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La didattica speciale per una scuola dei laboratori.

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Presentazione sul tema: "La didattica speciale per una scuola dei laboratori."— Transcript della presentazione:

1 La didattica speciale per una scuola dei laboratori.
Tre i punti di qualità di una scuola dei laboratori: 1) cuore, 2) mente, 3) handicap. Cuore: trova spazio il cuore dell’allievo ovvero la sua sfera emotiva e affettiva. In tale senso la scuola deve promuovere, a partire dai laboratori, uno stile relazionale ricco di cifre socio affettive e un clima comunitario denso di valori civili, etici e morali.

2 Mente: è un punto di natura pedagogica in quanto la mente dell’allievo deve essere intesa come una macchina cognitiva caratterizzata da voglia di curiosare, scoprire e imparare. In tale senso, lo scopo formativo dei laboratori non può essere l’istruzione materiale (il quanto e il cosa sapere: gli alfabeti primari, le discipline di base) ma l’istruzione formale (il come e il perché sapere, la capacità di impostare in maniera logica i problemi cognitivi, la strategie di scoperta e di metodo).

3 Handicap: è un punto di natura pedagogica, psicologica e didattica che chiede una scuola dei laboratori capace di stimolare la professionalità enciclopedica e solitaria dell’insegnante di sostegno spesso “costretto” al ruolo di “badante” dell’alunno diversamente abile. In questo senso i laboratori assicurano un modello organizzativo e affettivo in sintonia con i processi di socializzazione e di alfabetizzazione degli allievi diversamente abili che chiedono di stare con gli altri, di potere interagire con oggetti concreti e di praticare la molteplicità dei canali di comunicazione: verbali e non verbali, sonori, gestuali, grafici, iconici, elettronici.

4 La comunicazione utilizza, contemporaneamente, una molteplicità di canali e di codici. La comunicazione umana avviene su tre livelli: a)verbale, ovvero il contenuto della comunicazione: b) paraverbale, ovvero il tono, il ritmo della voce, l’emissione dei suoni, la pronuncia; c) non-verbale, ovvero gli atteggiamenti posturali, la mimica facciale, la gestualità, la gestione della distanza dagli altri(prossemica).

5 I canali della comunicazione non verbale
La mimica facciale: La faccia è il più importante canale della nostra espressività. Pensiamo ai segnali involontari e difficilmente controllabili come il dilatarsi delle pupille, i cambiamenti di colore dell’epidermide. Ancora, il linguaggio degli sguardi, una delle forme principali attraverso cui gli individui prendono contatto gli uni con gli altri. Gli atteggiamenti posturali: il modo con cui gli individui si muovono, gestiscono il proprio corpo rappresenta una fonte di segnali analogici. La conformazione della struttura corporea è il risultato del patrimonio genetico, ma è anche vero che il corpo stesso è modellato dall’uso che ne facciamo

6 La gestualità: Oggi il gesticolare è piuttosto studiato perchè è una maniera estremamente efficace per dare enfasi, esaltare, dare minore peso ad alcuni tratti dei nostri discorsi. Prendiamo in considerazione i movimenti delle mani: mentre parliamo le nostre mani sono costantemente impegnate in movimenti più o meno ampi e veloci che accompagnano l’emissione vocale, accentuando certi passaggi, esplicitando stati emozionali interni. L’intensità di tali movimenti varia da individuo ad individuo ma è anche influenzata dalle pratiche culturali presenti presso i diversi gruppi umani.

7 Secondo recenti ricerche il movimento delle mani faciliterebbe il ricordare linguisticamente alcune cose. Alcuni esperimenti mostrano come soggetti invitati a ricordare il nome di oggetti poco comuni tendono a farlo con maggiore facilità se hanno le mani libere di muoversi e di simulare la forma dell’oggetto in questione, mentre il compito è più difficile se sono costretti a tenere in mano una sbarra di ferro.

8 I movimenti delle mani possono essere suddivisi in cinque tipi: I gesti emblematici:
sono segnali intenzionali e servono a sostenere o ripetere un messaggio verbale, come ad esempio l’indicazione di un luogo o di un oggetto. I gesti illustratori: sono gesti collegati al discorso, aumentano la quantità di informazioni date dal messaggio verbale. Sono emessi consapevolmente e servono a sottolineare o enfatizzare alcune parti del discorso. I gesti regolatori: vengono utilizzati sia da parte di chi parla che di chi ascolta e servono a mantenere la conversazione, mostrare quando si vuole prendere la parola, indicano interesse, approvazione o disapprovazione.

9 La prosodica La prosodica è l’insieme di tutte quelle regole che determinano la lunghezza e la pronuncia delle parole e delle frasi che diciamo. volume:Quante volte ci sarà capitata di lamentarci perché chi ci parlava lo faceva con un volume troppo alto. Ecco quindi che il volume diventa un efficace strumento per attirare l’attenzione. Gli abili oratori riescono a diminuire o alzare il volume della voce secondo l’importanza che hanno intenzione di attribuire a quel determinato passo del loro discorso.

10 Il tono: le variazioni di tono servono a fare comprendere meglio ciò che stiamo dicendo. Usare un unico tono per parlare, sarebbe infatti un grave difetto per un oratore. A causa della monotonia il discorso, anche se interessante, perderebbe di efficacia. Il timbro: difficilmente si può cambiare se non con forzature poco credibili, poiché il timbro dipende dallo spessore delle nostre corde vocali. I ritmi: pensiamo ai discorsi dei politici, quando cioè fermano quasi il loro eloquio su alcune parole dando pause lunghissime ma che servono a concentrare l’attenzione di chi sta ascoltando su quella frase.

11 La prossemica: letteralmente vuol dire “linguaggio della prossimità”
La prossemica: letteralmente vuol dire “linguaggio della prossimità”. Si intende il modo che abbiamo di gestire lo spazio che ci circonda in presenza di simili. Gli esseri umani, come gli animali, sono estremamente sensibili all’uso che dello spazio fanno i propri simili e ai messaggi relazionali che tale uso veicola. Per comprendere queste dinamiche, immaginiamo lo spazio prossemico all’interno del quale si muovono gli individui, come costituito da sfere concentriche di natura psico-relazionale, aventi come centro il corpo

12 Nel primo livello, il più prossimo al corpo, vi è lo spazio intimo
Nel primo livello, il più prossimo al corpo, vi è lo spazio intimo. Tale spazio si estende fino a 50 cm dal corpo. Questa prima sfera relazionale è quella maggiormente carica di valenze affettive e psicologiche. Solo le persone di cui ci fidiamo davvero possono entrare in questa sfera. Solo i familiari più stretti, il partner sono “ammessi”. L’invasione dello spazio intimo da parte di soggetti non autorizzati viene vissuta istintivamente come una minaccia e attiva una serie di meccanismi di difesa sia fisiologici che coscienti. Il disagio di chi utilizza una metro affollata, dove i corpi sono schiacciati gli uni con gli altri, è da ricondursi ad un riflesso fisiologico di difesa

13 Ad un secondo livello si pone lo spazio personale che inizia dove finisce lo spazio intimo e termina a circa un metro di distanza dal corpo. Si indica con questo, lo spazio entro cui lasciamo entrare le persone intime verso cui riponiamo una certa fiducia ma non tanto da consentire loro di entrare nello spazio intimo. Dopo vi è lo spazio sociale (fino a 3 metri e 50) . Vi rientrano le persone che non ci coinvolgono affettivamente, i colleghi di lavoro, i conoscenti. Oltre lo spazio sociale, si estende lo spazio pubblico (oltre i 3 metri e 50) che è la distanza che un soggetto parlante tende a tenere quando, di solito, il pubblico è numeroso. E’ il caso dell’insegnante che parla in aula, dell’avvocato che tiene un’arringa.

