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I secoli IX e X Storia Medievale (i) Università degli Studi di Verona

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Presentazione sul tema: "I secoli IX e X Storia Medievale (i) Università degli Studi di Verona"— Transcript della presentazione:

1 I secoli IX e X Storia Medievale (i) Università degli Studi di Verona
a.a , semestre I, semestrino I 30 ottobre 2012 Aula 2.1, ore via S. Francesco 22, Verona

2 L’immunità Nella storiografia tradizionale le immunità sono viste come processo autodistruttivo (l’imperatore rinuncia alle sue prerogative) in una prospettiva di un processo di dissoluzione dello Stato. Nella storiografia attuale l’immunità non ha niente a che fare con la dissoluzione dello Stato, ma è concepita come una prova di forza regia nel limitare il raggio d’azione dei suoi funzionari. Le immunità del IX secolo hanno come oggetto precisi ambiti d’azione e obiettivi: le rendite ‘risparmiate’ devono essere spese per le luminarie delle Chiese (laus perennis). La diffusione dell'immunità in età carolingia si spiega non con una volontà di rinuncia alle proprie prerogative da parte del potere pubblico, come si è scritto in passato, bensì con il tentativo da parte del potere centrale di rafforzare la potenza sacrale dello Stato.

3 L’immunità Infatti chiese e monasteri immuni erano di regola sottoposti alla tuitio imperiale, ossia alla protezione da parte del sovrano, che era attivamente coinvolto nelle questioni – religiose e patrimoniali – che riguardavano le diverse istituzioni ecclesiastiche (per esempio la nomina dell’abate) finendo in questo modo per esercitare un forte controllo su di esse. Gli enti immuni, con i loro possessi in continua espansione grazie alle donazioni pubbliche e private, rappresentarono una straordinaria risorsa per il potere regio. Il potere pubblico carolingio in conclusione si basava su una triplice coordinazione di forze: della struttura pubblica, della rete vassallatica, degli enti immuni protetti dal sovrano.

4 Il potere pubblico I rapporti vassallatico–beneficiari – meno universalmente diffusi, in età carolingia, di quanto si sosteneva un tempo Le immunità concesse agli enti ecclesiastici erano quindi strumenti di governo e non delle manifestazioni di impotenza dell'apparato pubblico. Queste tre forze avevano al loro interno potenzialità di sviluppi fra loro contrastanti. Tali sviluppi si manifestarono solo in seguito, a mano a mano che ci si inoltra nel secolo IX, in occasione dei conflitti per la successione regia e imperiale e per l’accrescersi della consapevolezza aristocratica di essere determinante nella scelta di sostenere questo o quel candidato.

5 La divisione dell’impero carolingio (a. 843)

6 Il potere pubblico e i rapporti con l’aristocrazia
Nel corso del IX secolo si assiste al lento capovolgimento dell’assunto iniziale: - senza i Carolingi non ci sarebbe un’aristocrazia - senza un supporto da parte dell’aristocrazia non ci sarebbero i Carolingi

7 Lo spazio e il tempo cristiani
I movimenti del re, oltre che per le campagne militari e per le assemblee, avvenivano soprattutto per celebrare il Natale e la Pasqua. Per ciò che riguarda il calendario liturgico fu imposta un’uniformità nella celebrazione delle feste cristiane in tutto l’impero che era basata, oltre che sulle due festività cardine, sulla celebrazione del culto dei santi. E’ quest’ultimo quindi che diventa centrale nella costruzione del tempo cristiano, unico in tutto l’impero (anche se un spazio sarà lasciato anche ai santi locali, ma solo in aggiunta ai culti comuni dell’impero). In esso i martiri del primo cristianesimo e quelli romani, i vescovi gallo-romani e poi merovingi, i monaci e i missionari franchi e anglosassoni stavano gli uni accanto agli altri. I santi da venerare (e che operano miracoli) sono controllati dall’alto. Non vi sono più (fino al X secolo) Vitae di santi locali (come in età merovingia); non vi sono più Vitae di sante.

