La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore

La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore

Mente, linguaggio ed evoluzione

Presentazioni simili


Presentazione sul tema: "Mente, linguaggio ed evoluzione"— Transcript della presentazione:

1 Mente, linguaggio ed evoluzione
Erica Cosentino Università di Roma “Tor Vergata” a.a. 2010/11 Titolo del corso: Mente, linguaggio ed evoluzione Testi d’esame: Chomsky, N. (1991), Linguaggio e problemi della conoscenza, Il Mulino, Bologna. Pinker, S. e Bloom, P. (2010), Linguaggio naturale e selezione darwiniana, Armando Editore, Roma. Oppure: Pinker, S. (1997), L’istinto del linguaggio, Mondadori, Milano.

2 Il problema della natura umana
«Questo contesto presenta due aspetti: la tradizione della filosofia occidentale e della psicologia, che si sono occupate della comprensione della natura essenziale degli esseri umani, e il tentativo della scienza contemporanea di affrontare le domande tradizionali alla luce di ciò che sappiamo o possiamo sperare di conoscere riguardo agli organismi viventi e riguardo al cervello» Chomsky, 1988, trad. it. p. 3

3 Linguaggio e natura umana
«Di fatto, lo studio del linguaggio è centrale in entrambi i tipi di ricerca (…). Ci sono varie ragioni per le quali il linguaggio ha avuto e continuerà ad avere un significato particolare per lo studio della natura umana. Una ragione è che il linguaggio sembra veramente essere una proprietà unica della specie umana nella sua essenza e comune alla nostra dotazione biologica, che presenta variazioni minime tra gli esseri umani a parte alcune patologie particolarmente gravi. Inoltre, il linguaggio entra in modo cruciale nel pensiero, nelle azioni e nelle relazioni sociali. Infine il linguaggio è relativamente accessibile allo studio» Chomsky, 1988, trad. it. p. 4

4 Due domande sulla natura umana
Che cos’è la natura umana? Come riconosciamo gli esseri umani? «Non si è ancora mai osservato che una bestia sia giunta a tal grado di perfezione da utilizzare un vero linguaggio, cioè da indicare con la voce o con segni qualche cosa che potesse riferirsi al solo pensiero e non all’istinto naturale. La parola, infatti, è l’unico segno certo del pensiero nascosto nel corpo e di essa si servono tutti gli uomini, anche i più stupidi e i più insensati, persino quelli che son privi della lingua e dell’organo della voce, ma non le bestie: essa dunque può essere assunta come la vera differenza tra gli uomini e i bruti» Cartesio, Lettera DXXXVII a Henry More, 5 febbraio 1649; trad. it.in Cartesio, Segno e linguaggio, a cura di C. Stancati, Roma, Editori Riuniti, p. 183.

5 Darwin VII VIDEO UNLEARNED COMBINED VIDEO LEARNED COMBINED

6 Cosa rende gli esseri umani ciò che sono?
Dani Papua Nuova Guinea Indiani Hopi Eschimesi Medioevo Svizzera

7 La dissoluzione della natura umana (1)
Natura umana e diversità culturale «Ho veduto tutti i paesi e gli uomini cambiare; e così, dopo molti cambiamenti di giudizio nei confronti della vera giustizia, mi sono convinto che la nostra natura non è se non continuo mutamento, e da allora non ho più mutato». Pascal, 1669 [1962, p. 132] «Ho una gran paura che questa natura [la natura umana] sia anch’essa un primo costume, così come il costume è una seconda natura… Il costume è la nostra natura» (ibid., p. 116) Se si guardava all’umanità da questo punto di vista – dal punto di vista dell’infinità varietà delle forme di vita – poteva sembrare che la mera identità biologica della specie, l’essere Homo sapiens sapiens, non implicasse poi granché: a quanto pareva, quell’identità biologica non vincolava né i nostri concetti né le nostre credenze, non determinava come erano fatte le nostre famiglie (là dove c’erano famiglie), le nostre religioni (dove esistevano religioni), i nostri sistemi educativi (per chi ne aveva uno), i nostri costumi sessuali, nulla di ciò che si era abituati a considerare propriamente umano.

8 La dissoluzione della natura umana (2)
Dissociazione tra biologia e cultura Foucault (1966, Le parole e le cose): «L’uomo è un’invenzione recente» (p. 398). «Quel che voleva dire era che l’uomo come oggetto di studio delle scienze umane era nato da poco più di centocinquant’anni: l’uomo che non soltanto “vive, parla e produce” (tutte cose che gli uomini fanno da ben più di un secolo e mezzo), ma si rappresenta la sua vita, il suo lavoro e il suo linguaggio. L’uomo che è oggetto delle scienze umane, e di cui Foucault dice che è un’invenzione recente, è un produttore di cultura; le scienze umane nascono nel momento in cui la produzione di cultura – l’elaborazione, la fruizione e lo scambio di rappresentazioni di sé – sequestra l’identità dell’uomo, e l’uomo culturale si dissocia dall’uomo biologico» (Marconi, 2001, p. 124) L’uomo di cui parlano le scienze umane non si dà mai nel modo d’essere di un funzionamento biologico […] esso inizia là dove cessa, non l’azione o gli effetti, ma l’essere proprio di questo funzionamento (Foucault, 1966, p. 363)

9 La dissoluzione della natura umana (3)
«Se l’uomo è essenzialmente un produttore di cultura, ciò che egli è finisce per dipendere dalla cultura che produce; se non ci sono oggetti naturali ma solo oggetti culturali, anche l’uomo è un oggetto culturale, nient’altro che la più brillante delle sue invenzioni; e anzi non un oggetto culturale, ma una miriade di oggetti culturali, tanti quanti sono i progetti di umanità elaborati dalle singole culture e all’interno di ciascuna di esse. Quindi la natura umana per un verso si moltiplica nelle forme di vita umana caratteristiche delle diverse culture, e per altro verso si svuota di contenuto, diventando una tabula rasa su cui disegnare ipotesi di umanità che hanno lo statuto di personaggi letterari»

10 Il paradigma dell’incompletezza e la dissociazione tra uomo e animali
Da un punto di vista morfologico – a differenza di tutti i mammiferi superiori – l’uomo è determinato in linea fondamentale da una serie di carenze […] Manca in lui il rivestimento pilifero, e pertanto la protezione naturale dalle intemperie; egli è privo di organismi difensivi naturali, ma anche di una struttura somatica atta alla fuga […] manca di istinti autentici e durante […] l’intera infanzia ha necessità di protezione per un tempo incomparabilmente protratto. In altre parole in condizioni naturali, originarie, trovandosi, lui terricolo, in mezzo ad animali valentissimi nella fuga e ai predatori più pericolosi, l’uomo sarebbe già da gran tempo eliminato dalla faccia della terra. (Gehlen, 1940, trad. it., p. 60) L’uomo è abissalmente distante dall’animale perché privo di quel connotato tipico dell’animale che è l’istinto (Galimberti, 1999, p. 35) Per effetto di questa carenza, l’uomo, per vivere, è costretto a costruire quel complesso di artifici, o tecniche, capaci di supplire all’insufficienza di quei codici naturali che, per gli animali, sono gli istinti (ibid., p. 89)

11 La dissoluzione della natura umana (4)
«Conclusione (…): la varietà delle lingue testimonia l’indipendenza del linguaggio dalla biologia; ma una lingua è il cuore di una cultura e il veicolo – se non l’essenza – di una forma di pensiero; dunque ciò che nell’uomo è naturale (nel senso biologico del termine) non determina ciò che nell’uomo è propriamente umano, il suo pensiero e la sua cultura. L’espressione “natura umana” diventa quasi un ossimoro: ciò che è propriamente umano non è naturale» (Marconi, 2000, p. 128)

12 La dissoluzione della natura umana (5)
La mente esteriorizzata Relativismo culturale e determinismo linguistico Chomsky: teoria degli universali Comportamentismo (il ruolo dell’esperienza e la plasticità degli organismi) Chomsky: innatismo e modularità

13 Da Scienza e linguistica (Whorf, 1956)
Ipotesi Sapir-Whorf Determinismo linguistico (I pensieri delle persone sono determinati dalle categorie della loro lingua) Relativismo culturale (Lingue diverse determinano pensieri diversi) Da Scienza e linguistica (Whorf, 1956) Il bersaglio polemico è la “logica naturale”: l’idea che esista un pensiero puro (fondamento della razionalità) indipendente dalle forme della sua espressione (la lingua è un modo di esprimere qualcosa che viene prima e che è dato autonomamente).

