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Antropologia - Lezione 14^

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Presentazione sul tema: "Antropologia - Lezione 14^"— Transcript della presentazione:

1 Antropologia - Lezione 14^
Momento sistematico 1 Le strutture della libertà creata

2 (S. Efrem, Inni sulla verginità 23,4-5)
In te, donna Samaritana, io scorgo un prodigio grande come quello che è in Maria! Infatti lei dal suo seno ha partorito in Betlemme il suo corpo come un bambino, ma tu dalla tua bocca lo hai reso manifesto come un adulto, in Sichem, città della casa di suo padre. Benedetta sei tu, donna, che hai partorito dalla tua bocca la Luce, per coloro che erano nelle tenebre. Maria, la terra assetata, a Nazaret ha concepito il Signore nostro attraverso il suo orecchio. Ma anche tu, donna assetata di acqua, hai concepito il Figlio, attraverso il tuo ascolto. Benedette sono le tue orecchie che hanno bevuto alla sorgente, che hanno dato da bere al mondo. Maria lo ha deposto nella mangiatoia, tu invece nelle orecchie di quanti ascoltano (S. Efrem, Inni sulla verginità 23,4-5)

3 Recupero della questione:
Dal chi è l’uomo? Al come è fatto l’uomo? Due modelli interpretativi: Tricotomia (Spirito – anima - corpo) Dicotomia (anima - corpo)

4 corpo anima SPIRITO Dalla tricotomia alla…

5 Anima: qui lo spirituale nell’uomo
alla dicotomia: DIO: SPIRITO OGGETTO ESTERNO Anima: qui lo spirituale nell’uomo corpo (animale) antropocentrismo

6 Tenere ancora la composizione anima-corpo?
F.G. Brambilla: sì, ma parlando non più di componenti di cui è fatto l’uomo, ma di: condizioni antropologiche della immagine di Dio che è una “libertà creata”

7 Il tema dell’ANIMA ritorna attuale?

8 Oggi torna “di moda” il tema dell’anima
cfr. il libro fortunato di Vito Mancuso, Il destino dell’anima: copie…. Tema obsoleto o capace ancora di attrattiva? Occasione propizia anche per la teologia?

9 Occasione sì! Sollecita a ripensare temi che, se dati per scontati, rischiano di cadere nella insignificanza. La dimenticanza dei teologi? Il loro lavoro è sottoposto ai condizionamenti culturali: non sempre riescono a sottrarsi agli orientamenti dominanti di un tempo e c’è il rischio di mettere a tacere alcuni dei temi essenziali! Dialogando con le neuroscienze ci si discoste-rà dal pensiero tradizionale sull’anima? La teologia è anche esplorativa, pur rimanendo aperta alle revisioni critiche delle sue ipotesi di lavoro.

10 Chiaramente l’antropologia e l’escatologia sono più esposte di altre branche del sapere teolo-gico (cristologia, sacramentaria…) al fluttuare delle visioni che la cultura in generale elabora. Sugli esseri umani sono molte le forme del sapere che si incontrano/scontrano.

11 Premessa introduttiva
Tommaso, De Veritate, q. 10, a. 8, ad 8um: Secundum hoc scientia de anima est certissima, quod unusquisque in seipso experitur se animam habere et actus animae sibi inesse; sed conoscere quid sit anima difficillimum est. Qui mens e anima sono usati (quasi) come sinonimi. La risposta alla questione si basa sulla distin-zione tra la percezione di avere un’anima e la conoscenza della natura dell’anima.

12 l’espressione di Tommaso esprime bene la situazione paradossale nella quale si trova oggi la riflessione sull’anima: da una parte, nel linguaggio comune si continua a usare il termine ‘anima’, quasi traccia di una coscienza della dimensione ‘spirituale’ dell’uomo dall’altra quando si tratti di dire cosa si intenda con quel termine, e cioè la ‘natura’ dell’anima, il consenso sembra non esistere più.

13 Sono cambiati i paradigmi non tanto circa l’esistenza dell’anima/mente quanto circa la natura della stessa al punto che con il termine ‘anima’ non si intende più ciò che nella tradizione teologica si è inteso fino ad alcuni decenni fa.

14 Cosa è l’anima? Nella pubblicistica recente (filosofica soprattutto):
Si sa di più che in passato: si è abbando-nata la concezione (‘riduttiva’) ascritta alla filosofia greca (platonica), che identificava l’anima con la parte interiore - immateriale dell’uomo oggi la si fa coincidere con la persona umana (l’io) nella sua relazione con il mondo, con gli altri e con Dio.

15 Però si sa anche di meno sull’anima. Perché?
Perché in una certa letteratura la si identifica con le funzioni cerebrali, liberandola da ogni connotazione spirituale e/o metafisica. Nel linguaggio vulgato (che ha la sua matrice nella psicologia) se si parla di anima la si intende come psiche, cioè come concrezione di sensazioni, sentimenti, emozioni, analiz-zabili mediante tecniche raffinate, in grado di giungere oltre la consapevolezza immediata della persona, fino alle radici rimosse delle cause e dei processi che originano i fenomeni psichici.

16 Quali questioni sono coinvolte?
La comprensione della identità della persona umana (cosa vuol dire avere un’anima) La delineazione del destino eterno della persona umana.

17 Dunque due provocazioni radicali per la teologia su due versanti:
quello antropologico e quello escatologico ovviamente strettamente connessi. La circolarità dei due poli: se si vuol capire il destino delle persone umane, si dovrà illustrare la loro struttura ontica ma se si vuole capire come sono fatte bisogna includere anche il loro destino: perché sono fatte così?

