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LE RAGIONI DEL BENESSERE ANIMALE

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Presentazione sul tema: "LE RAGIONI DEL BENESSERE ANIMALE"— Transcript della presentazione:

1 LE RAGIONI DEL BENESSERE ANIMALE
Simone Pollo Dipartimento di Studi filosofici ed epistemologici «Sapienza» - Università di Roma

2 La filosofia ha qualcosa da dire sul benessere animale?
Duplice rapporto fra filosofia e scienza del benessere animale: Giustificazione: Argomentazione delle ragioni morali a sostegno dell’idea che il benessere animale meriti tutela morale Spiegazione: Analisi di concetti (es. benessere) o di problemi teorici (antropomorfismo e comprensione della mente animale)

3 Allo stato attuale, rimane comunque un gap fra la filosofia e la scienza del benessere animale (Fraser 1999). L’etica filosofica ha dato grande spazio alle argomentazioni in favore dei diritti animali, tendendo a lasciare in secondo piano la necessità di intervenire sulle pratiche comunque esistenti che mettono a rischio il benessere animale. In termini generali, l’etica filosofica può produrre argomenti che ritengono moralmente criticabili molte - se non tutte - le pratiche umane che impiegano animali non umani. Tuttavia, non ci sono ragioni per cui l’etica filosofica si sottragga al compito di contribuire alla riflessione su come “pensare” il benessere animale e mettere in opera la sua promozione e tutela.

4 Perché il benessere animale è importante?
Perché un animale che soffre/che non ha un «buon benessere» è un animale che non è «efficiente». Perché un animale che soffre/che non ha un «buon benessere» mette a rischio la conservazione della sua stessa specie. Perché la sofferenza e il benessere animale sono moralmente importanti.

5 Perché il benessere animale è moralmente importante?
Gli animali non umani sono pazienti morali? Per essere pazienti morali non è necessario essere agenti morali. Due possibili linee argomentative per sostenere che gli animali sono pazienti morali: Tesi dei «doveri indiretti»: la tutela degli animali non umani protegge/promuove qualche valore/interesse morale umano. Tesi dei «doveri diretti»: gli animali non umani sono depositari di un qualche valore morale o titolari di qualche interesse moralmente rilevante.

6 Immanuel Kant (1724-1804), nelle Lezioni di etica:
La concezione dei doveri indiretti è la tesi prevalente nella tradizione etica occidentale. Immanuel Kant ( ), nelle Lezioni di etica: Poiché gli animali posseggono una natura analoga a quella degli uomini , osservando dei doveri verso di essi osserviamo dei doveri verso l’umanità, promuovendo con ciò i doveri che la riguardano. Per esempio, se un cane ha servito a lungo fedelmente il suo padrone , ciò costituisce qualcosa di analogo a un’azione meritevole e perciò richiede la nostra lode e, quando non sarà più in grado di renderci i suoi servizi, noi dovremo trattenere la bestia presso di noi fino alla morte. Infatti, noi promuoviamo i nostri doveri verso l’umanità laddove ci troviamo obbligati a compierne. Essendo, dunque, gli atti degli animali analoghi a quelli umani e derivando dagli stessi principi, in tanto noi abbiamo dei doveri verso di essi in quanto, osservando questi, noi promuoviamo quelli verso l’umanità. Chi perciò facesse uccidere il proprio cane, non essendo questo più in grado di guadagnarsi il pane non agirebbe affatto contro i doveri riguardanti i cani, i quali sono sprovvisti di giudizio, ma lederebbe nella loro intrinseca natura quella socievolezza e umanità, che occorre rispettare nella pratica dei doveri verso il genere umano. Per non distruggerla, l’uomo deve mostrare bontà di cuore si verso gli animali, perché chi usa essere crudele verso di essi è altrettanto insensibile verso gli uomini. (I. Kant, Lezioni di etica, Laterza, Roma-Bari, 1998, p. 273) Anche la più recente legislazione italiana sembra fondata sulla tesi dei doveri indiretti (Legge 189/04 «Dei delitti contro il sentimento per gli animali»).

