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Il XII secolo e la città comunale in Italia

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Presentazione sul tema: "Il XII secolo e la città comunale in Italia"— Transcript della presentazione:

1 Il XII secolo e la città comunale in Italia
.

2 Cartina 1

3 Cartina 2 (Italia 1300)

4 Cartina 2 bis (Italia 1300)

5 Cartina 3 (Italia 1450 c.)

6 La città come problema storiografico
Città, comuni, signorie La città come problema storiografico Oggi: oltre il 50% della popolazione mondiale vive in città (66% entro il 2030) P. Bairoch, Storia della città, Jaca Book, Milano 1992 L. Mumford, Le città nella storia (1955) M. Weber, La città (1921), e la specificità della città occidentale Modelli di città. Strutture e funzioni politiche, a cura di P. Rossi, Torino 1987, Fine “del ciclo storico delle città”? La città “svanisce” nello Stato”? identificare piuttosto i modelli di città storicamente verificabili, ed

7 La ripresa urbana del XI-XII secolo
. La città europea come elemento di periodizzazione (Berengo, L’Europa delle città. XII-XVIII secolo, Einaudi, Torino 1999 La ripresa urbana del XI-XII secolo La città comunale italiana come “laboratorio” della politica occidentale È un tema storiografico che diventa un mito….

8 … nella cultura liberale europea dell’età della Restaurazione (Jean Baptiste de Sismondi, Histoire des républiques italiennes) … nel Risorgimento italiano (Berchet, Manzoni, Guerrazzi…) … che viene valorizzata nella lettura di Marx della storia economica dell’Occidente … Cattaneo e «Le città come principio ideale della storia d’Italia»

9 Il ruolo della città capitale
Città, comuni, signorie L’ambiguo rapporto tra “città” e “stato”: il superamento del particolarismo cittadino nell’unità della nazione (Francia, Inghilterra, Spagna) Il ruolo della città capitale La città come luogo della modernità e dell’innovazione politica ed economica Ma anche la città come luogo della rendita fondiaria

10 In effetti in Italia è presente anche un’altra tradizione storiografica, per certi aspetti “anti-urbana” Philip Jones e il “mito della borghesia” il connotato specifico delle città italiane non sarebbe stato affatto il loro carattere ‘borghese’ e mercantile, perché a suo avviso questo era riscontrabile chiaramente anche in altre città europee mentre l’ethos urbano prevalente avrebbe lasciato ampio spazio ai motivi cavallereschi e nobiliari. largo spazio lasciato in città appunto ai milites, alle famiglie con tradizione militare spesso relegate nei castelli di campagna e ora, con lo sviluppo del 1100 e 1200, attirati con le buone o con le cattive in città e costretti a condividerne l’avventura.

11 Città comuni signorie Il controverso mito del comune Comune e “democrazia” Comune e “italianità” Il problema dello stato e dell’unificazione nella storiografia italiana Il passato comunale, campanilistico, sembrava spiegare la mancata unificazione nazionale e la nostra insuperabile lontananza quindi dal modello trionfante destinato a rimanere inavvicinabile: quello dello Stato nazionale nel modello incarnato dalla Francia e dall’Inghilterra.

12 . L’Italia post-carolingia, a differenza del resto dell’Europa e con l’eccezione del Friuli e del Piemonte, e del Trentino, non ha prodotto principati territoriali.

13 . «Commune»: cosa significa?
Generale «principio associativo» che si riscontra in tutte le articolazioni delle società occidentali dal XI secolo in poi Rustici, Clero, Nobili Docenti, studenti: universitas

14 . Per tutta l’Europa si può parlare di comuni cittadini,
ma solo per l’Italia e, in parte, per la Francia meridionale si può parlare di città-Stato. C’è una radicale differenza di «cultura politica» I cives di questi comuni non si accontentavano dell’autonomia entro le proprie mura (come le città imperiali tedesche o i grandi comuni borghesi delle Fiandre), ma assoggettavano in modo più o meno ampio il contado circostante, di cui il comune diventava signore collettivo.

15 . Tra la fine del secolo XI e la prima metà del XII tra i dirigenti comunali si sviluppò la coscienza del loro essere potere pubblico e legittimo per eccellenza.

16 Ma anche nell’alto e nel pieno medioevo la città italiana aveva mantenuto una «immagine» di sede del potere pubblico

17 . Il prestigio delle sedi urbane era forte anche nell’alto medioevo:
lo determinavano la tradizione di centralità ereditata dal mondo antico la vivacità economica dei ceti urbani mercantili e finanziari, il carisma delle autorità vescovili presenti nelle città (civitas era appunto il centro abitato con un suo vescovo). In città troviamo i duchi longobardi e i conti franchi; nelle città cercavano di imperniare il loro potere (più spesso di quanto un tempo si pensasse) le stesse dinastie principesche e signorili di età post-carolingia;

18 Il ruolo decisivo della cultura cittadina e della autocoscienza civica
E a ciò contribuì la cultura: molti dei primi consoli erano giudici e notai, che accelerarono la valorizzazione del comune come res publica. In molti casi, addirittura, i comuni si appiglieranno al ricordo del comitato carolingio, rivendicando il diritto di governarlo tutto come legittimi governatori collettivi al posto dell’antico conte:

19 . i giuristi definiscono questo come «diritto di comitatinanza».
La stessa parola «contado» (da comitatus, appunto), per indicare la regione condizionata dal comune, deriva da quella concezione pubblica del potere comunale sulle campagne.