14 Secondo Gregory Bateson la comunicazione si crea attraverso le incessanti alchimie e trasformazioni che si generano all’interno delle relazioni tra gli elementi che compongono il sistema; la comunicazione, dunque, nasce e si sviluppa nel segno delle differenze e del cambiamento in un universo di messaggi che acquisiscono un chiaro significato solamente se collocate nel loro contesto relazionale e ambientale.

15 Il nostro principale riferimento teorico è rappresentato dalla Scuola di Palo Alto, o meglio dal suo gruppo di ricerca che, nelle persone di Gregory Bateson, Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson ed altri, negli anni sessanta definì la funzione pragmatica della comunicazione, vale a dire la capacità di provocare degli eventi nei contesti di vita attraverso l’esperienza comunicativa, intesa sia nella sua forma verbale che in quella non-verbale.

16 All’interno di un qualsiasi sistema interpersonale (come una coppia, una famiglia, un gruppo di lavoro, una diade terapeuta-paziente), ogni persona influenza le altre con il proprio comportamento ed è parimenti influenzata dal comportamento altrui. La stabilità e il cambiamento inerenti al sistema sono determinati da tali circuiti di retroazione.

17 I sistemi interpersonali caratterizzati da un tipo di comunicazione patologica, vedi il caso delle famiglie con un membro schizofrenico, sono di solito estremamente stabili, quasi cristallizzati; il ruolo e l’esistenza del paziente sono indispensabili per la stabilità del sistema familiare, che reagirà con un ciclo di retroazioni negative in risposta a qualsiasi tentativo di cambiamento della sua organizzazione (omeostasi del sistema familiare).

18 Nell’ambito della scuola pragmatica di comunicazione umana di Palo Alto, Watzlavick ha formulato dei veri e propri assiomi della comunicazione. Watzlawick ha asserito che è 1) è impossibile non comunicare. L’atto del comunicare costituisce di fatto un comportamento. Dato che è impossibile che un sistema vivente possa non avere un comportamento, ne consegue quanto detto sopra. La semplice presenza fisica di un soggetto all’interno di un contesto rappresenta un comportamento ed ha, di fatto, un effetto comunicativo. Un soggetto potrà anche non parlare, ma anche così comunicherà qualcosa. Anche chi pensa di non comunicare, in realtà sta lanciando un messaggio ben preciso e di fatto, sta comunicando.

19 Ognuno di noi comunica per il semplice fatto di esistere e anche volendo, non può farne a meno, come attesta il “dilemma” dello schizofrenico. Sembra, infatti, che lo schizofrenico cerchi di non comunicare. Ma poiché il silenzio, il ritrarsi, il diniego è comunque comunicazione, lo schizofrenico si trova dinanzi al compito impossibile di negare che egli sta comunicando

20 Il tentativo di non comunicare è osservabile anche nelle interazioni quotidiane. Una situazione tipica è l’incontro tra due estranei di cui uno vuole comunicare e l’altro no. Le reazioni possono essere le seguenti: Rifiuto della comunicazione. Con maniere più o meno brusche A fa capire a B che non vuole comunicare Accettazione della comunicazione. A si rassegna a conversare con B

21 Squalificazione della conversazione
Squalificazione della conversazione. Ad esempio si verificano fenomeni come la contraddizione, il cambiare argomento, dire frasi incoerenti Sintomo come comunicazione. A arriva a difendersi dalla loquacità di B facendo finta di avere sonno, di stare male…ovvero manifestando un sintomo, tramite un messaggio non verbale, è come se dicesse “non dipende da me”

22 2) contenuto e uno di relazione in modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione. Al primo livello vengono veicolati i contenuti manifesti della conversazione, che corrispondono ai concetti desumibili dall’insieme delle frasi pronunciate dal soggetto. I significati relazionali invece aiutano a comprendere meglio come interpretare i contenuti recepiti sul piano verbale, ma anche il modo in cui il parlante si relaziona con loro, l’immagine di sé che vuole proporre

23 3) la natura di una relazione comunicativa dipende dalla punteggiatura della sequenza di una comunicazione tra comunicanti. Una comunicazione è un flusso di messaggi cui i partecipanti danno una punteggiatura, ovvero le valutazioni e le interpretazioni soggettive che finiscono per modificare a più riprese il processo comunicativo in corso 4)Possiamo distinguere tra messaggi analogici e messaggi digitali o numerici. Con il termine analogico si fa riferimento a quel tipo di segnali che rimandano ad una rappresentazione o immagine del significato cui si riferiscono

24 Un disegno è un esempio di messaggio analogico, ma lo è anche l’abbraccio di una madre che stringe a sé il bambino per rassicurarlo, perché analogicamente l’abbraccio si configura come un riparo dal mondo esterno. Numerici o digitali sono quei messaggi che rimandano ad un sistema simbolico codificato di segni, la cui relazione con il significato è arbitraria.

25 Gli esseri umani sono l’unica specie che riesce a comunicare con i propri simili sia attraverso segnali analogici, sia attraverso un linguaggio simbolico-numerico. La comunicazione digitale o numerica è quella veicolata dal linguaggio, quella analogica si genera attraverso le azioni corporee o la modulazione della voce. E’ agita per mezzo del corpo

26 5)Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici, basati sull’uguaglianza, o complementari, basati sulla differenza. Lo scambio comunicativo simmetrico e’, dunque, basato sull’uguaglianza quando il comportamento di qualcuno rispecchia quello dell’altro. Lo scambio comunicativo è complementare, dunque basato sulla differenza, quando l’attore sociale assume una posizione superiore (one-up) e l’altro una posizione inferiore (one down).

27 Comunicazione e autismo.
Sotto l’espressione “autismo” sono classificati cinque disordini distinti dello sviluppo cognitivo. Sono: sindrome autistica, sindrome di Rett, disordine disintegrativo infantile, disordine pervasivo non specifico dello sviluppo, sindrome di Asperger. A ognuna di queste forme corrispondono quadri sintomatologici e profili neuropsicologici distinti, percorsi trasversalmente da alcune stranezze quali la presenza di una fetta di popolazione autistica (10%) con quoziente intellettivo modesto ma dotata di eccezionali capacità cognitive soprattutto riguardanti il calcolo, la memoria, la musica le arti figurative.

28 La Sindrome di Rett (SR) è una malattia genetica che interessa prevalentemente le femmine e si ritrova con particolare frequenza (10%) tra le ragazze di età inferiore ai 14 anni affette da ritardo mentale profondo. Non tutte le bambine affetta dalla sindrome presentano il quadro completo della malattia, per cui accanto alle forme classiche (con sintomatologia e andamento caratteristici), sono state descritte varianti con sintomatologia attenuata, anticipata o differita, oppure con assenza di uno o più sintomi tipici.