14 Relativismo culturale e determinismo linguistico
Cultura “A” Cultura “B” In La relazione del pensiero abituale e del comportamento col linguaggio, Whorf inizia la trattazione ricordando il periodo di lavoro prestato presso una compagnia assicurativa. Dall’analisi relativa ai casi di incendio è emerso che «non soltanto una situazione fisica in quanto tale, ma anche il significato che aveva per la gente, poteva, attraverso il comportamento cui dava origine, diventare talora causa dell’inizio di un incendio» (Whorf, 1939, trad. it. p. 100). Quello che preme sottolineare a Whorf è il legame stretto tra significato (ovvero lo strumento con cui interpretare linguisticamente la realtà esterna) e comportamento degli individui. «E l’importanza del significato diventava chiarissima quanto si trattava si un significato linguistico, presente nel nome della situazione o nella descrizione linguistica comunemente datane» (ivi, p. 100). «Così, accanto a un deposito di quelli che si chiamano “fusti di benzina”, il comportamento sarà di un certo tipo, cioè si farà molta attenzione; mentre accanto a un deposito di quelli che si chiamano “fusti di benzina vuoti” esso tenderà ad essere differente, cioè trascurato: non si eviterà di fumare o di gettare intorno mozziconi di sigarette. Eppure i fusti “vuoti” sono forse più pericolosi, perché contengono vapore esplosivo. Fisicamente la situazione è pericolosa, ma l’analisi linguistica, secondo la normale analogia, deve usare la parola “vuoto” che suggerisce inevitabilmente mancanza di pericolo. La parola “vuoto” è usata in due contesti linguistici diversi: 1) nel senso in cui si dice “spazio vuoto”, come sinonimo di “nullo, negativo, inerte”; 2) applicato a un’analisi di una situazione fisica in cui non si tiene conto di vapore, tracce di liquido e residui sparsi nel serbatoio. Alla situazione si dà un nome in un contesto (2), mentre ci si comporta in essa o “la si vive” in un altro (1); questa è la formula generale per il condizionamento linguistico del comportamento in forme pericolose» (Whorf, 1939, trad. it. p. 100). Ma cosa rende possibile questa relazione stretta tra lingua e comportamento? Alla base dell’ipotesi di Whorf è il determinismo linguistico e il relativismo linguistico. Questi due aspetti della sua ipotesi, su cui convergono gran parte dei suoi scritti, portano a radicalizzare una concezione per altro verso intuitiva e plausibile. Dall’idea per cui noi ci comportiamo in base a ciò che conosciamo circa una certa situazione, si passa all’idea per cui è il linguaggio (nello specifico, le lingue storico naturali) ciò che determina e costituisce le nostre interpretazione del mondo (determinismo linguistico) e che lingue diverse determinano interpretazione totalmente diverse. La strategia usata da Whorf per giustificare le diverse visioni del mondo di culture diverse è quella di mettere a confronto lingue europee con la lingua hopi rispetto al modo di render conto di esperienze fondamentali dei vissuti cognitivi degli individui come quelle relative a termini quali “tempo”, “spazio”, “sostanza” e “materia”. «La parte della ricerca di cui parlerò può essere riassunta in due domande: 1) i nostri concetti di “tempo”, “spazio” e “materia” ricevono dall’esperienza sostanzialmente la stessa forma per tutti gli uomini, o sono in parte condizionati dalla struttura delle singole lingue? 2) ci sono affinità individuabili tra a) le norme culturali e di comportamento e b) le strutture linguistiche generali?» (Whorf, 1939, trad. it. p. 104). Cosa c’è dietro questa connessione stretta tra linguaggio e cultura? Risposta: c’è una certa idea dei rapporti tra linguaggio e psicologia. Tale idea si sostanzia in due passi: la critica alla logica naturale (ovvero al primato del pensiero sul linguaggio). Il determinismo e il relativismo linguistico. Da Scienza e linguistica (Whorf, 1956) Il bersaglio polemico è la “logica naturale”: l’idea che esista un pensiero puro (fondamento della razionalità) indipendente dalle forme della sua espressione (la lingua è un modo di esprimere qualcosa che viene prima e che è dato autonomamente). La logica naturale si basa sull’idea intuitiva dei parlanti che, in quanto tali, sono esperti anche dei meccanismi del parlare. «La logica naturale dice che il parlare è soltanto un processo accidentale che ha a che fare soltanto con la comunicazione e non con la formulazione delle idee. Si ritiene che il parlare, o l’uso del linguaggio, “esprima” soltanto ciò che è già essenzialmente formulato in maniera non linguistica. La formulazione è un processo indipendente, chiamato pensiero o pensare, ritenuto in larga misura indipendente dalla natura delle lingue particolari. Le lingue hanno delle grammatiche, che si ritiene siano soltanto norme convenzionali di correttezza sociale, ma si ritiene che l’uso delle lingue debba essere guidato non tanto da esse quanto dal pensiero corretto, razionale o intelligente. Il pensiero, secondo questo modo di vedere, non dipende dalla grammatica, ma dalle leggi della logica o della ragione che si ritiene siano le stesse per tutti gli osservatori dell’universo e rappresentino la razionalità dell’universo, che può essere “trovata” indipendentemente da tutti gli osservatori intelligenti, che parlino cinese o choctaw» (Whorf, 1956, trad. it. p. 164). Errori della logica naturale: «Anzitutto non si rende conto che i fenomeni di una lingua in larga misura hanno per i suoi parlanti un carattere di sfondo e sono così al di fuori della consapevolezza critica del parlante che si attiene alla logica naturale. Quindi è probabile che, quando chi si attiene alla logica naturale parla della ragione, della logica e delle leggi del corretto pensiero, stia puramente marciando al passo con fatti puramente grammaticali, che hanno in qualche modo carattere di sfondo nella sua propria lingua o famiglia di lingue, ma che non sono assolutamente comuni a tutte le lingue e non sono in nessun senso un sostrato comune della ragione. In secondo luogo, la logica naturale confonde l’accordo su un argomento, raggiunto attraverso l’uso di una lingua, con la conoscenza dei processi linguistici attraverso cui l’accordo è raggiunto, cioè con il campo disprezzato (e, secondo essa, superfluo) del grammatico» (Whorf, 1956, trad. it. p. 167). Determinismo e relativismo linguistici «Quando i linguisti sono stati in grado di esaminare criticamente e scientificamente un gran numero di lingue con configurazioni assai differenti, la loro base di confronto si è estesa; essi hanno avuto esperienza della interruzione di fenomeni fino allora ritenuti universali, e un nuovo ordine di significati è venuto alla loro portata. Si è trovato che il sistema linguistico di sfondo (in altre parole la grammatica) di ciascuna lingua non è soltanto uno strumento di riproduzione per esprimere idee, ma esso stesso dà forma alle idee, è il programma e la guida dell’attività mentale dell’individuo, dell’analisi delle sue impressioni, della sintesi degli oggetti mentali di cui si occupa. La formulazione delle idee non è un processo indipendente, strettamente razionale nel vecchio senso, ma fa parte di una grammatica particolare e differisce, in misura maggiore o minore, in differenti grammatiche. Analizziamo la natura secondo linee tracciate dalle nostre lingue. Le categorie e i tipi che isoliamo dal mondo dei fenomeni non vengono scoperti perché colpiscono ogni osservatore; ma, al contrario, il mondo si presenta come un flusso caleidoscopico di impressioni che deve essere organizzato dalle nostre menti, il che vuol dire che deve essere organizzato in larga misura dal sistema linguistico delle nostre menti. Selezioniamo la natura, la organizziamo in concetti e le diamo determinati significati, in larga misura perché siamo partecipi di un accordo per organizzarla in questo modo, un accordo che vive in tutta la nostra comunità linguistica ed è codificato nelle configurazione della nostra lingua. L’accordo è naturalmente implicito e non formulato, ma i suoi termini sono assolutamente tassativi; non possiamo parlare affatto se non accettiamo l’organizzazione e la classificazione dei dati che questo accordo stipula» (Whorf, 1956, trad. it. pp ). «Siamo così condotti a un nuovo principio di relatività, secondo cui i differenti osservatori non sono condotti dagli stessi fatti fisici alla stessa immagine dell’universo, a meno che i loro retroterra linguistici non siano simili, o non possano essere in qualche modo tarati» (Whorf, 1956, trad. it. p. 170). Da Linguaggio, mente e realtà: «Di fatto il pensare è un’attività avvolta nel mistero e il chiarimento di gran lunga maggiore di essa è derivato dallo studio del linguaggio. Questo studio mostra che le forme del pensiero di una persona sono controllate da leggi strutturali inesorabili di cui egli è inconsapevole. Queste strutture sono complesse sistemazioni non percepite del suo proprio linguaggio, che vengono prontamente messe in luce dalle differenze rilevabili con un confronto con altre lingue, soprattutto con quelle di famiglia linguistica differente. Il suo stesso pensare è una lingua: in inglese, in sanscrito, in cinese. E ogni lingua è un vasto sistema strutturale, diverso dagli altri, in cui sono ordinate culturalmente le forme e le categorie, con cui la persona non solo comunica, ma analizza la natura, nota o trascura i tipi di relazioni o di fenomeni, incanala il suo ragionamento e costruisce l’edificio della coscienza» (Whorf, 1956, trad. it. p. 211). Importanza della lingua come luogo di sedimentazione dei valori di una cultura. La lingua, per il suo carattere sistematico, è lo strumento principe al servizio dell’idea di un ruolo costitutivo e non semplicemente espressivo delle idee e dei pensieri. 14