20 . Ma prima guardiamo fuori della finestra italiana.

21 .Un’Europa ‘rurale’ L’anima «rurale» dell’Europa transalpina
I grandi latifondi, le armi, il potere sulle campagne hanno dettato le regole per quasi tutto il medioevo: suggerendo gerarchie sociali e fissando i modi della politica. Il mondo cavalleresco, la cultura cavalleresca di origine francese è “rurale” (anche nelle sue componenti letterarie)

22 . In gran parte della Francia, il passaggio dall’XI al XII secolo è segnato dalla «dislocazione cavalleresca»: il potere signorile assume una dimensione locale in seguito alla frantumazione di vasti distretti signorili – le castellanie – ad opera dello strato inferiore dell’aristocrazia. Il processo non è uniforme.

23 . Esso si manifesta in forme accentuate nelle regioni meridionali (Mâconnais, Linguadoca e Provenza), mentre nel nord (Normandia e contea delle Fiandre) permane una forte autorità comitale e situazioni intermedie possono essere ravvisate nel bacino della Loira

24 Diversa la situazione in Germania.
nei territori della Germania permane, dopo il Mille, un gruppo ristretto di principi di altissimo rango sociale, dei quali l’imperatore stesso deve tener conto nell’esercizio del suo potere. aristocrazia maggiore, che in epoca post-carolingia era alla guida di ducati (Stammesherzogtum),

25 dall’XI secolo sempre più si afferma il fenomeno della promozione di individui di condizione servile a responsabilità militari e politiche: i ministeriales, reclutati nella familia del signore, vengono a costituire un’aristocrazia di rango inferiore ma di grande importanza, che può disporre di allodi e feudi trasmissibili ereditariamente.

26 . Il processo continua e diventa ancor più evidente nel XII secolo: Federico I impiega ministeriali per controllare alcune zone del regnum teutonicum, e il figlio, Enrico VI, fa di un ministeriale il suo rappresentante nel regno italico

27 Un’Italia cittadina

28 . Cruciale per capire le origini del comune è comprendere il rapporto tra aristocrazia e vescovi nelle città italiane. Nell’Italia padana l’aristocrazia presenta connotazioni particolari. Tra X e XI secolo i vescovi (vescovi-conti?) concedono in beneficio a famiglie che per tradizione appartenevano alla loro vassallità e a quella dei re, vari diritti.

29 . , il controllo di pievi – chiese rurali, dotate di fonte battesimale –, di fatto dei loro patrimoni, e di decime – le quote dei prodotti del lavoro destinate alle chiese Il controllo di dazi delle porte Castelli nel territorio

30 . Queste famiglie, rafforzate nelle basi del loro potere, a loro volta costituiscono e legano a sé con il vassallaggio una minore aristocrazia, fornita di terre in ambiti geografici ristretti.

31 - Le preminenze sociali visibili nelle campagne si proiettano sul mondo delle città, dove nell’XI secolo la nobiltà possiede dimore e capacità di influenza e consiglio presso il vescovo. Qui, tra XI e XII secolo per questa nobiltà si creano le condizioni per nuove forme di azione politica. La lotta tra Chiesa e impero per il controllo delle elezioni episcopali pone frequentemente in crisi il potere di chi tradizionalmente governa la città, vescovo o ufficiale del regno.

32 . In tale contesto, in occasione di vuoti politici o semplicemente in conseguenza di un accresciuto prestigio sociale, uomini che erano abituati a riunirsi nella curia del vescovo promuovono nuovi organismi di governo urbano. Il duplice significato della parola ‘curia’ Curia vassallorum

33 , I comuni, pur presentandosi nei documenti quale espressione della volontà e degli interessi di tutta la collettività cittadina, per gran parte del XII secolo sono lo strumento con cui l’aristocrazia signorile, dai caratteri insieme cittadini e rurali, si garantisce l’egemonia in città in sostituzione della precedente autorità dell’ufficiale regio, spesso il vescovo.

34 . Solo in Italia interscambio fitto tra campagna e città.
Anche le famiglie dell’aristocrazia rurale usavano sempre le città come propri punti di riferimento: la città era il mercato, il luogo d’inurbamento delle famiglie aristocratiche, la sede in cui si diventava vassalli del vescovo.

35 . Il duplice livello della nobiltà non è caratteristico del mondo rurale: aristocrazia maggiore e minore si ritrovano in città, nella curia di quel vescovo dalle cui terre derivano gran parte delle loro capacità di dominio. Alla fine dell’XI secolo la divisione tra i due livelli appare chiara e fissata in precise categorie di ceto: i capitanei sovrastano i valvassores, mentre entrambi i gruppi si distinguono dai rustici nelle campagne, e dai restanti cives nelle città.