8 Il culto dei santi e le traslazioni di reliquie
Nuovo genere letterario: le Traslazioni (cioè i trasporti delle reliquie da un luogo a un altro). La società carolingia non sperimenta tanto il sacro, quanto la sua narrazione. Culto dei santi significava venerazione profonda per le loro reliquie. Esse davano evidenza materiale alla storia cristiana e fornivano un accesso privilegiato alla sfera del sacro: di qui i numerosissimi doni di reliquie di Carlo Magno, che le possedeva come un suo tesoro personale di cui fece dono a monasteri e chiese, specie di nuova fondazione. Nelle regioni di nuova conquista, inoltre, la loro presenza costituiva un tentativo di sacralizzare in senso carolingio quei paesi, con la forza ideologica rappresentata dalla presenza fisica delle reliquie di santi gallo-romani e franchi.

9 Lingua e scrittura La lingua dei classici era indispensabile per tutte queste operazioni: grande fu perciò l’interesse dei chierici carolingi per i capolavori letterari dell'antichità. I codici tardo-antichi contenenti i classici circolavano fra i monasteri e le chiese episcopali, dove venivano copiati. Si formarono cosi sia i primi nuclei dì biblioteche in paesi di tradizione recente in merito alla cultura scritta, come nella Germania dei monasteri di Lorsch e di Fulda, o nella futura Svizzera, a S. Gallo, sia si rafforzarono le importanti biblioteche là dove già esistevano, come nell'antica Gallia, a Corbie, Luxeuil, Fleury. La scrittura maggiormente utilizzata: minuscola carolina. Una scrittura semplice, insegnata in tutti i centri scrittori dell’impero.

10 Il nuovo latino parlato
Il nuovo latino scritto carolingio si distaccò così dalla lingua parlata, nei territori romanzi, interrompendo un processo che lo stava avvicinando ai nascenti volgari. Allo stesso tempo, pur puntando tutto sul latino come il tessuto connettivo dell’amministrazione dell’impero e della liturgia cristiana, si riconobbe il valore di altre lingue. Nel concilio di Tours dell’813, ci si raccomandò che i predicatori, per farsi comprendere, a seconda dei casi, parlassero in rusticam romanam lingua aut theotiscam, ossia in lingua romanza o tedesca, le lingue del popolo parlate rispettivamente a ovest e a est del Reno

11 Lingua e scrittura L'Epistola de litteris colendis, una missiva del 797, nella quale si affermava la necessità che gli enti religiosi dovessero accondiscendere ad istruire nell'esercizio delle lettere coloro che fossero in grado di apprendere “perché coloro che si sforzano di piacere a Dio vivendo rettamente (recte vivendo) non trascurino di piacergli anche parlando correttamente (recte loquendo)”. Il testo esprime bene l'ideale culturale carolingio: lo studio filologico e grammaticale viene messo al servizio di un'elevazione del livello morale e religioso, che si riflette positivamente sul governo dell'impero cristiano. Le conseguenze del lavoro degli intellettuali carolingi furono notevolissime.

12 Lingua, scrittura e tradizione testuale
La maggior parte delle opere di autori antichi giunte sino a noi risalgono ad un codice di età carolingia che costituisce l'archetipo di tutta la successiva tradizione manoscritta, fino ad arrivare alle prime edizioni a stampa. Qualche dato numerico: sopravvivono solo ca codici scritti nel periodo precedente l’anno 800, circa scritti sono invece quelli scritti nel solo IX secolo. Il nostro debito verso gli intellettuali carolingi è enorme, in quanto la nostra conoscenza dei classici – il che vuol dire di una parte rilevante della civiltà antica – deriva dal lavoro da loro svolto. Bisogna sottolineare che ciò che noi oggi conosciamo deriva dalle lontane scelte compiute da costoro. Ciò che essi non copiarono o comunque non decisero di conservare nelle loro biblioteche, fu in buona parte destinato alla scomparsa per la rovina dei codici nei quali era scritto o, talvolta, per la loro raschiatura ai fini di un successivo riutilizzo (palinsesti).