15 Ipotesi Sapir-Whorf «Il sistema linguistico di sfondo (in altre parole la grammatica) di ciascuna lingua non è soltanto uno strumento di riproduzione per esprimere idee, ma esso stesso dà forma alle idee, è il programma e la guida dell’attività mentale dell’individuo, dell’analisi delle sue impressioni, della sintesi degli oggetti mentali di cui si occupa. (…). Analizziamo la natura secondo linee tracciate dalle nostre lingue. Le categorie e i tipi che isoliamo dal mondo dei fenomeni non vengono scoperti perché colpiscono ogni osservatore; ma, al contrario, il mondo si presenta come un flusso caleidoscopico di impressioni che deve essere organizzato dalle nostre menti, il che vuol dire che deve essere organizzato in larga misura dal sistema linguistico delle nostre menti.» (Whorf, 1956, trad. it. pp ).

16 Linguaggio, pensiero, realtà
La suddivisione dello spettro elettromagnetico dipende da universali percettivi o è il prodotto di una struttura arbitraria imposta dalle lingue?

17 Vedere e pensare (1)

18 Vedere e pensare (2) Cubi impossibili

19 Il comportamentismo L’indefinita plasticità dell’uomo
«Datemi una dozzina di bambini di sana e robusta costituzione, e un ambiente organizzato secondo i miei specifici principi, e vi garantisco che, prendendo ciascuno di loro a caso, sarò in grado di farne lo specialista che desidero, sia esso un medico, un avvocato, un artista, un capoufficio vendite, e, perché no, anche un mendicante o un ladro. Il tutto senza tener conto dei suoi talenti, inclinazioni, attitudini, abilità, preferenze e della razza dei suoi antenati» (Watson, Behaviorism, 1925, pp ) Fondato sul presupposto della riducibilità dei termini mentali al comportamento manifesto (e sulla riducibilità di quest'ultimo allo schema stimolo-risposta), esso fornisce il criterio cui i ricercatori devono attenersi nelle loro indagini: l'analisi esclusiva dei comportamenti osservabili e verificabili intersoggettivamente S = Sete carenza di liquidi nel corpo R = movimento verso una sorgente

20 Quanto è importante lo stimolo percettivo? Il completamento amodale
Il ruolo dei processi di elaborazione interna dello stimolo esterno

21 La percezione va sempre oltre l’informazione data

22 Eşref Armağan, cieco congenito, (a) disegna il numero corretto di facce del cubo rispetto al punto di vista ed elimina le linee nascoste per effetto dell’occlusione delle facce in primo piano, (b) rispetta il “punto di fuga” tipico della prospettiva a b

23 Lo stimolo percettivo non è poi così importante…

24 La questione di Molyneux
«Immaginiamo un uomo nato cieco, ora adulto, al quale si è insegnato per mezzo del suo tatto a distinguere fra un cubo e una sfera dello stesso metallo e pressappoco della stessa grandezza, in modo che sia in grado, sentendo l’uno e l’altro, di dire qual è il cubo e qual è la sfera. Supponiamo ora di mettere il cubo e la sfera su un tavolo, e che al cieco sia data la vista: si domanda se, mediante la vista e prima di toccarli, egli saprebbe ora distinguerli e dire qual è il cubo e qual è la sfera?» (Locke, Saggio sull’intelletto umano, 1694, trad. it. p. 181)

25 La Questione di Molyneux: risposte
La risposta di Molyneux, fatta propria da Locke, è negativa: «No, perché, sebbene egli abbia appreso dall'esperienza la maniera in cui un globo o un cubo agiscono sul suo tatto, non ha tuttavia appreso dall'esperienza che ciò che agisce sul suo tatto in una data maniera deve agire sulla sua vista in una data maniera; non sa che l'angolo sporgente del cubo, che premeva in modo disuguale sulla sua mano, apparirà al suo occhio così com'è nel cubo» (ivi). Leibniz può essere considerato come il sostenitore della risposta positiva al problema: nei Nouveaux essais sur l'entendement humain (1765) egli sostenne la sostanziale identità delle idee di cubo e di sfera nel cieco e nel vedente. Per giustificare il fatto che i ciechi nati possano apprendere la geometria, dobbiamo, secondo Leibniz, fare riferimento ai principi della ragione comuni a tutti gli uomini. Soltanto per loro mezzo, infatti, essi riescono a discernere le figure: «nella sfera non vi sono punti che si differenziano, tutto essendovi unito e senza angoli, mentre nel cubo vi sono otto punti distinti da tutti gli altri. Se non vi fosse questo mezzo per discernere le figure, un cieco non potrebbe apprendere i rudimenti della geometria mediante il tatto» (Leibniz 1765; tr. it. p. 130)

26 La critica alla tabula rasa: le idee innate
Fisica ingenua Video biological motion

27 Fisica ingenua Giovanni Buridano: XIV secolo formula la teoria dell’impetus «Il motore, muovendo il mobile, gli imprime un impeto e una certa virtù motrice di quel mobile nella direzione della quale il motore lo muoveva, sia verso l’alto sia verso il basso, sia lateralmente, sia in cerchio». Gli studenti esaminati condividevano alcuni punti di questa impostazione. Essi pensavano che occorresse l’azione continua di una forza per mantenere un oggetto in moto, e pensavano che il venir meno di quella forza facesse rallentare l’oggetto, con o senza il concorso degli attriti» (Bozzi, 1990, p. 33).