36 . Allora è del tutto falso lo ‘schema’ del «comune borghese», eversore della feudalità?

37 . Non si può dare una spiegazione tutta «borghese-mercantile» delle origini dei comuni italiani perché contrasterebbe con i casi, tutt’altro che rari, in cui il ceto promotore dell’organismo comunale era stata l’aristocrazia: è frequente che l’iniziativa sia dovuta alla clientela vassallatica di vescovi potenti, una clientela quasi sempre reclutata tra i maggiori milites del contado. Non si deve tuttavia operare un rovesciamento completo, e non si deve generalizzare una teoria «signorile» delle origini comunali: è giusto dare rilievo agli elementi di continuità fra l’esperienza dei comuni e le gerarchie sociali precedenti, ma si deve soprattutto prendere atto che le origini dei diversi comuni possono avere i caratteri più disparati, sia per i tempi e i modi di formazione, sia per i tipi di gruppi sociali che ne furono interpreti.

38 . Ciò consente di evitare inoltre il continuo errato ricorso a scansioni nette, che postulano un ricambio sociale anche quando non c’è: nel delineare il passaggio dall’«età feudale» all’«età comunale» si immaginavano accelerazioni forti di un progresso fatale e unidirezionale (la storia non è mai così) di cui si riconoscevano, al massimo, possibili rallentamenti. In Italia il gruppo di famiglie che aveva dato origine al comune poteva essere aristocratico o borghese: ma in entrambi i casi aveva dato luogo a nuclei politici di grande forza propulsiva.

39 . La convivenza urbana, poi, filtrava e riproiettava all’esterno esperienze rivisitate nella convivenza entro le mura di ceti diversi e modelli politico-sociali diversi, anche se di antica provenienza rurale. L’innovazione, insomma, aveva nella città il centro propulsore, ma quell’innovazione rielaborava materiali che erano pur sempre quelli – decisivi per il millennio medievale in Europa – dell’incontro latino-germanico. I successivi sviluppi politici dei singoli comuni erano evidentemente condizionati dalle loro diverse origini, ma, al tempo stesso è da notare che comuni diversi produssero poi istituzioni simili: un bell’esempio di come un’esperienza istituzionale uniforme possa avere per protagonisti strati sociali differenti, indotti poi dalla maturazione di quell’esperienza a comportamenti e a scelte politiche assimilabili.

40 .Le novità del secolo XII
L’innovazione è soprattutto “culturale” (non si può mai distinguere e separare l’evoluzione della mentalità da quella della società: per spiegare le origini “culturali” del comune cittadino dobbiamo partire dalla storia della teologia”!)

41 . Impotenza della teologia e spiritualità monastica di fronte al nuovo mondo Incapacità culturale da parte di persone avvezze ad un mondo austero, stabile, di cogliere il nuovo Ruperto di Deutz presenta lo sviluppo urbano come una delle conseguenze del peccato; le città sono il ricettacolo di infami trafficanti e di vagabondi

42 . Guiberto di Nogent condanna senza appello il mondo comunale (“comune nomen novum et detestabile”) Il processo di desacralizzazione del mondo iniziato con la riforma gregoriana ha messo il germe dell’emancipazione della società laica Paradossalmente, ciò accade nel momento del massimo potere della chiesa (Alessandro III, Innocenzo III)

43 , Sul piano teologico. la scuola di Chartres (Ivo di Chartres)
Concetto di creazione: Dio si è “ritirato” dopo la creazione; ha lasciato che seguisse le sue “regole” La creazione come «ordinata collezione di creature» (Bernardo di Chartres), che non è peccato voler conoscere «L’universo, lungi dall’essere un semplice riflesso degradato delle sfere celesti, possiede una propria realtà, che può divenire oggetto di studi e di interpretazioni. Siamo alla fine del mondo incantato» (A. Vauchez)..

44 . Opinioni, combattute (cfr. S. Bernardo, che considera profanazione e presunzione l’opera dei teologi che col solo intelletto vogliono penetrare i misteri divini) creare un nuovo «equilibrio fra la natura e la grazia» (Chenu) Le Goff, “Tempo della chiesa e tempo del mercante”: una nuova idea, un nuovo modo di concepire il tempo e lo spazio “L’invenzione del purgatorio”

45 . Salvezza individuale / mediazione ecclesiastica Etica/profitto
questioni del giusto prezzo prestito a interesse regolamentazione cristiana dei contratti condanna dell’usura

46 . Il mondo non è più una valle di lacrime
La resistenza al male non implica più la fuga dal mondo La vita monastica, in prospettiva, non è più ‘superiore’ Conseguenze del dinamismo sociale alterarsi dell’omogeneità sociale del mondo rurale estrema mobilità, ansia di spostamenti (pellegrinaggi, crociate, colonizzazioni, viaggi a Roma....) la stabilitas monastica si perde

47 . Una nuova concezione del potere politico nasce nel mondo urbano (italiano!) Quali erano le concezioni del passato? Richiamiamo brevemente:

48 . Nella versione tardoimperiale, il potere politico istituzionale dell’impero romano si presenta come un apparato autonomo dal corpo della società: legislazione, giurisdizione, burocrazia sono tutte nelle mani dell’imperatore da cui discende ogni funzione statale, mentre i «cittadini» sono costretti nella posizione di sudditi senza capacità di interferire con la gestione del potere. L’autorità imperiale è considerata sacra, sia nell’età pagana che in quella cristiana.

