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La politica di sviluppo e coesione dell'U.E.

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Presentazione sul tema: "La politica di sviluppo e coesione dell'U.E."— Transcript della presentazione:

1 La politica di sviluppo e coesione dell'U.E.
Master in "Politiche di sviluppo e coesione e valutazione degli investimenti pubblici" La politica di sviluppo e coesione dell'U.E. Massimo Bagarani - Università del Molise Le Regioni nelle politiche comunitarie Le Regioni nel contesto istituzionale italiano I modelli teorici di sviluppo regionale La politica economica regionale nel contesto della multi level governance (due casi interessanti) La sfida dello sviluppo e lo scenario del

2 Il contesto e gli obiettivi comunitari
Unione Europea 1957 Trattato di Roma (Stati) 1987 Atto Unico (Regioni) Principio della COESIONE Obiettivo di riduzione delle divergenze strutturali 1992 Maastricht Principio di sussidiarietà Politica sociale Coesione economica e sociale 1999 Berlino Agenda 2000 Riforma dei fondi strutturali 2000 Nizza L’ampliamento 2004 La nuova riforma dei fondi strutturali

3 Principio di sussidiarietà (art. 3B Trattato di Maastricht)
DECISI a portare avanti il processo di creazione di un'unione sempre più stretta fra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio della sussidiarietà, La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario. L'azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato. conseguenze

4 Pro e contro la Decentralizzazione Wallace Oates decetralization theorem Eterogeneità delle preferenze intergiurisdizionali Omogeneità delle preferenze intragiurisdizionali Tanto più veri i due assunti tanto più economicamente efficiente sarà la decentralizzazione Charles Tiebout Tiebout hypothesis The Pure Theory of Public Expenditures voting with their feet Schema neoclassico applicato al comportamento degli elettori

5 Pro e contro la Decentralizzazione A Efficienza intergiurisdizionale Appropriata distribuzione di individui e altre risorse (capitale) TRA le diverse giurisdizioni B Efficienza intragiurisdizionale Scelta di azioni pubbliche che siano in grado di soddisfare la domanda collettiva all’INTERNO delle giurisdizioni Inefficienze nel caso A Spillover Inefficienze nel caso B Inefficienza politica

6 Applicazione del principio di sussidiarietà
Differenze nell’efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa ai diversi livelli UE Stato Regioni Enti locali Rafforzamento dell’azione della P.A. E’ necessario

7 Evoluzione delle politiche comunitari
La “questione” regionale Passaggio dalla centralità degli Stati alla centralità delle Regioni Cambiamento nei meccanismi decisionali e nelle modalità di formazione delle scelte di politica economica La governance e il collegato problema delle classi dirigenti Soggetti istituzionali interessati: UE Stato-Regioni

8 Alcuni aspetti generali della nuova “filosofia” di approccio
Programmazione multi livello Top Down Bottom Up A livello centrale solo Top - Down Con l’introduzione delle Regioni nasce l’interazione con la programmazione dal basso

9 Modelli di Multi Level Governance (MLG)
Si distinguono almeno due grandi tipologie di modelli di MLG (Hooge, Marks, 2001b; Marks, Hooge, 2005): una basata su di un principio di azione guidato da istituzioni prevalentemente pubbliche; l’altra di stampo prettamente neoclassico, fondata sull’azione individuale o di gruppo come motore dell’aggregazione giurisdizionale. Il primo tipo di governance presenta le seguenti caratteristiche generali: limitato numero di giurisdizioni; limitato numero di livelli giurisdizionali; sistema giurisdizionale quasi-permanente.

10 Modelli di Multi Level Governance (MLG)
Modello gerarchico Valgono i seguenti principi: 1. confini giurisdizionali non sovrapponibili. Il livello “a monte” può contenere più livelli “a valle”, ma non si verifica una sovrapposizione territoriale di competenze, rientrando quindi nella tipologia nota delle istituzioni pubbliche territoriali (per chiarezza, la struttura Stato-Regioni-Province-Comuni); gerarchia rigida e rigorosamente definita da atti normativi.La gerarchia determina responsabilità a “cascata”; competenze plurime, con alta specializzazione nei diversi livelli per aree di competenze, quindi ogni livello avrà una pluralità di compiti, la cui ampiezza è definita dal grado di devoluzione delle competenze accettato dal sistema; architettura istituzionale rigida e condivisa, senza la quale sarebbe impossibile regolamentare le relazioni tra le parti, con il conseguente insorgere di costi indesiderati, sia di coordinamento che di transazione.

