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Teorie dello sviluppo e della crescita: concetti e strumenti

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Presentazione sul tema: "Teorie dello sviluppo e della crescita: concetti e strumenti"— Transcript della presentazione:

1 Teorie dello sviluppo e della crescita: concetti e strumenti

2 2.1. Crescita o sviluppo La comprensione della crescita della ricchezza, individuale e collettiva, è alla base della scienza economica che si interroga sulle cause, le conseguenze, le modalità e i sistemi a essa connessi. Il concetto di crescita è stato interpretato e definito in molti modi conseguenti le fasi evolutive delle teorie, dei cicli economici, della politica e dell’evoluzione delle società. Si tratta di uno dei capisaldi della modernità occidentale che dà significato al tempo contemporaneo e alle sue inflessioni geografiche.

3 tra il XVIII e il XIX secolo, in rapporto con le accelerazioni della Rivoluzione industriale, promotrice di analisi, teorie e speranze gli economisti (e non solo) si rendono conto che la ricchezza, fino ad allora rurale o mercantile e spinta alla soddisfazione di bisogni essenziali, può crescere in maniera esponenziale all’aumentare e al diversificarsi delle produzioni. Principale ricaduta concettuale di tale spirito rivoluzionario risiede nell’idea che maggiori quantità di ricchezza offrano migliori condizioni di vita in termini politici, sociali, di dominio, di benessere.

4 La crescita economica risulta dall’aumento proporzionale delle quantità di fattori di produzione (terra, capitale e lavoro) necessari per ottenerla (crescita estensiva); o più che proporzionale (crescita intensiva). Nel secondo caso essa è determinata in ragione d’una maggiore efficienza nell’utilizzo dei fattori di produzione e, dunque, principalmente promossa dall’innovazione del processo produttivo o dal miglioramento dell’organizzazione del lavoro.

5 Tutto ciò ha a che vedere con le condizioni, il costo, le regole, la disponibilità e le logiche del mercato del lavoro e dei lavoratori. Un sistema economico cresce quando produce un progresso delle sue quantità di ricchezza in volume o in valore (scheda 2.1) e nel momento in cui tale maggiore produzione di ricchezza è in grado di riarticolare, in termini di maggiore produttività, il rapporto tra PIL e fattori di produzione: a più alta flessibilità corrisponderà un maggiore sfruttamento dei vantaggi comparati di sistema (costo del lavoro); a significative libertà normative, seguiranno più ampie liberalità per le posizioni dominanti.

6 Scheda 2.1. Il Valore Aggiunto e il PIL Valore aggiunto
Il concetto di Valore aggiunto è dato della differenza tra il valore dei beni e servizi prodotti (output) da una azienda e il valore dei beni e servizi che detta azienda acquista all’esterno (input). Ovvero, il valore aggiunto è pari alla differenza tra ciò che paga l’utilizzatore di un determinato bene (o servizio) e ciò che il produttore dello stesso bene (o servizio) ha pagato per acquisire l’input. Il valore aggiunto può essere calcolato: per sottrazione, deducendo dal valore della produzione complessiva il valore di tutti i fattori acquistati dall’esterno ed effettivamente utilizzati nel processo produttivo; per somma, addizionando i seguenti costi: retribuzioni del lavoro e oneri sociali, interessi passivi (in dottrina vi è dubbio se appartengano al V.A. o all’input, anche se non muta il V.A. aggregato), ammortamenti, utile netto d’impresa, imposte dirette il metodo della determinazione del valore aggiunto per somma consente di conoscere la destinazione del valore aggiunto stesso tra le diverse componenti d’impresa e la distribuzione della ricchezza che ne deriva. il totale dei valori aggiunti prodotti da tutte le imprese del sistema economico di un paese corrisponde al suo Prodotto Interno Lordo (PIL).

7 Prodotto Interno Lordo
Il PIL è considerato la misura della ricchezza prodotta in un paese e corrisponde al valore della produzione totale complessiva di tutti i beni e i servizi finali prodotti di un paese in un certo intervallo di tempo (l’anno). Dal totale va sottratto il valore dei consumi intermedi inter-industriali (parte della produzione riutilizzata e scambiata tra le imprese stesse). Tale ammontare di ricchezza è calcolato in base ai prezzi di mercato e, per questo, ad esso vanno sommati il totale dell’IVA e quello delle imposte indirette sulle importazioni che intervengono, aumentandoli, nella formazione dei prezzi stessi. Il prodotto si definisce interno perché è relativo a tutta la produzione di un determinato territorio-paese e non del complesso dei suoi abitanti, (che possono produrre valore anche all’estero); è lordo in quanto il suo ammontare non tiene conto dell’ammortamento dei beni strumentali impiegati nella produzione. Il calcolo del PIL può prodursi, così, in ragione dei valori aggiunti (valore della produzione al netto del valore dei beni intermedi); ragione dei redditi (la differenza tra il valore della produzione e quello dei beni intermedi si suppone pari al reddito distribuito in salari e in profitti). Per riassumere la ricchezza di un paese è possibile, infine, calcolare il PIL anche attraverso la somma della spesa complessiva per consumi, presupponendo che il valore totale dei beni e dei servizi finali corrisponda alla spesa per consumi delle famiglie. In realtà, a questo valore andrebbe aggiunta la spesa in macchinari, impianti e immobili sostenuta dalle imprese.

8 Tale concezione classica viene tradotta nella definizione sinonimica di sviluppo avanzando fino a precisare il suo carattere necessario e naturale all’interno delle leggi sociali: Superando la concezione della natura divina dei processi evolutivi, tale elaborazione riconosce all’uomo la centralità nella costruzione del suo futuro. Un approccio che richiama l’evoluzione degli organismi naturali, sancisce la normalità di quelli sviluppati e segna, interpretata in termini passivi, l’anomalia di organismi “non sviluppati”.

9 Sviluppo e civiltà. nell’esigenza dello sviluppo si coniuga il doppio compito della crescita della produzione e del progresso sociale per equiparare il livello della ricchezza al grado di “civilizzazione” misurato in comportamenti, pratiche, relazioni e usi. Il connotato biologico del concetto di sviluppo induce, così, una sua “dimensione obbligatoria” costringendolo in termini di naturalità: per Aristotele la Natura è l'ordine tendente a un fine, “lo sviluppo è definito dal fatto stesso di raggiungere tale fine, in quanto norma naturale dell’essere considerato” (Castoriadis, 1977, p. 212).

10 L’assunzione della crescita/sviluppo come cardine del miglioramento delle condizioni di vita dei singoli e delle società non risolve in sé le questioni inerenti la sua resa materiale o la sua diffusione territoriale ponendo dubbi sulla capacità di controllare la sua reale dimensione quantitativa (quanto si cresce?)”; di indirizzare il suo contenuto qualitativo (chi è migliorato e in cosa?); di incidere nella sua ripartizione (la condivisione diffusa della ricchezza) (Gadrey, 2005, in Latouche, 2007 p. 9).

11 la crescita economica non si lega all’equità del processo di distribuzione della ricchezza né alla sua trasformazione effettiva in benessere diffuso. i teorici della crescita delegano alla capacità regolatrice del mercato e della politica il compito di diffondere i benefici dell’aumento quantitativo della ricchezza, pur nel presupposto di reiterare le pre-condizioni e rendere quest’ultimo sempre rinnovabile.

12 Nonostante tali limiti d’ordine politico, la nozione quantitativa di crescita/sviluppo non esaurisce la sua forza innovativa e genera un cambio di prospettiva strategica, etica, entusiastica. A partire dalla rivoluzione della modernità, l’aumento della ricchezza di una popolazione acquisisce caratteri filosofici taumaturgici attraverso i quali “i dispositivi di potere e di sapere prendono in conto i « processi della vita » e la possibilità di controllarli e di modificarli: l’uomo occidentale impara man mano cosa vuol dire essere una specie vivente in un mondo vivente, avere un corpo, una salute individuale e collettiva, delle forze che si possono modificare...”  (Foucault, 1985, p. 187)».