49 . La tradizione germanica è fondata sull’idea della sovranità popolare, esercitata collettivamente da tutti gli uomini liberi attraverso l’assemblea. Essi affidavano a un re elettivo poteri di guida essenzialmente militari, soggetti a verifica di efficacia e a limiti di esercizio. Appena i regni r-b si consolidarono nel territorio romano, il funzionamento regolare dell’assemblea divenne difficile e praticamente esso venne sostituito da un ristretto gruppo di capi militari e titolari di giurisdizione, mentre i re tendevano a imitare come potevano i caratteri dell’autorità imperiale. Ma le intuizioni essenziali della concezione germanica sopravvissero a lungo nel medioevo.

50 . Il principio di autorità riceve un consolidamento dall’idea biblica della derivazione del potere da Dio (i sovrani sono responsabili solo davanti a lui) Unzione, gestione simbolica del potere Ma ciò non scioglie imperatori e re da ogni controllo: se la loro autorità è confermata dalla grazia trasmessa dal sacramento ne deriva che la chiesa deve esercitare su di loro un controllo non solo in quanto fedeli ma in quanto sovrani.

51 Età carolingia: il controllo è esercitato non dal corpo dello stato, ma dal clero come entità autonoma, mediatore tra i re e i soggetti Il sovrano deve esercitare il suo potere su indicazione e sotto la guida del sacerdote. .

52 . L’intreccio tra concezione germanica e concezione “sacra” porta a conseguenze varie: - ceto laico di governo, aristocrazia che affianca i re (fedeltà giurata) per la difesa e il governo è legittimo il rifiuto di fedeltà al re indegno o infedele C) teorizzazioni autoritarie del XII secolo (Federico Barbarossa, Enrico II, Ruggero II) Il re è soggetto alla legge che lui crea? Imperatore e re come lex animata. “Quod principi placuit, legis habet vigorem”

53 , teorizzazioni derivanti dall’impianto feudale (ma anche dalla rinascita della filosofia): il re è subordinato alla legge intesa come principio universale di equità, precedente o superiore alla legislazione positiva Si recupera il concetto classico di tiranno Si ribadisce il diritto a rifiutare l’obbedienza al re che si sottrae alla legalità. Ma rispetto al passato il diritto di resistenza è esteso a tutti i sudditi (in teoria…). John of Salisbury sostiene la legittimità del tirannicidio

54 . Cosa succede nelle città comunali?
In queste società complesse e inquiete? Con una antica tradizione alle spalle, con gruppi sociali diversi (i vassalli del vescovo portatori di una mentalità aristocratica, ma anche la tradizione urbana antica, il “senso” della civitas, e anche la presenza di commercianti, di artigiani, ecc.)?

55 . INVECE, I COMUNI….. La fondazione di un nuovo modo di fare politica
Sismondi e la Storia delle repubbliche italiane nel medioevo Il mito ottocentesco della città comunale Max Weber e il saggio sulla “Città”

56 . La de-magificazione, il disincantamento del mondo (Weber)
"Entzauberung", L'uomo progressivamente conquista spazi di dominio e di conoscenza, prima con le attività manuali e poi con la ragione, attraverso le tappe di un processo di demagificazione, cioè di razionalizzazione, di considerazione e valutazione razionale del mondo.

57 . delegato collegiale Rappresentativo
Quali sono le caratteristiche del potere politico nella città medievale? Si tratta di un potere…. delegato collegiale Rappresentativo A tempo (non ereditario): torna la funzione pubblica “Sindacabile” Mediato attraverso la scrittura (tecnicità / regolarità). La “rivoluzione documentaria” del secolo XII

58 COLLEGIALITA’ Le assemblee furono in vario modo espressive della collettività tutta, e comunque con la tendenza a presentarsi come tali, rappresentative del populus e della civitas come lo erano i consoli. Ma il ‘popolo’ poteva esser chiamato direttamente a ‘parlamento’ (concio, arengo), ossia in piazza davanti alla cattedrale di solito mancando per tanto tempo i palazzi ‘pubblici’, per approvare in modo corale una nomina; ad esempio dei consoli da parte dei predecessori, o un evento importante come la proclamazione di una guerra ecc. Si faceva con un sì (sic, sic, o fiat, fiat, di solito), ossia con modalità che non davano molte garanzie né di ponderatezza di giudizio né di reale assenso, ma che comunque salvava il principio della titolarità popolare del potere.

59 Il consolato La comparsa dei consoli come «certificato di nascita» del comune cittadino

60 I CONSOLI I consoli sono di regola sottoposti non solo a decadenza rapida secondo norme previste in anticipo (annuale, semestrale; ma non mancano consoli “eletti per fare quella determinata cosa”), ma soprattutto non consolidati nei loro uffici con ricorrenze continue non è esclusa la comparsa anche di homines novi, degli ‘emergenti’ ammessi al più alto vertice cittadino del consolato una volta resisi riconoscibili per il loro stile di vita da parte del ceto eminente – quindi anche come milites, pronti cioè a prestare servizio militare a cavallo per la città.