11 Modelli di Multi Level Governance (MLG)
Modello gerarchico Questo tipo di modello presenta numerosi limiti tra i quali: difficoltà a cambiare gli assetti vista l’esistenza di elevate barriere decisionali che impediscono o rendono particolarmente onerosa, sia economicamente che socialmente, l’adozione di nuove soluzioni giurisdizionali e la creazione di nuove istituzioni o confini; presenza di identità territoriali forti che possono limitare la realizzazione di processi evolutivi di tipo istituzionale, generando resistenze alla creazione di giurisdizioni sopranazionali o sopraregionali; dipendenza dalla capacità gestionale e amministrativa delle istituzioni. Un adeguato livello di efficienza amministrativa, infatti, è indispensabile per garantire il funzionamento dell’intera architettura istituzionale, la sua assenza determina la possibilità che l’istituzione non riesca a perseguire i propri scopi e genera l’insorgere di significativi costi di coordinamento e transazione.

12 Modelli di Multi Level Governance (MLG)
Modello diffuso Il secondo tipo di governance, alternativo al primo in termini di visione organizzativa ma non di coesistenza, presenta le seguenti caratteristiche generali: 1. ampia numerosità di giurisdizioni; 2. pluralità di livelli giurisdizionali; sistema giurisdizionale flessibile sia rispetto al tempo (le giurisdizioni possono avere un arco di vita anche molto breve) che allo spazio (è sempre possibile la sovrapposizione territoriale); 4. giurisdizioni con competenze monofunzionali o specifiche e limitate. Questo modello è molto più determinato dalle scelte individuali dei consumatori-cittadini, presi singolarmente e a gruppi, piuttosto che dall’azione preordinata di una istituzione pubblica.

13 Modelli di Multi Level Governance (MLG)
Modello diffuso Di stampo prettamente neoclassico, fondata sull’azione individuale o di gruppo come motore dell’aggregazione giurisdizionale (Hooge, Marks, 2001b; Marks, Hooge, 2005). L’ampia numerosità di giurisdizioni è motivata dalla altrettanto ampia numerosità di preferenze che gruppi di cittadini possono avere all’interno del sistema sociale in cui vivono e che determina l’esigenza di creare nuove giurisdizioni. In questa accezione, quindi, ciascun bene pubblico, a qualsiasi livello sia considerato, può essere oggetto di una specifica giurisdizione che opererà per internalizzare le economie esterne che derivano dalla produzione del bene medesimo. Ne consegue una reale possibilità di sovrapposizione territoriale delle competenze, visto che le giurisdizioni non saranno necessariamente, come nel caso precedente, mutuamente esclusive.

14 Modelli di Multi Level Governance (MLG)
Modello diffuso Per il funzionamento di un sistema di questo tipo non risulta necessaria l’esistenza di una architettura istituzionale rigida e formale, in quanto non è indispensabile l’esistenza di una gerarchia tra le diverse giurisdizioni. Sarà interesse di tutti gli attori del modello di minimizzare le relazioni tra le giurisdizioni, cercando altresì di massimizzare le relazioni tra i componenti all’interno delle giurisdizioni. Esempi di modello diffuso adottati in ambiente comunitario PIC Interreg PIC Urban PIC Leader Patti territoriali per l’occupazione Progetti Integrati Territoriali Partecipazioni pubblico-privato

15 La Multi Level Governance comunitaria
Potestà legislativa ed esecutiva UE Stato Regione Ente locale Solo potestà esecutiva Privato

16 Obiettivi dell’azione comunitaria
Incremento del reddito e dell’occupazione Riduzione delle divergenze strutturali (convergenza) Miglioramento dell’efficienza della P.A. (obiettivo/strumento) Obiettivi trasversali dell’azione comunitaria Ambiente Pari Opportunità Internazionalizzazione

17 Verifica dell’ipotesi di convergenza in Italia
TMAV PILpc PILpc 1995 3 2,8 2,6 2,4 2,2 2 1,8 1,6 1,4 1,2 1 Lombardia Piemonte Valle d’Aosta Liguria Sardegna Abruzzo Campania Puglia Sicilia Molise Basilicata Calabria Umbria Lazio Marche Toscana Friuli Venezia Giulia Trentino Alto Adige Veneto Emilia Romagna