13 E’ una vera e propria reificazione della relazione tra l’uomo e l’organizzazione dei sistemi sociali attraverso la quale le comunità umane “materializzano” la propria concezione in senso illuminista e promuovono una decisa assunzione di responsabilità del benessere: “l’uomo per millenni è rimasto ciò che era per Aristotele: un animale vivente e, in più, capace di un’esistenza politica; l’uomo moderno è un animale nella cui politica è in questione la sua stessa vita di essere vivente" (ibidem, 188).

14 Di contro, in tale processo è insito il rischio dell’astrazione del singolo dalle proprie qualità umane, in particolare nella equiparazione del lavoro a merce (meglio, rispondente alle stesse leggi di mercato), e “disumanizzare” così la vita stessa, almeno delle classi lavoratrici.

15 D’altra parte risulta agevole l’assioma che lega l’esigenza della crescita allo stimolo inappagabile dell’evoluzione accrescitiva: Se per gli esseri viventi il fine naturale è un processo attraverso il quale “vengono liberate le potenzialità di un oggetto o di un organismo fino a raggiungere la loro forma naturale, completa, definitivamente evoluta” (Sachs, 1998, p. 350), per gli uomini, e le loro forme aggregative, tale stadio non può essere raggiunto perché impossibile da fissare o delimitare; potrà evolvere solo tautologicamente; non potrà completarsi se non nella sua continua reiterazione.

16 Così, nel concetto di sviluppo risultano necessariamente incorporati molti significati.
Le società “sviluppate” appaiono e sanno di essere evolute e mature, ma in realtà sono soprattutto in grado di riprodurre la loro crescita. Parallelamente, per tutte le altre, ancora immature, diviene certo il contrario: “la parola sviluppo implica sempre un cambio favorevole, una scala dal semplice al complesso, dall’inferiore al superiore, dal peggiore al migliore …. Indica che si sta agendo bene, perché si sta avanzando nella direzione di una necessaria, ineluttabile universale legge e verso un obiettivo desiderabile” (Sachs, 1998, p. 354).

17 Nel piano strettamente concettuale, e in termini quantitativi, la crescita/sviluppo rappresenta un processo “che si traduce nell’aumento, nel lungo periodo, di un indicatore rappresentativo della produzione di ricchezza di un paese”, definizione che nel 1961 F. Perroux concepisce in una articolazione più significativa: “l’accroissement durable de la dimension d’une unité économique, simple ou complexe, réalisé dans des changements de structures et éventuellement de système, et accompagné de progrès économiques variables”. (l’accrescimento duraturo della dimensione di una unità economica, semplice o complessa, realizzato attraverso dei cambiamenti di struttura e eventualmente di sistema, e accompagnato da progressi economici variabili”. Si assegna definitivamente allo sviluppo, e in maniera scientificamente autorevole, il compito di modificare profondamente le società: a queste non basta crescere, bisogna che al loro progresso economico corrisponda una evoluzione in termini di redditi reali, condizioni di vita, benessere, qualità culturali, libertà individuali e collettive, formazione, sanità ecc.

18 l’esigenza di comparare tra loro le economie tradurrà le differenze in valori quantitativi equiparando: società, Stati, spazi e generalizzando l’adozione di un concetto nuovo per le scienze sociali per quanto noto alle scienze esatte. L’esperienza coloniale della fine del secolo XIX sarà illuminante e strettamente connessa alla logica della crescita come modello da perseguire. La colonizzazione imperialista dei territori africani e asiatici propagandava la “missione” di garantire alle popolazioni locali il progresso tecnologico, economico e sociale, assicurando livelli minimi di nutrizione, salute e istruzione e portava con sé l’inevitabile corredo di teorie deterministiche collegate alla progressiva opera di “civilizzazione”. Discorso politico-umanitario dalle scarse virtù applicative visto che, a ben guardare, il mito della crescita non corrisponde automaticamente al miglioramento delle condizioni economiche.

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22 La situazione politica delle Americhe nel 1750.

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24 Nei fatti, e con il senno del poi, è chiaro che l’evoluzione delle società europee e mondiali non abbia dato ragione alle teorie e ai propositi della politica. alla crescita quantitativa, soprattutto congiunturale, dell’economia della prima metà del XX secolo non segue un pari miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, igieniche, sanitarie, relazionali, libertarie. Fenomeno confermato anche dal decremento del PIL pro/capite negli anni rispetto al quarantennio precedente (figura 2.1); e che lascia maturare considerazioni meno universali e più legate a condizioni di potere e controllo: “la crescita è semplicemente un obiettivo politico immediato che serve agli interessi delle minoranze dominanti” (Mansholt, citato in Latouche, 2007, p. 15).

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26 L’invenzione del sottosviluppo: modernizzazione e dipendenza
A partire dagli anni Cinquanta lo sviluppo diviene il termine per rivelare (e rilevare) il suo contrario, ovvero l’immaturità e l’arretratezza del sottosviluppo. L’idea dell’esportazione della civiltà, per molti secoli al centro della politica coloniale, si adeguerà alla “concessione” dello sviluppo ai paesi considerati immaturi quando solo sfiorati dalla modernità occidentale. Assolvendo il compito dello sviluppo economico dei popoli colonizzati, ci si convince di garantire il benessere che loro mancava.

27 È uno schema concettuale sostanziato nell’ipotesi che la logica occidentale componga il metro giusto per poter valutare il resto del mondo e che, una volta strutturato il “sistema economico liberale e mondiale” (Gilpin, 2002; Golub, 2007) abbia “creato legami d’interdipendenza mondiali e complementarità positive basate sui vantaggi fattoriali” (Golub, 2007) (teoria dei vantaggi comparati). In quest’ottica il sistema avrebbe scatenato un coinvolgimento progressivo di opportunità di crescita e di sviluppo per tutti i territori ancora classificati come pre-moderni o arretrati. Con cicli successivi e cadenzati che vanno dal sistema inglese (antecedente la grande guerra), alla dominazione statunitense e sovietica (secondo dopoguerra), tale contagio di modernizzazione si sarebbe affermato definitivamente fino a espandersi, in seguito alla caduta del muro di Berlino, anche nelle neo-capitaliste Cina e India, strutturandosi attraverso la liberalizzazione globale dei mercati e il superamento progressivo delle regole del sottosviluppo.

28 Tale modernità occidentale assurge a un piano mitico
propagato alla realtà degli spazi mondiali con potenza almeno pari, se non maggiore, a quelle della politica, dell’economia, della scienza. mitizzazione imposta agli Orienti o ai Sud del mondo proponendone una critica di ordine concettuale (vedi scheda 2.2) e, soprattutto, valutandone l’evidente insuccesso empirico. il processo di modernizzazione esteso all’intero mondo, pur avverandosi, non abbia prodotto i risultati propagandati e attesi del “fine” del raggiungimento dello sviluppo, quanto soprattutto reiterato le distanze.

29 Scheda 2.2 – Critiche al mito dello sviluppo –
Golub e Bairoch, le considerazioni rilevano di tre elementi: 1. tale meta-racconto ignora tutto ciò che è avvenuto nel mondo prima della rivoluzione industriale europea, come se la storia moderna fosse cominciata soltanto con l’ascesa dell’Occidente e la sua irruzione sulla scena mondiale. prima della rivoluzione industriale europea, il mondo non era verticale, gerarchico ed accentrato, ma orizzontale, decentrato e policentrico. fino alla fine del XVIII secolo, non c’erano un sistema e un mondo al singolare, ma sistemi e mondi al plurale. non esisteva un’economia mondiale, ma una molteplicità di "economie mondo" (l’Europa, la Cina, l’India, l’Impero Ottomano, ecc.) nel senso braudeliano del termine – per cui "l’economia di una parte soltanto del pianeta forma un tutto economico” ogni economia-mondo comprendeva al proprio interno l’organizzazione e la divisione del lavoro, le conoscenze scientifiche e le capacità tecnologiche; tra le diverse economie mondo c’erano contatti, connessioni, interrelazioni, scambi e fusioni, pur senza una vera e propria dimensione globale. il racconto mitico occulta il fatto che le economie mondo che prosperavano in Asia avevano strutture economiche, produttive e commerciali di livello equivalente o persino superiore rispetto alle economie-mondo europee.