13 Il regno in Italia ( ) Morto Lotario, il regno italico con la corona imperiale era passato a suo figlio Ludovico II, che era già rex Langobardorum dall’844, e che si disinteressò dei domini paterni a nord delle Alpi, concentrando la sua attività in Italia (Incmaro arcivescovo di Reims, lo definì “colui che viene chiamato imperatore d’Italia”). Ludovico II, nonostante il suo titolo imperiale, fu un sovrano solo italiano. In questo ambito relativamente limitato, egli interpretò il suo ruolo con il massimo impegno, cercando di consolidare la dominazione carolingia in Italia. Nel centro-nord, essa si appoggiava sui vassalli più potenti, tra i quali i principali erano i Supponidi, titolari di varie contee, e i marchesi del Friuli, di Ivrea, della Tuscia, di Spoleto, tutti appartenenti a grandi famiglie di funzionari imperiali immigrati dai territori transalpini durante il regno di Lotario. In più Ludovico II poteva contare sul controllo dei beni del fisco (in particolare le ricche curtes della pianura padana), degli episcopati e della rete dei maggiori monasteri.

14 Il nuovo ruolo della regina
Certamente vi erano dei segnali che il complesso equilibrio fra queste forze cominciava ad alterarsi – ad esempio a vantaggio dei vescovi in molte città –, ma complessivamente il potere di Ludovico II risultava ancora saldo e la sua egemonia politico-militare indiscutibile. Angelberga, moglie di Ludovico II, compare come un intermediario/intercessore nei diplomi regi È detta sia dulcissima coniux sia consors regni – consors imperii (ruolo della regina che trascende quello di genere femminile) 860 = carta di dotalicium con elenco di terre fiscali. E’ la prova scritta della pubblicità del matrimonio.

15 Il papato e le terre bizantine
Al centro della penisola agiva la chiesa di Roma, con la sua ancora informe dominazione territoriale, dove alcuni papi del periodo, come Nicolò I, riuscirono anche a giocare un ruolo politico decisivo, intervenendo nei conflitti interni alla famiglia carolingia, quali la lunga contesa legata al divorzio di Lotario II. Quest’ultimo, rimasto unico erede di Lotario I nel nord Europa, alla fine fu costretto a sottomettersi alla volontà papale (dietro alla quale c’era la volontà politica dei suoi zii, ansiosi di impadronirsi del suo dominio). Al sud sfuggivano all'autorità diretta dell'imperatore le terre longobarde (gli ex-ducati/principati) e quelle bizantine, inserite in un’area priva di un forte potere centrale.

16 L’Italia meridionale I Bizantini, nonostante l’avanzata araba a partire dall’827, erano ancora presenti in Sicilia come dominazione diretta, mentre le città greche tirreniche (Napoli, Gaeta, Amalfi) avevano trovato un loro equilibrio politico sotto delle dinastie locali di funzionari resisi autonomi dal potere centrale. Il meridione continentale invece dall’849 era diviso fra due formazioni politiche fra loro rivali, i principati longobardi di Benevento e di Salerno, eredi dell’antico ducato beneventano. All’interno del principato salernitano – il più dinamico, grazie al porto della sua città capitale, rifondata dal duca Arechi II alla fine dell’VIII secolo – si profilava sempre più nettamente, inoltre, l’autonomia del comitato di Capua, sotto una dinastia locale di gastaldi-conti. La frantumazione politica del meridione era quindi molto forte.

17 L’Italia meridionale Tuttavia, quando a partire dall'840 circa esso si trovò sotto la minaccia crescente dei Saraceni, per Ludovico II si aprì uno spazio nuovo di intervento. Presentandosi come protettore delle popolazioni cristiane del sud, egli strappò Bari ai Saraceni che vi si erano installati, trasformandolo in un emirato che era al tempo stesso un pericoloso nido di pirati, e stabilì una precaria egemonia sul Mezzogiorno. Alla sua morte (875), però, il sistema di potere da lui messo in piedi, già incrinato da una prima reazione ostile del principe di Benevento Adelchi – che lo aveva addirittura temporaneamente imprigionato nell’871 –, crollò del tutto e il sud tornò a essere disputato fra i principi longobardi, i Saraceni e i Bizantini. I Bizantini colsero i maggiori frutti della situazione, creando di nuovo, a partire dalla Puglia, una dominazione territoriale sul continente che nei decenni successivi, con il nome di catepanato di Langobardia, sarebbe diventata, nel tempo, sempre più importante.