61 Città comunali Di solito si parla per questo periodo di una aristocrazia consolare, con ciò confermando o introducendoci alla menzionata presunta chiusura della vita politica. Ma forse non c’è una chiusura oligarchica del gioco politico; tale, per intenderci, da escludere una cittadinanza resa ‘suddita’ da scelte inattaccabili e insindacabili prese in alto loco.

62 STATU NASCENTI PROCESSO, NON EVENTO!! Città comunali
Non possiamo pensare alle città comunali applicando ad esse gli schemi rigidi di età posteriore. Le istituzioni sono in fase incoativa: si stanno facendo e cercano consensi sotto l’urgenza degli eventi. E l’ottengono di regola.

63 Dialettica tra “società” e “stato”
. Dialettica tra “società” e “stato” Pregiudizio istituzionalistico della nostra impostazione storico-culturale: pensiamo, oggi, che “non si possa fare a meno” dello Stato e di un potere organizzato. In realtà, ci sono molte società che vivono “SENZA STATO”

64 Città comunali Non è un ceto chiuso per tanta parte del secolo XII quello che esprime i dirigenti detti consoli È uno strato ampio della popolazione: un 10, un 15%? Certo, devono essere tanti e dei notabili con un seguito in città, con aderenti capaci di esercitare ascendente e controllo nei vari quartieri, e capaci quindi di raccogliere consensi e trasmettere decisioni e proposte. Altrimenti le adunate si trasformerebbero regolarmente in sommosse, decretando dopo un certo tempo la fine delle libertà cittadine, o (come a volte succede infatti) situazioni di difficile controllo dell’ordine pubblico. E, soprattutto, non sarebbero state altrimenti possibili le imprese belliche di cui si parla dai primi anni del 1000 in poi.

65 Città comuni signorie I brevi dei consoli con i loro dettagliati obblighi ci dicono di una cultura diffidente delle deleghe. I giuramenti richiesti ai consoli richiedono il rispetto di normative estremamente dettagliate e continuamente riviste, ed esprimono pertanto un’esigenza di porre limiti alla delega politica, che ha momenti di approvazione assembleare, ma anche tante decisioni importanti quotidiane che investono tutti eppure prese nel chiuso di un palazzo tra poche persone.

66 Città comunali Non c’è dubbio che per il 1100 l’impressione offerta dalle fonti documentarie – di regola molto rare per questo tempo in fatto di verbali o comunque di testimonianze di deliberazioni politiche – potrebbe essere di una vita politica dominata da gruppi relativamente ristretti che ci si presentano di regola con pratiche di cooptazione negli uffici. La partecipazione della cittadinanza sembra limitarsi appunto a quei rari e corali fiat parlamentari.

67 Città comunali Eppure le disuguaglianze non dovevano tradursi in disuguaglianza di fronte alla città, ad esempio nell’accesso alla giustizia o nella tutela in caso di lesione da parte di forestieri. La città che lotta del 1100 si sente un unum corpus che sta salvaguardando la posizione raggiunta o che si sforza di migliorarla e in cui i vari elementi (ordines) devono sentirsi solidali perché cooperano verso un fine comune: la grandezza della città come creazione comune e, quindi, il suo onore.

68 Città comunali Nel giuramento dei consoli genovesi del 1143 c’è l’impegno (poi specificato nei dettagli per i vari campi di operatività) a operare per il bene del Comune e della comunità per l’onore della chiesa locale e della città, senza ledere i diritti di alcun cittadino e di scegliere le decisioni illuminati dalla giustizia secondo diritto (qui chiamato ‘ragione’, come di solito in queste fonti) e buona fede

69 Città comunali I ceti dirigenti delle città, non ristretti quantitativamente di solito, né arroccati nella difesa delle proprie posizioni non più di ogni élite che ritiene di bene operare, hanno saputo garantire l’honor civitatis, cioè gli interessi locali nel modo più globale, e quindi interpretare l’aspirazione diffusa entro larghi strati della cittadinanza oltreché i propri interessi di clan.

70 Città comunali .Questa più antica società comunale non è egualitaria sul piano giuridico, politico e sociale ed è spesso scossa dai conflitti di classe e da scontri tra i pochi ricchi e i tanti ‘mediocri’ (diremmo oggi medio e piccoli borghesi) o ‘poveri’. Tripartizione maiores, mediocres, minores Ma soprattutto è anche attraversata dalla fondamentale divisione tra milites (combattenti a cavallo) e pedites (fanti), che si traduceva in vantaggi concreti, in termini di acquisizione di beni pubblici e di privilegi, per i primi

71 Città comunali E’ animata da una tensione collettiva che si è realizzata nonostante (o forse anche proprio grazie a) la fluidità degli schieramenti politici interni. La solidarietà cittadina di fronte ai problemi posti dalle contingenze esterne era forte anche perché non esistevano i partiti come noi li concepiamo. Non si parla ancora di guelfi e di ghibellini, né di conflitto tra nobiltà e ‘popolo’ (fino alla fine del 1100) perché, pur con tutti gli squilibri socio-economici presenti in città, siamo pur sempre di fronte a un ceto dirigente aperto e a una cittadinanza fortemente coesa dal generale successo della città, reale o auspicato, e dall’apertura delle prospettive sociali ed economiche o dalle esigenze della aggressione o della difesa militare dall’esterno, da parte di altre città o dell’Impero.