30 2. il meta-racconto in questione ignora il ruolo della violenza e della coercizione nell’espansionismo europeo in Asia (e altrove) nel corso del XIX secolo. Sebbene i fattori esogeni non possano spiegare interamente il declino relativo dell’Asia nell’Ottocento, l’imperialismo resta comunque una variabile esplicativa determinante. 3. il meta-racconto in esame ignora il carattere per nulla liberale dell’espansione capitalista che ha avuto luogo, alla fine del XIX secolo, in Europa e negli Stati Uniti, dove il liberalismo era fortemente limitato sia nello spazio sia nel tempo.

31 la costruzione del mito occidentale ha consentito schemi narrativi “in grado di ordinare la realtà disordinata e conferire un significato ontologico alla storia, alla società, alla vita e al mondo intero” (Golub, 2007) Ontologico: Che si riferisce all'essere in generale, alle sue strutture immutabili, oggettive e reali; che riguarda l'ontologia b. le dinamiche economiche del Novecento tutto e del suo prolungamento post-globale, non hanno inciso profondamente negli s/e-quilibri “dell’ingiusto e enorme contrasto economico tra due gruppi di paesi: quelli ricchi e dominanti, e quelli poveri che risultano dominati” (Lacoste, 1985).

32 Dunque: “Lo sviluppo, inteso nella sua accezione economicistica, è un paradigma portatore di valori propri a una civiltà” (Castoridis, 1977), ovvero quella dell’Occidente, frutto di “un’esperienza storica particolare e che proviene da una geografia (dell’Europa allargata a Usa e Giappone), di una religione (il cristianesimo), di una filosofia (l’illuminismo), di una razza (bianca) e di un sistema economico (il capitalismo)” (Jacob, 1991, p. 74). Matrice profonda di questa coerente catena di maglie identificative della modernità occidentale sarebbe, (Max Weber), il protestantesimo puritano (versione esasperata dell’individualismo cristiano). La fine della guerra e gli anni che la seguirono, influenzati dall’ottimismo della pace, dalla ricostruzione e da nuove fiducie nel futuro oltre che dal fervore ideologico, costituiranno l’ambiente in cui far accettare universalmente l’idea dello sviluppo come chiave di volta della modernità e come via certa al miglioramento delle condizioni di vita degli uomini.

33 Nasce così il termine “sottosviluppo”
apparso nel 1942, utilizzato in un articolo di Wilfred Benson, ex membro della segreteria dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, dedicato al progresso economico delle aree sottosviluppate, appunto. Ma la vera consacrazione avvenne in occasione del discorso di re-insediamento di H. Truman alla presidenza degli Stati Uniti, nel quale egli riconobbe l’esistenza di squilibri fra mondi diversi e, per la prima volta, l’esigenza di definire un programma in grado di “rendere disponibili i benefici dei perfezionamenti tecnologici e del progresso industriale per il miglioramento e la crescita delle aree sottosviluppate” 20 gennaio 1949.

34 da una parte gli USA si proponevano di estendere tecnologia, progresso, crescita e sviluppo alle nazioni che non ne avevano, d’altro canto, adottavano un’idea di sviluppo che conteneva una forte qualità innovativa: oltre a comprendere le logiche economiche della crescita, in esso si assumeva pienamente il compito umanitario e universale della riduzione delle disparità.

35 In realtà la contrapposizione tra il blocco sovietico e quello occidentale imponeva di dare una sistemazione al mondo i due schieramenti avviarono una lotta del tutto aderente alla spartizione dell’epoca coloniale, anche se ispirata a vie al benessere contrarie seppure simili nello spirito. Nonostante i due campi di appartenenza proponessero modelli di crescita opposti, sia il primo sia il secondo apparivano ispirati alla modernizzazione delle società tradizionali. Le ricette economiche, ma anche le analisi sociali e politiche del capitalismo, proponevano un modello di sviluppo graduale centrato nella fiducia nel progresso razionale insito nell’industrializzazione. Del resto le teorie economiche, “siano esse di scuola liberale o di scuola marxista, presentano lo sviluppo delle forze produttive come un processo attraverso il quale l’umanità realizza il suo destino” (Jacob, 1991, p. 76). Si trattava, in altre parole, di accettare l’idea che lo sviluppo, inteso negli stessi termini del percorso già effettuato dai paesi maggiormente sviluppati, si rendesse dogma.

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38 Come si analizza il sottosviluppo?
La Commissione Economica per l’America Latina (CEPAL) costituita dalle Nazioni Unite produsse, in particolare negli anni in cui fu presieduta da Raúl Prebisch (1950), una serie di analisi e raccolte di dati statistici da cui emergevano le conseguenze fortemente asimmetriche dei rapporti di scambio internazionali. Le critiche allora poste portarono all’elaborazione delle teorie della dipendenza che interpretavano lo sviluppo e il sottosviluppo come due facce della stessa medaglia definendone le relazioni spazio-temporali attraverso la struttura del paradigma centro-periferia. L’interrelazione tra spazi evoluti e territori sottosviluppati corrispondeva alle relazioni intessute tra centralità e perifericità.

39 e, sul versante delle cause,
L’insieme delle teorie della modernizzazione imperanti nel decennio Cinquanta propagandava un sistema di analisi scomposto in due grandi assiomi: a) lo sviluppo era possibile solo nell’applicazione delle leggi che hanno già fatto avanzare i paesi occidentali e, sul versante delle cause, b) il sottosviluppo era determinato da limiti strutturali dei paesi del Sud: classi sociali oligarchiche al potere, eccesso di statalismo e lentezze burocratiche, ridotto sviluppo tecnologico, scarso livello nelle esportazioni, ridotta capacità di attrarre investimenti esteri

40 Soluzione: al fine di far crescere la convinzione della crescita, elemento discriminante per una sua riuscita, era necessario ridurre la presenza dello Stato in economia (liberalismo), sostenere le produzioni di beni a massima attrattività estera (soprattutto beni primari e libero scambio), ridurre le importazioni, attirare capitali esteri (far crescere le rendite e il debito pubblico).

41 La configurazione del sottosviluppo, come qualcosa da contenere attraverso la modernizzazione e l’adozione delle tecniche del capitalismo, sarà fortemente messa in discussione dal modello dello scambio ineguale elaborato da Arghiri Emmanuel (1972) e ripreso poi da Samir Amin (1977) (ma si vedano anche Celso Furtado e Immanuel Wallerstein). Anche in questo paradigma l’analisi dello sviluppo si concentra sulle differenze, in termini di gerarchia economica e ordine spaziale, tra centro e periferia. Lo slittamento delle ragioni di scambio tra i prodotti dei paesi sviluppati e quelli dei paesi sottosviluppati, a favore dei primi, collegato alla diversa quantità di valore aggiunto incorporato nei prodotti stessi, costituisce il meccanismo di sottrazione di ricchezza.

42 È impossibile invertire (nonostante le politiche di sostituzione delle importazioni) il dominio dei sistemi avanzati sugli altri: i livelli di produttività più elevati, i salari più alti il controllo della tecnologia di punta, sostanziano il trasferimento di valore dalle periferie verso il centro che supera, oggi come negli anni Sessanta, “l’ammontare degli aiuti pubblici e degli investimenti privati che la periferia riceve” (Amin, 1977, p. 148).

43 1. Insufficienza alimentare 2. Incuria o spreco delle risorse
Yves Lacoste nel libro "Geografia del sottosviluppo” (1984) elencava i 14 punti caratteristici del sottosviluppo: 1. Insufficienza alimentare 2. Incuria o spreco delle risorse 3. Elevato numero di agricoltori a bassa produttività 4. Industrializzazione limitata e incompleta 5. Ipertrofia e parassitismo del settore terziario 6. Situazione di dipendenza economica nei confronti dei Paesi più sviluppati 7. Fortissime disuguaglianze sociali 8. Smembramento delle strutture tradizionali 9. Sottoccupazione molto estesa e lavoro minorile 10. Mancanza di unità nazionale 11. Gravi deficit della popolazione (analfabetismo e malattie di massa) 12. Grave incremento demografico 13. Lento aumento delle risorse rispetto all'aumento della popolazione 14. Presa coscienza da parte della popolazione della situazione economica, politica e sociale e quindi situazione in evoluzione.