18 Le lotte per la successione e ricomposizione
Nella crisi che seguì alla scomparsa di Ludovico II, il papato si inserì, rivendicando a sé la capacità di disporre della corona imperiale. Papa Giovanni VIII (872–882), convocata una sinodo dei vescovi italiani a Ravenna, assegnò la corona a Carlo il Calvo, che unì così l'Italia al regno della Francia occidentale che già possedeva (875). Ma la morte a breve distanza di Ludovico il Germanico (876) e dello stesso Carlo (877), fu seguita da una serie di sfortunati eventi che eliminarono dalla scena i vari eredi maschi carolingi. Nell’884 rimase solo Carlo il Grosso, figlio di Ludovico il Germanico. In quanto re di Alamannia, questi si era già fatto nominare re d’Italia nell’879 e imperatore nell’881; la morte dei suoi rivali carolingi gli spianò la strada per una riunificazione totale dell'impero, la prima dall’840.

19 Le lotte per la successione e ricomposizione
La riunificazione dell’autorità imperiale di Carlo il Grosso fu effimera e più teorica che reale. I problemi più pressanti che si ponevano in quel momento infatti non erano tanto legati alla sopravvivenza della complessa impalcatura unitaria dell’impero, bensì erano quelli della difesa delle popolazioni dalle incursioni normanne e saracene, in continuo aumento, alle quali, di lì a poco, si aggiunsero le scorrerie degli Ungari. Le lotte intorno alla carica imperiale in fondo distoglievano i ceti dominanti dalla loro principale occupazione, la difesa locale. Così l'impero, non più necessario, morì di morte naturale, almeno nella sua più impegnativa forma carolingia.

20 Le lotte per la successione e ricomposizione
La crisi dell'impero trascinò con sé un restringimento d'orizzonti del papato, rinchiuso ormai in una dimensione romana o al massimo centro-italiana. Inoltre fu incapace di approfittare anche di situazioni favorevoli, come quella offerta dalle cosiddette Decretali Pseudo–Isidoriane, una raccolta di falsi canoni di concili che circolava dalla seconda metà del IX secolo nella chiesa franca e che aveva lo scopo primario di indebolire il potere dei metropoliti (in particolare dell'arcivescovo di Reims) nei confronti dei vescovi, ma che, al tempo stesso, ribadiva, in alternativa, i vincoli di subordinazione dei vescovi stessi nei confronti del papato. Era un'occasione per affermare la primazia di Roma sulla potente chiesa franca. Ma fu un'occasione che andò, per il momento, quasi totalmente sprecata a causa della scarsa statura intellettuale e politica dei papi succeduti a Giovanni VIII.

21 La deposizione di Carlo il Grosso (888)
In questo quadro, la deposizione di Carlo il Grosso ha in un certo modo un carattere emblematico. Carlo, privo di eredi maschi adulti e colpito da una grave crisi epilettica durante la dieta di Tribur dell'887, fu deposto dai grandi e confinato presso una villa pubblica dove morì (889). Con lui ebbe fine la dinastia carolingia. Gli ultimi Carolingi avevano fallito proprio nel loro compito principale, proteggere le popolazioni loro affidate. Così come nel 751 l’ultimo re merovingio era stato deposto in quanto ‘inutile’, ora lo stesso appellativo veniva adottato per l’ultimo dei Carolingi, a significare che il prestigio dinastico elaborato dalla famiglia carolingia non era stato sufficiente a far dimenticare all’aristocrazia che il buon re si misurava non solo dalla sua nobile origine, ma soprattutto in base alla sua efficacia.

22 Fattori esterni: le ‘seconde invasioni’
La situazione interna dell'impero carolingio era stata aggravata dall'improvvisa e dura minaccia militare che venne a pesare sulle regioni dell'occidente europeo a partire dagli inizi del IX secolo. Lo scatenarsi più o meno simultaneo delle incursioni vichinghe e saracene, in uno scenario compreso tra le coste del sud mediterraneo e del nord continentale, contribuì a destabilizzare la società carolingia. Alla fine dello stesso secolo IX, poi, gli Ungari si unirono da oriente a Vichinghi e a Saraceni, completando l'accerchiamento delle vecchie regioni carolinge e riproponendo all'occidente l'antica minaccia delle popolazioni nomadi o semi-nomadi. Si trattò delle cosiddette ‘seconde invasioni’, il cui sviluppo temporale va, approssimativamente, dal 750 al 950.