18 L’interesse per l’anima sul versante antropolo-gico (minoritario fino a due decenni fa ma ora tornato in auge), torna nel dialogo con le neuroscienze e/o le neuro-filosofie. Questo dialogo pone un problema gnoseo-logico relativo a una scienza dell’anima Chi è competente a parlare di anima?

19 Questioni aperte: Si può ancora parlare di ‘anima’, o comun-que di un principio spirituale nell’essere umano, se si constata che la conoscenza, come le emozioni, le decisioni, perfino gli atti religiosi sono comandati dal cervello? Una volta conosciuto il cervello si può spiegare anche l’attribuzione di azioni che finora si ritengono “superiori” e si attribuiscono a un principio spirituale.

20 Sembrerebbe che ciò che distingue gli uomini dagli altri animali sia soltanto la più com-plessa costituzione del cervello  sicché le antiche funzioni attribuite alla co-scienza / anima sarebbero da attribuire alla diversa struttura / funzionamento del cervello. Domande: E che cosa si deve intendere con il termine “anima” come è usato dalle neuroscienze? Che rapporto si deve stabilire tra il nuovo strumento linguistico e il precedente? Si intende ancora la stessa cosa?

21 Elemento veritativo esposto a rischio:
G. Canobbio: “le neuroscienze/neurofilosofie non permet-tono di pensare nell’uomo un principio spirituale ‘separato’ dalle funzioni cerebrali”.

22 Le PROVOCAZIONI alla TEOLOGIA DELL’ANIMA che vengono dall’ESTERNO (dai risultati sugli studi sul cervello: le neuroscienze e le neuorifilosofie) che vengono dall’INTERNO (antropologia biblica e ripensamento della escatologia)

23 Le PROVOCAZIONI ALLA TEOLOGIA che vengono dall’ESTERNO
la novità: non solo la psicologia (e le scienze umane) hanno elaborato una loro visione circa l’identità degli umani  ma anche le neuroscienze e le neurofilosofie Già nel 1954 Arnold Stocker avviava la sua esposizione su L’anima nelle dottrine psico-logiche contemporanee con queste parole che prendiamo dal testo di M.F. Sciacca (a cura), L’anima, Morcelliana, Brescia 1954, p. 293.

24 «Aveva scritto Malebranche nelle sue Méditations che “l’idea di anima è un oggetto così grande, così capace di rapire con la sua bellezza le menti, che, se tu avessi l’idea della tua anima, non potresti più pensare a null’altro”. Non sembra affatto però che questo sia il pensiero degli psicologi della fine dell’ottocento, e neppure della maggior parte di quelli del novecento... L’epoca contemporanea non ha certo portato un grande progresso in materia di conoscenza dell’anima. In verità, la maggior parte degli specialisti della psicologia contemporanea non hanno mai dimostrato alcuna inclinazione a considerare il fondo del problema, che concerne la natura stessa dell’anima. […] L’anima in sé, in-somma, sembra che non presenti nessun interes-se. È questo un atteggiamento che testimonia del peso con cui l’ipoteca dello scientismo materia-listico grava ancora sul movimento delle idee».

25 Verifica: se ci si domandasse dove oggi si riscontri ancora l’uso del termine ‘anima
ripulitura del termine ANIMA dagli scritti degli intellettuali come “conquista”, e quindi una liberazione dal passato, in nome della scienza Il suo uso rimane solo nel linguaggio quoti-diano e nella poesia le neuroscienze non usano in genere il termine ‘anima’, bensì ‘mente’, termine con il quale si indica il complesso delle attività cerebrali supe-riori, quelle relative alla soluzione dei problemi, ai calcoli, alla razionalità (mente ‘computazio-nale’).

26 Il linguaggio di “mente” avvicina il rapporto mente-cervello/corpo a quello del computer: la mente è il software, il cervello/corpo lo hard-ware: cfr. S. Nannini, Mente e corpo nel dibattito contemporaneo, in AA. VV., L’anima, Mondadori, Milano 2004, pp nel vocabolario, accanto alla mente si pone poi la “psiche” o l’animo o l’anima = per designa-re l’insieme della vita affettiva, emotiva, o la coscienza fenomenica e l’interazione con il collettivo umano. Il cambiamento di linguaggio indica un cambia-mento radicale della prospettiva: da quella filosofico-teologica si va sempre più assu-mendo quella ‘scientifica’.

27 Esempio: Vittorino Andreoli dopo aver richiamato la concezione greca di anima : «se nel duali-smo greco anima e corpo sono nettamente separati, le scienze successive hanno verifi-cato come gli attributi riferiti all’anima rien-trano invece in un corpo inteso come ence-falo o come attività encefalica» (Mente e anima, in A.M.C.I., L’anima tra scienza e fede, San Paolo 2006, p. 42). NB: l’affermazione «le scienze […] hanno verificato». Ma esistono alcuni attributi dell’anima non verificabili dalle scienze?

28 Andreoli riconosce uno spazio «trascendente» che «non può competere alla scienza parlarne» (p. 43.).
Però le giustificazioni classiche per la ‘spiri-tualità’ dell’anima: la memoria, la conoscenza, la coscienza di sé sono ascrivibili alla mente e per capirli non si avrebbe più bisogno della filosofia e della teologia.  La scoperta della plasticità del cervello «ha permesso di riportare alla mente tutta questa parte di attività umane – memoria, coscienza, apprendimento, sogni, persino l’immaginazione – che per secoli filosofi e teologi hanno attribuito all’anima» (p. 50).