29 Come si manifesta: L' arresto dello sviluppo psicomotorio e dell' accrescimento della circonferenza cranica costituiscono i primi sintomi della malattia. Dopo uno sviluppo apparentemente normale, la malattia si manifesta nel primo/secondo anno di vita con una graduale perdita del linguaggio e delle abilità manuali, accompagnate da stereotipie delle mani (che ripetono uno stesso schema di movimenti anche senza ragione apparente), microcefalia (testa più piccola rispetto al resto del corpo) acquisita

30 rallentamento della crescita, convulsioni, atassia della marcia (disturbo di coordinazione della deambulazione) e del tronco (alterazioni del controllo del busto), disturbi respiratori (iperventilazione ed apnee), tratti autistici incostanti e comunque temporanei. Segue un periodo di regressione con perdita di interesse per l' ambiente e le persone, perdita di abilità manuali e linguistiche già acquisite, comparsa di movimenti ripetuti delle mani portate alla bocca o al petto (stereotipie tipo lavaggio, applauso, sfregamento, preghiera).

31 Dopo questo periodo di regressione, solitamente la malattia si stabilizza: le bambine recuperano le capacità di interazione sociale, ma possono intervenire altri disturbi neurologici (convulsioni, alterazioni respiratorie di origine centrale) e fisici (scoliosi, osteoporosi, stipsi, difficoltà alimentari).

32 Dato costante in tutte le forme di autismo è di fatto che i più colpiti sono i soggetti di sesso maschile con un rapporto di 3 su 1 e punte di 10 a 1 per quanto riguarda la sindrome di Asperger. L’autismo è una anomalia relativamente rara (4-15 bambini su 10000) e che si manifesta entro i primi 3 anni di vita con ritardi o funzionamento atipico di almeno una delle seguenti aree: interazione sociale, linguaggio usato per l’interazione sociale, gioco simbolico o di immaginazione. Questo ultimo aspetto è importante soprattutto per la diagnosi precoce in quanto il bambino autistico da subito ha uno stile ludico privo di flessibilità, immaginazione e finzione.

33 E’ possibile individuare alcuni segni anticipatori già attorno ai 18 mesi quali ad esempio l’incapacità di seguire lo sguardo di un’altra persona o associare una nuova parola con l’oggetto corrispondente su cui è diretto lo sguardo del parlante, la difficoltà a indicare oggetti di interesse, l’incomprensione dei giochi di finzione. In particolare la compromissione dell’interazione sociale è macroscopica e può manifestarsi in vario modo. In età infantile si comincia da un uso distorto di diversi comportamenti non-verbale (sguardo, postura, gestualità, espressioni del viso)

34 I soggetti autistici passano, di conseguenza, ad uno scarso o nullo interesse nel fare amicizia e all’incapacità di comprendere le convenzioni e le regole intrinseche all’interazione sociale. Questo quadro può essere aggravato dall’assenza di tentativi spontanei di condividere gioie, interessi con altre persone così come dalla mancanza di reciprocità sociale ed emotiva.

35 I bambini autistici preferiscono attività solitarie non partecipano attivamente a semplici giochi sociali, possono essere incuranti degli altri bambini, inclusi i fratelli mancare di consapevolezza nei riguardi dei bisogni altrui o non accorgersi del malessere di un’altra persona.

36 E’ tipica la persistente ed esagerata attenzione per le parti di un tutto( bottoni, parti del corpo) o di alcuni oggetti inanimati (uno spago, un elastico). Possono essere affascinati da movimenti( ruote che girano, aprire e chiudere le porte, oggetti che ruotano rapidamente). I soggetti autistici hanno comportamenti monotoni e ripetitivi, sviluppano malessere per cambiamenti banali quali il cambiamento della disposizione dei mobili in una stanza, l’utilizzo di oggetti nuovi;

37 sono altresì caratterizzati da una sorta di asservimento ad abitudini o rituali o da una insistenza irragionevole nel seguire certe routines (ad es. prendere la stessa strada per andare a scuola).

38 Tanto le mani quanto il corpo possono essere “oggetto” di movimenti stereotipati quali battere ossessivamente le mani e schioccare le dita, dondolarsi, buttarsi a terra, oscillare. Gli autistici manifestano iperattività, scarso mantenimento dell’attenzione, impulsività, aggressività, comportamenti autolesivi, mancanza di paura di fronte ai pericoli reali. Non mancano disordini nell’alimentazione, del sonno e anomalie dell’umore (apparente assenza di reazioni emotive).

39 Quanto alla comunicazione, l’autismo riduce tanto le capacità verbali quanto quelle non-verbali.
Per quanto riguarda la componente prosodica del linguaggio si riscontrano anomalie tanto nell’altezza quanto nell’intonazione, nel ritmo del parlato.

40 Quali le cause di tutto questo coacervo di sintomi ed eccezioni comportamentali?
Le più svariate da quelle genetiche a quelle biologico- neurologiche. In particolare si tratta di danni e lesioni di determinate aree cerebrali dovuti alle cause più diverse e talvolta sconosciute. Quanto all’area coinvolta le ipotesi vanno da difetti al tronco cerebrale e probabilmente al corpo calloso per ciò che riguarda gli effetti sull’elaborazione del linguaggio verbale, a danni del lobo frontale, del lobo temporale,

41 dell’amigdala (È ritenuta un centro di integrazione di processi neurologici superiori come le emozioni, coinvolta anche nei sistemi della memoria emozionale. È coinvolta nel sistemi di comparazione degli stimoli ricevuti con le esperienze passate, nell'elaborazione delle esperienze olfattive e nel comportamento sessuale ), del circuito corteccia orbito- frontale/solco temporale superiore/amigdala.

42 Cos'è la Comunicazione Aumentativa Alternativa
Come dice la parola stessa è un insieme di metodi e strategie che servono per potenziare le capacità residue del soggetto di comunicare e offre anche un metodo alternativo al linguaggio dove esso sia assente e molto improbabile da verificarsi. L'uso di simboli, fotografie, gesti, apparecchi informatici serve a fare in modo che il bambino sperimenti un modo di comunicare comprensibile a tutti, così da non essere sempre dipendente dai genitori e familiari che ogni volta devono tradurre per altre persone i suoi desideri o i suoi pensieri.

43 Può essere giusto ricorrere alla CAA quando un bambino non riesce a sviluppare il linguaggio verbale o quando esso non sia sufficiente a permettergli la comunicazione con gli altri, sia perchè povero di vocaboli, sia perchè incomprensibile per chi non lo frequenta abitualmente. I mezzi che si possono usare per sostituire o incrementare il linguaggio possono essere diversi a seconda della gravità motoria e allo sviluppo cognitivo del bambino

44 L’obiettivo fondamentale di un intervento di CAA è dunque quello di favorire l’interazione ed aumentare l’integrazione sociale della persona disabile. Tenendo sempre presente questa finalità generale, è possibile raggiungere anche altri scopi: colmare il “gap” tra comprensione ed espressione ridurre la frustrazione derivante da fallimenti comunicativi precedenti facilitare lo sviluppo del linguaggio orale facilitare lo sviluppo di abilità di lettoscrittura emergenti

45 Il codice alfabetico nella comunicazione “faccia a faccia”
Il caso tipico di un utente CAA che utilizza il codice alfabetico è quello in cui la persona disabile indica lettere per comporre parole, frasi con la finalità di trasmettere dei significati. L’utilizzo della “scrittura” nella comunicazione “faccia a faccia” è completamente diverso rispetto all’uso che ne viene fatto in contesti di normalità (generalmente per la comunicazione differita nel tempo e nello spazio).