23 Fattori esterni: le ‘seconde invasioni’
Di fronte ai danni provocati da queste seconde invasioni, ci si deve chiedere prima di tutto come mai l'impero carolingio, che solo pochi decenni prima aveva imposto la sua schiacciante forza militare contro tutti suoi nemici, non sia stato in grado di opporsi in modo efficace alle incursioni. I conflitti interni e gli stessi processi di trasformazione sociale non bastano a spiegare del tutto un simile insuccesso, che va interpretato innanzitutto dal punto di vista militare. In questo campo non si deve pensare ad una superiorità numerica degli aggressori o a una loro superiorità in fatto di tecnica militare o di armamento. Tutt'altro: la superiorità tecnologica era tutta dalla parte carolingia, tant'è vero che i capitolari imperiali proibivano con durezza di vendere armi ai pirati vichinghi o ad altri nemici esterni.

24 Fattori esterni: le ‘seconde invasioni’
Il motivo-chiave è un altro: l'impero carolingio non era preparato a difendersi. Infatti l'esercito carolingio era fatto per l'aggressione premeditata, ossia per campagne d'attacco nelle quali era formidabile. Essendo lento sia a riunirsi che a muoversi, non era capace di resistere a incursioni rapide e improvvise, né tanto meno di prevenirle. Inoltre i vassalli, che ne costituivano il nucleo fondamentale, erano disponibili per l'esercito solo per un numero limitato di giorni. La stessa cavalleria, strumento militare eccellente e capace di fornire una schiacciante superiorità (spesso infatti gli aggressori furono battuti in campo aperto), era utilizzabile per le campagne solo nelle stagioni nelle quali il foraggio era abbondante e, anche in quei casi, per poco tempo, dato l'elevato costo del suo mantenimento.

25 Fattori esterni: le ‘seconde invasioni’
Insomma, la concentrazione dell'esercito era macchinosa e, per di più, era possibile solo in un posto stabilito con molto anticipo, data la difficoltà delle comunicazioni. La difesa territoriale, poi, esisteva quasi solo in teoria. Inoltre, all’interno dei conflitti locali, la presenza di entità esterne fu spesso utilizzata contro i propri nemici interni. Tutto ciò metteva l'impero nelle mani di aggressori inattesi e imprevedibili. Le invasioni misero insomma a nudo i limiti di fondo della costruzione carolingia, la fragilità delle sue basi: la mancanza di vere finanze di estese fortificazioni di una marina di un esercito permanente

26 Fattori esterni: le ‘seconde invasioni’
la vastità del territorio in rapporto all'atomizzazione della vita sociale la stessa sostanziale indifferenza delle popolazioni verso le sorti generali dell'impero. il complesso ruolo dell’aristocrazia, che sfruttò le invasioni come mezzo per indebolire il potere dei sovrani, o anche la stessa azione di questi ultimi, che alternarono guerra e accordi sulla base della loro agenda politica interna. L'unica difesa realmente efficace fu quella locale. Ed essa fu sopportata in primo luogo da quegli stessi grandi vassalli (prima di tutto gli ufficiali pubblici) e signori che erano così tiepidi nel soccorrere re e imperatori, ma che trovarono proprio in questo ruolo difensivo un mezzo efficace per accrescere e rafforzare la propria supremazia sugli abitanti che venivano protetti dalle loro armi.

27 Una storia esemplare: i Danesi
I Danesi furono in prima fila – fin dall'811 – nell'aggressione verso l'impero carolingio. In questo caso, il periodo più caldo delle aggressioni iniziò con l’850 circa: i Vichinghi risalirono i grandi fiumi e misero sotto attacco tutto il regno della Francia occidentale, la Frisia e la Lotaringia. Le chiese, i monasteri, le popolazioni vennero più volte depredati e tributi in denaro vennero spesso pagati per evitare il saccheggio. Poi, intorno all'880, si verificano dei mutamenti: i campi temporanei che i pirati costruivano nei punti di sbarco sulle coste marittime o fluviali, per ripararsi durante il saccheggio delle zone circostanti, cominciarono in alcuni casi a diventare permanenti, almeno sulle coste del Mare del Nord. Lo sfruttamento della popolazione divenne più regolare e meno violento.