29 Questa visione afferma che le neuroscienze sembrano (pretendono
Questa visione afferma che le neuroscienze sembrano (pretendono?) di spiegare tutti i moti della persona umana. Di parere opposto è L. Bossi, Storia naturale dell’anima, Baldini e Castoldi, Milano 2005. Secondo l’autore l’aver identificato l’anima con la mente ha portato a uno scarso risultato: “la maggior parte delle idee sviluppate nel XX sec. derivino pigramente da qualche teoria biologica del XIX secolo” (pp ).

30 «avendo relegato l’anima nel regno delle anticaglie, oggi siamo […] messi davanti al fatto che le nozioni di corpo animale, vita, morte e di persona siano diventate impossibili da circoscrivere, come ben sanno gli esperti di “bioetica” e i giuristi, ormai disorientati di fronte ai problemi posti dalla scienza, dalla medicina moderna e dallo sviluppo delle biotecnologie» (p. 18). Anche la mancata integrazione del concetto di individualità in quello di persona.

31 Quale la radice dell’orientamento dominante nelle neuroscienze/neurofilosofie?
Gli storici della filosofia: U. Barth = distruzione della base metafisica della riflessione sull’anima alla fine del secolo XVIII (l’ingresso massivo del principio della soggettività, anche l’influsso della psicologia della percezione di sé).

32 G. Basti, Il problema mente-corpo, in Annuario di filosofia 2000, Mondadori, Milano 2000, pp attribuisce la causa della sparizione della nozione di anima spirituale dalla riflessione filosofica all’assoluta inconsistenza, logica, metafisica e fisica, della teoria dualista cartesiana (p. 278); l’identificazione dell’io con la sola sostanza spirituale pensante ha significato buttare a mare gran parte della filosofia medievale di ispirazione cristiana.

33 ESITO: la teologia non trova più nella filosofia della mente/anima un’alleata per pensare il principio spirituale dell’uomo senza il quale diventa per lo meno difficile delineare una prospettiva escatologica (che c’è per l’uomo dopo la morte?) e illustrare l’assunto fondamentale dell’antropologia cristiana secondo il quale l’uomo è immagine di Dio

34 la visione ‘scientifica’ dell’anima tende a ‘invadere’ un campo che fino a non molto tempo fa restava riserva della filosofia/teologia fino al recente passato l’ambito scientifico e l’ambito filosofico-teologico procedevano ciascuno nel suo ambito con il pacifico accordo di non invadere il rispettivo campo

35 ora la situazione è cambiata drammaticamente:
i risultati dello studio sul cervello a molti sembrano sufficienti a destituire di valore quanto la tradizione filosofico-teologica aveva strenuamente difeso di fronte alle insorgenti forme di materialismo ricorrendo al concetto di anima, intesa come principio spirituale di origine divina.

36 Il nuovo naturalismo, in base allo studio del cervello, pretende di conoscere la particola-rità della persona umana senza ricorrere allo spirito o a un principio vitale: + non c’è più alcuna modestia scientifica (ignorabimus) + secondo un filone del naturalismo non c’è altro che una serie di processi fisiologici per spiegare tutto quel che la persona umana pensa, vuole, sente, anche nell’ambito religioso.

37 Tre forme di ‘naturalismo’:
metafisico (non esiste altro che quello che le scienze naturali sono in grado di conoscere) semantico (una conoscenza filosofica sarebbe accettabile solo se usasse concetti che pure le scienze biologiche utilizzano) metodologico (filosofia e scienza considerano il medesimo oggetto)

38 Dove non ci si vuole limitare al dato empirico, eventualmente si introduce il concetto del Sé:
questo ha sostituito il concetto di anima, come più neutrale dal punto di vista ontologico; per molti autori naturalistici il sé di un uomo è il prodotto della capacità di rappresentarsi, senza con ciò precisare se il sé sia oppure no una realtà: il sé sarebbe una illusione, alla quale il soggetto rappresentandosi si sottopone. Cfr. J. Quitterer, L’anima umana: illusione o realtà neurobiologica? Un contributo all’attualità del concetto di anima, in «Rivista teologica di Lugano» 8[2003], ).

39  Le neuroscienze (nella forma riduttiva estrema) identificano l’anima col cervello e negano la sua natura spirituale  Le neuroscienze, nella loro espressione radicale, non lasciano alcun spiraglio per una vita oltre la morte.

40 Le PROVOCAZIONI alla TEOLOGIA DELL’ANIMA che vengono dall’INTERNO (antropologia biblica unitaria)

41 Crisi del vocabolario cristiano sull’anima?
Estraneazione dal linguaggio anche liturgico? Vedi il rito delle esequie. Ratzinger manifestò il disappunto che nella seconda metà degli anni ’70 “perfino il Missale Romanum del 1970 ha bandito il terminus anima dalla liturgia dei defunti; parimenti esso è scomparso dal rituale della sepoltura”. Non così per il Messale Romano in tr.it. - però è vero che si riscontra la tendenza a parlare di persona, uomo, piuttosto che anima. Perché? Per essere più fedeli all’antropologia biblica unitaria e prendere le distanze dalla antropologia di stampo platonico.

42 Oltre alla riscoperta della teologia biblica unitaria dell’uomo contro la visione greca spiritualista e dualista importante nell’impostazione del discorso il recupero del rapporto teologia e filosofia specie per il recupero in filosofia del valore del corpo (Körper e Leib)

43 Tutti i manuali hanno recuperato i termini che la Scrittura utilizza per indicare l’uomo
essi non indicano una parte dell’uomo stesso, bensì dimensioni di tutto l’uomo anche dove nella LXX (cfr. il libro della Sapien-za) o nel NT si incontra il termine psyché (tradotto in latino e italiano con anima) lo si dovrebbe intendere non nel senso ‘greco’ di principio spirituale e immortale (una parte dell’uomo), bensì nel senso della nefeš ebraica (= gola), cioè di persona vivente che nella sua totalità è dotata di aspirazioni e desideri, a fianco dell’altro aspetto, che rimanda alla fragilità, richiamato dal termine basar.