46 Le frasi che vengono composte dalla persona disabile non possono avere le stesse caratteristiche del testo scritto; sono al contrario molto più brevi e strettamente legate alla situazione contingente. La qualità degli scambi con un soggetto non parlante che utilizza il codice alfabetico sono radicalmente diversi rispetto alle normali interazioni: vengono infatti a mancare tutti gli aspetti non verbali della comunicazione (la comunicazione analogica ha ruolo determinante nella trasmissione dei significati). Da ciò ne consegue che non è lecito attendersi degli scambi con la medesima “coloritura” del linguaggio orale.

47 Per bambini che hanno delle difficoltà motorie usare i simboli può essere un sistema molto efficace. Al bambino viene in pratica insegnato ad esprimere le sue scelte e i suoi pensieri attraverso delle immagini che rappresentano oggetti o concetti della vita . Per permettere una scelta fra due pietanze può essere posto il disegno di esse su un foglio di carta e chiesto al bambino di indicare quale delle due vorrebbe per pranzo.

48 L'indicazione può essere fatta manualmente, se ci sono le capacità, o altrimenti anche attraverso lo sguardo. Diamo in questo modo al bambino la possibilità di essere protagonista della propria vita dal momento del pranzo a quello del gioco e così via. Questa sotto è una delle prime tabelle di un bambino affetto da tetraparesi spastica per il momento della merenda

49                                                                                             

50 I simboli possono essere rappresentati da disegni, foto prese dai giornali, foto fatte da noi o da sistemi già predisposti  come per esempio il "Picture Communication Symbols" il quale comprende 2400 simboli che spaziano dagli oggetti, ai sentimenti ecc. Il PCS è al momento il sistema più diffuso ma ci sono altri sistemi più difficili da trovare in commercio. Può sembrare difficile insegnare ad un bambino che cos'è il concetto di simbolo e infatti solo la pratica può aiutarci: se il bambino sperimenta che indicare il bicchiere dell'acqua gli fa ottenere un vero bicchiere di acqua non ci metterà molto ad apprendere.

51 In certi casi in cui non sappiamo valutare il livello di comprensione del bambino possiamo fare qualche passo precedente all'uso dei simboli e cioè cominciare con proporre lo stesso oggetto reale per significare la scelta così useremo un vero bicchiere di acqua e un vero biscotto e chiederemo per esempio: "Vuoi bere o vuoi mangiare un biscotto?" Il passo successivo può essere l'uso di foto per poi arrivare alla rappresentazione grafica.

52 Quali gli obiettivi principali di una scuola dei laboratori?
La personalizzazione. La personalizzazione è possibile a patto di conoscere l’allievo attraverso procedure osservative che documentano i suoi bisogni-interessi e la sua sfera emotiva e affettiva, di saperlo orientare attraversi tecniche specifiche da intensificare negli anni di passaggio da un ciclo scolastico ad un altro, di renderlo attivo e responsabile favorendo le sue libere iniziative di progettazione e di ricerca. Una scuola, dunque, a misura della sua utenza, rispettosa degli stili interattivi e cognitivi dei propri allievi.

53 Quando un docente intende personalizzare i molteplici sentieri dell’istruzione deve necessariamente predisporre un lavoro didattico per gruppi per stimolare la sfera relazionale progettato su differenti contenuti di conoscenza.

54 La relazione. Sul versante socio-affettivo l’ambiente scolastico va allestito secondo logiche flessibili e modulari in modo da favorire sia la nascita di forme plurime di aggregazione primaria (gruppi di piccola e media grandezza, per attività di studio, di ricerca, di libera espressione) sia la crescita di una comunità sociale dallo stile cooperativistico in grado di liberare i valori della cooperazione, della collaborazione, disponibilità, solidarietà e impegno.

55 Sul versante relazionale, dunque, lo stile cooperativo non lottizza gli alunni in gruppi chiusi ma li apre a molteplici luoghi di attività della scuola e alle relazioni con gli ambienti comunitari più vasti e complessi presenti nel territorio.

56 L’integrazione. La scuola dei laboratori deve essere intesa come una comunità educativa che si fa contaminare dai linguaggi, dai modi di pensare, dai quadri valoriali del proprio contesto socio-culturale. E’ una scuola che dà voce agli allievi, a partite da quelli disabili, perché testimoni in prima persona del proprio ambiente di vita. I percorsi formativi di una scuola dei laboratori godono di un vasto repertorio di codici di comunicazione (gestuali, motori, orali, iconici, sonori, scritti) nonché di più piste di apprendimento (operative, empiriche, formali, astratte)

57 Una scuola così intesa valorizza il territorio naturale (paesaggi, parchi) e sociale (le offerte formative della città in termini di beni monumentali, artistici e culturali: biblioteche, pinacoteche, laboratori, campi-gioco). Il tutto visto come se si trattasse di aule didattiche decentrate e ricche di saperi osservabili e manipolabili dagli allievi, quindi comprensibili a tutti, anche dai diversamente abili. I laboratori, dunque, attraversano i sentieri interdisciplinari, illuminano “assi”trasversali. L’obiettivo interdisciplinare punta all’acquisizione di competenze metacognitive (capacità di elaborazione, scoperta e metodo) e fantacognitive (capacità di intuizione, invenzione, trasfigurazione).

58 Ma tutto questo, nel concreto, può vedere la luce nella nostra scuola
Ma tutto questo, nel concreto, può vedere la luce nella nostra scuola? La scuola di oggi dispone di spazi extraclasse da intitolare sia ai laboratori disciplinari che a quelli interdisciplinari? La risposta è forse negativa. La scarsa disponibilità di aule di cui soffre il nostro sistema scolastico è sicuramente uno degli ostacoli più grossi. Quale strategia dunque? Occorre progettare una prossemica modulare dei luoghi deputati a laboratorio facendo convivere all’interno dell’ambiente laboratorio una variegata tipologia di angoli didattici, centri di interesse, aule specializzate e zone attrezzate all’aperto)

59 Come si configura la pedagogia della scuola dei laboratori
Come si configura la pedagogia della scuola dei laboratori? In modo: motivazionale, sperimentale, cognitivo e investigativo. Motivazionale: i laboratori valorizzano i bisogni-interessi dell’allievo che apprende. Occorre scommettere sul bisogno-motivazione della comunicazione (contro l’incomunicabilità della società dei consumi) che trova nei laboratori il luogo naturale per dare cittadinanza formativa sia ai linguaggi verbali, sia ai linguaggi non verbali (gesto, suono, immagine);

60 della socializzazione (contro l’isolamento) che trova nei laboratori l’opportunità di valorizzare i suoi repertori relazionali perché vengono promosse attività individuali, di coppia e di piccolo, medio, grande gruppo e i suoi repertori culturali perché al crocevia di incontro dei sessi, delle età, delle etnie; dell’autonomia (contro la subalternità); del movimento (contro l’immobilità) inteso anche come costruzione. L’odierna società dell’immagine e della comunicazione sembra “costringere” il ragazzo a vivere per ore davanti ad un monitor; la motivazione alla costruzione postula un apprendimento che si conquista con le mani, con il corpo, con l’osservazione diretta della realtà.