72 Città comuni signorie Erano un collante forte le vittorie politiche e i successi economici della città-Stato che si affermava ovunque, ora contro l’Impero e ora nonostante l’Impero, con il suo aiuto indiretto, anche sui mercati internazionali del grande commercio, spesso grazie al nuovo rilievo anche tributario del Papato rispetto alle chiese locali.

73 Città comuni signorie Naturalmente non è possibile giudicare di esperienze così variegate e distribuite nell’arco dei secoli in modo sommario. Tra un’assemblea popolare davanti alla cattedrale del 1100 e un consiglio comunale del tempo di Dante, tanto per individuare un punto fermo, corrono due secoli, una cosa sono questi primi tempi, quelli del 1100, detti ‘consolari’ dal nome dell’ufficio politico eminente, e quelli successivi del Due-Trecento e oltre – e ci si limita ovviamente alle sole città in cui c’è stata una sopravvivenza del Comune indipendente, e quindi della forma repubblicana.

74 Città comuni signorie Eppure le disuguaglianze NELLA SOCIETA’ non dovevano tradursi in disuguaglianza di fronte alla città, ad esempio nell’accesso alla giustizia o nella tutela in caso di lesione da parte di forestieri. La città che lotta del 1100 si sente un unum corpus che sta salvaguardando la posizione raggiunta o che si sforza di migliorarla e in cui i vari elementi (ordines) devono sentirsi solidali perché cooperano verso un fine comune: la grandezza della città come creazione comune e, quindi, il suo onore.

75 Città comuni signorie .Questa più antica società comunale non è egualitaria sul piano giuridico, politico e sociale ed è spesso scossa dai conflitti di classe e da scontri tra i pochi ricchi e i tanti ‘mediocri’ (diremmo oggi medio e piccoli borghesi) o ‘poveri’. Tripartizione maiores, mediocres, minores Ma soprattutto è anche attraversata dalla fondamentale divisione tra milites (combattenti a cavallo) e pedites (fanti), che si traduceva in vantaggi concreti, in termini di acquisizione di beni pubblici e di privilegi, per i primi

76 Città comunali E’ animata da una tensione collettiva che si è realizzata nonostante (o forse anche proprio grazie a) la fluidità degli schieramenti politici interni. La solidarietà cittadina di fronte ai problemi posti dalle contingenze esterne era forte anche perché non esistevano i partiti come noi li concepiamo. Non si parla ancora di guelfi e di ghibellini, né di conflitto tra nobiltà e ‘popolo’ (fino alla fine del 1100) perché, pur con tutti gli squilibri socio-economici presenti in città, siamo pur sempre di fronte a un ceto dirigente aperto e a una cittadinanza fortemente coesa dal generale successo della città, reale o auspicato, e dall’apertura delle prospettive sociali ed economiche o dalle esigenze della aggressione o della difesa militare dall’esterno, da parte di altre città o dell’Impero.

77 Città e comuni Erano un collante forte le vittorie politiche e i successi economici della città-Stato che si affermava ovunque, ora contro l’Impero e ora nonostante l’Impero, con il suo aiuto indiretto, anche sui mercati internazionali del grande commercio, spesso grazie al nuovo rilievo anche tributario del Papato rispetto alle chiese locali.

78 . I ceti dirigenti delle città, non ristretti quantitativamente di solito, né arroccati nella difesa delle proprie posizioni non più di ogni élite che ritiene di bene operare, hanno saputo garantire l’honor civitatis, cioè gli interessi locali nel modo più globale, e quindi interpretare l’aspirazione diffusa entro larghi strati della cittadinanza oltreché i propri interessi di clan.

79 . A mercanti, finanzieri, imprenditori e armatori navali, a questi sì si doveva la magnifica crescita economica delle città italiane dopo il Mille, ma quel che rimaneva unico e che tanto le aveva rafforzate conferendo loro una capacità espansiva e aggressiva, era stato l’apporto delle competenze militari assicurate dai nobili di tradizione cavalleresca

80 Anche altri non diversamente da Jones hanno sottolineato
. Anche altri non diversamente da Jones hanno sottolineato lo sfruttamento del contado le chiusure oligarchiche in città (Bertelli) In area anglosassone: “tradizione” repubblicana: Skinner o Pocock sostengono con Rubinstein per rivendicare le origini italiane e medievali del repubblicanesimo moderno

81 . LA DOCUMENTAZIONE 'Italia centro-settentrionale terra di notariato. Il che è compiutamente vero dal secolo XII, da quando cioè alle scritture notarili è riconosciuta la publica fides A quel punto si affrontano due modi di attestazione scritta degli atti di natura e con effetti giuridici: quello cancelleresco, emanazione diretta (tramite un ufficio ad hoc) di un'autorità sovrana; e quello notarile, nel quale la funzione probatoria discende dalla persona del redattore e convalidatore (investito di tale potere dall'autorità, il che è qui irrilevante). I due tipi ottengono identica, cioè assoluta, capacità certificatrice, fino a prova di falso.