44 (A. Vaccaro, Neurofilosofia, p. 223).
Attraverso la ripresa della visione biblica, nell’attuale antropologia «L’anima ha recuperato appieno […] l’originario significato biblico di nefeš quando esso è riferito all’uomo e, al pari del concetto di “corpo-basar”, sta per tutto l’uomo. Nel cristianesimo è l’uomo che pensa, sente, decide, dialoga con Dio: l’uomo nella sua interezza”» (A. Vaccaro, Neurofilosofia, p. 223).

45 È impossibile pensare l’anima come realtà a se stante, altra dal corpo.
Anche i testi in cui si parla di un’anima immor-tale non vanno intesi come di un principio spirituale dell’essere umano che da solo è in grado di valicare la soglia della morte. Sembra che la Bibbia non voglia presentare la costituzione ontologica dell’essere umano, ma descrivere lo stesso nel suo dinamismo teso tra aspirazione alla vita e esperienza della fragilità. L’uomo è anima-gola: desiderio vivente di Dio, di vita in pienezza.

46 Perciò è errato pensare che il recupero della antropologia biblica unitaria sia fatto a spese della teologia dell’anima. Specie se si percorrono semplificazioni: Bibbia contro visione platonica… A cui segue l’idea che la tradizione ecclesiale successiva si è staccata dalla Bibbia e ha preferito Platone. Un aspetto da chiarire: nella Bibbia c’è una antropologia di tipo metafisico, circa la struttura di cui è composto l’uomo?

47 Gianfranco Ravasi dice che la ricerca esegetica sarebbe ormai giunta alla convinzione che non si possa «isolare all’interno della Bibbia una riflessione sistematica sull’uomo e, quindi, non si ha una puntuale definizione e descrizione delle componenti o della tipologia generale antropologica. La stessa “unità psicofisica” non è mai teorizzata o analizzata ma è solo una sorta di percezione primordiale e spontanea dell’uomo nel suo porsi concreto, percezione lontana dalla consapevolezza di una vera e propria struttura metafisica» (cfr. L’anima nella tradizione biblica, in AA.VV., L’anima, Mondadori, Milano 2004, p. 140).

48 Sembra più corretto affermare che
Cristo e il cristianesimo (delle origini) non abbiano insegnato una antropologia, ma in una antropologia.

49 La Bibbia rispecchia un dato di esperienza immediato, che non impedisce un’analisi più accurata, con la quale giunge fino a distinguere dimensioni, aspetti, elementi di un’unità complessa nella quale si possono stabilire gerarchie: ciò che contraddistingue gli umani rispetto agli altri animali non può essere by-passato neppure quando si parla degli umani non in termini ontologici, ma descrittivi. La domanda circa i costitutivi dell’unità complessa (che è l’essere umano) appare in forma cogente nel momento in cui non ci si voglia limitare alla descrizione.

50 L’esigenza di dare una risposta alla domanda si coglie nel recente magistero cattolico, che recepisce l’istanza biblica e filosofica del ‘900. GS 14 prende avvio dichiarando l’unità di anima e corpo: «Corpore et anima unus, homo per ipsam suam corporalem condicionem elementa mundi materialis in se colligit».  Il recente Magistero sarebbe arrivato a supe-rare la visione ‘dualista’: «Solo nel Vaticano II il magistero ecclesiastico ha superato lo schema corpo-anima, raggiungendo così la svolta fatta dall’età moderna» (E. Klinger).

51 Il Concilio, in armonia con l’orientamento biblico della teologia contemporanea, considera come dato fondamentale l’unità dell’uomo concre-to, che ha una sua “condizione corporale” e una sua “interiorità”. Questa unità sarebbe la vera dottrina cristia-na da proporre, lasciando perdere la formula “l’uomo è composto di anima e corpo”, che è esposta all’equivoco di una interpretazione platonica, o più ancora cartesiana, dualista, assumendo piuttosto la formula: “l’uomo è un essere spirituale e corporale”, “l’uomo è persona incarnata”.

52 Però le formule mettono in evidenza che l’unità non annulla la complessità.
Lo schema dualista (che la tradizione teologica ha accettato) è un’accentuazione della diver-sità delle componenti non si tratta di due parti che si aggregano estrinsecamente, bensì concostitutivi, la cui differenza si coglie nella considerazione analitica. L’accento è sull’unità, la diversità è un dato derivato.

53 Perché l’unità antropologica non è stata acqui-sita facilmente in teologia? Quali difficoltà?
Bisognava affermare anche la differenza anima/corpo. La considerazione della differenza sostanziale tra anima e corpo fu evidenziata soprattutto in occasione del confronto tra due modelli relativi all’origine dell’uomo: evoluzione e creazione  accentuata dal sospetto di ideologia ‘materia-lista’ che gravava sulla teoria dell’evoluzione: questa impediva di pensare un principio ‘spiri-tuale’ derivante direttamente da Dio per creazione.