28 Fisica ingenua Baillargeon et al., 1985, Object permanence in five-month-old infants, Cognition, 20, pp

29 Legge del contatto Fase di abituazione Fase test Recupero attentivo
Ball (1973), Spelke, Woodwaed, Philips (1993) Fase di abituazione Fase test Recupero attentivo *nove settimane/due anni, moto rettilineo uniforme Legge del contatto: non può esserci azione a distanza, gli oggetti influenzano il moto di altri oggetti se e solo se c’è contatto

30 Il principio di coesione
Fase di abituazione Fase test Il principio di coesione implica che tutte le parti di un oggetto continuano anche quando l’oggetto esce fuori dalla vista. Kellman e Spelke (1983) analizzano il modo in cui i bambini colgono l’unità degli oggetti testando la percezione del movimento di oggetti la cui parte centrale è nascosta alla vista. La questione da chiarire è se i bastoncini vengano percepiti come parti di un singolo oggetto o come due oggetti distinti. Quando viene tolto lo schermo ai bimbi viene dunque mostrato o un unico bastoncino lungo o due corti con uno spazio in mezzo. Se hanno visualizzato un oggetto singolo, la vista di un unico oggetto dovrebbe provocare noia, mentre la vista di due dovrebbero produrre una certa sorpresa. Al contrario, se hanno visualizzato due bastoncini, vederne uno dovrebbe sorprenderli, mentre la vista di due li dovrebbe annoiare. Dall’osservazione emerge che quando i due bastoncini si muovono in avanti e indietro in tandem, i bambini li vedono come un unico oggetto: mostrano sorpresa se togliendo lo schermo ve ne sono due. Quando invece gli oggetti non si muovono, i bimbi non si aspettano che costituiscano un unico oggetto, anche se i bastoncini sono dello stesso colore. Un oggetto è un insieme di parti connesse che si muovono insieme. Recupero attentivo *con bambini di quattro mesi

31 Fisica ingenua

32 Il principio di continuità
FASE DI ABITUAZIONE La pallina cade sulla piattaforma del piano. Dopo un breve periodo di osservazione, i bambini perdono interesse. FASE TEST Aggiungiamo una piattaforma. Quando la pallina cade e resta sulla piattaforma, i bambini non mostrano stupore. RECUPERO ATTENTIVO la pallina cade tra la prima e la seconda piattaforma. I bambini mostrano maggiore interesse quando osservano un evento impossibile.

33 Il principio di continuità
FASE DI ABITUAZIONE La palla rotola fino alla parete. FASE TEST La palla arresta il suo moto davanti all’ostacolo. I bambini osservano la scena annoiandosi. RECUPERO ATTENTIVO La palla rotola e attraversa l’ostacolo. I bambini trascorrono molto tempo ad osservare uno scenario impossibile.

34 La critica alla tabula rasa: le idee innate
Psicologia ingenua Video Heider & Simmel (1944)

35 Psicologia ingenua Heider & Simmel (1944) Un uomo ha programmato di incontrare una ragazza, ma la ragazza arriva con un altro. Il primo uomo dice al secondo di andarsene, il secondo dice al primo di andarsene ma lui scuote la testa. Allora i due uomini vengono alle mani e la ragazza comincia ad avviarsi verso la stanza per allontanarsi dalla strada ed esita, ma infine entra. A quanto sembra, lei non vuole stare con il primo uomo.   Si vede un grande triangolo pieno che entra in un rettangolo. Entra ed esce da questo rettangolo e ogni volta l’angolo e metà di uno dei lati del rettangolo formano un’apertura. Poi compaiono sulla scena un altro triangolo più piccolo e un cerchio. Il cerchio entra nel rettangolo mentre il triangolo più grande è dentro al rettangolo (...). (Baron-Cohen, 1995, trad. it. pp ).

36 Psicologia ingenua (2) Quel che è importante per decidere se vale la pena di difendere la psicologia del senso comune, è se di fatto se ne può fare a meno. E qui la situazione è assolutamente chiara. Non abbiamo la minima idea di come poter spiegare noi stessi a noi stessi, salvo che in un vocabolario che è saturo di psicologia delle credenze/desideri. Si è tentati di passare agli argomenti trascendentali: quel che Kant disse a Hume degli oggetti fisici vale, mutatis mutandis, per gli atteggiamenti proposizionali; non possiamo sbarazzarcene, perché non sappiano come farlo (Fodor, 1987, trad. it. p. 34).

37 La rappresentazione dello spazio
Tolman: comportamentismo o mappa cognitiva P P1 A 37

38 Esempio: la navigazione nello spazio delle formiche del deserto
Le rappresentazioni spaziali delle formiche sono vere e proprie mappe mentali 38

39 Illusione di Müller-Lyer
                                                                                                                                                                                                                           Illusione di Müller-Lyer

40 La stanza di Ames

41 La grammatica della visione
Le leggi della forma: vicinanza, eguaglianza, “forma chiusa”, forma buona, moto comune, esperienza G. Kanizsa: La grammatica del vedere (1980), Vedere e Pensare (1991)

42 La critica alla tabula rasa: Leibniz
Questa tabula rasa di cui si parla tanto non è, a mio avviso, che una finzione che la natura non tollera, fondata nelle nozioni incomplete dei filosofi come il vuoto, gli atomi e la quiete (…), o come la materia prima che si concepisce senza nessuna forma. (…) Per non dire che coloro che parlano tanto di questa tabula rasa, non saprebbero indicare ciò che le rimane dopo averle tolto le idee (…). Mi si risponderà forse che questa tabula rasa dei filosofi vuol dire che l’anima non ha naturalmente e originariamente che delle facoltà nude. Ma le facoltà senza qualche atto, in una parola le pure potenze degli scolastici, non sono altro che finzioni che la natura non conosce e che non si ottengono che facendo delle astrazioni. Poiché dove si potrebbe mai trovare nel mondo una facoltà che si fermi alla sola potenza senza esercitare alcun atto? Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, II, 2

43 Il comportamentismo L’apprendimento del linguaggio
Così come per i movimenti, anche per il linguaggio dobbiamo elementi fondamentali non appresi: i suoni vocalici non appresi che il bambino produce dal momento della nascita in poi. «a», «u», «uah». L’apprendimento del linguaggio utilizzando il condizionamento tra la presentazione di un biberon a un bambino di 5 mesi e lo stimolo sonoro “da” proferito insieme alla presentazione visiva del biberon al bambino. La procedura ripetuta più volte ha dato esito positivo: dopo un ciclo di condizionamento, il bambino diceva “dada” alla vista del biberon senza che la parola-stimolo veniva pronunciata dagli sperimentatori.

44 Il comportamentismo L’apprendimento del linguaggio
E’ chiaro ora che le abitudini verbali vengono costruite nello stesso modo delle abitudini manuali. Ricorderete che quando una serie di risposte (abitudini manuali) è organizzata attorno ad una serie di oggetti, possiamo attivare l’intera serie di risposte senza che sia presente la serie originaria di oggetti (ESEMPIO DELLA MUSICA SUONATA CON LO SPARTITO DAVANTI E POI SENZA SPARTITO). Ora sapete come spiegare questo fenomeno, sapete infatti che la prima risposta muscolare che effettuerete, il primo tasto che pigerete per iniziare la melodia, diventa il sostituto dello stimolo visivo della seconda nota. Gli stimoli muscolari (cinestetici) fungono ora da stimoli visivi e l’intero processo si evolve con regolarità come prima» (p. 228)

45 ORDINE SERIALE DEL COMPORTAMENTO
«Ora, la stessa cosa si verifica nel comportamento linguistico. Supponete di leggere dal vostro libretto (…) la frase «Ora-mi-metto-giù-a-dormire». La vista di «ora» produce la risposta consistente nel dire «ora», la vista di «mi» produce la risposta consistente nel dire «mi» (risposta 2), e così via per tutta la serie. Presto la semplice risposta consistente nel dire «ora» diventa lo stimolo motorio (cinestetico) per dire «mi». Ecco spiegato perché possiamo estraniarci dal mondo degli stimoli e parlare di immagini e di suoni che hanno luogo in posti distanti o di cose che si sono verificate anni fa. Una parola detta casualmente da un passante, una domanda posta da un amico o anche un’immagine o un suono attorno a voi possono attivare questa vecchia organizzazione verbale» (p. 228)