18 Cosa è successo in Italia in quegli anni
Stato – Regioni – Enti locali L’evoluzione del sistema regionale italiano La svolta degli anno ‘90 La Nuova Programmazione – Recepimento dei principi di: - sussidiarietà - partenariato - concertazione - programmazione dal basso - sviluppo locale - crescita endogena

19 La modifica degli assetti istituzionali
1. Elezione diretta dei Presidenti delle Regioni Conseguimento della stabilità politica 2. Riforma del Titolo V della Costituzione Ampliamento della capacità legislativa regionale 3. Responsabilizzazione delle amministrazioni locali nei processi decisionali e di programmazione della spesa Applicazione del principio di sussidiarietà (Leggi Bassanini)

20 ? Programmazione e finanza a livello regionale POR PON PIC
Altre azioni comunitarie UE PSR Bilancio Mercato REGIONE ? Contratti di programma area Patti territoriali IIP e APQ Leggi ordinarie STATO

21 Gli strumenti della programmazione regionale
Praticamente tutte le Regioni hanno adottato nuove leggi di contabilità Le leggi prevedono “in genere” l’adozione di due strumenti: A. Il Piano Regionale di Sviluppo (PRS) B. Il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria Regionale (DPEFR)

22 Programmazione e finanza a livello regionale
POR PON PIC Altre azioni comunitarie UE PSR Bilancio Mercato REGIONE PRS DPEFR Contratti di programma area Patti territoriali IIP e APQ Leggi ordinarie STATO

23 Sviluppo regionale: i modelli teorici
Sviluppo equilibrato (modello neoclassico) Assenza di intervento pubblico Convergenza “naturale” dei sistemi regionali Sviluppo ineguale (modelli di concentrazione-diffusione, crescita endogena, crescita esogena trainata dalle esportazioni) Divergenza dei sistemi regionali Necessità di intervento pubblico se l’equità è obiettivo di politica economica

24 Sviluppo regionale: il modello neoclassico
Regione sviluppata Regione non sviluppata Alta intensità di capitale Bassa intensità di capitale Alta occupazione Bassa occupazione Rendimenti del capitale bassi Rendimenti del capitale alti Alti salari Bassi salari Hyp: perfetta mobilità dei fattori lavoro e capitale

25 Sviluppo regionale: il modello neoclassico (segue)
Regione sviluppata Regione non K Si riducono i w Aumenta l’intensità di K Aumenta la redditività di K Aumentano i w

26 Sviluppo regionale: il modello neoclassico (segue)
La funzione di produzione e il ruolo del progresso tecnico Y = f(K,L) K = capitale L = lavoro Y = Ka L1-a Progresso tecnico incorporato nei fattori (esogeno) disincorporato (endogeno) Se con A chiamiamo il progresso tecnico disincorporato: Y = A Ka L1-a

27 Sviluppo regionale: il modello neoclassico (segue)
La funzione di produzione e il ruolo del progresso tecnico Y K y = A Ka L1-a y = Ka L1-a y1 y0 k0

28 Sviluppo regionale: il modello neoclassico (segue)
La funzione di produzione e il ruolo del progresso tecnico Y = A Ka L1-a Passiamo ai logaritmi e deriviamo rispetto al tempo y = a + ak + (1-a)l y, a, k, l = tassi di crescita nel tempo y –l = reddito pro-capite o produttività k – l = rapporto capitale lavoro y - l = a + a(k – l) La crescita della produttività (reddito pro-capite) è uguale alla crescita del progresso tecnico e del rapporto capitale - lavoro In assenza di PT il reddito pro-capite aumenta solo se la crescita del capitale eccede la crescita del lavoro

29 Sviluppo regionale: il modello neoclassico (segue)
Il tasso di crescita del capitale (k) dipende da:

30 Sviluppo regionale: il modello neoclassico (segue)
produttività marginale del lavoro nella regione ricca produttività marginale del lavoro nella regione povera w nella regione ricca w nella regione povera wn w* w* ws L L* DL

31 Dove si localizza una nuova impresa?
Quali sono le determinanti per la sua localizzazione? Costo di trasporto Impostazione storica ma non soddisfacente

32 Esistono costi di produzione differenziati nello spazio
Costi del lavoro Costi del capitale Costi di formazione e acquisizione della tecnologia Griglie salariali Tassi di interesse praticati dalle banche Presenza/Assenza di Università e Centri di Ricerca Queste differenze possono determinare un vantaggio localizzativo da parte delle imprese