54 Oggi ritorna la questione nel rapporto tra teologia e neuroscienze
 soprattutto quando procedono da una visione riduzionista

55 Il problema fondamentale:
oltre la generica affermazione di una conce-zione unitaria – olistica del soggetto (accomu-na sia le neuroscienze sia la visione biblica) c’è la possibilità/necessità di affermare negli umani un elemento che non si identifica con il cervello e neppure con l’energia che pervade l’universo e troverebbe una manifestazione singolare nello “spirito umano”. È il problema dell’anima: si può/deve ammet-tere che vi è qualcosa di diverso negli umani che gli altri animali non hanno? E in tal caso, da dove viene?

56 Nel ‘900: il problema è dibattuto vivacemente nel confronto tra due modelli relativi all’origine dell’uomo: evoluzione e/o creazione? Il dibattito avvenne dopo un secolo di impos-sibilità a parlare dell’argomento tra scienziati e teologi. Negli ultimi anni ritorna (specie negli USA) con il riproporsi di visione creazioniste. Per una discussione sul problema: S. O. Horn – S. Wiedenhofer (ed.), Creazione ed evoluzione. Un convegno con papa Benedetto XVI a Castel Gandolfo, EDB, Bologna, 2007.

57 La teologia cattolica (pur accettando l’ipotesi evoluzionista) sentiva la necessità di mantenere il ‘salto ontologico’ tra il divenire della vita in generale e l’apparizione dell’uomo: l’unico modo per salvaguardare l’originalità dell’uomo era sostenere che dalla materia non poteva prodursi senza soluzione di conti-nuità l’elemento distintivo della creatura umana sicché si doveva affermare un intervento di-retto di Dio nella costituzione dell’uomo me-diante la creazione immediata (infusione) dell’anima.

58 Ma questo era l’unico modo per mantenere il salto ontologico?
Nel dibattito tra le scienze biologiche e la teolo-gia (a metà del ‘900) si profilava la necessità di superare la contrapposizione tra spirito e materia.  Al centro del dibattito stava il tema della ominizzazione. Emblematico al riguardo fu il volume scritto insie-me dal biologo P. Overhage e dal teologo K. Rahner, Das Problem der Hominisation (tr.it. Sul problema dell’ominizzazione).

59 K. Rahner si mantiene all’interno dello schema anima-corpo e cerca di ripensarlo alla luce delle conoscenze scientifiche che egli, in quanto teologo, non può verificare ma semmai vagliare in base alla rivelazione. Punto di avvio è l’unità dell’uomo: ogni affermazione sull’anima sia anche affermazione sul corpo e viceversa, in quanto costitutive di un tutto, e non somma di due realtà preesistenti.

60 Però nell’uomo esistano realtà diverse e irriducibili:
non si può pensare che l’evoluzione del corpo non riguardi anche l’anima non separare e distribuire i campi: alla scienza si lascia il corpo e all’anima si riservano le affermazioni teologiche l’una e l’altra hanno diritto di dire la propria parola sull’uomo, sebbene sotto diversi aspetti. Però nell’uomo esistano realtà diverse e irriducibili:

61 «Quella che chiamiamo anima spirituale nell’uomo non è una pura forma fenomenica di ciò che denominiamo la sua materialità e corporeità (DS 1440; 3022; 3220s; 3896). Viceversa, la materia non è pura forma manifestativa dello spirito finito, quali siamo noi. Perciò non si può dedurre adeguatamente e “comprendere” l’anima da un punto di partenza puramente spirituale, che non rappresenti già tutto l’uomo, né da un punto di partenza aprioristico, che non abbia già esperienza del carattere fattuale ed impenetrabile della materia. Ambedue hanno un’essenza inderivabile, che può essere posta solo tutta intera, ma non essere vista come composta di altre parti elementari identiche, così da esserne la pura combinazione» (p. 32).

62 Ciò significa che l’anima non può derivare dalla materia, bensì solo dalla creazione come nuova essenza. Va notato che tale inderivabilità non appare con evidenza, perché non si può dimenticare che l’uomo (e non solo il corpo) è fatto dalla terra, e questa determina, pur in forma diversa, sia l’anima sia il corpo. Si può così dire che «l’anima non è un ente a sé, che possa esistere o possa essere concepito in qualsiasi momento indipendentemente dal suo rapporto con la materia, ma è un termine che designa un elemento dell’intima complessità in sé indifferenziata di quest’unico ente»

63 Stante questa unità, si deve comprendere come nel processo di produzione della materia si giunga allo spirito tenuto conto che la creazione immediata dell’anima spirituale, insieme con la composi-zione essenziale unitaria dell’uomo in spirito e corpo, è un dogma di fede.  Si tratta di capire in che modo Dio inter-venga nel processo evolutivo per ‘creare’ l’anima.

64 Basandosi sul nesso tra causa prima e cause seconde, Rahner giunge a porre la domanda:
«Non si deve dire che Dio è certamente anche causa dell’anima, perché è per definizione causa originaria di tutto ciò che in un determinato luogo e momento si presenta nel mondo, e lo è nel modo che compete a Lui solo?» (p. 73).

65 La risposta non poteva che essere positiva.
Ma esigeva una precisazione: non si vuol dire che l’agire di Dio sia identico nel creare l’anima umana e le altre realtà, stante la differenza che essa ha rispetto alle altre. Ma non si può negare che Dio potrebbe agire anche altrove in tal modo.

66 Fatta la precisazione, Rahner cerca di individuare il modo attraverso il quale Dio interviene a creare l’anima. Lo potrebbe fare mediante una causa finita, cioè l’azione dei genitori, dai quali deriva il corpo? Il problema che si pone nel caso in cui nel processo si produca un incremento di essere è se la potenza finita sia da ritenere ‘causa sufficiente’ di esso. Se si accetta il principio secondo cui ‘nessuno dà ciò che non ha’, al problema si deve dare una risposta negativa.