7 La tesi dei doveri indiretti non allarga realmente la sfera dei pazienti morali.
La tesi dei doveri indiretti non mette in discussione l’idea che solo gli esseri umani abbiano valore morale. La tesi dei doveri indiretti è una forma di «antropocentrismo etico». Due modi di intendere l’antropocentrismo etico: La moralità esiste solo perché esistono gli esseri umani Solo gli esseri umani sono pazienti morali L’antropocentrismo di tipo 1 non implica necessariamente l’antropocentrismo di tipo 2. L’antropocentrismo di tipo 1 può a sua volta essere criticato e riformulato in una concezione evoluzionistica ed empiristica della moralità (ad es.: De Waal 2006).

8 Qui ci interessiamo solo dell’antropomorfismo di tipo 2 («Solo gli esseri umani sono pazienti morali»). La «svolta» per l’etica animale si realizza con l’elaborazione di argomenti a sostegno della tesi dei doveri diretti. Convergenza di due linee argomentative a sostegno della tesi dei doveri diretti: Confutazione della tesi della speciale dignità della vita umana a partire dalla teoria evoluzionistica darwiniana. Etica utilitaristica.

9 L’evoluzionismo darwiniano destituisce di fondamento la tesi della speciale dignità della vita umana (Rachels 1996). La tesi della speciale dignità della vita umana si fonda su un resoconto «creazionista» della presenza umana sulla terra: Secondo il resoconto creazionista tradizionale gli esseri umani sarebbero ontologicamente diversi dagli animali non umani. Versioni «emendate» del resoconto tradizionale attribuiscono lo status speciale agli esseri umani, in virtù del possesso di qualche facoltà (es. linguaggio, ragione). L’evoluzionismo falsifica la tesi della speciale dignità umana: Gli esseri umani non sono il frutto di una creazione separata. Le differenze fra le capacità degli umani e dei non-umani sono differenze di grado, non ontologiche. L’abbandono dello specismo e l’affermazione dell’individualismo etico (Rachels 1996).

10 Se prendiamo sul serio l’evoluzionismo, la semplice appartenenza alla specie umana non può costituire una ragione per escludere gli animali non umani dalla sfera di considerazione morale. Continuare a considerare rilevante la specie sarebbe una particolare forma di erroneo pregiudizio morale: lo specismo Razzismo, sessismo e specismo sono tre accezioni dello stesso tipo di «errore morale»: operare distinzioni morali sulla base di caratteristiche moralmente irrilevanti. M. Wollstonecraft, Vindication of rights of women (1792) e T. Taylor, A Vindication of the Rights of the Brutes (1792). Se non è l’appartenenza di specie a qualificare per l’inclusione nella sfera di considerazione morale, cosa definisce i pazienti morali?

11 L’individualismo morale:
Gli individui vanno trattati nello stesso modo, a meno che non vi sia tra di essi una differenza che giustifichi la differenza di trattamento. Gli umani e gli altri animali non differiscono in genere: essi sono simili sotto alcuni aspetti, e differenti sotto altri, e le differenze esistenti sono speso solo una questione di grado. Se gli umani sono razionali, anche altri animali lo sono, anche se forse in grado diverso. Lo stesso vale per altre importanti capacità umane. Pertanto, se gli umani hanno certe caratteristiche che giustificano il fatto di trattarli in certi modi, può essere che anche altri animali le possiedano. Di conseguenza, il nostro trattamento degli umani e degli altri animali deve adeguarsi al complesso modello di somiglianze e differenze che esiste tra di essi. Quando vi è una differenza che giustifichi il fatto di trattarli differentemente, possiamo farlo; quando tale differenza non esiste, non possiamo. È il principio di eguaglianza a mediare nella concordanza tra l’individualismo morale e la prospettiva evoluzionistica. L’individualismo morale non è dunque altro che la coerente applicazione del principio di eguaglianza alle decisioni circa ciò che deve essere fatto, alla luce di quello che il darwinismo ci ha insegnato sulla nostra natura e sulle nostre relazioni con le altre creature che popolano il pianeta. (J. Rachels, Creati dagli animali. Implicazioni morali del darwinismo, Edizioni di Comunità, Milano , 996, p. 231)