46 La critica di Chomsky al comportamentismo
La teoria della povertà dello stimolo Il riferimento alla competenza grammaticale trova nella «povertà dello stimolo» il suo punto di forza. Nella recensione a Verbal Behavior di Skinner, Chomsky (1959) sostiene che un’analisi in termini di «stimolo», «risposta» e «rinforzo» è insufficiente a dar conto di ciò che caratterizza il linguaggio in modo specifico. Rifacendosi al noto articolo di Lashley (1951), The Problem of Serial Order in Behavior, egli sottolinea l’impossibilità di apprendere la produzione fonetica di una parola a partire dalla sequenza dei suoni effettivamente ascoltata: a causa dei diversi tempi di attivazione dei muscoli dell’apparato fonatorio è impossibile infatti stabilire una relazione univoca tra suono e articolazione. Un caso più interessante ai nostri fini è quello della struttura sintattica: «La composizione e la produzione di un enunciato non si risolve semplicemente nel mettere in fila una sequenza di risposte sotto il controllo di una stimolazione esterna e di un’associazione intraverbale [poiché] l’organizzazione sintattica di un enunciato non è qualcosa che si trova rappresentata in modo semplice e diretto nella struttura fisica dell’enunciato stesso» (Chomsky, 1959, trad. it. p. 62). La sintassi (il costituente centrale della competenza grammaticale) è un sistema troppo complesso per poter essere derivato dall’esperienza. Non è dunque possibile parlare di apprendimento del linguaggio.  

47 La critica all’ordine seriale del comportamento
Contro la concezione associazionista del comportamento, secondo cui ogni elemento della serie fornisce l’eccitamento dell’elemento successivo, Lashley (1951) prende in esame la questione della produzione della parola. Il pronunciare la parola inglese “right”, ad esempio, «consiste dapprima in una retroazione ed elevazione della lingua, nell’espirazione di aria e nell’attivazione delle corde vocali; in un secondo tempo nell’abbassamento della lingua e della mandibola; in un terzo tempo elevazione della lingua fino a toccare la rima dentale, arresto della vocalizzazione e forzata espirazione di aria con depressione della lingua e della mandibola. Questi movimenti non hanno alcun ordine intrinseco di associazione». La stessa mancanza di una valenza temporale intrinseca degli elementi si ritrova anche ai successivi livelli di combinazione (quello delle parole in frasi, ad esempio): «In base a queste considerazioni, è certo che ogni teoria che attribuisce la forma grammaticale al diretto legame associativo delle parole della frase trascura il carattere essenziale della parola. I singoli elementi della serie temporale non hanno in sé una “valenza" temporale nelle loro connessioni associative con altri elementi. L’ordine è imposto da qualche altro fattore. Questo vale non solo per il linguaggio, ma per tutti i movimenti fini o successioni di movimenti fini». (Lashley, 1951, trad. it. p. 122)

48 La critica all’ordine seriale del comportamento
Lenneberg, I fondamenti biologici del linguaggio, 1967 «La complessità di questo meccanismo di regolazione può forse essere resa più evidente se lo paragoniamo a una grossa centrale di controllo del movimento di treni» (p. 23). «Secondo la teoria della catena associativa i movimenti dei singoli treni sono i segnali per il movimento di altri treni. Secondo la teoria del meccanismo centrale né i singoli treni né i loro movimenti hanno, di per sé, influenza sui movimenti di altri treni che li seguono nel tempo; è la tabella oraria delle partenze che regola l’insieme delle varie attività. I singoli treni e le loro corse possono essere parte di più programmi indipendenti. Secondo la prima teoria il macchinista di un treno B incomincia a muoversi dopo che ha visto arrivare il treno A. Secondo l’altra teoria, invece, il macchinista B può non utilizzare affatto l’informazione che gli viene da A dato che questa può essere parte di un programma differente in cui B non segue A; egli deve necessariamente ricevere i segnali dal regolatore centrale» (Lenneberg, trad. it. p. 24).

49 Serialità e struttura

50 Principio di dipendenza dalla struttura

51 Il principio della dipendenza dalla struttura (2)
Secondo tale principio la conoscenza del linguaggio si basa sulle relazioni strutturali che sussistono all’interno della frase e non sulla sequenza degli elementi che la costituiscono. Pur non essendo implicato da alcuna necessità logica, il principio di dipendenza dalla struttura si presenta come un vero e proprio universale linguistico: «tutte le operazioni formali conosciute della grammatica inglese, o di qualunque altro linguaggio sono operazioni dipendenti dalla struttura. Questo è un esempio molto semplice di un principio invariante del linguaggio, ciò che potrebbe essere chiamato principio linguistico formale universale o principio della grammatica universale. Dati questi fatti, è naturale postulare che l’idea delle operazioni dipendenti dalla struttura faccia parte dell’innato schematismo applicato dalla mente ai dati dell’esperienza» (Chomsky, 1971, trad. it. p. 41). Che il principio di dipendenza dalla struttura venga considerato come una condizione dell’esperienza linguistica (come un presupposto di tale esperienza) depone in favore del suo innatismo.

52 Il problema di Platone «Come mai gli esseri umani, il cui contatto con il mondo è così breve, personale e limitato, sono in grado di avere una conoscenza così ampia come di fatto hanno?» (p. 5) «Una variante moderna sarebbe che certi aspetti della nostra conoscenza e della nostra comprensione sono innati, cioè parte del nostro patrimonio biologico, geneticamente determinato esattamente come quegli elementi della nostra natura comune che fanno sì che ci crescano le braccia e le gambe e non le ali» (p. 6)

53 La critica di Chomsky al comportamentismo La povertà dello stimolo
Esiste uno scarto considerevole tra l’input e l’output del processo di acquisizione del linguaggio; il sovrappiù di informazione contenuto nell’output è fornito dal parlante/ascoltatore attraverso un’elaborazione interna che ha modificato l’input.

54 la formazione delle interrogative
Un esempio di argomento della povertà dello stimolo: la formazione delle interrogative (1) The man is tall Is the man tall? (2a) The man who is tall is in the room (2b) *Is the man who tall is in the room? (2c) Is the man who is tall in the room?

55 (Jackendoff, 1993, trad. it. pp. 188-89)
Creolizzazione «Comunque venga infine valutata questa spiegazione, il punto essenziale per la nostra visione d’insieme è che i bambini ascoltano il pidgin come fosse una lingua pienamente strutturata – cioè, impongono un’organizzazione ai dati forniti dall’ambiente circostante, e si tratta di un’organizzazione che va ben oltre quella effettivamente presente nelle espressioni verbali degli adulti dai quali essi apprendono. Ciò rappresenta una confutazione decisiva dell’idea secondo cui i bambini apprendono imitando quel che sentono dire e ‘assorbendo’ (in qualche modo) il linguaggio dall’ambiente. Dunque, abbiamo trovato un’altra solida conferma dell’argomento a favore della conoscenza innata – in base al quale, il bambino contribuisce attivamente, grazie a potenti risorse interne, all’apprendimento del linguaggio.» (Jackendoff, 1993, trad. it. pp )

56 La grammatica universale
«Secondo la dottrina centrale della linguistica cartesiana, i caratteri generali della struttura grammaticale sono comuni a tutte le lingue e riflettono certe proprietà fondamentali dello spirito. (...) Tali condizioni universali non vengono imparate; esse forniscono piuttosto i principi organizzativi che rendono possibile l’apprendimento del linguaggio e che devono esistere se i dati devono condurre alla conoscenza. Attribuendo tali principi allo spirito, quale proprietà innata, diventa possibile spiegare il fatto del tutto ovvio che il parlante di una lingua conosce molte cose che non ha imparato» (Chomsky, 1966, LC, trad. it. p. 97).