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46 Filmato Mobutu all’ONU
Mobutu Sese Seko, nome completo Mobutu Sese Seko Kuku Ngbendu Wa Zabanga (letteralmente "Mobutu il guerriero che va di vittoria in vittoria senza che nessuno possa fermarlo") precedentemente noto come Joseph-Désiré Mobutu nato nel 1930 a Lisala e morto a Rabat nel 1997è stato dittatore dello Zaire (Repubblica Democratica del Congo (ex Congo Belga, poi Congo-Kinshasa (vs Repubblica del Congo (ex congo Francese o Congo Brazzaville) Primo ministro dopo aver assassinato Lumumba (1961 indipendenza) Presidente dopo aver deposto Kasa-Vubu Filo occidentale, poi amico dei sovietici, Dittatore efferato, muore dopo 30 anni di potere, di affari con le grandi multinazionali, di CLEPTOCRAZIA

47 Dunque nascono delle teorie che contrastano economicamente e politicamente il sistema
Negli anni Settanta nell’ottica di costruire processi di sviluppo propri al modello della modernizzazione, nasce la teoria della dipendenza che, nell’adottare i concetti della crescita endogena come possibile innesto di una dinamica economica virtuosa, propugna per i paesi del sottosviluppo la massima occupazione della forza lavoro come ricetta in grado di promuovere l’integrazione sociale e, da questa, la pratica democratica e di partecipazione al potere con il conseguente rovesciamento delle oligarchie filo-occidentali.

48 Tali teorie condivisero le cause del sottosviluppo nell’accumulazione originaria determinatasi attraverso l’epoca coloniale e la specializzazione forzata nella produzione di beni primari; ma intesero le politiche di sviluppo come mera interruzione delle condizioni di subalternità, pur non identificando un modello in grado di condizionare, se non in maniera velleitaria, i rapporti di forza. Alcuni studiosi sociali, tra cui geografi, sociologi, economisti e politologi, avanzarono nell’elaborazione delle teorie della dipendenza distinguendosi in due approcci distinti: rivoluzionario il primo; riformista il secondo.

49 Per i “rivoluzionari” la sola alternativa al sottosviluppo era la distruzione del sistema capitalistico in tutte le forme adottate nei Sud del mondo, laddove, per i “riformisti”, si trattava di riformulare le logiche all’interno dei sistemi. La soluzione delle condizioni di povertà dei paesi poveri erano determinate dallo sfruttamento delle “periferie” da parte del “centro”: nell’impossibilità di interrompere i flussi di scambio non v’era che da rifiutare i modelli libero-scambisti, osservare l’inadeguatezza dei processi di crescita basati sull’industrializzazione e sull’innovazione tecnologica e rompere con l’Occidente. Invece: aggiustamento strutturale, privatizzazioni, banca mondiale e FMI

50 Aggiustamento strutturale è un termine utilizzato per descrivere i cambiamenti nelle politiche implementati nei PVS. Detti conditionalities i programmi di AS sono il presupposto per ottenere nuovi finanziamenti da FMI e BM o per avere tassi di interesse minori. Si tratta di dimostrare che il denaro prestato sarà speso in conformità con gli obiettivi del finanziamento. Gli Structural Adjustment Programs - sono creati per promuovere la crescita economica, generare reddito, e ripagare il debito che i paesi hanno accumulato. Attraverso le condizionalità, i Programmi di Aggiustamento Strutturale implementano generalmente programmi e politiche di "libero mercato". Questi programmi comprendono cambiamenti sia interni (in particolare privatizzazioni e deregolamentazioni), sia esterni, specialmente la riduzione delle barriere commerciali. I paesi che falliscono nell'esecuzione di tali programmi possono essere soggetti a una severa disciplina fiscale. I critici sostengono che le minacce finanziarie ai paesi poveri equivalgono a un ricatto, al quale le nazioni povere non hanno altra scelta che accondiscendere. E privatizzare significa…

51 Osservando il processo dell’assunzione delle decisioni negli organismi del credito internazionale ci accorgiamo che il peso dei paesi partecipanti non è equilibrato, ma risponde a logiche stabilmente squilibrate. All’interno del Fondo Monetario Internazionale, ad esempio, le decisioni assunte risentono dei vincoli statutari, voluti al momento della sua fondazione, che prevedono il diritto di voto negli organi collegiali proporzionale al valore delle quote di partecipazione al fondo stesso. Tale meccanismo concede un privilegio ai maggiori “azionisti” che, in definitiva, sono i paesi più ricchi e politicamente potenti (vedi scheda 2.3).

52 Scheda 2.3 - La Banca Mondiale
La Banca Mondiale rappresenta la più importante istituzione di credito internazionale insieme al Fondo Monetario Internazionale. Il nucleo originario del gruppo di organismi finanziari in seguito definito «Banca Mondiale» fu la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (BIRS), la cui costituzione fu decisa contemporaneamente a quella del Fmi durante la conferenza di Bretton Woods tenutasi nel A Bretton Woods si riunirono i delegati di moltissimi paesi per assumere le decisioni inerenti il nuovo ordine mondiale conseguente alla seconda Guerra Mondiale. La Banca Mondiale «finanzia lo sviluppo», ovvero mette in pratica le indicazioni del Fondo Monetario, e presta denaro a tassi particolarmente favorevoli ai paesi del Terzo Mondo. Si tratta di un’istituzione che garantisce il prestito e il debito dei paesi in via di sviluppo. In seno alla Banca Mondiale, ogni paese dispone di un numero di voti proporzionale al capitale versato alla Banca (un dollaro = un voto). Nel 2004 i 5 maggiori azionisti risultavano essere gli Stati Uniti (16,4%), il Giappone (7,9%), la Germania (4,5%), la Francia (4,3) e la Gran Bretagna (4,3%). Del resto la composizione stessa del Consiglio dei 24 Direttori esecutivi (organo che ha il compito, tra l’altro, della concessione dei prestiti) corrisponde alla stessa logica: gli stessi cinque grandi donatori più Cina, Arabia Saudita, Federazione Russa sono rappresentati da un loro membro permanente, mentre gli altri 16, generalmente paesi industrializzati, rappresentano raggruppamenti di Stati (quello italiano svolge lo suo ruolo anche per la Grecia, Malta, Portogallo, Albania e Timor-est). Tale organismo, d’altra parte, assume le sue decisioni con maggioranze altamente qualificate (85 %) e appare chiaro come, gli Stati Uniti da soli o pochi paesi europei compatti, possano agevolmente esercitare un diritto di veto e reiterare, così, la logica che protegge i donatori più dei beneficiari. Anche la consuetudine consolidata di nominare alla Presidenza della Banca un cittadino statunitense riprova la concentrazione del potere nelle mani dei paesi più forti e conferma il sistema spartitorio, dal vago sentore coloniale, di controbilanciare il peso internazionale con la Presidenza del Fondo Monetario Internazionale sempre appannaggio di un europeo.

53 Gli scopi della Banca sono:
(i) contribuire alla ricostruzione ed allo sviluppo dei territori dei paesi membri favorendo l'investimento di capitali per scopi produttivi, ivi compreso il ripristino delle economie distrutte o danneggiate dalla guerra, la riconversione degli insediamenti produttivi alle necessità della pace e stimolando lo sviluppo delle strutture produttive nei paesi meno sviluppati. (ii) promuovere l'investimento privato straniero per mezzo della fornitura di garanzie o mediante la partecipazione a prestiti ed altri investimenti effettuati da investitori privati; quando capitali privati non siano disponibili in termini ragionevoli, integrando, a condizioni ragionevoli, gli investimenti privati con la fornitura di finanziamenti a scopo produttivo e per mezzo di capitale proprio, di fondi raccolti e di altre risorse proprie. (iii) promuovere lo sviluppo bilanciato ed a lungo termine del commercio internazionale ed il mantenimento dell'equilibrio nelle bilance dei pagamenti incoraggiando gli investimenti internazionali per lo sviluppo delle risorse produttive nei paesi membri, aiutando in tal modo l'aumento della produttività, degli standard di vita e delle condizioni lavorative nei territori degli stessi.