12 Il valore morale della sofferenza e del piacere non umani
C’è stato un giorno, mi rattrista dire che in molti luoghi non è ancora passato, in cui la maggior parte delle specie umane, sotto il nome di schiavi, veniva trattata dalla legge esattamente come lo sono oggi, in Inghilterra ad esempio, le razze inferiori degli animali. Può arrivare il giorno in cui resto degli animali del creato potrà acquistare quei diritti di cui non si sarebbe mai potuto privarli, se non per mano della tirannia. I francesi hanno già scoperto che il nero della pelle non è una ragione per cui un essere umano debba essere abbandonato senza rimedio al capriccio di un carnefice. Può arrivare il giorno in cui si riconoscerà che il numero delle gambe, la villosità della pelle, o la terminazione dell’os sacrum sono ragioni altrettanto insufficienti per abbandonare un essere senziente allo stesso destino? Quale attributo dovrebbe tracciare l’insuperabile confine? La facoltà della ragione, o, forse, quella del discorso? Ma un cavallo o un cane adulto è un animale incomparabilmente più razionale, e più socievole, di un neonato di un giorno o di una settimana, o anche di un mese. Ma anche ponendo che le cose stiano diversamente: a che servirebbe? La domanda da porre non è: «Possono ragionare?», né «Possono parlare?» ma «Possono soffrire?». (J. Bentham, Introduzione ai principi della morale e della legislazione, Utet, Torino, 1998, pp )

13 L’utilitarismo afferma che il cuore della moralità è la promozione della felicità per tutti gli esseri senzienti: La moralità consiste nel massimizzare la felicità e minimizzare la sofferenza del maggiore numero di esseri senzienti. Le uniche distinzioni che possono essere fatte fra gli individui devono essere fatte risalire alle loro capacità di provare di piacere e dolore e all’intensità delle esperienze piacevoli/dolorose da loro provate In determinate circostanze una sofferenza può essere moralmente giustificata se è controbilanciata da una maggiore quantità di piacere/felicità L’utilitarismo stabilisce un rigoroso principio di uguaglianza: ciò che conta sono gli interessi a provare piacere/non soffrire, non l’identità di chi li sperimenta In questa prospettiva, quindi, gli interessi degli animali non umani contano moralmente: la sofferenza è un male da minimizzare, mentre il benessere è un bene da massimizzare

14 La concezione etica utilitarista implica che qualsiasi pratica che causa sofferenza a un animale non umano sia prima facie moralmente controversa Ad un livello generale, l’etica utilitarista richiede che le differenti pratiche che implicano l’utilizzo di animali non umani siano sottoposte a un esame critico: la sofferenza/diminuzione del benessere provocata agli animali non umani è giustificata da una maggiore utilità per altri esseri senzienti: Ad esempio: l’uso di X animali per una sperimentazione è giustificato da un maggiore effetto benefico per i possibili beneficiari dei risultati di quella sperimentazione? In termini utilitaristi, alcune pratiche che comportano l’uso di animali sono del tutto indifendibili (ad. es. l’uso degli animali a scopo alimentare) Altre pratiche - come la ricerca e la sperimentazione - necessitano di un esame critico. Indipendentemente ,dall’esigenza generale di ripensare l’opportunità di determinate pratiche, l’utilitarismo avanza la richiesta di farsi carico della sofferenza e del benessere animale. Come?

15 Nel contesto della sperimentazione e ricerca di laboratorio, il metodo delle 3R rappresenta la strategia più accreditata e diffusa di minimizzare le sofferenze e promuovere il benessere degli animali nei contesti di sperimentazione. L’origine del metodo delle 3R è il testo di W.M.S. Russell & R.L. Burch: The principles of humane experimental technique (1959, 2nd ed. 1992) Le 3R sono: Replacement, Reduction, Refinement

16 Replacement: Sostituzione del modello animale con un modello alternativo (ad es. colture in vitro, simulazioni al computer, meta-analisi, ecc.) Reduction: Riduzione del numero di animali coinvolti nelle pratiche di ricerca e sperimentazione Refinement: Miglioramento delle condizioni di vita dell’animale, prima, durante e dopo la procedura sperimentale, al fine di tutelarne il benessere

17 L’implementazione delle strategie di Replacement, Reduction e Refinement non richiede solo un’interpretazione e una competenza «tecnica» Queste strategie richiedono la comprensione e l’uso di concetti e argomenti che sono eticamente e filosoficamente significativi Le strategie di Replacement, ad esempio, richiedono una procedura di valutazione del rischio e una decisione «politica» Le 3R possono dare luogo a conflitti tra di loro: La «R» che chiama direttamente in causa il concetto di «Benessere animale» è il Refinement