82 . Già il pontefice Alessandro III parificava, quanto a «firmitatis robur», gli scritti che «per manum publicam [di un notaio] facta fuerint ita quod appareant publica» e quelli che «authenticum sigillum habuerint per quod possint probari».

83 . Il primo Comune aveva bisogno dei notai. Essi gli erano necessari per costituire la propria autonomia, per legittimarsi come soggetto pubblico. Cosicché si può affermare, senza con ciò assimilare il Comune consolare e protopodestarile a un ente privato (al contrario), che esso è solo un cliente specialissimo dei notai - notai a loro volta un po' speciali, eminenti per preparazione e prestigio.

84 . DOCUMENTO CANCELLERESCO E DOCUMENTO NOTARILE Il discrimine tra i due tipi risiede nella persona/istituzione che è autore del documento, cioè che provvede il documento di pubblica fede: quella determinata autorità nell'«atto pubblico», nel documento cancelleresco (non importa chi materialmente lo scriva, sia anche un notaio); quel determinato redattore nell'«atto privato», nel documento notarile. Infatti, per semplificare, la formalità convalidatrice nel primo caso è il sigillo, nell'altro è la sottoscrizione del notaio, comprensiva del signum personale. Naturalmente poi, la tipologia documentale si riflette anche in altri caratteri, sia testuali sia materiali: , la struttura testuale tipica del documento cancelleresco è quella epistolare, con intitulatio all'inizio, forma soggettiva, ecc.

85 . ; la sua forma materiale è quella di un foglio di pergamena con la scrittura disposta nel senso del lato maggiore, e così via. Diversi saranno i caratteri testuali e materiali del documento notarile. Ma la differenza sostanziale è che nel documento cancelleresco l'autorità X è insieme autore dell'azione e della documentazione (il suo nome apre il testo, e lo chiude il suo sigillo); invece il notaio è per definizione "terzo" rispetto ai soggetti dell'atto, è esterno all'azione; il suo dato fisionomico più caratterizzante è l'autonomia.

86 . Il documento cancelleresco è “rigido”, formalizzato Al contrario,grande duttilità ed efficacia dell'instrumentum, la forma documentale tipica della prassi notarile ordinaria. Per il suo carattere probatorio e narrativo, per la sua libertà dai formalismi che avevano caratterizzato il regime documentale precedente, insomma per la sua concretezza, l'instrumentum si mostrò in grado di soddisfare, attraverso adattamento e sperimentazioni, tutte le esigenze derivanti dall'agire politico dei Comuni.

87 CHIESA E COMUNE Le origini della laicità? Una laicità «quotidiana»?

88 LA CITTA’ E LA CHIESA Il livello tutto politico dello scontro portava ad isolare una serie di interessi della città, il livello pubblico, collettivo, che si sarebbe detto a partire dal Duecento il suo ‘bene comune’. Erano gli interessi che si ritenevano prioritari e che pertanto potevano anche comportare un conflitto con la Chiesa: con la chiesa locale, (il vescovo, il capitolo della cattedrale…) e con la chiesa o curia romana

89 Ci si abituava a lottare e a distinguere i livelli del confronto, dando la priorità quando necessario a interessi puramente laici. C’era ormai una classe politica che sapeva distinguere e all’occasione contrapporsi al ceto ecclesiastico.

90 In quell’intrico di temporale e di spirituale che era la vita di tutti i giorni e il cui discrimine era stato prima giudicato e gestito sostanzialmente solo dalla Chiesa, si cominciava a pretendere di guardare da parte dei laici. La “chiesa del comune” La nascita di un polo urbanistico laico…

91 Ciò avveniva senza teorizzazioni esplicite, ma nella pratica di tutti i giorni, Si isolavano sfere di attività rette da princìpi diversi: c’erano le scelte della Chiesa, ma anche quelle con proprie ragioni ugualmente valide dei mercanti e dei politici pronti ormai a subire persino scomuniche ed interdetti perché consapevoli che avevano interlocutori sensibili alla politica - a volte assai più che alle ragioni religiose, dicevano i fedeli della Chiesa di ogni tendenza critica alla linea temporale del Papato e delle chiese locali. così come nella pratica mercantile si superavano i divieti del prestito ad interesse con contratti sapientemente studiati.

92 Città comuni signorie Che i preti facessero bene il loro mestiere spirituale, che al resto avrebbero pensato i laici, sempre pronti del resto in quel mondo con così larga presenza della religione, nelle preoccupazioni e nella vita quotidiana, a non trascurare le offerte per le chiese, per le messe e per la crociata, persino con lasciti pii nei testamenti – eventualmente pro remedio animae, con i quali si saldavano anche i debiti di restituzione contratti con operazioni bancarie vietate.