54 (iv) organizzare i prestiti effettuati o le garanzie concesse in relazione a prestiti internazionali attraverso altri canali in maniera tale che i progetti più utili ed urgenti, per grandi o piccoli che siano, vengano trattati per primi. (v) condurre le proprie operazioni con il dovuto riguardo agli effetti degli investimenti internazionali sulle condizioni degli affari nei territori dei paesi membri e, nell'immediato dopoguerra, favorire una transizione regolare da un'economia di guerra ad un'economia di pace. La Banca sarà guidata in tutte le sue decisioni dagli obiettivi qui stabiliti.

55 In molti consessi internazionali, anche se gli indirizzi strategici sono assunti in maniera democratica, il potere e il peso diplomatico dei “grandi” vincola fortemente le scelte e le politiche. E’ il caso dei progetti e nelle politiche adottate dalla molte istituzioni del credito internazionale nei quali si riproduce un meccanismo di esclusione collegato al grado di rappresentanza politica ed economica dei paesi meno potenti che implica l’elusione di modelli culturali che pure parrebbero più consoni agli interessi dei poveri che alle esigenze dei ricchi. Il consesso mondiale articola così in maniera strutturale le sue ineguaglianze laddove la protezione di interessi forti interviene attraverso forme di “embargo” magari risalenti a conflitti economici e politici, dichiarati o latenti, e che sfociano talvolta in veri e propri conflitti militari. Si ravvisano, cioè, alcuni casi in cui l’esclusione (che può essere meramente ideologica prima ancora che politica) produce reazioni di forma varia: economica, militare, tecnologica, come accaduto nei casi di Cuba, Corea del Nord, Iran o Sierra Leone. A questi casi altri probabilmente seguiranno soprattutto in quei territori, ad esempio le regioni sub-sahariana e mediorientale, dove la povertà coesiste con risorse naturali di grande interesse strategico e con complesse questioni etnico-politiche (Saharawi, Berberi, Tuaregh, Palestinesi, Curdi, Armeni, nel Myanmar o in Tibet).

56 ma non è corretto pensare che gli interessi e l’egoismo dei più ricchi rappresentino la sola categoria interpretativa per la comprensione e la valutazione delle relazioni tra il Nord ricco e il Sud povero. Vi sono almeno altre due categorie: una “sana” e una “deviata”. La prima discende dai rapporti fra tutto ciò che vi è di tensione politica, scientifica, culturale e umanitaria volontaria, da una parte (altra cosa è il volontariato organizzato e la cooperazione allo sviluppo), e il sistema delle reali necessità materiali, sociali, culturali che i popoli del sottosviluppo esprimono, dall’altra.

57 La seconda, che potremmo definire “cooperazione collusa”, discende dai rapporti fra le forze dei paesi sviluppati e le elite dei paesi sottosviluppati che, per perpetuare se stesse, altro non possono se non cooperare collusivamente per la perpetuazione del sottosviluppo.

58 dobbiamo fare ricorso a entrambe le categorie che discendono da realtà confuse. I Paesi industrializzati collaborano con i più arretrati tramite aiuti e progetti di cooperazione allo sviluppo. Le società più ricche sostengono il mondo sottosviluppato attraverso accordi di due tipi: bilaterali e multilaterali. Una forma corrente di cooperazione è quella in cui i progetti di aiuto prevedono l’obbligo, per il paese beneficiario, di utilizzare le somme ricevute acquistando beni e servizi presso imprese del paese “donatore”.

59

60 2.3. Teorie e pratiche del “contro-sviluppo”
la risoluzione strategica o politica dei rapporti con i paesi delle economie più avanzate è impossibile (i paesi centrali sono in grado di reiterare facilmente le posizioni dominanti in quanto economicamente, politicamente, militarmente più forti (S. Amin, 1997), Ma tali teorie produrranno soprattutto una grande ricaduta negli approcci allo sviluppo:

61 Nella parte applicativa delle teorie sud-centriche, infatti, piuttosto che procedere con programmi imitativi, definiti e gestiti dall’alto, si tendeva a promuovere la capacità di autogestione dei processi da parte delle popolazioni locali. Appariva necessario che i percorsi di crescita fossero prodotti dal basso e attraverso il riconoscimento e il soddisfacimento dei bisogni delle comunità, garantendo l’equità dei processi e, soprattutto, il rispetto delle tradizioni, degli ambienti, delle competenze, delle conoscenze delle popolazioni. piuttosto che produrre crescita attraverso l’accumulazione e lo sfruttamento delle risorse, avanzare decisamente nella disponibilità di cibo, abitazioni, salute, scuole, conoscenza, e fare in modo che tale soddisfazione primaria producesse sviluppo sostenibile e durevole.

62 A partire da quest’approccio, che pure ha trovato eco applicative nei paesi in via di sviluppo, nell’ultimo decennio del XX secolo, si sono evolute concezioni non solo critiche nei confronti dei modelli e delle ricette dello sviluppo e del superamento del sottosviluppo, quanto in grado di porre in discussione il dogma positivista dello sviluppo stesso. Si tratta di criteri che, nel superamento degli equilibri geopolitici del finire degli anni Ottanta e nella conseguente globalizzazione di nuove pratiche e dinamiche economiche, hanno portato gli osservatori maggiormente progressisti a promuovere la conoscenza critica delle concezioni del benessere, dell’accumulazione, dello scambio.

63 Il contesto in cui maturano tali evoluzioni concettuali risponde
a cause di natura politica e geo-strategica, a considerazioni inerenti l’impatto della crescita economica nell’ambiente naturale, negli eco-sistemi, nella interrelazione tra uomo e spazio. Si tratta di posizioni teoriche ambientaliste o ecologiste che muovono dalla considerazione che lo sfruttamento incontrollato e poco assennato delle risorse arrivi a inficiarne lo stesso effettivo svolgimento. L’accertamento dei cambiamenti climatici avvenuti, la fragilità ecologica estesa alla globalità del pianeta, la dissipazione delle risorse naturali, favoriscono la maturazione di organizzazioni socio-economiche in grado di garantire condizioni di partenza almeno paritarie alle generazioni future.

64 In questo “clima”, tra le posizioni che più riguardano l’evoluzione delle teorie della crescita, matura il concetto di decrescita, elaborato da Serge Latouche, che sintetizza il superamento della visione quantitativista dello sviluppo invertendo il segno della cosiddetta “crescita illimitata”, discutendolo dal punto di vista delle risorse del sistema: “il processo di irreversibilità delle trasformazioni di energia sotto diverse forme, infatti, e il fenomeno dell’entropia hanno conseguenze dirette sull’economia che si fonda su questo tipo di trasformazioni” (Latouche, 2007, p. 8).

65 Il problema è agevolmente comprensibile se si prendono in analisi le modificazioni ambientali che si determinano a monte e a valle del sistema produttivo del capitalismo attuale: “spreco frenetico di risorse, accelerazioni nella frequenza di catastrofi naturali, cambiamenti climatici globali, guerre per il petrolio e per l’acqua” di una crescita infinita in un sistema finito (terra) Oltre a ciò, la crescita economica ha prodotto il saccheggio senza limiti della natura, l’occidentalizzazione del mondo, la scomparsa di comunità e minoranze indigene, il “paradosso del grasso” come anche una paradossale “creazione della povertà”: prima delle politiche di sviluppo le popolazioni africane, per quanto povere agli occhi dell’Occidente opulento, non presentavano i tassi di mortalità per fame registrati negli ultimi trent’anni.

66 “La teoria economica neoclassica contemporanea nasconde sotto un’eleganza matematica la sua indifferenza per le leggi fondamentali della biologia, della chimica e della fisica, soprattutto quelle della termodinamica” (Cochet, 2005). L’idea di “decrescere” significa indurre l’inversione di tendenza dello sviluppo abbandonandone i dettami teorici e operativi della “ricerca del profitto da parte dei detentori del capitale e le disastrose conseguenze per l’ambiente”. La decrescita, così, non è definita come un processo oppositivo alla crescita quanto una pratica atea in riferimento alla “religione dello sviluppo" e del progresso modernista.

