza della magistratura in Montesquieu “ In ogni stato esistono tre tipi di potere: il potere legislativo, il potere esecutivo delle cose dipendenti dal diritto delle genti e il potere esecutivo delle cose dipendenti dal diritto civile. In forza del primo, il principe o il magistrato fa leggi, aventi una durata limitata o illimitata, e corregge o abroga quelle già fatte. In forza del secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve ambasciate, garantisce la sicurezza, previene le invasioni. In forza del terzo, punisce i delitti o giudica le cause fra privati. Chiameremo quest'ultimo il potere di giudicare, e l'altro semplicemente il potere esecutivo dello stato. La libertà politica in un cittadino è quella tranquillità di spirito che deriva dalla persuasione che ciascuno ha della propria sicurezza; perché si goda di tale libertà, bisogna che il governo sia in condizione di liberare ogni cittadino dal timore degli altri. %

11 (Montesquieu, Lo spirito delle leggi)
Quando in una stessa persona, o nello stesso corpo di magistrati, il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non c'è piú libertà; perché sussiste il legittimo sospetto che lo stesso monarca o lo stesso senato possa fare leggi tiranniche per poi tirannicamente farle eseguire. Cosí non c'è piú libertà se il potere di giudicare non è separato dal potere legislativo e dall'esecutivo. Infatti se fosse unito al potere legislativo, ci sarebbe una potestà arbitraria sulla vita e la libertà dei cittadini, in quanto il giudice sarebbe legislatore. Se poi fosse unito al potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza d'un oppressore. Tutto sarebbe perduto infine, se lo stesso uomo o lo stesso corpo dei governanti, dei nobili o del popolo, esercitasse insieme i tre poteri: quello di fare leggi, quello di eseguire le pubbliche risoluzioni e quello di giudicare i delitti o le cause fra privati. Nella maggior parte dei regni europei, il governo è moderato perché il principe, che detiene i due primi poteri, lascia ai suoi sudditi l'esercizio del terzo. Presso i Turchi, dove i tre poteri sono riuniti nelle mani del sultano, il regno è uno spaventoso dispotismo. [...] Non sta a me giudicare se gli Inglesi godano attualmente di questa libertà o no. Mi basta affermare ch'essa è sancita dalle loro leggi e non mi curo d'altro.” (Montesquieu, Lo spirito delle leggi)

12 la riforma penale fondata sulla certezza, unicità, universalità, chiarezza del diritto; la pena strumento di difesa sociale e non di vendetta pubblica (la sua natura dissuasiva ed intimidatoria combina il rispetto dei diritti inalienabili con la felicità del maggior numero); la prevenzione dei delitti puntando sull’educazione e l’incoraggiamento alla virtù in Beccaria “ Questa inutile prodigalità di supplizii, che non ha mai resi migliori gli uomini, mi ha spinto ad esaminare se la pena di morte sia veramente utile e giusta in un governo bene organizzato. Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risultano la sovranità e le leggi. Esse non sono che una somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno. Esse rappresentano la volontà generale, che è l’aggregato delle particolari. Chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l’arbitrio d’ucciderlo? Come mai nel minimo sagrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo tra tutt’i beni, la vita? E se ciò fu fatto, come si accorda un tal principio coll’altro, che l’uomo non è padrone di uccidersi? Ei doveva esserlo, se ha potuto dare altrui questo diritto, o alla società intera. %