61 della divergenza (contro il conformismo);
della fantasia (contro la stereotipia); della manualità (contro la fruizione) della conoscenza (contro l’omologazione). Cognitivo. L’aspetto cognitivo focalizza la sua attenzione su questi punti: riproduzione delle conoscenze in quanto l’allievo è posto di fronte alla trasmissione-acquisizione degli alfabeti di base. Pertanto questo punto può fornire all’allievo il controllo delle condotte linguistiche, matematiche, scientifiche, storiche, artistiche;

62 ricostruzione delle conoscenze, ovvero questo punto prende luce quando l’allievo intende approfondire le conoscenze acquisite svolgendo “supplementi” di indagine sui saperi acquisiti mediante la didattica tradizionale. In altri termini questo punto ha il merito di fornire le chiavi di apertura- chiusura-riapertura delle conoscenze necessarie per imparare, per smontare-riparare-ricostruire le conoscenza dell’istruzione ufficiale; reinvenzione delle conoscenze. Questo punto deve animare l’allievo nelle attività di ritrascrizione, trasfigurazione, creazione personale dei materiali cognitivi raccolti ed elaborati in precedenza. Investigativo. Questo punto deve far riflettere su la micro-ricerca e la macro-ricerca. La classe può essere la sede della micro-ricerca e l’interclasse la sede della macro-ricerca.

63 La tipologia dei laboratori.
Nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo della scuola primaria gli spazi laboratorio potrebbero prendere queste denominazioni: 1) angoli didattici ovvero l’angolo dei linguaggi e l’angolo logico-matematico; 2) centri di interesse ovvero il centro famiglia, il centro dei mestieri, il centro dei negozi, il centro della motricità e il centro della ludoteca.

64 Nel triennio conclusivo della scuola primaria e nella scuola secondaria di primo e di secondo grado i laboratori potrebbero prendere queste denominazioni:1) aule specializzate tra cui il laboratorio di lingua straniera e il laboratorio informatico; 2) laboratori multidisciplinari tra cui laboratorio grafico-pittorico, musicale, teatrale, delle scienze naturali, dell’ambiente e il laboratorio che non c’è.

65 Tipologia degli spazi attrezzati all’aperto (possibili se le scuole dispongono di cortili, giardini e parchi). In questi territori potrebbero essere allestite quattro zone didattiche alle quali attribuiremo queste denominazioni: zona delle costruzioni, zona creativa, zona sportiva, zona terra di nessuno. I laboratori, dunque,espongono un poliedrico repertorio di spazi didatticamente contrassegnati di finalità formative generali e di finalità formative specifiche. Sono generali le finalità formative quali la relazione, la progettualità, l’interdisciplinarità, la ricerca.

66 Sono specifiche le finalità formative che prendono il nome di angoli didattici (per i linguaggi e per la logica-matematica), di centri di interesse (per la riabilitazione di bisogni infantili: la comunicazione, la socializzazione, il movimento, il fare da sé, l’esplorazione, la costruzione e la fantasia), di aule specializzate per l’informatica e la lingua straniera, di zone multidisciplinari (per attività pittoriche, musicali, teatrali) e di zone attrezzate all’aperto (per attività sportive, ricreative, costruttive)

67 coinvolti nel conflitto bellico.
Il focus group Lo strumento utilizzato per l’indagine qualitativa è il focus group. Il focus group è un metodo di ricerca qualitativa in cui i soggetti vengono esortati a comunicare tra loro. Ad un gruppo di intervistati, gruppo generalmente omogeneo, viene proposto un argomento che viene analizzato in profondità. Il focus group è un metodo di intervista di gruppo non strutturato elaborato dal sociologo americano Robert Merton durante la II guerra mondiale per valutare il morale dei soldati coinvolti nel conflitto bellico.

68 Questo metodo ha preso via via piede nei decenni successivi nell’ambito delle ricerche di mercato (ad esempio, per comprendere i gusti dei consumatori prima del lancio di una nuova linea di prodotti) e più recentemente nel settore pubblico e nel volontariato sociale (ad esempio, per comprendere l’efficacia di un determinato intervento di assistenza sociale con gruppi di soggetti vulnerabili). I focus group rispondono a precise regole di preparazione, organizzazione e gestione. Coinvolge normalmente un numero di partecipanti variabile tra i 6 e 10 a seconda della complessità e delicatezza del tema che viene trattato.

69 I focus sono gestiti da due figure professionali con funzioni tra loro complementari: il conduttore e l’osservatore. L’osservatore svolge mansioni di tipo logistico e organizzativo prima, durante e dopo la costituzione del gruppo. Nella fase che precede la realizzazione del focus group ha il compito di costituire il gruppo di discussione e di individuare una sede di svolgimento ‘neutra’. Durante lo svolgimento del focus group il moderatore svolge un ruolo di assistenza al conduttore: dalla registrazione dell’incontro, all’annotazione di indicazioni e commenti sulla conduzione da parte del conduttore,all’osservazione delle dinamiche e del clima che si instaura all’interno del gruppo.

70 In una fase successiva, immediatamente dopo la conclusione del focus group, l’osservatore deve comunicare al conduttore le impressioni ‘a caldo’ su conduzione e dinamiche del gruppo in modo da tenerne conto nella gestione dei focus group seguenti. La discussione del gruppo è guidata da un conduttore e impostata in modo aperto e dialettico, valorizzando l’ascolto reciproco e l’elaborazione collettiva.

71 a)verbale, ovvero il contenuto della comunicazione:
Le potenzialità del focus derivano dalle capacità esplorative insite nella comunicazione interpersonale, verbale e non verbale. La comunicazione umana avviene su tre livelli: a)verbale, ovvero il contenuto della comunicazione: b) paraverbale, ovvero il tono, il ritmo della voce, l’emissione dei suoni, la pronuncia; c) non-verbale, ovvero gli atteggiamenti posturali, la mimica facciale, la gestualità, la gestione della distanza dagli altri (la prossemica). Accade spesso che questi tre livelli non siano in sintonia tra di loro. Ad esempio, se nel corso di una conversazione dico al mio interlocutore che lo sto ascoltando ma il mio sguardo si perde nel vuoto, si palesa una contraddizione la tra mia comunicazione verbale e quella non verbale.

72 La mimica facciale: La faccia è il più importante canale della nostra espressività. Pensiamo ai segnali involontari e difficilmente controllabili come il dilatarsi delle pupille, i cambiamenti di colore dell’epidermide. Ancora, il linguaggio degli sguardi, una delle forme principali attraverso cui gli individui prendono contatto gli uni con gli altri. Gli atteggiamenti posturali: il modo con cui gli individui si muovono, gestiscono il proprio corpo rappresenta una fonte di segnali analogici. La conformazione della struttura corporea è il risultato del patrimonio genetico, ma è anche vero che il corpo stesso è modellato dall’uso che ne facciamo

73 La gestualità: mentre parliamo le nostre mani sono costantemente impegnate in movimenti più o meno ampi e veloci che accompagnano l’emissione vocale, accentuando certi passaggi, esplicitando stati emozionali interni. L’intensità di tali movimenti varia da individuo ad individuo ma è anche influenzata dalle pratiche culturali presenti presso i diversi gruppi umani, Secondo recenti ricerche il movimento delle mani faciliterebbe il ricordare linguisticamente alcune cose. Alcuni esperimenti mostrano come soggetti invitati a ricordare il nome di oggetti poco comuni tendono a farlo con maggiore facilità se hanno le mani libere di muoversi e di simulare la forma dell’oggetto in questione, mentre il compito è più difficile se sono costretti a tenere in mano una sbarra di ferro