18 Evoluzione della nozione di Refinement:
«Any decrease in the incidence or severity of inhumane procedures applied to those animals which still have to be used» (Russell 1957) «Simply to reduce to an absolute minimum the amount of stress imposed on those animals that are still used» (Russel & Burch, 1959, repr. 1992) «Any approach which avoids or minimises the actual or potential pain, distress and other adverse effects experienced at any time during the life of animals involved, and which enhances their wellbeing» (Buchanan Smith et al 2005)

19 Per parlare (sensatamente) di benessere animale bisogna parlare di mente animale.
Il benessere è importante nella misura in cui è uno stato che è sperimentato, in qualche modo, «in prima persona». Una concezione completa del benessere animale deve includere l’aspetto «mentale» del benessere. Le caratteristiche che attribuiamo alla mente animale influenzano la concezione che si ha del benessere animale.

20 CARTESIO: GLI ANIMALI COME OROLOGI
Ciò non sembrerà per nulla strano a chi - essendo a conoscenza di quanti diversi automi o macchine semoventi l’industria umana può costruire, usando anche pochissimi pezzi a confronto di quel gran numero di ossa, muscoli, nervi, arterie, vene e di tutte le altre parti che si trovano nel corpo di ogni animale - considererà questo corpo come una macchina che, uscita dalle mani di Dio, è incomparabilmente meglio ordinata e ha in sé movimenti più meravigliosi di qualsiasi altra che possa essere inventata dagli uomini. Qui mi ero particolarmente soffermato a mostrare che se vi fossero macchine siffatte, che avessero organi e aspetto di scimmia o di qualche altro animale senza ragione, non avremmo possibilità alcuna per riconoscere la differenza di natura tra queste e quegli animali; mentre se ve ne fossero di somiglianti al nostro corpo e capaci di imitare le nostre azioni per quanto fosse moralmente possibile, avremmo pur sempre a disposizione due mezzi certissimi per riconoscere che non sarebbero veri uomini. Il primo consiste nel fatto che questi non avrebbero mai l’uso della parola, né d’altri segni, per comporli come noi facciamo per comunicare agli altri il nostro pensiero; è infatti ben concepibile che una macchina sia fatta in modo da pronunciare parole, ed anzi che ne pronunci effettivamente qualcuna in occasione di azioni esterne che producano qualche mutamento nei suoi organi, sia che, toccata in qualche punto, domandi ciò che le si vuole dire, sia che, toccata in un altro, gridi che le si fa male e altre simili cose, ma non che le coordini variamente, per rispondere al senso di tutto ciò che si dirà in sua presenza, così come anche l’uomo più ebete può fare.

21 Il secondo è questo: che tali macchine, anche se facessero molte cose bene come noi, e forse anche meglio, fallirebbero però inevitabilmente in altre, il che rivelerebbe come esse non agiscano per conoscenza, ma soltanto per la disposizione dei loro organi. Infatti, mentre la ragione è uno strumento universale, che può servire in qualsiasi occasione, gli organi di queste macchine hanno bisogno di una certa particolare disposizione in corrispondenza di ogni azione particolare: da ciò si deduce che è moralmente impossibile che in una macchina ve ne siano così tanti e così diversi da farla agire in tutte le circostanze della vita così come ci fa agire la nostra ragione. Ora, con questi due stessi mezzi possiamo anche conoscere la differenza tra gli uomini e le bestie. […] Questo non attesta soltanto che le bestie son dotate di ragione in misura di noi, ma piuttosto che non ne hanno in modo assoluto. […] È pure assai notevole che, sebbene molti animali in alcune loro azioni dimostrino più industria di noi, tuttavia non ne mostrano alcuna in molte altre: cosicché, ciò che essi fanno meglio di noi non prova che hanno ingegno - ché in tal caso ne avrebbero più di noi e ci supererebbero in ogni attività -, ma piuttosto che essi non ne hanno affatto, e che è la Natura che agisce in loro, secondo la disposizione dei loro organi, così come si osserva che un orologio, pur essendo composto solo di ruote e di molle, conta le ore e misura il tempo più precisamente di noi con tutta la nostra prudenza. (R. Descartes, Discorso sul metodo, in Opere filosofiche, vol. 1, UTET, Torino, 1994 [1637], pp )