28 Una storia esemplare: i Danesi
Nel 911, prendendo atto della situazione, il re della Francia occidentale, Carlo il Semplice (uno degli ultimi Carolingi), dette in feudo al capo vichingo Rollone la terra che da allora fu detta Normandia, e che divenne un ducato. In cambio Rollone giurò fedeltà vassallatica al sovrano e si convertì al cristianesimo. Da questo momento, i Normanni difesero le stesse terre che prima depredavano. Il peso delle incursioni iniziò a diminuire ed essi si integrarono rapidamente nel mondo franco, assorbendone lingua, religione e cultura pur senza perdere le loro spiccate attitudini guerriere.

29 Una storia esemplare: i Danesi
Dappertutto intorno al 930 circa, l'impeto delle incursioni vichinghe e danesi si placò. Farne un bilancio è difficile, anche perché è indubbio che la loro violenza fu esasperata nel racconto che ce ne fanno le nostre fonti, che sono quasi tutte di provenienza ecclesiastica, scritte cioè in quelle chiese e monasteri che, per la loro ricchezza, furono più di tutte nel mirino degli attacchi. Subito dopo la deposizione di Carlo il Grosso, nell’888, non essendoci maschi adulti di stirpe carolingia, l’aristocrazia dei vari regni elesse re dal suo interno. Lo fece utilizzando tutti i rituali politico-ecclesiastici della regalità consolidatisi in età carolingia, quali le assemblee e i rituali di inaugurazione officiati dai vescovi.

30 I successori di Carlo il Grosso
In sostanza si può dire che il sistema di potere carolingio cercò di continuare ad andare avanti, anche se indebolito, senza i Carolingi. Ma alla lunga il tentativo fallì, perché la mancanza di sovrani di discendenza maschile carolingia legittima fra i nuovi reguli (come li chiamò Reginone di Prüm) conferì loro un deficit di legittimità. Da qui scaturirono inevitabilmente violenti conflitti interni fra le fazioni aristocratiche, poste di fronte di solito ad una dura scelta: sottomettersi o opporsi con le armi. Infatti le opportunità del periodo precedente, rappresentate da una pluralità di corti carolinge verso le quali indirizzare la propria fedeltà, era venuta meno. Ormai la divaricazione fra i vari regni era divenuta troppo forte. Tali conflitti si sommarono agli altri fattori di debolezza nell’incrinare progressivamente la forza e l’incisività dell’azione dei poteri pubblici nel periodo post-carolingio.

31 La Francia Una prima divaricazione politica netta ci fu tra Francia e Germania. In Francia (il regno della Francia occidentale) fu eletto re Oddone, conte di Parigi, capo della resistenza della città ai pirati vichinghi, che apparteneva alla stirpe dei Robertini, poi detta dei Capetingi. Nei decenni successivi, mentre continuavano le incursioni vichinghe, il potere regio fu conteso a lungo fra Carolingi e Capetingi, finché questi ultimi – che erano duchi della Francia, ossia dell'Île-de-France – salirono definitivamente al trono con Ugo Capeto nel 987. Ma i Capetingi controllarono di fatto solo l'Île-de-France, un territorio non più grande di quello dei più forti fra i loro vassalli. Si avviò quindi un processo di dissociazione del regno in unità minori, i cosiddetti principati.

32 La Francia Fra quelli destinati a vita più lunga, c'erano il ducato di Normandia, le contee di Fiandra, di Champagne, di Bretagna, d'Angiò, di Tolosa, di Borgogna e di Aquitania. Non tutti erano frutto del dinamismo di dinastie di origine comitale: la Normandia era un’eredità delle incursioni vichinghe, la Bretagna e l'Aquitania erano antiche unità amministrative carolinge. Nel sud del paese, inoltre, si erano creati due piccoli regni autonomi, di Provenza – i cui sovrani aspirarono periodicamente alle corone di Francia o d'Italia – e di Borgogna.