33 Tipi di localizzazione
Concentrata Dispersa Economie di agglomerazione Implicita Esplicita Dove l’impresa nasce Dove l’impresa si trasferisce Incubazione Ciclo di vita: del prodotto dell’impresa

34 Economie di agglomerazione
Von Thunen (1875) Localizzazione presso i grandi centri Marshall Economie esterne Richardson (1969) Tre tipi di economie di agglomerazione Economie di scala Interne alle imprese Economie di localizzazione Interne al settore ma esterne alle imprese Economie di urbanizzazione Esterne al settore ed alle imprese

35 Economie di scala Ripartizione dei costi fissi su una produzione maggiore Riduzione dei costi medi Economie di soglia Diseconomie Flessibilità Costi di trasferimento delle informazioni Conflitti di interesse

36 Economie di localizzazione
Vantaggi per i legami tra attività economiche compresenti Connessioni di produzione: Disponibilità locale di: Materie prime Semilavorati Manodopera specializzata Macchinari Tecnologie Connessioni di servizio: Disponibilità locale di: Servizi di manutenzione Servizi di assistenza Servizi di consulenza Connessioni di mercato Riduzione dei costi di transazione Circolazione delle informazioni

37 Economie di urbanizzazione
Accesso ai servizi Mercato del lavoro Accesso alle informazioni Diseconomie Costi di congestione Salari più alti Rendite crescenti

38 Processi impliciti di localizzazione
Natalità delle imprese L’incubatrice Le imprese nascono in un’area centrale (incubatrice) Si trasferiscono a seguito della crescita dimensionale Modello filtering down (Berry 1973) Settori innovativi Centro Settori maturi Periferia

39 La volontà di formare una nuova impresa
Gradi di imprenditorialità di un’area Gli elementi Motivazione Capacità Ambiente esterno Opportunità

40 Economie di localizzazione Struttura industriale Struttura sociale Incubatrice Nuova impresa Famiglia Economie di urbanizzazione Economie di scala Struttura urbana

41 Sviluppo per poli come politica di sviluppo dei governi regionali (Perroux, 1955)
Effetto di trascinamento di altre imprese Impresa trainante Subfornitura Sviluppo squilibrato sia settorialmente che territorialmente Sviluppo di sistemi territoriali integrati verticalmente Esperienze passate Politiche attuali Cassa per il Mezzogiorno Sostegno diretto

42 I modelli territoriali di piccole e medie imprese
1. Imprese di piccole dimensioni 2. Territori circoscritti 3. Specifiche caratteristiche dei processi produttivi 4. Specifiche caratteristiche sociali e culturali del territorio 5. Specifiche relazioni tra le imprese 6. Specifiche relazioni tra le imprese e il territorio

43 Piccole imprese Medie imprese Imprese artigiane Dimensione Esclusa Grande impresa Competitività non determinata dalle economie di scala

44 Territorio Dimensione limitata Generalmente aree sub-provinciali Generalmente aree pluri-comunali I Sistemi Locali del Lavoro SLL

45 Processi produttivi Scomponibilità delle fasi di lavorazione Imprese sussidiare (macchinari) Scomponibilità del lavoro Specializzazione del lavoro Qualità del Capitale Umano Specializzazione settoriale

46 Mantenimento dell’efficienza dinamica
Capacità adattativa Capacità innovativa Mantenimento della competitività Riduzione dei costi di transazione Riduzione dei costi di informazione Riduzione dei costi di apprendimento

47 Il contesto sociale Atmosfera industriale Qualificazione sociale Coinvolgimento istituzionale Identificazione e senso di appartenenza Storia e cultura

48 Imprese familiari Ruolo degli enti pubblici Impresa Residenza Problemi nella crescita?

49 Relazioni tra imprese Concorrenza Cooperazione Relazioni tra imprese e territorio A Rapporto di scambio sistematico B Creazione di un humus locale

50 Teoria della base economica
Settore di base: esportazioni (X) Settore non di base: consumo interno (C-M) Modello semplificato Y = (C – M) + X M = mY C = cY X = X* Y = cY - mY + X* maggiore c-m, maggiore il moltiplicatore

51 Modello del reddito interregionale
Assunzioni: Due sole regioni Tassazione proporzionale Investimenti e spesa pubblica esogeni Importazioni endogene Esportazioni esogene per la regione i ma endogeni nella j