57 Pinker: il linguaggio è un istinto
«Il linguaggio non è un artefatto culturale che impariamo così come impariamo a leggere l’ora o a capire come funziona il governo federale. Il linguaggio è invece un pezzo a sé del corredo biologico del nostro cervello. Il linguaggio è un’abilità complessa specializzata, che si sviluppa spontaneamente nel bambino senza sforzo conscio o istruzione formale, che viene usato senza la coscienza della sua struttura logica, che è qualitativamente lo stesso in ogni individuo e che è distinto da capacità più generali come l’elaborare informazioni o il comportarsi in modo intelligente. (…). Pensare al linguaggio come a un istinto ne capovolge l’immagine tradizionale, in particolare quella tramandata dal canone delle scienze umane e sociali. Il linguaggio non è un’invenzione culturale più di quanto lo sia la posizione eretta» (1994, trad. it. p. 11).

58 FACOLTÀ DEL LINGUAGGIO
La facoltà del linguaggio DATI FACOLTÀ DEL LINGUAGGIO LINGUA ESPRESSIONI STRUTTURATE

59 Ciò che fa di un uomo un uomo
Vaucanson, Parigi 1738 Cosa rifare per rifare l’uomo?

60 Cartesio: la differenza qualitativa tra umani e non umani
«Se vi fossero macchine di questa specie, con gli organi e la forma esteriore di una scimmia o di qualche altro animale senza ragione, non avremmo alcun mezzo per riconoscere che esse non fossero in tutto della stessa natura di quegli animali; mentre al contrario, se ve ne fossero di rassomiglianti ai nostri corpi e capaci d’imitare le nostre azioni il più che possibile, avremmo sempre due mezzi certissimi per riconoscere che esse non sarebbero con ciò dei veri uomini. Il primo è che mai potrebbero usar parole o altri segni che le compongono, come noi facciamo per dichiarare agli altri i nostri pensieri. (...) Il secondo mezzo è che, anche se esse facessero molte cose altrettanto bene o forse meglio di alcuno di noi, sbaglierebbero infallibilmente in alcune altre, lasciando così scoprire che esse non agiscono per conoscenza ma per disposizione dei loro organi. Infatti, mentre la ragione è uno strumento universale che può servire in qualunque occasione, quegli organi invece hanno bisogno di una particolare disposizione per ogni azione particolare. Ora, da questi due stessi mezzi si può egualmente conoscere la differenza che passa tra gli uomini e le bestie; infatti è una cosa assai notevole che non vi sono uomini, per quanto ebeti e stupidi – che non siano capaci di comporre insieme diverse parole e di formare un discorso col quale possono far comprendere i loro pensieri; e al contrario non v’è altro animale, per quanto perfetto e felicemente dotato, che faccia lo stesso.» (Descartes, Discorso, pp ). 60

61 Cartesio: la differenza qualitativa tra umani e non umani
«Non si è ancora mai osservato che una bestia sia giunta a tal grado di perfezione da utilizzare un vero linguaggio, cioè da indicare con la voce o con segni qualche cosa che potesse riferirsi al solo pensiero e non all’istinto naturale. La parola, infatti, è l’unico segno certo del pensiero nascosto nel corpo e di essa si servono tutti gli uomini, anche i più stupidi e i più insensati, persino quelli che son privi della lingua e dell’organo della voce, ma non le bestie: essa dunque può essere assunta come la vera differenza tra gli uomini e i bruti» (Lettera DXXXVII a Henry More, 5 febbraio 1649; trad. it. p. 183).

62 Il ritorno della natura umana: la differenza qualitativa
«Per quanto ne sappiamo, il possesso del linguaggio umano è connesso con un tipo specifico di organizzazione mentale e non semplicemente con un grado superiore di intelligenza. Sembra inconsistente la concezione che il linguaggio umano è semplicemente un caso più complesso di qualcosa che deve essere reperito altrove nel mondo animale. Ciò pone un problema per il biologo, poiché se le cose stanno così, questo è un esempio di vera e propria “emergenza” – cioè, l’apparizione di un fenomeno qualitativamente differente a uno stadio specifico di complessità di organizzazione. Il riconoscimento di questo fatto, sebbene formulato in termini completamente diversi, ha motivato gran parte degli studi classici sul linguaggio condotti da coloro il cui interesse primario era la natura dello spirito. E mi sembra che oggi non ci sia un modo migliore o più promettente di esplorare le proprietà essenziali distintive dell’intelligenza umana, se non attraverso la ricerca particolareggiata sulla struttura di questo processo tipicamente umano» (Chomsky, 1972, trad. it. p. 212).

63 Linguistica cartesiana
CREATIVITA’ «In breve, dunque, l’uomo ha una capacità specifica della specie, un tipo unico di organizzazione intellettiva, che non può essere né attribuita a organi periferici né correlata con l’intelligenza in generale, e che si manifesta in quello che può essere chiamato l’ “aspetto creativo” del comune uso linguistico, la cui proprietà consiste nell’illimitatezza dell’ambito e nell’indipendenza da stimoli. Così, Descartes sostiene che il linguaggio può essere usato per la libera espressione del pensiero e per rispondere adeguatamente in qualsiasi nuovo contesto e che non è determinato da nessuna associazione fissa tra gli enunciati e gli stimoli esterni o gli stati fisiologici» (LC, p. 47).

64 Il problema di Cartesio
Il problema di come il linguaggio viene usato nel modo creativo usuale. Si noti che non mi sto occupando in questo caso di quell’uso del linguaggio che possiede un vero valore estetico, che si potrebbe chiamare vera creatività (…). Ciò che ho in mente è piuttosto qualcosa di più terreno: l’uso del linguaggio nella vita di tutti i giorni, con le sue proprietà distintive di novità, libertà dal controllo dagli stimoli esterni e dagli stati interiori, coerenza e consonanza con le situazioni e la sua capacità di evocare pensieri appropriati in colui che ascolta. (1988, tr. it. p. 117)

65 Il problema di Cartesio (2)
Il problema consiste nel fatto che una “macchina” viene costretta ad agire in una certa maniera entro certe condizioni ambientali e con i suoi componenti disposti in un certo modo, mentre un essere umano è solo “incitato e disposto” a comportarsi in questo modo. Gli esseri umani fanno spesso, o forse sempre, ciò che vengono incitati o disposti a fare, ma ciascuno di noi sa, sulla base dell’introspezione, di avere un’ampia scelta nel farlo (…). La differenza tra essere costretti ed essere semplicemente incitati e disposti è cruciale (1988, tr. it. pp ). Noi non possediamo ancora un modo per affrontare ciò che risulta essere un fatto, addirittura un fatto ovvio: le nostre azioni sono libere e non determinate nel senso che non dobbiamo necessariamente compiere ciò che siamo “incitati e disposti” a fare; e se facciamo ciò che siamo incitati e disposti a fare cionondimeno entra in gioco un elemento di libera scelta (1988, tr. it., p. 125).

66 Eliminare la libertà Benjamin Libet
L’intenzione cosciente emerge 350 msec dopo la comparsa del potenziale di preparazione. L’azione cosciente inizia a livello neurale come conseguenza dell’attività neurale, non come sua causa.

67 Dualismo cartesiano La differenza qualitativa della natura umana
Non esiste qualcosa come la “mente di un animale” perché gli animali sono puramente delle macchine, soggetti a spiegazione meccanica. Non è possibile in questa concezione che esista una mente umana distinta da altri tipi di mente o menti umane costituite in modo differente. Una creatura o è umana o non lo è; non ci sono “gradi di umanità”, non ci sono variazioni di sostanza tra gli esseri umani a parte gli aspetti fisici superficiali (1988, tr. it. p. 119).