67 Si tratta di un processo che si rifà a grandi pensatori ideali del Terzo Mondo, e che potrebbe partire dall’attivazione di un circolo virtuoso determinato dalla prospettiva delle “Otto R” (figura 2.2).

68

69 Partendo dalla Rottura (più culturale che economica) dei legami tra il Nord (ricco) e il Sud (povero), l’avvio di un processo generale di rigenerazione si compone delle pratiche del Ridistribuire; Ridurre; Restituire Rinnovare; Ritrovare; Reintrodurre; Recuperare; Rivalutare, Riconcettualizzare; Ristrutturare, Rilocalizzare, tutti obiettivi interdipendenti tra loro e in grado di avviare il circolo virtuoso di una decrescita serena” (Latouche, 2007, p. 198). Il grande limite di tale teoria, per quanto affascinante e innovativa, emerge nella premessa che il Nord si dimostri disponibile a Restituire il “maltolto” al Sud negli anni di colonizzazione, dipendenza e dominio e a “manifestare un senso di giustizia più elevato della sola necessità di ridurre l’impatto ecologico”, ma che non pare prossimo, né agevole da praticare, né facile da accettare.

70 non si tratta di un processo esclusivamente economico, strategico o evolutivo, quanto finalizzato alla cancellazione del sottosviluppo intesa nel superamento della crescita. tale processo si presenta semplice nelle intenzioni programmatiche quanto arduo nelle determinazioni attuative, in particolare per la difficoltà di individuare i soggetti deputati a operare tale rimodulazione della logica delle relazioni tra uomini, delle connessioni tra territori, degli equilibri tra forze.

71 Ciò significa indagare su chi detiene (o debba detenere) oggi, il potere e la forza di indirizzare in senso “equilibrativo” e sostenibile le logiche dell’organizzazione economica e sociale: le organizzazioni sovranazionali politiche ed economiche (ONU, UE, OSA, MERCOSUR, NAFTA, LEGA ARABA, ASEAN, WTO, OECD, ecc.); le organizzazioni internazionali del credito e dello sviluppo (FMI, BM, UNDP, BCE, ecc.); i grandi operatori dell’economia a capitale pubblico e privato (imprese e enti globali, multinazionali, ecc.); gli Stati nazionali e, tra questi, soprattutto i più “grandi”; le istanze locali (regioni, territori, etnie, comunità ecc.); le associazioni o i singoli cittadini più sensibilizzati o “militanti”; le organizzazioni confessionali di qualsiasi religione; gli enti di ricerca e i loro studiosi; ecc.

72 Questa lista di operatori del sistema internazionale è solo rappresentativa di tutte le altre sfere della contemporaneità e può, per questo, allungarsi, ma nella sua composizione “partizionale” (“partitionelle”, Lussault, 2008, p. 38) denuncia, a nostro avviso, la natura ancora frazionabile del mondo attuale, composto di soggetti/oggetti differenti: l’economico (produzione e distribuzione di beni); il politico (istituzioni, norme, regole); il religioso (la morale piuttosto che il trascendente); l’individuale (le sfere della singolarità personale); il sociale (ciò che ha a che vedere con il comunitario); l’ecologico (ciò che è della “natura”, il fisico e il biologico); lo spaziale (territorio, equilibri, dis-egualità, scambi). Tale razionalizzazione, che è artificiale quanto legata alla strutturazione delle discipline scientifiche ottocentesche, si rende inevitabile nella condizione occidentale del pensare la società moderna, per quanto non le corrisponda affatto: “ogni realtà sociale, quale quella che si comprende nel quotidiano, combina sempre tutte le dimensioni” (ibidem, p. 39).

73 Ma del resto, se per Max Weber il capitalismo coincide con la razionalizzazione dell’attività economica e la separazione della sfera familiare da quella produttiva (“tra impresa e amministrazione familiare”), e dunque corrisponde “all’emancipazione dell’attività economica dai sentimenti e dagli obblighi etici di cui era intessuta la vita familiare” (Bauman, 2001b), la frammentazione funzionale del sistema concettuale delle società economiche evolute ha creato, sia pure a fatica, le sue istanze politiche di controllo per quanto confluenti: “l’economia e la politica della fase classica dell’età moderna, benché talvolta in contrasto e raramente in aperto conflitto tra loro, nell’insieme hanno collaborato e i loro effetti sono stati sinergici” (Bauman, 2001a). Il ruolo mediativo della politica nei confronti dell’economia, che ha guidato l’evoluzione delle relazioni attraverso avanzamenti e strappi successivi, oggi le due istanze paiono allontanarsi. In ragione dell’indebolimento della funzione politica, l’economico detiene la dominazione “pervasiva e articolata” (Ibidem, p. 7 ) delle regole del gioco, anche grazie alla tecnica di indirizzare la conoscenza attraverso “gli sviluppi nella ricerca, nelle invenzioni scientifiche, nelle innovazioni tecnologiche” (Marzano, 2003).

74 Tanto che: per alcuni filoni dell’economia, l’espansione del Terzo Mondo potrebbe rappresentare una minaccia allo sviluppo del centro. Ciò soprattutto attraverso il meccanismo dell’aumento del costo del lavoro in periferia che si tradurrebbe in una riduzione della produttività al centro. In altri termini: lo sviluppo dei più poveri rappresenta un rischio per la crescita dei più ricchi e, per inversione dei termini, le condizioni di sottosviluppo dei primi garantiscono lo sviluppo dei secondi. Questo tipo di analisi consente di cogliere le ragioni profonde che impediscono la inversione di tendenza nei processi che presiedono al sottosviluppo e alla povertà: 1. bisogna analizzare i meccanismi che sostanziano le politiche del finanziamento del debito e di cooperazione allo sviluppo 2. e le strutture internazionali che se ne fanno portatrici: la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, la Banca Interamericana di Sviluppo, ecc.

75 2.4. Strumenti e misurazione dello sviluppo
limiti del PIL e nuovi indicatori La definizione dello sviluppo è legata ai procedimenti tecnici adottati per misurarne i livelli, per individuare le cause dei possibili limiti e le misure da adottare per il loro superamento. Si mescolano questioni procedurali e ragioni politiche.

76 Limite tecnico operativo:
la costruzione di tali indici presuppone la conoscenza di serie di dati che, in molti casi, non paiono agevolmente comparabili in ragione delle diverse tecniche di rilevamento e del grado di affidabilità che offrono le istituzioni statistiche nazionali. Limiti concettuali nell’ottica della crescita e del progresso quantitativo e nella disponibilità di beni e servizi, hanno per molti anni inteso misurare correlativamente il sottosviluppo in termini di consumi, di scambi, di beni. Del resto, l’elaborazione degli indicatori statistico-economici ha proceduto in maniera parallela all’evoluzione concettuale e teorica integrando, via via, agli originari dati quantitativi elementi valutativi attenti alle qualità e al grado di benessere (salute, istruzione, speranza di vita) raggiunto dalle popolazioni.

77 L’insieme di tali indicatori, nel loro semplice raffronto, compone un quadro sintetico comparato tra paesi e territori differenti e distanti. In tale confronto, se appare evidente che si contino “quantità” attraverso le quali “misurare” obiettive “distanze” fra paesi (ad esempio la produzione dell’acciaio o dell’energia elettrica, i consumi o i risparmi), è altrettanto verosimile che le categorie utilizzate nella formazione degli indici conducano il rischio di omologare le politiche dello sviluppo, generando in maniera indiretta la riproduzione degli schemi dominanti.

78 La condizione del sottosviluppo è stata spesso considerata come riprova di distanza culturale e sociale in base all’oggettivazione delle condizioni di vita delle popolazioni povere e attraverso una “classificazione” mai plausibile e, sempre più, fuori tempo.