52 Modello del reddito interregionale

53 La teoria del “ciclo del progetto”
Fabbisogni del territorio Domanda Definizione dei progetti o Programmi Valutazione ex-ante Realizzazione Monitoraggio e Valutazione “in itinere” Fase successiva Completamento ed effetti sul territorio Valutazione ex-post

54 Ciclo di un Programma Operativo
Retroazione Obiettivi generali specifici Obiettivi di realizzazione Efficienza Efficacia Impatti Risultati Realizzazioni Pertinenza Bisogni Risorse S W O T Attività Indicatori Quadro Logico Misure/ Coerenza

55 Struttura di un Programma Operativo Regionale
POR Assi Misure Progetti

56 Il Quattro sfide per il futuro Necessità di una maggiore coesione Rafforzamento delle priorità dell’Unione Maggiore qualità per promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile Un nuovo partenariato per la coesione

57 Il Tre priorità comunitarie Convergenza:sostegno della crescita e della creazione di impieghi nelle regioni e negli Stati membri (78% dei fondi) Competitività regionale e occupazione: anticipazione e promozione del cambiamento (18% dei Fondi) Cooperazione territoriale europea: promozione dello sviluppo armonico ed equilibrato del territorio dell’Unione (4% dei fondi)

58 Il 2007-2013 2000-2006 2007-213 Obiettivi Strumenti finanziari
Fondo coesione Fondo coesione Convergenza e Competitività Fondo coesione FESR FSE Obiettivo 1 FESR FSE FEOGA – Orient. SFOP Competitività regionale e occupazione Livello regionale Livello nazionale (strategia europea per l’occupazione) Obiettivo 2 FESR FSE FESR FSE Obiettivo 3 FSE INTERREG FESR FSE FEOGA – Orient. Cooperazione territoriale europea FESR URBAN EQUAL LEADER + Sviluppo rurale e pesca Fuori Ob. 1 FEOGA - Garanzia SFOP 9 Obiettivi 6 strumenti 3 Obiettivi 3 strumenti

59 Processi di programmazione a confronto
Ob. 1 e Ob. 3: Piano di sviluppo QCS Programmi operativi (nazionali e regionali) - Complementi di programmazione Orientamenti strategici da parte del Consiglio Europeo Obiettivi di convergenza e competitività regionale: Quadro di riferimento strategico nazionale (Stato membro) Decisione della Commissione - Presentazione Programmi operativi (Stato membro) - Decisione della Commissione Ob. 2: Piano di sviluppo Documento unico di programmazione Complemento di programmazione

60 Le principali “innovazioni”
1. I programmi sono monofondo 2. Scompaiono il FEASR e il FEP dai Programmi Scompare l’integrazione tra fondi e in genere la programmazione integrata Scompare la struttura di programma in assi e misure (rimangono solo gli assi o “priorità”) 5. Si riduce la premialità al 3% (rimane il disimpegno) 6 Si articola (complica?) il sistema di controlli (certificazione e audit) 7. Il sistema di valutazione è molto più generico e approssimativo

61 Si semplifica qualcosa nel governo a livello regionale?
PO fesr PO fse FEASR Altre azioni comunitarie UE FEP Bilancio Mercato REGIONE Contratti di programma area Patti territoriali IIP e APQ Leggi ordinarie STATO

62 POR Programmazione Leader Agricoltura Equal Lavoro Interreg Presidenza Urban Urbanistica PSR Agricoltura - Foreste Azioni Innovative APQ Vari Contratti di programma Industria Contratti di area ANAS - Ferrovie Lavori pubblici Leggi stettore

63 Basi dati per l’analisi economica
ISTAT Contabilità regionali: Conto Risorse / Impieghi – Conto Distribuzione del PIL ISTAT – MEF Indicatori di contesto chiave: 93 indicatori articolati nei 6 Assi del QCS Unioncamere Dati Movimprese sulla consistenza e la dinamica imprenditoriale (Infocamere): dati per regione, anno (trimestre) e settore ISTAT ISTAT Censimenti (Industria, Popolazione, Agricoltura) ISTAT Dati popolazione per trimestre (anno) Dati forze lavoro per trimestre (anno)