67 Tuttavia se l’Essere infinito interviene nell’attività di un essere finito, ma non dall’esterno, rende possibile che questo produca un di più di essere. La presenza dell’Essere infinito non è però aggiunta accanto all’azione dell’essere finito.

68 L’accrescimento di essere è frutto dell’essere finito, il quale ha come fondamento permanente l’Essere infinito: «La capacità dell’agente a compiere qualcosa al di sopra di quel che può fare “di per sé solo” deve derivare da un Essere trascendente, che è il suo fondamento, e lo supera in modo che, pur appartenendo ad un ente dall’essere finito, non è un fattore in esso “stesso”» (p. 80).

69 Nella spiegazione dell’autosuperamento della materia verso lo spirito Rahner cita un passo di Tommaso ScG III, 22: Ultimus … generationis totius gradus est anima humana, et in hanc tendit materia sicut in ultimam formam … homo enim est finis totius generationis (p. 94 nota 7).

70 Dio, infatti, non è un demiurgo che interviene di quando in quando per agire nel mondo: egli è il fondamento trascendente, sostenitore di ogni cosa; è la causa del mondo e non una causa accanto alle altre nel mondo. Se si tiene conto del modo di agire di Dio nel mondo mediante cause seconde, passando dalla evoluzione alla generazione, si può anche dire che i genitori sono causa di tutto l’uomo, sebbene solo in quanto lo fanno sorgere mediante la virtù infusa da Dio, che rende loro possibile il proprio superamento ed è immanente al loro agire, senza rientrare tra i fattori costitutivi della loro essenza (p. 98).

71 Sicché la creazione dell’anima può essere con-siderata un caso dell’autosuperamento essenziale verso un grado superiore di essere. Tale creazione non appare pertanto più come miracolo o azione categoriale: è un caso dell’agire di Dio, che non opera qualcosa non operato da una creatura, né si affianca all’agire della creatura; ma rende solo possibile alla creatura di superare e trascendere il proprio agire. Ciò può essere affermato sulla base di una concezione dell’agire di Dio nel mondo: «Dio sostenta il mondo, che diviene superandosi necessariamente in determinati momenti della storia, senza che l’azione con cui Dio rende possibile tale autosuperamento sia determinata da un punto del tempo o implichi un suo “intervento” miracoloso e categoriale “nel mondo”» (p. 100).

72 Rahner riprenderà queste idee in molteplici occasioni; non ultima in Corso fondamentale sulla fede, Paoline, Roma 1977, pp , dove offre una descrizione sintetica della correlatività tra spirito e materia: «spirito è l’uomo unitario, in quanto egli giunge a se stesso in un ritorno assoluto su di sé, e precisamente attraverso il fatto che è già sempre ordinato alla realtà assoluta in genere e al suo unico fondamento, detto Dio» (p. 243); materia invece è «la condizione della possibilità dell’altro oggettivo che il mondo e l’uomo stessi sono, condizione di ciò che sperimentiamo direttamente come spazio e tempo» (p. 244). Ciò sta a dire che spirito e materia sono diversi essenzialmente, ma non antitetici o assolutamente diversi. La concezione di Rahner è stata ripresa, certo con meno rigore concettuale e linguistico, da V. Mancuso, L’anima e il suo destino, Cortina, Milano 2007, pp

73 Rahner, pur muovendosi nell’alveo della teolo-gia scolastica, recupera in tal modo il rapporto non estrinseco tra materia e spirito e proponeva una visione unitaria dell’essere umano. La sua visione non era certamente condivisa da tutti; anzi alcuni autori la criticarono aperta-mente: cfr. C. Schoenborn per il quale è impossibile pensare a una cooperazione delle cause seconde nell’atto propriamente creatore Resta però una proposta capace di stabilire un dialogo tra biologia e teologia.

74 Di fronte agli orientamenti attuali delle neuroscienze /neurofilosofie ci si può domandare invece se sia possibile mantenere il dialogo che in occasione della discussione sulla ominizzazione si era sviluppato tra biologi e teologi. Sì. Laddove la biologia non ponga con pretesa assolutizzante.

75 Ciò che la teologia intende salvaguardare, è che:
nella condizione terrena l’anima, il “principio spirituale” degli umani non può che agire mediante il funzionamento del cervello, anche negli atti più nobili che ad esso si possano ascrivere ma, si deve aggiungere, per questo il principio spirituale dell’uomo (anima) non può essere ridotto a un’energia, se questa è intesa in senso ‘materialistico’.

76 Come impostare il dialogo…
Cosa salvaguardare in questo dialogo

77 L’interesse per l’anima: solo le istanze del presente o anche la storia del passato?
È necessario rileggere la storia del pensiero cristiano sull’anima? Il problema è anzitutto metodologico: La verità dell’essere umano può essere lascia-ta solo ai risultati delle indagini recenti (scientifiche e esegetiche), dunque la storia della fede non svolge nessuna funzione orien-tatrice circa l’identità della persona umana

78 così si procede secondo una concezione evolutiva del sapere circa l’identità dell’uomo
che non può fare appello nemmeno alla normatività della Bibbia che è un libro conclusosi 2000 anni fa. Per la metodologia teologica il riferimento alle fonti (bibliche – tradizionali - magisteriali) è un dato epistemologico irrinunciabile Qui non vogliamo fare una storia dell’anima…

79 sforziamoci solo di capire la ragione per cui l’affermazione di un’anima spirituale negli umani è stata ripetuta come un leitmotiv in tutto il corso del pensiero occidentale si è voluto salvaguardare la singolare origine e struttura dell’essere umano Ciò è avvenuto non prendendo come punto di avvio una particolare metafisica ma l’osservazione di comportamenti e senti-menti riscontrabili nelle persone umane. La riflessione metafisica andava di pari passo con la osservazione e ha dato figura sistematica all’esperienza.