68 Il problema di Cartesio (3)
Cartesio: soluzione metafisica alla creatività del linguaggio Chomsky: soluzione in riferimento ai limiti intrinseci della mente umana Supponiamo che gli esseri umani siano parte del mondo naturale. Essi hanno chiaramente la capacità di risolvere certi problemi. Segue allora che non hanno la capacità di risolvere altri problemi che sarebbero o troppo difficili da maneggiare nelle esistenti limitazioni di tempo, memoria e così via oppure vanno letteralmente al di là del dominio della loro intelligenza in modo intrinseco. La mente umana non può essere nei termini di Cartesio uno “strumento universale che può servire in tutti i casi”. Questa è una fortuna, perché se fosse un tal strumento universale, servirebbe egualmente male in tutti i casi. Non potremmo affrontare alcun problema con successo (1988, tr. it. p. 127).

69 Il problema di Cartesio (4)
Ritorniamo ancora al problema di Cartesio. Una ragione possibile per la mancanza di successo nel risolverlo o anche nel presentare delle idee sensate in merito ad esso è che non si trova nei limiti delle capacità intellettuali umane: il problema o è “troppo difficile”, data la natura delle nostre capacità, o sorpassa del tutto i loro limiti. C’è ragione di sospettare che le cose stiano così anche se non sappiamo abbastanza sull’intelligenza umana o sulle proprietà del problema per essere sicuri (1988, tr. it. p. 129). Lo stesso vale per le arti. Un lavoro di vero valore estetico segue dei canoni e dei principi che sono solo in parte soggetti a scelta umana; in parte essi riflettono la nostra fondamentale natura. Il risultato è che noi possiamo provare emozioni profonde – piacere, dolore, eccitazione e così via – in relazione a certi lavori creativi anche se il modo e il motivo rimangono ampiamente ignoti. Però, sono proprio le capacità della mente che aprono queste possibilità che ne escludono delle altre, alcune per sempre. I limiti della creatività artistica dovrebbero essere, ancora una volta, motivo di gioia non di dispiacere dal momento che seguono dal fatto che esiste un ricco dominio di esperienza estetica cui noi abbiamo accesso. (pp )

70 Natura umana: limiti e implicazioni
Lo stesso vale per i giudizi morali. Quale sia la loro base noi non lo sappiamo ma possiamo difficilmente dubitare che essi siano radicati nella natura dell’uomo. […] Una persona realmente onesta cercherà sempre di scoprire le forme di oppressione, di gerarchia, dominio ed autorità che infrangono i diritti umani fondamentali. Una volta che se ne sono superati alcuni, se ne possono rivelare altri che prima non entravano a far parte della nostra attenzione consapevole. Arriviamo allora ad una migliore comprensione di chi e di cosa siamo noi nel profondo della nostra natura e di chi e cosa dovremmo essere nella nostra vita reale (1988, tr. it. p ). È un diritto umano essenziale, radicato nell’”essenza umana”, essere in grado di elaborare attività produttive e creative sotto il proprio controllo e in solidarietà con gli altri. Se una persona crea qualche oggetto bello sotto una guida e un controllo esterni, Humboldt sosteneva, possiamo ammirare ciò che egli fa ma disprezziamo ciò che egli è – una macchina e non un essere umano nella sua pienezza. […] Bakunin sostenne che gli esseri umani hanno un “istinto di libertà” e che un’infrazione di questo tratto essenziale della natura umana è illegittima (p. 132). Si potrebbe osservare che ogni forma di impegno nella vita sociale si basa su assunti circa la natura umana, di solito solamente impliciti (p. 132).

71 Antidarwinismo Alcuni problemi hanno ricevuto una spiegazione scientifica soddisfacente, altri no. Il problema di Cartesio è oltre i limiti della comprensione umana e della capacità degli scienziati di produrre scienza, ma anche dove c’è convergenza tra tali capacità e verità riguardo al mondo, tale convergenza è casuale. Si noti che è un mero frutto della fortuna se la capacità di produrre scienza, un componente particolare della dotazione biologica umana, si trova a produrre un risultato che è conforme, più o meno, alla realtà del mondo (p. 134) Charles Sanders Peirce: non si tratta di mera fortuna, ma del prodotto della evoluzione darwiniana. Il fatto fondamentale, secondo lui, era che attraverso processi ordinari di selezione naturale le nostre capacità mentali si sono evolute in modo tale da essere in grado di trattare con i problemi che sorgono nel mondo dell’esperienza. Tuttavia questo problema non è cogente (p. 135)

72 Antidarwinismo (2) L’esperienza che ha dato forma al corso dell’evoluzione non offre suggerimenti ai problemi che devono essere affrontati nelle scienze ed è difficile che la capacità di risolvere questi problemi abbia costituito un fattore di evoluzione. Noi non possiamo aggrapparci a questo deus ex machina per spiegare questa convergenza tra le nostre idee e la verità riguardo al mondo. Al contrario si tratta di un fortunato accidente il fatto che esista una tale (parziale) coincidenza, così sembra (p. 135). Allo stesso modo, è un fatto puramente casuale che la capacità umana di parlare produca un risultato che offre delle soluzioni ad alcuni problemi che sorgono nel mondo dell’esperienza quali la comunicazione, la condivisione di informazioni, la cooperazione e così via.

73 Antidarwinismo (3) Evoluzione del linguaggio
Possiamo affrontare il problema oggi? Di fatto, si sa poco su questi temi. La teoria dell’evoluzione spiega molte cose ma ha poco da dire, per ora, su questioni di questa natura. (…) Nel caso di sistemi come il linguaggio o le ali non è facile nemmeno immaginare uno sviluppo della selezione che abbia dato loro origine. Un’ala rudimentale, per esempio, non è “utile” per il movimento, anzi è più un impedimento. Perché mai dunque deve svilupparsi quest’organo negli stadi primitivi dell’evoluzione? (p. 143)

74 Gradualismo vs complessità
Dal punto di vista dell’evoluzione il problema del modello chomskiano è che la GU sembra non ammettere uno sviluppo attraverso passaggi intermedi di livello più semplice. È l’argomento usato da sempre dagli antievoluzionisti: a cosa poteva servire un 5% d’ala o un 5% d’occhio se con un 5% d’ala non si vola e con un 5% d’occhio non si vede? Allo stesso modo: a cosa può servire un 5% di GU se con un 5% di GU semplicemente non si parla? Poiché la GU è un’entità complessa del tipo tutto-o-nulla, aderire al gradualismo della selezione naturale significherebbe per Chomsky mettere a repentaglio il proprio modello del linguaggio.

75 Complessità ed evoluzione
«Gettate insieme parecchi pezzi di acciaio senza forma e figura; non si disporranno mai in maniera da comporre un orologio (...) Delle pietre, della calce e del legno senza un architetto non eleveranno una casa. Ma le idee in una mente umana, lo vediamo, mediante un’economia sconosciuta e inesplicabile si dispongono in modo da formare il piano di un orologio o di una casa. L’esperienza prova dunque che c’è un principio originario di ordine nella mente e non nella materia». (Hume, Saggi sulla religione naturale)

76 William Paley: “Natural Theology” (1802)
«Supponiamo che attraversando la brughiera io inciampi in una pietra, e mi si chieda poi come quella pietra sia arrivata fin lì; potrei rispondere che, per quanto ne sappia, la pietra sta lì da sempre, e forse non sarebbe facile cogliere l’assurdità di questa risposta. Ma supponiamo che io abbia trovato per terra un orologio, e mi si chieda come abbia fatto a trovarsi lì. Difficilmente potrei dare la stessa risposta di prima, e cioè che, per quanto ne sappia, l’orologio si trova lì da sempre.» 76

77 Complessità ed evoluzione (2)
«Lungi dall’essere una difficoltà insita nel darwinismo, l’astronomica improbabilità degli occhi e delle ginocchia, degli enzimi, delle articolazioni del gomito e di altre meraviglie viventi è precisamente il problema che qualsiasi teoria biologica deve risolvere e che soltanto il darwinismo risolve» (Dawkins, L’orologiaio cieco, pp. 71-2).