74 La prossemica:(E.T. Hall) letteralmente vuol dire “linguaggio della prossimità”. Si intende il modo che abbiamo di gestire lo spazio che ci circonda in presenza di simili. Gli esseri umani, come gli animali, sono estremamente sensibili all’uso che dello spazio fanno i propri simili e ai messaggi relazionali che tale uso veicola. Per comprendere queste dinamiche, immaginiamo lo spazio prossemico all’interno del quale si muovono gli individui, come costituito da sfere concentriche di natura psico-relazionale, aventi come centro il corpo

75 Nel primo livello, il più prossimo al corpo, vi è lo spazio intimo
Nel primo livello, il più prossimo al corpo, vi è lo spazio intimo. Tale spazio si estende fino a 50 cm dal corpo. Questa prima sfera relazionale è quella maggiormente carica di valenze affettive e psicologiche. Solo le persone di cui ci fidiamo davvero possono entrare in questa sfera. Solo i familiari più stretti, il partner sono “ammessi”. L’invasione dello spazio intimo da parte di soggetti non autorizzati viene vissuta istintivamente come una minaccia e attiva una serie di meccanismi di difesa sia fisiologici che coscienti. Il disagio di chi utilizza una metro affollata, dove i corpi sono schiacciati gli uni con gli altri, è da ricondursi ad un riflesso fisiologico di difesa. La non intenzionalità della situazione fa si che il disagio sia relativamente modesto.

76 Dopo vi è lo spazio sociale
Dopo vi è lo spazio sociale . vi rientrano le persone che non ci coinvolgono affettivamente, i colleghi di lavoro, i conoscenti. . Ad un secondo livello si pone lo spazio personale che inizia dove finisce lo spazio intimo e termina a circa un metro di distanza dal corpo. Si indica con questo, lo spazio entro cui lasciamo entrare le persone intime verso cui riponiamo una certa fiducia ma non tanto da consentire loro di entrare nello spazio intimo. Oltre lo spazio sociale, si estende lo spazio pubblico che è la distanza che un soggetto parlante tende a tenere quando, di solito, il pubblico è numeroso. E’ il caso dell’insegnante che parla in aula, dell’avvocato che tiene un’arringa.

77 E’ opportuno che tra i partecipanti vi sia un certo grado di conoscenza se, ad esempio, l’oggetto di studio è l’integrazione interculturale tra bambini di una stessa classe. Se, invece, l’oggetto di studio è l’integrazione interculturale tra bambini di una stessa scuola o di più scuole, è opportuno procedere ad un campionamento casuale.

78 Quando utilizzare i focus group
I focus group possono essere utilizzati per: Spiegare risultati emersi da indagini o ricerche quantitative; Se utilizzati prima di una fase quantitativa, possono servire per generare nuove ipotesi di ricerca; Per spiegare in profondità atteggiamenti, opinioni, credenze e aspettative; Stimolare la produzione di nuove idee e concetti creativi;

79 Per conoscere a fondo i problemi di una struttura (ad esempio la scuola);
Per trattare tematiche complesse circa le motivazioni comportamentali delle persone; Per ottenere informazioni ulteriori rispetto a quelle che si potrebbero ottenere dai singoli partecipanti. Il contesto del “gruppo” infatti, facilita e stimola la riflessione; i partecipanti ascoltando gli altri, reagiscono a loro volta a tali stimoli e sono portati ad esporre il proprio punto di vista, che susciterà altre reazioni:

80 Organizzazione e struttura del focus
Si possono individuare 4 fasi: nella prima fase, detta di riscaldamento (warm up), il moderatore spiega ai partecipanti il compito che dovranno svolgere, invitandoli a non censurarsi in alcun modo; nella seconda, detta di relazione, il moderatore crea e favorisce un clima di gruppo; nella terza fase, detta di consolidamento, il moderatore conduce il gruppo a discutere delle problematiche inerenti la ricerca; infine, nell’ultima fase, detta del distacco, ci si congeda dal gruppo ringraziando tutti per la collaborazione e la disponibilità dimostrate

81 Nel creare il percorso di domande è necessario che dagli aspetti specifici, si entri sempre più nel dettaglio e nel particolare. Oltre alla fase di discussione orale, è possibile introdurre anche una fase creativa, pratica in cui si chiede ai partecipanti di fare qualcosa. Se si ha a che fare con bambini e adolescenti, è bene alternare la parte della discussione parlata con quella creativa.

82 il focus a scuola I focus a scuola possono essere utilizzati anche per affrontare tematiche che non riguardano la sfera didattica ma quella relazionale perché permettono di studiare le opinioni e gli atteggiamenti dei ragazzi, facendo uso di un approccio non intrusivo che rispetta i loro linguaggi. Nell’organizzare i focus con i minorenni ci sono alcuni accorgimenti da adottare, primo tra tutti la richiesta di consenso.

83 intercultura, diversità, integrazione
1.1) Warm Up. Durata della fase 5 minuti. 1.2) Il rapporto con gli altri. Per i ragazzi: frequentate gruppi di amici? Chi sono i vostri amici (compagni di scuola, compaesani, vicini di casa…)?Come occupate il tempo con i vostri amici?Di cosa parlate fra di voi?Fate parte di qualche associazione, di quale tipo? Dialogate con i vostri genitori? Come definireste il rapporto con loro?

84 Per i bambini :chi sono i vostri amici
Per i bambini :chi sono i vostri amici?Come occupate il tempo con i vostri amici?Di cosa parlate fra di voi?Quali sono i vostri giochi preferiti? A cosa giocate con i vostri amici?Giocate con i vostri genitori?Vi piace di più giocare con i vostri amici o con i vostri genitori?Perchè?(in base alla risposta). 1.3)Integrazione e intercultura. Per i ragazzi:Cominciamo con un compito. Ognuno di voi ha qualche minuto di tempo per scrivere su un foglio di carta i pensieri che vi vengono in mente guardando in successione queste immagini:

85 Qual è l’immagine che vi piace di più?
Perché? Qual è l’immagine che vi piace di meno? Perché?

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94 Per i bambini: Ognuno di voi ha a disposizione qualche minuto per disegnare su un foglio di carta i pensieri che vi vengono in mente guardando queste immagini… Qual è l’immagine che piace di più? Perché? Qual è l’immagine che vi piace di meno? Perché? Per entrambi:continuiamo con un altro compito. Se dico……quali altre parole vi vengono in mente? (Definite questa parola con altre parole)

95 Per i ragazzi: incontro,solidarietà, razzismo.
Che differenza comporta, secondo voi,avere la pelle di un colore diverso dal vostro? Per i bambini: gioco, colori, litigio. 1.4)Distacco.

96 Diversità

97 Normalità

98 Integrazione

99 Intercultura

100 Razzismo

101   Favorire l’integrazione degli alunni stranieri nel gruppo – classe e nella realtà del territorio.
·        Promuovere la conoscenza e la consapevolezza della propria identità culturale. ·        Promuovere la conoscenza di comunità e culture diverse dalla propria. ·        Promuovere la capacità di integrare modelli culturali e punti di vista diversi. ·        Educare all’ascolto e alla conoscenza di sé e degli altri. ·        Valorizzare la diversità come risorsa.

102 Il brainstorming o "tempesta di cervelli", fu inventato verso la fine degli anni '30 da Alex Osborn, un pubblicitario americano. Osborn, notò come le nuove idee, soprattutto durante le riunioni, venivano scoraggiate o addirittura demolite da comportamenti aggressivi. le persone deboli o poco istruite si mettevano quindi in disparte ad ascoltare i più "forti" e più "preparati".