80 Perciò: per capire la ragione dell’affermazione di un principio spirituale nell’uomo si deve tornare all’esperienza originaria, che eviden-zia una protensione degli umani oltre l’oriz-zonte della storia. Tale protensione va spiegata: perché né il principio né il compimento sono percepiti nell’orizzonte della finitudine, ma cercati in quello della trascendenza: - l’anima (pur essendo creata e non divina) è memore della sua particolare origine e tende a sfondare il limite imposto dal suo imprescindibile rapporto con la materia

81 Tommaso d’Aquino: l’uomo come confine
Egli si confronta con i filosofi (influssi platonici e aristotelici) ma salva la originalità dell’anima, definendola unica forma sostanziale dell’uomo. Anche il magistero successivo ha sostenuto l’unità antropologica più di quanto si pensi. Qui si avverte anche la ricaduta della questione dell’anima sull’escatologia moderna.

82 Il destino dell’anima Questioni di escatologia poste dalla riflessione teologica

83 Sul versante escatologico due questioni:
l’escatologia tradizionale (per certi aspetti già dogmatizzata) distingue /separa il destino dell’anima da quello del corpo. Ma se si accentua l’unità degli esseri umani, che ne è della forma (anima) dal momento in cui l’uomo si dissolve nella morte? La teologia passata (e il magistero con essa) de-scriveva la morte come separazione dell’ani-ma dal corpo, con un destino diverso: l’ani-ma in quanto è immateriale non si corrom-pe, supera la morte, il corpo si decompo-ne. Tale modello è oggi messo in crisi in nome della unità antropologica.

84 2) Alcune recenti proposte invitano a pensare una realizzazione progressiva dell’eschaton per ogni singola persona già nel momento della morte: tutta la persona coinvolta nella risurrezione. Come si è arrivati a questa tesi?

85 Recupero cattolico della normatività della Bibbia (anima della teologia) e recezione del pensiero fenomenologico Ripensamento del destino degli umani nel momento della morte. In sintesi: non più immortalità dell’anima, ma risurrezione dei morti, o anche risurrezione nella morte.

86 Determinante l’opera di O
Determinante l’opera di O. Culmann, Immortalità dell’anima o risurrezione dei morti? La testimonianza del Nuovo Testamento.  prospettiva esegetica  sarebbe un errore: attribuire al cristianesimo primitivo la credenza greca nell’immortalità dell’anima

87 “Esiste una differenza radicale fra l’attesa cristiana della risurrezione dei morti e la credenza greca nell’immortalità dell’anima. L’ispirazione fondamentale resta radicalmente diversa” (O Culmann). Eppure nel pensiero cristiano si sarebbe sacrificato al Fedone il cap. 15 della 1Cor! Ma se si legge il NT è chiaro che “secondo i primi cristiani, la vita piena e vera della risurrezione non è concepibile senza il corpo nuovo, senza il corpo spirituale di cui i morti saranno rivestiti quando il cielo e la terra saranno creati di nuovo”.

88 Culmann è convinto che la svolta intervenuta nella storia con la risurrezione di Gesù abbia una ripercussione sul destino degli uomini: “l’anima non è immortale in sé, ma lo divine unicamente grazie alla risurrezione di Gesù Cristo, il primogenito fra i morti, e grazie alla fede in lui”

89 Dopo l’esegesi di Culmann, ci fu una ripresa in sede teologico-sistematica che propone la tesi della risurrezione nella morte: la morte sarebbe contemporaneamente fine e compimento: fine del processo di decadimento del corpo fisico, compimento dell’io personale che nel corso degli anni si è costruito mediante il reticolo di relazioni reso possibile dal corpo stesso.

90 L’assunzione della unità antropologica dovrebbe portare la teologia cattolica ad abbandonare l’idea della immortalità dell’anima per affermare la risurrezione nella morte. Una diastasi tra antropologia e escatologia non rispetterebbe più il rapporto tra la costituzione dell’essere umano e il suo compimento. Ipotesi divulgata dal teologo cattolico G. Greshake a partire dalla sua tesi di abilitazione

91 Greshake ritiene di poter trovare la radice della sua visione già nell’antichità, precisamente in questi fattori: L’idea di un’anima corporea nello stato intermedio Le concezioni intertestamentarie sul destino dei patriarchi e protocristiane sulla condizione dei martiri La dottrina dell’anima forma sostanziale del corpo L’idea alessandrina di una risurrezione in progress dal battesimo fino al compimento finale Il linguaggio biblico che usa sia risurrezione che esaltazione. La medesima idea rintracciabile in Romano Guardini

92 La querelle di G. Greshake con Ratzinger che ha visto nell’idea della risurrezione nella morte la riproposizione del platonismo che si voleva evitare.