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68 Il prodotto interno lordo
Valori in Milioni di euro 1995 Popolazione (000 di unità) PIL pro capite Prodotto interno lordo Molise Calabria ITALIA Mezzogiorno 1995 4.137 20.197 331,8 2076,0 57300,8 20869,2 12,5 9,7 16,1 10,7 1996 4.168 20.504 331,1 2075,0 57396,9 20905,5 12,6 9,9 16,3 10,8 1997 4.343 20.809 330,3 2072,6 57512,1 20933,5 13,1 10,0 16,6 11,1 1998 4.370 21.133 329,4 2067,9 57588,0 20927,2 13,3 10,2 16,8 11,3 1999 4.325 21.860 328,5 2057,6 57646,4 20890,1 13,2 10,6 17,1 11,6 2000 4.498 22.310 327,6 2046,9 57762,1 20859,9 13,7 10,9 17,6 11,9 2001 4.633 22.864 327,2 2043,3 57844,0 20850,2 14,2 11,2 17,9 12,2

69 Investimenti fissi lordi
Valori in Milioni di euro 1995 % sul PIL Investimenti fissi lordi Molise Calabria ITALIA Mezzogiorno 1995 853 4.131 42.521 20,63 20,45 18,34 19,04 1996 865 4.288 43.631 20,74 20,91 18,80 19,34 1997 947 4.872 46.796 21,81 23,41 18,81 20,20 1998 907 4.919 49.020 20,77 23,28 19,22 1999 1.002 5.130 49.288 23,16 23,47 19,86 20,40 2000 1.221 4.836 53.077 27,15 21,68 21,40 2001 1.211 5.407 54.733 26,13 23,65 20,80 21,59

70 Consumi finali delle Pubbliche Amministrazioni
- Spesa per consumi finali delle AA.PP. Molise Calabria ITALIA Mezzogiorno 1995 1019,5 5990,9 164819,0 59747,1 24,65 29,66 17,86 26,76 1996 1042,9 6051,3 166475,7 60764,4 25,02 29,51 17,84 26,94 1997 1025,8 5995,3 166845,0 60880,2 23,62 28,81 17,52 26,28 1998 1015,5 5963,6 167188,4 60825,5 23,24 28,22 17,25 25,74 1999 1021,4 6019,5 169401,0 61512,8 27,54 17,19 25,46 2000 1029,1 6051,2 172167,1 62123,0 22,88 27,12 16,94 25,04 2001 1062,7 6233,6 178280,9 63935,3 22,94 27,26 17,23 25,22

71 Importazioni nette Valori in Milioni di euro 1995 Pro capite 1995 1996
Molise Calabria ITALIA Mezzogiorno 1995 356,8 5527,6 -25923,1 37950,2 107,53 133,82 - 15,31 89,25 1996 375,8 5426,7 -30348,5 37770,7 43,46 126,56 - 17,30 86,57 1997 315,5 6266,3 -24473,9 40390,2 33,30 128,62 - 13,66 86,31 1998 415,0 6537,7 -13612,8 44462,2 45,73 132,91 - 7,31 90,70 1999 501,9 6656,6 -726,6 44754,9 50,10 129,76 - 0,37 90,80 2000 598,7 5712,7 -6811,3 43330,5 49,02 118,12 - 3,25 81,64 2001 537,3 6242,8 -8071,8 43310,7 44,38 115,47 - 3,75 79,13

72 Consumi delle famiglie
Valori in Milioni di euro 1995 % sul PIL - Spesa per consumi finali delle famiglie Molise Calabria ITALIA Mezzogiorno 1995 2589,4 15406,3 549753,4 156428,5 62,60 76,28 59,56 70,06 1996 2607,7 15450,1 554215,1 157356,4 62,56 75,35 59,39 69,75 1997 2661,2 15883,6 572391,8 162117,8 61,28 76,33 60,12 69,99 1998 2732,1 16500,7 589722,0 167747,8 62,52 78,08 60,85 70,98 1999 2811,8 16825,0 603758,8 171332,1 65,02 76,97 70,92 2000 2899,9 17144,4 622682,3 175450,8 64,47 76,84 70,73 2001 2944,2 17293,2 628367,4 177150,7 63,54 75,64 60,74 69,89

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74 Verifica dell’ipotesi di convergenza in Italia
TMAV PILpc PILpc 1995 3 2,8 2,6 2,4 2,2 2 1,8 1,6 1,4 1,2 1 Lombardia Piemonte Valle d’Aosta Liguria Sardegna Abruzzo Campania Puglia Sicilia Molise Basilicata Calabria Umbria Lazio Marche Toscana Friuli Venezia Giulia Trentino Alto Adige Veneto Emilia Romagna

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