79 La sinteticità degli indicatori sostanzia un modello unico di vita che modifica nel profondo le strutture delle comunità tradizionali, le identità etniche, le autonomie locali: se è reale l’attenzione posta alle questioni della povertà attraverso nuovi criteri etici, equi, solidali e sostenibili bisogna meglio spiegare le differenze (culturali, economiche, ecc.), piuttosto che “imporre” distanze quantitative che consiglierebbero solo di “dare” sviluppo, consumi, crescita, industrializzazione o, ancora, terziario banale o quaternario solo ipotetico.

80 Il livello di sviluppo economico di un paese è “quantificato” attraverso un ampio complesso di indicatori nel quale risaltano i più significativi: - PIL calcolato con riferimento all’intera economia; -   PIL pro-capite inteso come dato medio per abitante; - il tasso di crescita media annua; -   il tasso di crescita della popolazione; -   il tasso di disoccupazione lavorativa; -   il tasso di utilizzazione degli impianti; -   la variazione percentuale degli investimenti; -   il tasso della concentrazione della ricchezza.

81 Il più noto indicatore del livello di ricchezza di un paese è il PIL (Prodotto Interno Lordo), in cui si sommano i valori aggiunti (vedi scheda 2.1) prodotti nell’anno. Tale indicatore si compone dei redditi prodotti dal lavoro e dal capitale interni differenziandosi dal PNL (Prodotto Nazionale Lordo) che considera la nazionalità degli operatori economici. Il PNL è, in altre parole, composto dal PIL cui sono sommate le rimesse degli emigrati e i profitti delle aziende nazionali operanti all’estero e sottratti i redditi da lavoro a da capitale degli stranieri presenti nel territorio. Entrambi gli indici possono essere ponderati col numero di abitanti (il PIL pro capite) o col numero di soggetti aventi quella nazionalità (PNL pro capite). Si tratta di indici che consentono una comparazione tra differenti paesi e, quindi, la costruzione di una gerarchia tra gli stessi.

82 Nato nel secondo dopoguerra (1947) negli Stati Uniti e, in seguito, adottato negli altri paesi a economia capitalistica, il PIL rappresenta l’indicatore di base che, calcolato in maniera omogenea, indica il valore delle economie nazionali utilizzato dall’ONU (dal 1977) come anche dall’UE e, ormai, da tutti gli organismi internazionali. Ma pone molti interrogativi circa il carattere perfettibile di questo strumento e sulla sua capacità di misurare e sintetizzare le ricchezze effettivamente create.

83 1 il PIL soffre di una carenza strutturale legata al fatto che, nel suo montante, entrano a fare parte tutti gli accadimenti che hanno una valenza economica, ma anche gli elementi che il buon senso e il vivere civile considerano negativi in rapporto alla qualità della vita. Un esempio chiaro è dato dal pendolarismo dei lavoratori che, pur essendo un fattore negativo per quanto necessario nella vita degli uomini, rappresenta un elemento positivo del PIL che risentirà della maggiore quantità di trasporti che il fenomeno comporta. Nel PIL entreranno i ricavi delle società di trasporti, ma non la fatica e le difficoltà dei lavoratori pendolari.

84 2 In una dimensione maggiormente collettiva, uno stesso tipo di limite del PIL si determina, ad esempio, nella impossibile stima contabile delle esternalità al processo produttivo determinate da altri agenti economici. E’ plausibile che si producano una serie di paradossi: 1. l’attività produttiva inquinante entra a pieno titolo nel PIL, così come ne faranno parte le spese mediche sostenute per gli effetti nefasti sulla salute. L’eventuale comportamento virtuoso di ridurre i consumi di energia e le emissioni inquinanti da parte della stessa impresa finisce per ridurre il PIL complessivo, come del resto la riduzione delle spese mediche legate alla riduzione dei fattori di tossicità. 2. l’adozione di comportamenti virtuosi nella raccolta dei rifiuti, operata soprattutto con una fase di differenziazione da parte dei cittadini (non retribuita), riduce quella quota di PIL prodotta dalla raccolta e lo smaltimento tradizionali. Si noti che le attività non mercantili offerte dalle pubbliche amministrazioni vengono contate in base al loro costo di produzione non avendo un prezzo di vendita (Huart, 2003).

85 3 carenza strutturale del calcolo del PIL, non legata alla qualità della vita quanto alla possibilità effettiva di contabilizzare tutta la ricchezza creata, è quella inerente i lavori domestici che, se svolti dagli stessi membri della famiglia non vengono contabilizzati e che compaiono, invece, nel caso in cui lo stesso nucleo familiare li affidi a un salariato. In presenza di politiche di emersione del lavoro sommerso o di agevolazione fiscale al lavoro, l’aumento di lavoratori domestici si traduce nella crescita del PIL per una massa-lavoro che già risultava svolto ma non contabilizzato (Huart, 2003, p 16).

86 Per condizioni più generali
è chiaro come al PIL sfugga tutta l’economia sommersa (informale, come il giardinaggio o il lavaggio della propria auto; o illegale, come il lavoro nero, i contrabbandi o i traffici illeciti). Questo limite assume rilievo maggiore soprattutto nelle economie dei paesi più poveri, anche se non solo di questi, nelle quali buona parte dell’economia nazionale è retta dall’auto-consumo e da attività informali e illegali. Si dimostra come il PIL sia uno strumento elaborato per contabilizzare le economie di mercato o, almeno, quei sistemi nei quali nulla sfugge al circuito monetario, rivelandosi, dunque, particolarmente INADATTO a rappresentare strutture in cui persistono, ad esempio, ampi settori informali o di agricoltura di sussistenza. In molti paesi, l’economia reale e tradizionale fa capo a questi settori che rappresentano una parte integrante del sistema formale ma anche la matrice antica e identitaria di alcune regioni e comunità. Non tenerne conto, oltre che un errore di tipo quantitativo, rappresenta una carenza di ordine concettuale nell’analisi dei processi territoriali.

87 4 il pil fa riferimento alla struttura delle statistiche e del rilevamento dei dati. Vanno considerati, infatti, gli “errori” nella loro raccolta e elaborazione che rispondono ai condizionamenti imposti dalle ingerenze politiche e dalle pratiche corruttive tipiche degli apparati amministrativi di molti paesi: l’interesse a mostrare un risultato positivo piuttosto che negativo (o viceversa) è, in alcuni casi, troppo forte per lasciare che i numeri raccontino la loro verità.

88 Tra questi, alcuni di matrice decisamente sociologica,
In alternativa al PIL, e ai suoi limiti teorici, strutturali e congiunturali sono proposti nuovi indicatori tesi all’affinamento di tecniche adatte a misurare le condizioni della vita reale. Tra questi, alcuni di matrice decisamente sociologica, la valutazione del progresso reale (Genuine Progress Indicator) che distingue nel suo procedimento la valutazione positiva delle spese virtuose (ovvero quelle in beni e servizi che aumenterebbero il benessere) e negativa (criminalità, inquinamento, incidenti, catastrofi…); l’Indice di Felicità Nazionale Lorda, proposto negli anni Ottanta dal re del Bhutan Jigme Singye Wangchuck, attraverso il quale si pretendeva di valutare, appunto, la felicità di una nazione considerandone, tra l’altro, il grado di compattezza etnica. esempi estemporanei che confermano quanto sia sentita l’esigenza di valutare le maggiori o minori “qualità della vita” e quanto tale approccio soffra di condizionamenti di ordine etico, morale, teorico, culturale. Nella mediazione tra indicatori squisitamente economici e indicatori di benessere intervengono altri tipi di indici più attenti alle condizioni esistenziali, alla qualità della vita, al benessere sociale e culturale delle popolazioni. In questo caso, com’è chiaro di natura fortemente politica, tale indicatore parve assai migliorato in conseguenza dell’espulsione dal Bhutan stesso di circa cittadini di origine nepalese e non affini alla cultura della restante popolazione.