93 Una reazione al riguardo è venuto dalla Lettera della Congregazione per la dottrina della fede Recentiores episcoporum synodi relativa ad alcune questioni di escatologia (17 maggio 1979), nella quale si afferma che: il termine ‘anima’, consacrato dall’uso della Sacra Scrittura e della tradizione, resta utile per indicare l’io umano che sopravvive e sussiste dopo la morte.  La lettera ritiene necessario lo strumento linguistico di anima per salvaguardare la fede della chiesa

94 Sullo sfondo della discussione teologica è comparsa questa domanda capitale:
con l’affermazione della immortalità dell’ani-ma cosa si è voluto salvaguardare nei secoli passati? L’analisi delle affermazioni dogmatiche sulla morte (in accordo con la struttura originaria dell’uomo) aiuta a capire che la morte non appartiene al destino stabilito da Dio per gli umani È invece conseguenza del peccato (cfr. Cartagine, Orange, Ternto, Vaticano II)

95 Cioè: la morte pur essendo per un verso naturale stante la composizione dell’uomo come essere corporeo (il materiale biologico è corruttibile) Non era la condizione nativa: la struttura umana, come uscita dalle mani di Dio, non avrebbe dovuto prevedere la morte (intesa nel senso drammatico con cui l’uomo la sperimenta dopo il peccato) Alla creazione originaria pertiene non la morte ma il dono speciale (dono preternaturale) dell’immortalità. Il tema dell’immortalità perciò non è entrato in teologia anzitutto sposando una corrente filosofica, ma sulla base della riflessione circa la situazione originaria dell’uomo.

96 Alla base dell’affermazione cristiana sulla immortalità dell’anima non sta la struttura antropologica duale dell’uomo (anima-corpo) ma il destino disposto da Dio per l’uomo, in rapporto al quale la morte (determinata dal peccato) costituisce una deviazione. La redenzione è finalizzata a ridare all’uomo la sua condizione originaria: l’intervento di Cristo restituisce l’uomo alla condizione disposta da Dio, che ci è dato vedere nel risorto, il quale non muore più e che è costituito realizzatore dell’immagine di uomo cantata nel salmo 8, come si legge in Eb 2,5-9

97 In sintesi: cosa ha voluto dire il magistero con l’affermazione dell’immortalità dell’anima?
Il permanere, pur in forma innaturale, della condizione originaria dell’uomo, nonostante il peccato Trento (che riprende il can. 1 del concilio di Orange) dice che il peccato ha commutato l’uomo in deterius secundum corpus et animam (DS 1511), ma non ha cancellato totalmente la destinazione alla immortalità In deterius = non annulla ciò che appartiene originariamente all’uomo per disposizione divina

98 La “natura” umana (= cioè la condizione posta da Dio per gli umani) non è radicalmente trasformata: resta in essa una traccia della sua condizione originaria. Come si poteva salvaguardare questa traccia, una volta assunto il modello corpo-anima? Stante il fatto che il corpo (biologico) si deteriora e si corrompe, ciò che rimaneva da fare era di affermare la immortalità dell’anima che è immateriale (non si decompone, non è deperibile) Nella condizione di corruzione (seguita al peccato) l’anima immortale resta la traccia dell’origine singolare dell’uomo da Dio e della sua destinazione alla vita, intesa come partecipazione alla vita divina.

99 Nell’antichità: I martiri (anche i giusti, gli asceti, le vergini dice Cipriano) entrano immediatamente dopo la morte nella condizione definitiva della gloria celeste con Cristo Non c’è per essi stadio intermedio nell’Ade Perché il loro morire è quello salvato, è la figura compiuta del morire-in-Cristo, che comporta la consegna di sé nell’atto della testimonianza e il passaggio con Cristo da questo mondo al Padre

100 Filosseno di Mabbug (siriaco): lo Spirito Santo non abbandona né l’anima né le spoglie mortali (nonostante la loro separazione) e nel giudizio finale opererà la ricongiunzione dell’anima e del corpo

101 Conclusione L’idea di anima è il presupposto affinché possa essere data all’essere umano la vita eterna: è la ratio per cui l’uomo è immagine di Dio (di Cristo) L’anima è meno dell’io quale si costruisce nel corso dell’esistenza corporea-terrena L’anima è più dell’io per il fatto che mette l’io in rapporto con Dio, in termini di partecipazione, similitudine, immmagine

102 Canobbio: si può affermare una “immortalità naturale” dell’anima
Se si ritiene che l’uomo sia destinato da Dio alla comunione con lui allora si può dire che l’uomo ha una destinazione alla immortalità a partire dalla creazione Tale destinazione non sopravviene in un momento successivo: è donata con la costituzione dell’uomo Partecipare alla risurrezione di Cristo compie questa destinazione creaturale alla vita non-mortale che è già nel progetto originario di Dio-creatore

103 Questo risultato non è condivisibile con le visioni di neuroscienziati/neurofilosofi che non sono disponibili ad accettare una apertura escatologica per l’esistenza umana. Per costoro il problema escatologico non si pone: l’escatologia non è nel novero delle molte discipline di cui si interessano.

104 La teologia provoca le neuroscienze: si può esaurire la spiegazione dell’esperienza umana nella descrizione dei fenomeni celebrali? Reciprocità interdisciplinare: la teologia si lascia provocare dalle neuroscienze, neppure queste sfuggono agli interrogativi che partendo dalla esperienza umana (di cui la Bibbia parla) la teologia pone. Non per affermare qualche supremazia del sapere ma per salvaguardare la originalità degli esseri umani che neppure le neuroscienze possono negare.

105 Idee centrali in estrema sintesi:
Il termine “anima” è lo strumento linguisitico per dire che l’essere umano non può essere equiparato alle altre creature Ribadire l’esistenza dell’anima vuol dire salvaguardare la dignità delle persone umane, non riducibili a un complesso fascio di fenomeni biologici Avere un’anima significa che l’uomo ha un’origine e un destino originali, che si riflettono sul suo modo di porsi nei confronti del mondo e di Dio Proprio per questa originale posizione, l’uomo si presenta come un confine e quindi la meta verso la quale il mondo materiale è orientato È confine perché mediante l’anima si volge consapevolmente al principio e al fondamento di tutto.


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