33 La Germania L'evoluzione della Germania è simile solo in apparenza a quella francese. La differenza principale è data dalla presenza in Germania di grandi aggregazioni territoriali su base etnica, i ducati. Fu proprio questo sottofondo etnico-tribale che garantì una maggiore solidità ai poteri regionali, rispetto ai principati francesi, perché bloccò l'eccessiva intraprendenza delle dinastie locali. Inoltre, in una prima fase le aggressioni che caratterizzarono il periodo delle seconde invasioni furono più lievi in Germania che in Francia. Per questi motivi, il potere centrale rimase più forte.

34 La Germania I Carolingi dapprima si mantennero sul trono con Arnolfo di Carinzia, discendente illegittimo di Ludovico il Germanico, che fu eletto nell'888 re di Germania. Dopo un periodo di instabilità, i duchi e gli altri grandi diedero la corona prima a Corrado duca di Franconia (911), poi, morto questi, a Enrico I duca di Sassonia (919–936), che organizzò definitivamente il regno come un’unione di ducati etnici: Sassonia, Franconia, Svevia (Alamannia), Baviera, cui si aggiunse anche la Lotaringia, strappata ai re della Francia occidentale.

35 La penisola italiana La lotta per il potere all'interno dell'antico regno longobardo si scatenò violenta, dopo la fine della dinastia carolingia, e portò sul trono gli esponenti di alcune antiche famiglie franche trapiantate in Italia, nessuno dei quali riuscì però a fondare una dinastia regia. Ciò derivò anche dalla relativa debolezza della grande aristocrazia laica del regno, tutta di origine transalpina, che si era fusa solo in modo imperfetto con la piccola e media aristocrazia indigena (longobardo-italica) e che era invece ancora molto legata a proprietà e interessi a nord delle Alpi. La scomparsa di un potere unitario a sud e a nord delle Alpi fu un duro colpo per un'aristocrazia di questo tipo. Tuttavia anche in Italia si erano formate grandi aggregazioni territoriali, di origine pubblica, le marche di Spoleto, Tuscia, Ivrea, Friuli, e fu da esse che uscirono gli attori principali della vicenda politica.

36 La penisola italiana Dopo l'887, la lotta si scatenò fra Guido marchese di Spoleto e Berengario marchese del Friuli (che discendeva dai Carolingi per via materna) e vide inizialmente il prevalere del primo, che nell'891 cinse anche la corona imperiale, unendola a quella di re d'Italia. Guido seguiva così una tradizione che risaliva a Ludovico II, re d'Italia e imperatore, e che aveva le sue radici nello speciale rapporto, di protezione e di collaborazione al tempo stesso, che il sovrano italico aveva con il papa e la chiesa di Roma. Poco importava che, nella pratica, un sovrano come Guido fosse tanto debole da non riuscire a imporsi senza contrasti nemmeno nel suo regno. Proprio il valore particolare, di base legittima per una rivendicazione del titolo imperiale, che aveva la corona del regno italico, finì per attirare il Italia il re di Germania Arnolfo di Carinzia, chiamato da una fazione dell'aristocrazia e della chiesa ostile a Guido e capeggiata da papa Formoso.

37 La penisola italiana Battuto facilmente Guido e conseguito a sua volta il potere imperiale (896) Arnolfo, ammalatosi improvvisamente, dovette però ripassare in gran fretta le Alpi attraverso un paese che gli era ridiventato immediatamente ostile. Scomparso il sovrano tedesco, la lotta tra le dinastie di Spoleto e del Friuli si riaccese immutata, finché, dopo il breve regno del figlio di Guido, Lamberto, morto per un incidente di caccia nell'898, il potere rimase infine a Berengario I del Friuli ( ), che, tuttavia, non riuscì mai a esercitarlo realmente al di fuori dell'Italia nord–orientale. I nuovi re usciti dalla crisi del potere imperiale carolingio nell’ furono dunque, con l’eccezione dei re di Germania, sovrani complessivamente piuttosto deboli.