89 L’Indice di Sviluppo Umano (ISU), definito nell’ambito dell’UNDP (United Nations Development Programme), è l’espressione, concisa e composita, frutto dell’esigenza di sintetizzare attraverso quantità quelle che in realtà sono qualità dello sviluppo. L’ISU è composto da tre serie di dati essenziali: la longevità (misurata nella speranza di vita alla nascita); i risultati scolastici (misurati per 2/3 sull’alfabetizzazione adulta e per 1/3 sul rapporto lordo di iscrizioni ai livelli di istruzione primario, secondario e terziario); lo standard di vita (misurato sul Pil reale pro capite espresso in dollari internazionali).

90 Scheda 2.4 - Procedimento calcolo dell’ISU

91 Scheda 2.5 – Indicatori principali dello sviluppo umano –

92 Mappa dell'indice di sviluppo umano (Rapporto 2007-dati 2005)

93 Mappa dell'indice di sviluppo umano (2009-dati 2007)

94 2010

95 Very High High Medium Low Data unavailable Mappa dell'indice di sviluppo umano per quartili (Report 2010, dati 2010

96 Tale indice si compone dunque di tre elementi che pur apparendo difficilmente sommabili e comparabili, attraverso un calcolo relativamente semplice (vedi scheda 2.4 ISU) riesce a offrire un quadro sinottico della situazione dello sviluppo e del sottosviluppo; come, del resto, lo consentono altri indici che si rifanno alla stessa filosofia dell’ISU: l’Indice di Povertà Umana (IPU) distinto in IPU-1 e IPU-2, relativi ai paesi sottosviluppati e sviluppati; l’Indice di Sviluppo di Genere (ISG); la Misura dell’Empowerment di Genere (MEG). Si tratta di un insieme di indicatori, legati tra loro, che configurano un complesso di procedure via via più affinate aventi l’obbiettivo di mediare il dato massimo raggiunto nel PIL con elementi più strettamente correlati alle condizioni di vita, di organizzazione, di equilibrio, di distribuzione e che hanno a che vedere sempre più con le qualità dell’esistenza (vedi scheda 2.5).

97 In termini procedurali, invertendo il senso dell’ISU, che misura lo sviluppo umano sommando i risultati medi delle “disponibilità” (in sanità, educazione, ricchezza), gli indicatori IPU (1 e 2) determinano la qualità della vita individuando il livello delle privazioni.

98 Essi considerano: nei paesi in via di sviluppo
Nei paesi ad alto reddito, ovvero i paesi dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), e gli ex paesi gravitanti nel sistema sovietico (Europa centrale e Orientale e della Confederazione Stati Indipendenti) * Una vita lunga e sana: rischio di morire a un’età relativamente precoce, misurato dalla probabilità alla nascita di non raggiungere i 40 anni di età. * Una vita lunga e sana: rischio di morire a un’età relativamente precoce, misurato dalla probabilità alla nascita di non raggiungere i 60 anni di età. * Conoscenza: esclusione dal mondo della lettura e delle comunicazioni, misurata dal tasso di analfabetismo degli adulti. * Conoscenza: esclusione dal mondo della lettura e delle comunicazioni, misurata dalla percentuale di adulti (16-65 anni) privi di abilità funzionali di lettura e scrittura. * Condizioni di vita dignitose: mancanza si accesso all’approvvigionamento economico generale, misurata dalla media non ponderata di due indicatori: la percentuale di popolazione che non usa una fonte idrica non migliorata e la percentuale di bambini sottopeso rispetto all’età. * Condizioni di vita dignitose: misurate dalla percentuale di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà (50% del reddito mediano familiare disponibile corretto). * Esclusione sociale: misurata dal tasso di disoccupazione di lungo periodo (12 mesi o più).

99 I calcoli dell’IPU-1 e 2 sono decisamente più semplici di quelli necessari a determinare l’ISU, essendo gli indicatori utilizzati espressi in percentuale già al momento della raccolta. In linea con tale logica appaiono i due indicatori ISG e MEG che intervengono nella mediazione dell’ISU, correggendo i risultati misurando le disuguaglianze nella vita tra uomini e donne. L’ISG, in particolare, considera gli stessi aspetti componenti il calcolo dell’ISU ma ponderandoli nelle loro composizioni di genere; mentre la MEG concentra i dati circa le opportunità di emersione sociale e di occupazione di ruoli dirigenziali delle donne (e non le loro capacità), considerando tre ambiti:

100 la partecipazione politica al processo decisionale, misurata dalla percentuale di seggi parlamentari occupati da donne e uomini; la partecipazione economica e al processo decisionale, misurata da due indicatori: la percentuale di donne e di uomini che svolgono le professioni di legislatore, alto funzionario e dirigente e la percentuale di donne e uomini tra i lavoratori professionisti e tecnici. il potere sulle risorse economiche, misurato in base al reddito medio stimato femminile e maschile.

101 Molti organismi internazionali, l’UNDP e la Banca Mondiale in particolare, stilano una classifica fondata sul raffronto tra PIL pro capite dei singoli paesi raggruppandoli in tre grandi categorie, pari nel 2005 ai seguenti massimali annui come del resto avviene per il livello di sviluppo umano.

102

103 L’esame comparato degli indici consente una serie di considerazioni inerenti le condizioni di vita dei singoli paesi e la loro lettura comparativa. In prima analisi i dati e le graduatorie dell’ISU, comparati con quelli del PIL, disegnano scenari inversi. Se i paesi più poveri sono quelli a più basso ISU e i paesi più ricchi sono quelli a ISU più elevato, non mancano le incongruenze tra i valori economici e la capacità dei singoli paesi di tradurre il PIL in benessere distribuito, sia in termini positivi che negativi. Nella tabella degli indicatori alcuni paesi paiono decisamente “promossi”: Cuba, soprattutto, e poi Cile e Uruguay, e tutte le Repubbliche dell’Europa centro-orientale (Bosnia, Albania, Moldova, Armenia, Georgia, Tadzikistan…), nei quali la struttura avanzata dell’antico stato sociale persiste nel mediare PIL relativamente modesti.

104 Altri appaiono, al contrario, non in grado di trasformare la ricchezza in condizioni migliori di vita delle popolazioni: tra i paesi avanzati il Lussemburgo e gli Stati Uniti, poi gran parte dei paesi arabi produttori (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Brunei, ecc.) o meno di petrolio (Tunisia, Algeria) e gran parte dei paesi dell’Africa Sub-sahariana e meridionale (Gabon, Guinea, Sudafrica, Botswana), per i quali vale il paradosso di una ricchezza (soprattutto mineraria) che raramente appare ridistribuita.

105 Tali difformità si confermano attraverso la comparazione degli indici di povertà ISU-1 e 2, nei quali le aree a grande povertà mostrano cifre di decisa gravità in Africa sub-sahariana e meridionale. Alcune incongruenze appaiono anche tra i paesi più avanzati come in Australia, Irlanda, Giappone e Stati Uniti (tutti con un indice di povertà più alto dei rispettivi PIL).

106 Tali difformità si confermano attraverso la comparazione degli indici di povertà ISU-1 e 2 (vedi tabella 2.1), nei quali le aree a grande povertà mostrano cifre di decisa gravità in Africa sub-sahariana e meridionale. Alcune incongruenze appaiono anche tra i paesi più avanzati come in Australia, Irlanda, Giappone e Stati Uniti (tutti con un indice di povertà più alto dei rispettivi PIL).

107 La lettura degli indicatori IDG e MEG (vedi tabella 2
La lettura degli indicatori IDG e MEG (vedi tabella 2.1) promuove una serie di considerazioni di carattere maggiormente culturale relative alla capacità di distribuire equamente, tra uomini e donne, i ruoli dirigenti o le posizioni di maggiore potere. Esemplari in negativo appaiono, in questa classifica, le posizioni di Giappone, Corea, Svizzera e Irlanda (tra i paesi a più alto indice di sviluppo), e di Turchia e Brasile (tra i medi); mentre spiccano in termini positivi le posizioni di Cuba e Cina e di alcuni paesi tra i più poveri (Tanzania, Etiopia). Ma, nonostante l’interesse strategico di questo indicatore, va segnalato il notevole numero di paesi non inclusi nella graduatoria per mancanza di statistiche.

108 Correlazione tra indici per paesi


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