22 HUME: L’ORGOGLIO E L’UMILTA’ NEGLI ANIMALI
«Non c’è dubbio che quasi in ogni specie di creature, ma soprattutto in quelle di tipo più nobile, troviamo molti segni evidenti di orgoglio e di umiltà. Lo stesso portamento è l’andatura del cigno, o del tacchino, o del pavone, mostrano quale alta idea questi animali abbiano di se stessi, e il loro disprezzo per tutti gli altri. E, cosa ancora più notevole, in queste due ultime specie di animali l’orgoglio accompagna sempre la bellezza, e lo troviamo solo nel maschio. Si son molto spesso notate la vanità e l’emulazione degli usignoli nel canto; e così quelle dei cavalli nella velocità, dei cani nella sagacia e nel fiuto, dei tori e dei galli nella forza, e di tutti gli altri animali, ciascuno nella qualità in cui eccelle particolarmente. A ciò si aggiunga che ogni specie di creature che si accostano così spesso all’uomo tanto da familiarizzarsi con lui, si mostrano chiaramente orgogliose della sua approvazione e contente delle sue lodi e delle sue carezze a prescindere da qualsiasi altra considerazione. E non sono le carezze di tutti senza distinzione a suscitare in loro questa vanità, ma soprattutto quelle delle persone che conoscono e amano; in questa maniera viene suscitata la passione anche nell’umanità. Tutte queste sono prove evidenti che l’orgoglio e l’umiltà non sono soltanto passioni umane, ma si estendono a tutta la creazione animale». (D. Hume, Trattato sulla natura umana, )

23 È possibile parlare della mente, in modo scientifico?
Da un punto di vista filosofico, la questione preliminare è quella della conoscibilità delle menti altrui. Tutti noi abbiamo esperienza della nostra mente (o meglio le nostre esperienze sono la nostra mente), ma come sappiamo se gli altri hanno una mente? In senso stretto, da un punto di vista osservazionale, gli altri esseri umani sono per noi semplicemente comportamento. La presenza di proprietà mentali negli altri può solo essere inferita, per analogia. Nella pratica quotidiana, trattiamo con gli altri esseri umani (e con gli animali) come se avessero una mente (folk psychology).

24 Cosa ci assicura che gli altri (umani e non) non siano in realtà macchine cartesiane?
Ciò che sembra più inaccessibile è l’aspetto qualitativo del mentale, l’esperienza in prima persona. Io so che gusto ha per me quello che mangio, ma cosa prova un’altra persona che mangia la stessa cosa? Nel caso delle esperienze mentali di altre specie il problema risulta particolarmente intricato.

25 CHE EFFETTO FA ESSERE UN PIPISTRELLO?
«La nostra esperienza particolare fornisce il materiale fondamentale per la nostra immaginazione, e il campo di essa è quindi limitato. Non servirà a niente cercare di immaginare che abbiamo membrane palmate sui nostri arti che ci permettono di volare qua e là al crepuscolo e all’alba acchiappando insetti con la bocca; che abbiamo una vista molto debole e percepiamo il mondo circostante con un sistema di segnali sonori riflessi a alta frequenza; e che passiamo la giornata appesi a testa in giù in una soffitta. Per quanto io possa immaginarmi tutto questo (che non è molto), ciò mi dice soltanto che effetto farebbe a me comportarmi come si comporta un pipistrello. Ma la questione non è questa. Io desidero sapere che effetto fa essere un pipistrello a un pipistrello. Eppure, se cerco di immaginarlo, sono limitato alle risorse della mia mente, e quelle risorse sono inadeguate per il compito. Non posso svolgerlo immaginando aggiunte alla mia esistenza presente o immaginando che siano gradualmente sottratti da essa dei segmenti o immaginando qualche combinazione di aggiunte, sottrazioni e modificazioni». (Nagel 1986, pp )

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27 Le attribuzioni di proprietà mentali agli animali non umani possono essere sottoposte all’obiezione dell’antropomorfismo. In termini generali l’antropomorfismo può essere definito come la “attribuzione di caratteristiche umane a oggetti non-umani ed eventi” (Guthrie 1997 cit. in Schilhab 2002) L’argomento dell’antropomorfismo obietta l’attribuzione di una caratteristica umana (facoltà e proprietà mentali) a non-umani (gli animali) «Anthropomorphism is often defined as the error of attributing human mental characteristics to nonhuman organisms; people are said to fall into this error because they are sentimental and uncritical. It is a revealing fact about current scientific culture that the opposite mistake - of mistankenly refusing to attribute human mental characteristics to nonhuman organisms - does not even a ready name. The ethologist Frans De Waal has suggested the somewhat ungainly phrase “anthropodenial” to label this second type of error» (Sober 2005, p. 85)