103 Osborn organizzò dei meeting, nei quali ogni partecipante (o brainstormer), era tenuto a dire la sua, senza pregiudizi o critiche preventive. Si basa sul principio che le idee si innescano l'una con l'altra. Il procedimento è a doppio imbuto:Nella fase divergente si producono idee a ruota libera. Il conduttore stimola i presenti a proporre e vieta di fare critiche. Scrive per parole chiave le idee sulla lavagna. In un secondo momento, e con persone diverse dalle precedenti, si passa alla fase convergente. Le idee vengono selezionate, valutate, e si arriva a scegliere le più interessanti.

104 Il fondamento del brainstorming è la generazione di idee, in modo individuale o in gruppo, evitando di darne subito un giudizio di valore: la ricerca scientifica ha dimostrato che questo principio è altamente produttivo sia nello sforzo individuale che nel lavoro di gruppo. La mappa di idee risultante dovrà essere studiata ed elaborata, annotando gli elementi, collegando informazione locale o in rete, e classificando i nodi fino a raggiungere uno stato valutato come accettabile, idoneo per trarre le necessarie conclusioni.

105 Ecco le semplici regole per far funzionare al meglio il brainstorming di gruppo
L’insegnante deve essere incaricato di controllare la sessione, di definire molto chiaramente sin dall’inizio il problema da risolvere e gli obiettivi che si devono raggiungere e deve mantenere la sessione in questo ambito. Non porre limiti predefiniti alla discussione del problema.

106 l’insegnante deve incoraggiare un atteggiamento entusiasta e privo di senso critico nel gruppo e stimolare la partecipazione di tutti i membri del gruppo. È opportuno specificare la durata della sessione e nessun filone di pensiero dovrà essere seguito per troppo tempo. Occorre mantenere il brainstorming aderente all’oggetto, e cercare di indirizzare la sessione verso le soluzioni pratiche.

107 Si deve stimolare il gruppo a fare il brainstorming nel modo più informale e divertente, portando tutte le idee possibili, da quelle solidamente pratiche a quelle apparentemente irrealizzabili, creando un ambiente nel quale la creatività è apprezzata. Tutte le idee saranno accettate e registrate. Le idee non debbono essere criticate né valutate durante la sessione di brainstorming.

108 È opportuno incoraggiare i partecipanti a costruire sulle idee degli altri, a cercare combinazioni, abbellimenti, e miglioramenti. I membri del gruppo non dovrebbero soltanto apportare nuove idee nella sessione, possono anche prendere spunto da altri gruppi con altri approcci e svilupparli.

109 Il gobbo di Notre Dame è il 34esimo film d'animazione della Disney diretto dai registi Gary Trousdale e Kirk Wise, gli stessi che nel 1991 diressero La bella e la bestia. Gli sceneggiatori prendono spunto dall'omonimo romanzo Notre-Dame de Paris di Victor Hugo apportandovi, come loro abitudine, qualche per così dire lieve modifica, sia ai personaggi che alla storia, per adattarla ad un pubblico di bambini e minorenni, offrendogli come si conviene per ogni favola, un lieto fine.

110 Quasimodo, uomo brutto e deforme, relegato sul tetto della celebre Notre Dame, la cattedrale di Parigi, osserva dall’alto dei maestosi pennoni gotici la realtà quotidiana che pulsa giù, lungo le strade cittadine. Quasimodo vorrebbe essere parte di ciò che vede, ma Frollo, il giudice della città, dopo averlo sottratto appena nato alla madre, lo ha rinchiuso in quella bellissima e solitaria prigione. A portare scompiglio nella monotona esistenza di Quasimodo arriva, assolutamente inaspettato, l’incontro con una affascinante gitana, Esmeralda, sfuggita alle persecuzioni messe in atto contro la sua gente dalle guardie di Frollo. Il nostro protagonista se ne innamora, provando un sentimento per lui fino ad allora sconosciuto.

111 Dietro la maschera Un film di Peter Bogdanovich. Con Eric Stoltz, Cher, Sam Elliott, Laura Dern. Genere Drammatico, colore, 120 minuti. Produzione USA 1984. Il film si ispira ad una storia vera, quella di Rocky, un ragazzo americano affetto da leontiasi, una rarissima malattia che deforma il cranio e il viso. Rocky affronta la sua vita da "diverso" con coraggio, aiutato dallo splendido rapporto che ha con sua madre anche se, quest'ultima, soffoca nella droga il suo dolore. Prima di morire, a soli sedici anni, Rocky conosce anche l'amore che gli offre una ragazza cieca. Cher, nel ruolo della madre, ha vinto la Palma d'oro a Cannes.

112 Le chiavi di casa Titolo originale: Le chiavi di casa
Le chiavi di casa Titolo originale: Le chiavi di casa. Nazione: Italia, Francia, Germania. Anno: 2004Genere: DrammaticoDurata: 105Regia: Gianni AmelioSito ufficiale:   Cast: Kim Rossi Stuart, Charlotte Rampling, Andrea Rossi, Alla Faerovich, Pierfrancesco FavinoProduzione: Enzo PorcelliDistribuzione: 01 DistributionData di uscita: Venezia settembre 2004 (cinema) Trama: Gianni, un uomo giovane, un uomo come tanti, dopo anni di rifiuto, incontra per la prima volta, su un treno che va a Berlino, suo figlio Paolo, quindicenne con gravi problemi, ma generoso, allegro, esuberante. Il film è la storia di una felicità inaspettata e fragile: conoscersi e scoprirsi lontani da casa. Il loro soggiorno in Germania e poi un imprevisto viaggio in Norvegia fanno nascere tra i due un rapporto fatto di scontri, di scoperte, di misteri, di allegria...

113 La convenzione dell’Onu sui diritti dell’infanzia del 1989 e poi approvata in Italia con la legge n. 176 del 27 maggio 1991, dichiara che “ (…) il fanciullo ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di ricercare, di ricevere e di divulgare informazioni e idee di ogni specie, indipendentemente dalle frontiere, sotto forma orale, scritta, stampata artistica o con ogni mezzo a scelta del fanciullo. (…) Gli Stati riconoscono l’importante funzione svolta dai mass media e devono assicurare che il fanciullo abbia accesso a informazioni e a programmi provenienti da diverse fonti nazionali e internazionali,

114 in particolare a quelli che mirano a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale, nonché la sua salute fisica e mentale”[1]. L’avvento di Internet e di quella forma di comunicazione illimitata nello spazio e nel tempo che contraddistingue questo mezzo, nella prospettiva della tutela della libertà di espressione del minore, dovrebbe avere due presupposti di base: [1] Cit. in I. Poli, L. Sturlese (a cura di), Consiglio Nazionale degli utenti, Minori in Internet. Doni e danni della rete, Franco Angeli, Milano 2004, p. 7.

115 1) la rete può anche essere considerato un ambiente formativo; in tale senso i giovani, grazie ad una proficua alfabetizzazione informatica, imparano ad essere più sicuri e più critici nell’interagire con Internet; 2) la navigazione in Internet può anche essere un mezzo per realizzare una cultura della comprensione e della solidarietà; bambini e ragazzi possono, anche attraverso Internet, partecipare alla crescita delle relazioni tra popoli, culture, razze e religioni diverse.