78 Complessità ed evoluzione (3)
Ecco il punto chiave. La selezione naturale non solo è un’alternativa scientificamente rispettabile alla creazione divina: è la sola alternativa che può spiegare l’evoluzione di un organismo complesso come l’occhio. La ragione per cui la scelta è così ridotta – Dio o la selezione naturale – è che le probabilità di ottenere le strutture che hanno le funzioni dell’occhio mettendo insieme parti di materia sono estremamente basse. […] Il materiale animale di un occhio sembra essere stato assemblato con in mente il progetto della visione – ma in quale mente, se non nella mente di Dio? In che altro modo il semplice scopo di vedere bene causerebbe qualcosa che veda bene? Il potere davvero speciale della selezione naturale è di risolvere il paradosso. Se gli occhi oggi vedono bene è perché discendono da una lunga genealogia di antenati che vedevano un pochino meglio dei loro rivali, cosa che permise loro di riprodursi di più di quei rivali. I piccoli miglioramenti casuali nella vista furono trattenuti, combinati e concentrati nei secoli dei secoli, e generarono occhi sempre migliori (Pinker, 1994, tr. it. p. 353).

79 Complessità ed evoluzione (4)
Pinker e Bloom (1990): La selezione naturale è la sola spiegazione dell’origine della complessità adattativa; Il linguaggio umano mostra un progetto complesso per il fine adattativo della comunicazione; Il linguaggio, dunque, è evoluto per selezione naturale.

80 Complessità ed evoluzione (4)
«La totalità delle discussioni in questo libro hanno messo in evidenza la complessità adattabile dell’istinto linguistico. Esso è composto di molte parti (...). Queste parti sono realizzate fisicamente in circuiti nervosi intricati, disegnati da una cascata di eventi genetici coordinati precisamente nel tempo. Quello che tali circuiti rendono possibile è un dono straordinario: la capacità di inviare da una testa all’altra un numero infinito di pensieri precisamente strutturati, modulando le espirazioni. Il dono è ovviamente utile per la riproduzione (…). Armeggiate a caso con un circuito nervoso o improvvisate un apparato vocale e non otterrete un sistema dotato di queste capacità. L’istinto linguistico, come l’occhio, è un esempio di ciò che Darwin chiamava «quella perfezione di struttura e co-adattamento che giustamente suscita la nostra ammirazione» e che, come tale, porta il timbro inconfondibile del progettista della natura: la selezione naturale» (Pinker, 1994, trad. it. p ).

81 La mente in una prospettiva evoluzionistica
«Per capire come funziona la mente gli scienziati cognitivi dovranno individuare i problemi per risolvere i quali i nostri meccanismi cognitivi e neurali si sono evoluti» (Cosmides, Tooby,1994, trad. it. 2006, p.10) «La mente consiste in un insieme di circuiti per l'elaborazione dell'informazione configurati dalla selezione naturale per risolvere problemi adattativi che i nostri antenati cacciatori-raccoglitori hanno affrontato generazione dopo generazione. Se sappiamo quali sono stati questi problemi, potremo individuare i meccanismi in grado di risolverli» (ivi, p.14)

82 I pennacchi di San Marco
Approccio naturalista I pennacchi della cupola centrale della cattedrale di San Marco sono «gli spazi a forma di triangolo allungato formati dall’intersezione di due archi posti ad angolo retto, sono dei sottoprodotti architettonici necessari quando una cupola è inserita su archi tondi (Gould e Lewontin 1979, tr. it. 2006, p. 70)». Gould e Lewontin hanno utilizzato l’immagine dei pennacchi per indicare come alcune strutture nascano come un effetto collaterale di altre strutture; in termini biologici, la metafora serve per indicare che l’adattamento non è l’unica forma attraverso cui si realizza l’evoluzione.

83 Adattamento ed exaptation
Gould e Vrba (1982) hanno sostenuto che il termine adattamento è interpretabile in due modi: come la «genesi storica» delle caratteristiche costruite dalla selezione naturale per svolgere la funzione che svolgono; come l’«utilità attuale» di un certo tratto o capacità (le caratteristiche che allo stato presente aumentano le capacità di sopravvivenza indipendentemente dalla storia della loro comparsa). Gould e Vrba (1982, trad. it. pp. 38-9): «Le piume, nel loro progetto di base, sono exaptation per il volo, ma una volta che questo nuovo effetto si è aggiunto alla funzione di termoregolazione come importante fattore di fitness, le piume sono sottoposte a una serie di adattamenti secondari (alcune volte chiamati post-adattamenti) per aumentare la loro utilità nel volo (...). La storia evolutiva di ogni caratteristica complessa comprenderà probabilmente una miscela sequenziale di adattamenti, exaptation primari e adattamenti secondari. (...). Ogni struttura cooptata (un exaptation) probabilmente non comparirà già perfezionata per il suo nuovo effetto. Essa allora svilupperà adattamenti secondari per il nuovo ruolo». Il ricorso di Chomsky al concetto di exaptation per sostenere che il linguaggio non è il prodotto della selezione naturale è infondato perché tale concetto è perfettamente interpretabile nel progetto del linguaggio come una forma di adattamento.

84 Antidarwinismo (4) Evoluzione del linguaggio
[La facoltà del linguaggio] possiede dei tratti che sono alquanto inusuali, forse unici nel mondo biologico. In termini tecnici essa possiede la proprietà di “infinità discreta”. Per dirlo semplicemente, ogni frase ha un numero fisso di parole: una, due, tre, quarantasette, novantatré ecc. E non c’è limite per principio a quante parole possa contenere una frase. Altri sistemi conosciuti nel mondo animale sono del tutto differenti. Così il sistema dei richiami delle scimmie è finito; ce ne sono diciamo quaranta. Il cosiddetto linguaggio delle api, d’altro canto, è infinito ma non discreto. […] Si tratta semplicemente di un sistema diverso, su basi interamente differenti. Chiamarlo “linguaggio” significa semplicemente utilizzare in modo fuorviante una metafora (Chomsky, 1988, tr. it. p. 145).

85 Linguaggio, selezione naturale e natura umana
Dunque il linguaggio differisce in modo radicale dalla comunicazione animale e artificiale. E con ciò? […] se il linguaggio umano è, come sembra, unico nel regno animale moderno, le implicazioni per una spiegazione darwiniana della sua evoluzione sarebbero le seguenti: nessuna. Un istinto linguistico posseduto solo dagli umani moderni non costituisce un paradosso più di quanto lo costituisca la proboscide posseduta solo dal moderno elefante (Pinker, 1994, tr. it. p. 334).

86 Linguaggio, selezione naturale e natura umana
Perché gli esseri umani parlanti devono essere considerati più singolari degli elefanti, dei pinguini, dei castori, dei cammelli, dei serpenti a sonagli, degli uccelli parlanti, delle murene che danno la scossa elettrica, degli insetti che si mimetizzano sulle foglie, delle sequoie giganti, delle mantidi religiose, dei pipistrelli, o dei pesci di profondità che hanno una lanterna fuoriuscente dalla testa? Alcune di queste creature hanno tratti che possiede solo la loro specie; altre no, a seconda solo del caso che ha portato all’estinzione i loro parenti. Darwin ribadiva che tutte le cose viventi sono genealogicamente imparentate, ma l’evoluzione è discendenza con modificazione e la selezione naturale ha plasmato la materia prima dei corpi e dei cervelli in modo da inserirli in un enorme numero di nicchie differenziate. (Pinker, 1994, tr. it. p. 362)


Scaricare ppt "Mente, linguaggio ed evoluzione"

Presentazioni simili


Annunci Google