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29 In linea di principio, non c’è alcuna ragione di pensare che le facoltà mentali umane (che sono parte della natura biologica umana) non abbiano omologhe nel resto del regno animale Negare questa affermazione a priori significa porsi fuori dalla cornice dell’evoluzionismo La spiegazione di comportamenti non umani simili a quelli umani attraverso il ricorso a facoltà identiche o simili a quelle umane soddisfa un principio di parsimonia: Cladistic parsimomy does not provide a blanket justification for attributing human characteristics to nonhuman organisms. […] However parsimony […] does favor anthropomorphism over anthropodenial. If two derived behaviors are homologous, then the hypothesis that they are produced by the same proximate mechanism is more parsimonious than the hypothesis that they are produced by different proximate mechanisms. (Sober 2005, pp )

30 La questione dell’antropomorfismo, quindi, si può porre solo caso per caso
Ragioni per inferire la coscienza animale (Griffin 1999): L’adattabilità versatile del comportamento in presenza di nuove sfide I segnali fisiologici cerebrali correlabili con il pensiero cosciente I dati riguardanti il comportamento comunicativo con cui a volte gli animali sembrano trasmettere ad altri almeno alcuni dei propri pensieri L’antropomorfizzazione, quindi, non è un’errata attribuzione di caratteristiche esclusivamente umane, ma la ricerca di capacità mentali omologhe a quelle umane in altre specie.

31 Oltre a non essere - in linea di principio - un errore, l’antropomorfizzazione è una risorsa?
Dal punto di vista dell’evoluzione umana, la comparsa della capacità di antropomorfizzazione è stata un vantaggio per gli ominidi: la capacità di attribuire una mente ai potenziali predatori(e intenzioni simili alle proprie) è un’evidente vantaggio in termini di valore di sopravvivenza (Mithen 1996) Per l’etologia e la scienza del benessere animale, una tendenza all’antropomorfizzazione critica può avere un valore L’antropomorfismo può essere tradotto in un metodo di ricerca (Asquith 1984) Un antropomorfismo critico può avere due tipi di «usi»: Euristico: in quanto strumento per la conoscenza Morale: in quanto motore per il riconoscimento del valore morale degli animali non umani

32 Dal punto di vista morale, l’antropomorfismo rappresenta una risorsa, nella misura in cui costituisce il motore per il riconoscimento negli animali non umani delle stesse caratteristiche che sollecitano la considerazione morale fra umani Il principio della simpatia spiega questo riconoscimento interspecifico: È evidente che la simpatia, ovvero il comunicarsi delle passioni, si riscontra tra gli animali non meno che tra gli uomini. Frequentemente gli animali si comunicano l’un l’altro la paura, la collera, il coraggio e altre affezioni senza sapere nulla della causa della passione originaria. Allo stesso modo, anche il dolore tra gli animali viene trasmesso per simpatia producendo quasi tutte le stesse conseguenze e suscitando le stesse emozioni provocate e suscitate nella nostra specie. (Hume 1987, p. 417) Tra gli animali l’amore non ha per suo oggetto soltanto gli animali della stessa specie, ma si estende fino a comprendere quasi tutti gli esseri sensibili e pensanti. È del tutto naturale che un cane ami l’uomo, che è al di sopra della sua stessa specie, e molto frequentemente ne riceve in cambio dell’affetto. (Hume , p. 416)

33 In passato la voce dell’uomo, che si levava alta al fine di ragionare, doveva contrapporsi al ruggito del leone, al mugghio del toro. L’uomo andava in guerra contro il leone e contro il toro e dopo molte generazioni ha vinto quella guerra una volta per tutte. Oggi queste creature non hanno più potere. Agli animali è rimasto soltanto il silenzio con cui contrapporsi a noi. Generazione dopo generazione, i nostri prigionieri si rifiutano di rivolgerci la parola. (J.M. Coetzee, La vita degli animali, Adelphi, Milano, 2000, p. 35)


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