116 La diffusione di Internet a livello mondiale, ha determinato una sempre maggiore presenza di attività, promozione, scambio di informazioni della pedo-cultura; il tutto facilitato dall’uso di supporti tecnologici sempre più sofisticati per la protezione dell’anonimato. Nel nostro paese, questo triste ed angosciante fenomeno, si muove su due fronti: il primo è, appunto, quello della produzione, vendita e divulgazione di materiale illegale,

117 il secondo fronte è quello della cosiddetta “pedofilia culturale”, una sorta di corrente di pensiero che dal 1997 rivendica il diritto, diritto basato sul fatto che la mente di un pedofilo è più vicina alle esigenze di un bambino della mente di un normale adulto, di adulti e bambini di intrattenere relazioni sentimentali. Per quanto riguarda quella corrente di pensiero che addirittura si batte per una sorta di riconoscimento dei pedofili come categoria sociale, la Danish pedoph association (Dpa) è un’associazione che può essere rappresentativa di tale fenomeno.

118 La Dpa, fondata nel 1985, si presenta come un’associazione che si occupa dei diritti sessuali dei minori, il cui scopo è quello di rendere note informazioni “corrette” sulla pedofilia e sulla sessualità dei bambini. Nella home page del Dpa si trovano interviste e frasi che spiegano i motivi profondi e “sinceri” che spingono il pedofilo ad avvicinarsi con “rispetto” al bambino. Ovviamente, gli estremi che permetterebbero di risalire al testo completo, non sono segnalati; tutto il materiale a favore della pedofilia è messo in rete anonimamente.

119 Dpa, per spiegare meglio cosa “realmente” sia la pedofilia, ha stilato una sorta di decalogo formato da due colonne dove vengono esposti da una parte, gli abusi sessuali nei confronti dei bambini, dall’altra quali sono gli elementi che, invece, caratterizzano l’animo e la mente del pedofilo “vero”.

120

121 Abuso sessuale infantile:
1) Violenze, minacce, inganni, ricatti, stupro; 2) impossibilità, da parte del bambino, di mettere fine all’attività sessuale. Il bambino desidera che tale attività cessi, ma l’adulto lo impedisce. Abuso di potere ed altre intimidazioni rendono possibile l’abuso a lungo termine; 3) il desiderio sessuale dell’adulto è l’unico criterio. Le necessità del bambino, comprese quelle sessuali, vengono ignorate. Il bambino è un oggetto sessuale passivo; 4) obbligo alla segretezza. Sfruttamento dei sensi di colpa del bambino. Se viene scoperta l’attività sessuale, il bambino prova sensi di colpa anche se non desiderava per nulla tale attività; 5) l’atmosfera è opprimente: nessuna sensazione di sicurezza ed intimità;

122 6) la relazione non è equa
6) la relazione non è equa. Si fa uso di oppressione, autorità e manipolazione; 7) l’adulto non è interessato al bambino come persona, ma soltanto come oggetto sessuale saltuario; (…) 8) il bambino è isolato dai coetanei e da adulti. L’adulto pretende di possedere il bambino; 9) mancanza di comunicazione aperta. Oppressione di tutte le forme di espressione emotiva; 10) negli spazi di vita quotidiana del bambino mancano amore e attenzione. Rischio di fissazione del bambino sulla parte sessuale; 11) il bambino mostra ansia ed avversione. Si vede che il bambino cerca aiuto.

123 “Pedofilia, eventualmente con esperienze sessuali.
1) Spontaneità ed amicizia che si godono insieme; 2) il bambino può tirarsi indietro quando vuole. L’adulto rispetta il desiderio del bambino e non lo/la rimprovera per questo; 3) interazione a livello personale ed (eventualmente) sessuale. l’attività viene adattata al livello psicosessuale del bambino; l’adulto partecipa all’attività sessuale del bambino; 4) si prova ad essere aperti nella misura in cui la morale e l’ambiente circostante lo permettono. Il benessere di entrambe le parti viene comunicato in maniera verbale e non verbale nel corso dell’amicizia;

124 5) l’obiettivo è l’ottenimento del massimo senso di sicurezza;
6) l’obiettivo è quello di creare una relazione equa, che eventualmente continua e si sviluppa diventando amicizia; 7) l’adulto esprime interesse per il mondo del bambino. Si provano interessi comuni anche in occasione di un unico incontro; 8) c’è posto per la cultura infantile/giovanile e per il contatto con gli altri. Gli interessi vengono accomunati; 9) c’è posto per esprimere i sentimenti. Il potere nella relazione è equilibrato: il bambino e l’adulto accomunano il potere;

125 10) l’adulto prova un reale interesse per i sentimenti del bambino - anche sessuali - desiderando un’interazione al livello del bambino stesso. L’amicizia è un valido supplemento agli ulteriori aspetti della vita del bambino; 11) il sentimento dominante del bambino è la gioia anche se di tanto in tanto può sentirsi insicuro per via della morale della società. Ciononostante il bambino prova ad esprimere sentimenti positivi nei confronti dell’ambiente circostante”

126 “(…)Frequento una persona solo di tre anni più grande di me, conosco il suo essere trasgressivo, le sue idee anticonformiste e le accetto.(…) Ogni volta che vado a trovarlo, il mio sguardo cade su un’immagine che ho ormai stampata nella mia mente con inchiostro indelebile.(…)Quell’immagine e tante altre mi hanno fatto male. Il mio sguardo cade su quel viso dolce e delicato di chi non avrà che dodici anni, cade su quel candido completino bianco, su quella coroncina di fiori che incornicia due occhi innocenti e accattivanti al tempo stesso. ‘Sono solo immagini, è una foto, niente di più’, mi sento dire da chi ha colto in me un’aria perplessa. (…)Cosa c’è dietro un’immagine del genere? La soddisfazione di vedere le proprie fantasie erotiche su uno schermo…non c’è nulla di male in questo. Poi, però, arriva la proposta: andare insieme a lui, in uno di quei paesi(…) dove certe fantasie si possono materializzare, dove conoscere e ‘giocare’ con una bambina diventa un gioco da ragazzi.(…)

127 .(…) Non sono stata capace di fargli una scenata (…) o urlargli ‘sei pazzo, o malato o semplicemente sei un pedofilo’. L’ho ascoltato, ho sentito e ho sofferto per il suo modo ‘ingenuo’ e naturale di raccontare la sua voglia di stare con una bambina.(…)Questa situazione mi sta paurosamente coinvolgendo perché un po’ mi attira e un po’ mi ripugna. (…)Quelle bambine sono si persone, ma mi chiedo come ‘vivono’, come ‘assorbono’ queste intrusioni intime da uomini più grandi”[1]. [1]

128 “(…)Nei rapporti con i bambini non si celebra il sesso, ma la violenza dove un adulto, psicologicamente immaturo, si relaziona ad un bambino per godere della sua impotenza (…). Un bambino o una bambina abusati sono psicologicamente feriti per tutta la vita. (…) Molti percorsi che finiscono in droga, in prostituzione, in disprezzo di sé, hanno la loro radice qui. (…) Se non correggiamo lo sguardo continueremo a considerare ‘atti osceni’, o come lei dice ‘trasgressivi’ quello che in realtà sono ‘biografie spezzate’. (…) Gioco di violenza sotto la specie dell’amore. Non tra un adulto e un bambino, ma tra un bambino e la parte infantile e notturna di un adulto, con cui l’adulto stesso non è mai entrato in contatto”.


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