93 Città comuni signorie Si diffondeva una cultura laica, pragmatica, fondata sulla scrittura, mentre l’ammirazione per l’antico aveva larghissima parte, accanto più che secondo o contro la cultura tradizionale religiosa. E quella si diffondeva senza difficoltà se non ci si azzardava a contestare frontalmente la cultura della Chiesa, ma si aveva l’accortezza di rispettarla trovando con essa compromessi durevoli

94 Città comuni signorie Insomma, proprio in queste prospere città, più che in altre, cominciava quella coesistenza non sempre pacifica tra culture di diversa ispirazione, ma comunque capaci per lo più di incontrarsi nell’interesse reciproco, creando un’osmosi positiva. Anche se mai priva di sospetti soprattutto nei confronti dei mercanti e dei loro rapidi guadagni.

95 . L’osmosi non fu quindi omogeneizzazione. Ma arricchimento, fermento di problemi che riflettevano l’apertura al nuovo e la creatività di quel mondo: chi è il buon cittadino? chi il buon mercante? e il buon cristiano? Perciò anche è difficile fermare i caratteri di quella cultura urbana. Le scritture, le arti, i monumenti esprimono aspetti di quel mondo variegato, molto ‘moderno’ ai nostri occhi oggi, proprio perché molto complesso, non interpretabile soltanto con una chiave.

96 Città comuni signorie Pensiamo all’esplosione del romanico nell’architettura civile e religiosa delle città lombardo-emiliane - basterà citare Modena, Cremona e Parma, ad esempio -, e la rappresentazione straordinariamente efficace del lavoro artigianale e dei campi che anche nelle territorio circostante le città compare nelle sculture delle chiese: efficacissime rappresentazioni espressione di una cultura fortemente legata alla vita quotidiana, al lavoro di tutti i giorni e di tutti i ceti sociali, che stanno facendo ricche e potenti le città.

97 Città comuni signorie Insomma nelle città si consolidava l’autonomia culturale dei laici, come conferma l’impegno nel sostenere le fondazioni universitarie, solo parzialmente (e più tardi) controllate dalla Chiesa, le scuole di notariato, fucine di una cultura urbana tutta impegnata nel quotidiano che furono un’altra particolarità italiana per tanto tempo, e l’alfabetizzazione resa sempre più necessaria dalla larga scritturazione indotta dalla rivoluzione mercantile in atto.

98 Verso il governo dei conflitti: l’espediente del podestà
. Verso il governo dei conflitti: l’espediente del podestà Statuti e sindacato: la responsabilità dei governanti

99 maturità di questi governi cittadini
ruolo dei podestà. l’unità del governo monocratico che ad essi veniva affidato, e i collegamenti intercittadini di cui si facevano anche per lo più portatori, non vuole anche dire che il ceto dirigente cittadino si ritirasse in disparte e delegasse al nuovo venuto forestiero le scelte politiche fondamentali. Lo abbiamo già detto ricordando il programma che gli veniva affidato con gli statuti, ma c’era poi l’assemblea comunale sempre in funzione e le giunte di governo che lo attorniavano e controllavano, gli anziani o come diversamente erano chiamati.

100 Città comuni signorie Il podestà metteva freno alla lotta politica, fungeva da arbitro con gli strumenti conferitigli dalla città stessa, dava una regola (quando gli riusciva) allo sfrenato pluralismo associativo vivacissimo di questi decenni di primo Duecento. Ma non poteva e non doveva bloccarlo. Soprattutto quando si trattasse di quelle organizzazioni che cominceranno a dirsi di ‘popolo’ in un modo nuovo, contrapposto ai militari a cavallo ora sempre più spesso qualificati come ‘nobili’.

101 Città comuni signorie Il governo dei podestà assisté al fiorire di queste organizzazioni di ‘popolari’ che, su base rionale, andavano unendosi per l’esercizio delle armi e per contare politicamente. Mentre la vicenda di Federico II sollecitava alleanze anche sugli ampi spazi alle famiglie aristocratiche più intraprendenti, nelle città l’organizzazione di popolo fece passi da gigante in pochi decenni.

102 Città comuni signorie Il secondo Duecento dopo la morte di Federico II (1250) e in attesa della discesa angioina in Italia (1264), vide rafforzarsi rapidamente l’indipendenza delle città libere fu un continuo sperimentare nuove normazioni e nuove cautele per premunirsi di fronte a cambiamenti di regime politici o al degenerare tirannico dei governi in carica. I molti e variegati raggruppamenti politici cui si è accennato si costituivano per sopravvivere e avere la loro parte nella gestione del potere cittadino. Il che voleva dire pensare e ripensare agli equilibri di potere, al bilanciamento delle istituzioni cittadine, ai rapporti tra organizzazioni generali (Comune, Popolo, Mercanzia) e organizzazioni di quartiere o di ceto (cavalieri) o di mestiere (arti) o di schieramenti politici, locali e inter-statuali (Parti guelfe e ghibelline). Con tanto di nuovi statuti e di liti anche giudiziarie per la loro dubbia interpretazione nel rapporto con una legislazione speciale extra-statutaria (provvisioni, deliberazioni consiliari, bandi ecc.) ormai crescente e a volte fuori controllo.


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