13   Non è dunque la pena di morte un diritto, mentre ho dimostrato che tale esser non può, ma è una guerra della nazione con un cittadino; perché giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere: ma se dimostrerò non essere la morte né utile né necessaria, avrò vinto la causa della umanità [...]. Non è l’intenzione della pena che fa il maggior effetto sull’animo umano, ma l’estensione di essa; perché la nostra sensibilità è piú facilmente e stabilmente mossa da minime ma replicate impressioni, che da un forte ma passeggiero movimento. L’impero dell’abitudine è universale sopra ogni essere che sente; e come l’uomo parla e cammina e procacciasi i suoi bisogni coll’aiuto di lei, cosí l’idee morali non si stampano nella mente che per durevoli ed iterate percosse. Non è il terribile ma passeggero spettacolo della morte di uno scellerato, ma il lungo e stentato esempio di un uomo privo di libertà, che, divenuto bestia di servigio, ricompensa colle sue fatiche quella società che ha offeso, che è il freno piú forte contro i delitti. Quell’efficace, perché spessissimo ripetuto, ritorno sopra di noi medesimi: Io stesso sarò ridotto a cosí lunga e misera condizione, se commetterò simili misfatti, è assai piú possente che non l’idea della morte, che gli uomini veggono sempre in una oscura lontananza [...]. La pena di morte diviene uno spettacolo per la maggior parte, e un oggetto di compassione mista di sdegno per alcuni; ambidue questi sentimenti occupano piú l’animo degli spettatori, che non il salutare terrore che la legge pretende inspirare. Ma nelle pene moderate e continue, il sentimento dominante è l’ultimo, perché è il solo. Il limite che fissare dovrebbe il legislatore al rigore delle pene, sembra consistere nel sentimento di compassione, quando comincia a prevalere su di ogni altro nell’animo degli spettatori d’un supplizio piú fatto per essi, che per il reo. Perché una pena sia giusta non deve avere che quei soli gradi d’intensione che bastano a rimuovere gli uomini dai delitti; ora non vi è alcuno che, riflettendovi, sceglier possa la totale e perpetua perdita della propria libertà, per quanto avvantaggioso possa essere un delitto: dunque l’intenzione della pena di schiavitú perpetua, sostituita alla pena di morte, ha ciò che basta per rimuovere qualunque animo determinato. “ (Beccaria, Dei delitti e delle pene)

14 “ Che cosa fu dunque l’Illuminismo nella sua essenza culturale e nella storia delle idee?
Segnò il discrimine culturale e politico tra l’ancien régime e il pensiero moderno nelle sue realizzazioni giuridiche, politiche, costituzionali e culturali. Condusse la sua battaglia nella politica e nel costume avendo come bandiera la libertà individuale nell’ambito della legge e concepì la legge come un contratto sociale stipulato tra i membri di una comunità. Il principio basilare dell’ordine giuridico-morale fu quello di limitare la libertà dei singoli quando essa dovesse invadere ed offendere la libertà altrui. Propugnò l'eguaglianza degli individui e il cosmopolitismo; ritenne che gli ordinamenti razionali potessero essere applicati a comunità di etnie e storie diverse sviluppando in esse l'educazione e la tolleranza. Non ebbe, nei suoi protagonisti di maggior rilievo e spessore, alcuna tentazione all'astrattezza e ad imporre a tutti gli uomini uno schema astratto e "cemiteriale" (Goethe). %

15 Né Voltaire, né Rousseau, né Hume pensarono mai nulla di simile e mai lo pensò Diderot che fu il massimo filosofo di quel gruppo. L'Encyclopédie, che rappresentò l'ossatura di quella corrente di pensiero, fu anzi la prima e vera "scuola" che insegnò alla nascente opinione pubblica la concretezza dei problemi e la specificità dei temi, delle informazioni e dei progetti. Non a caso è su quella scuola che si formarono Beccaria, i fratelli Verri e tutta la grande corrente illuministica italiana. Predicò la tolleranza, il rispetto delle altrui opinioni, l'abolizione dei privilegi di ogni genere di casta e di sangue, la sostituzione del potere assoluto con il potere democratico e l'equilibrio tra vari poteri indipendenti tra di loro. Lottò contro l'uso temporalistico della religione e contro le sue pretese di assolutezza e di esclusivo possesso e magistero della verità.” (Eugenio Scalfari)


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