38 La regalità Essi – molti dei quali erano imparentati con i Carolingi – continuarono comunque a muoversi sempre entro un quadro concettuale politico carolingio, sia per ciò che riguardava l’idea del ministerium regio, o il rapporto con la chiesa o quello con la stessa idea imperiale. Come dimostrano i ripetuti aspiranti al titolo imperiale che, nel periodo che intercorre fra la deposizione di Carlo il Grosso e l’elezione di un imperatore forte ed autorevole come Ottone I di Sassonia (961), cinsero la corona a Roma. Questo a dimostrazione della forza della tradizione carolingia – ben al di là della sua stessa breve storia politica – e dell’impronta che essa aveva impresso sulla società, all’interno di un occidente che ormai possiamo definire ‘alto-medievale’ e non più semplicemente ‘post-romano’.

39 Cause caduta impero carolingio (888)
Crisi dinastica Aggressioni militari esterne Indebolimento istituzioni per ereditarietà delle cariche Forze centrifughe dei “sub-regni”

40 Conseguenze caduta impero carolingio (X sec.)
Creazione regni indipendenti (franco occidentale e orientale, italico, Borgogna, Provenza) Titolo imperiale legato al regno italico Ereditarietà delle cariche pubbliche laiche: da comitati si formano le contee Appoggio istituzionale sugli episcopati (concessione di diplomi regi e imperiali)

41 Regno italico Titolo imperiale
Elezione regia, solo alcune incoronazioni (Berengario II 950, Arduino 1002, Enrico II 1004) Ruolo della capitale: funzione del palatium (Liutprando) Continuità delle istituzioni pubbliche regie (i placiti)

42 Regno franco occidentale
Crisi del potere pubblico e aumento autonomie principati Aggressioni normanne Limitazione autorità pubblica regia Dai comitati carolingi ai principati territoriali

43 Regno franco orientale
Affermazione della dinastia dei duchi di Sassonia Ottone I: conquista l’Italia e il titolo imperiale Riaffermazione dell’autorità pubblica (ruolo dei vescovi, diplomi) Strutturazione in ducati: Lotaringia, Sassonia, Franconia, Svevia, Baviera, Austria (Ost Mark = Oester Reich)

44 Storiografia: la crisi del potere pubblico
Vecchia interpretazione: Giovanni Tabacco e i re “autolesionisti”(G. Tabacco, Egemonie sociali e strutture del potere nel medioevo italiano, Torino 1979) Nuova interpretazione: Barbara Rosenwein e il “gift-giving” (B. H. Rosenwein, Negotiating Space. Power, Restraint and Privileges of Immunity in Early Medieval Europe, Manchester 1999).

45 Vecchia interpretazione: Feudalesimo
Vassallaggio come feudalesimo: strumento di inquadramento dello “stato” Struttura statale: una piramide del potere Karl Marx: modello produttivo feudale (Ancien régime)

46 Vassallaggio (NO feudo)
Nascita e sviluppo rapporti vassallatico-beneficiari in età merovingia e carolingia (VII-IX secolo) Diffusione del vassallaggio di laici ed ecclesiastici (X-XI sec.) Assenza della “piramide feudale” sino al XII secolo

47 Crisi potere pubblico (X-XI sec.)
Ereditarietà delle cariche Sviluppo della giurisdizione vescovile Lontananza e difficoltà del potere regio (Italia, Francia, Germania)

48 Signorie territoriali (NO feudo)
Dalla signoria fondiaria (colonato tardo-romano e sistema curtense carolingio) (IV-IX sec.), alla signoria territoriale o “di banno” (difesa e controllo militare, giustizia, tassazione) (X-XII sec.) Verso l’Ancien Régime

49 Incastellamento (X secolo?)
Storiografia giuridica: crisi regia e aggressioni esterne (Giovanni Tabacco) Innovazioni storiografiche: conflittualità interna (Aldo Settia) e modificazione dell’insediamento (Pierre Toubert) Dati archeologici: modello “toscano” e trasformazione del paesaggio e dell’insediamento dal VI sec. in avanti (Riccardo Francovich)

50 Feudalesimo (da XII sec.)
Capitolare di Quercy di Carlo il Calvo (877) e Constitutio de feudis di Corrado II (1037): ereditarietà dei benefici vassallatici. Feudo “oblato” e riaffermazione del potere imperiale con Federico I di Svevia (XII sec.). “Piramide feudale” come mezzo di aggregazione istituzionale nelle “monarchie nazionali” (da XII sec.).


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