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l’antropologia nella Bibbia

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Presentazione sul tema: "l’antropologia nella Bibbia"— Transcript della presentazione:

1 l’antropologia nella Bibbia
Lezione ^ Capitolo I Storia di una ricerca: l’antropologia nella Bibbia e nella Tradizione (continua)

2 Lezione ^ Capitolo I Storia di una ricerca: l’antropologia nella Bibbia e nella Tradizione (continua)

3 Osservazioni conclusive sull’epoca moderna:
Lo sbocco dell’epoca moderna mostra i pericoli e le ambiguità a cui conduce la mancata relazione tra antropologia e cristologia l’incontro tra cultura e fede avviene: dal punto di vista cristiano come indebolimento della originalità cristologica dal punto di vista della cultura come autonomia nel senso di una messa tra parentesi della fede in Cristo

4 soprannaturale e naturale teologia e filosofia chiesa e mondo
il limite più forte che l’epoca moderna consegna alla teologia contemporanea si può ricondurre alla separazione radicale tra: fede e ragione soprannaturale e naturale teologia e filosofia chiesa e mondo superare i dualismi è la sfida che si impone all’antropologia teologica contemporanea la direzione della sfida è in un deciso recupero del fondamento cristologico  qui vogliamo arrivare!

5  L’epoca moderna e la manualistica
siamo qui:  L’epoca moderna e la manualistica 3) La vicenda dei trattati di antropologia

6 Luogo concreto in cui vedere questa dissociazione tra discorso teologico e riflessione autonoma della ragione è la vicenda dei manuali da essi emerge lo sviluppo dei temi che interessano l’antropologia e la loro relazione col contesto culturale parecchie le questioni di AnTh affrontate nella manualistica, disseminate però in diversi trattati: De Virtutibus, De Novissimis, De Peccato Originali… i principali sono due: il De Deo creante et elevante e il De Gratia la cui vicenda rende ragione dello sbocco cui l’attuale antropologia teologica è giunta. Esempio dei trattati post-tridentini è l’opera di Francisco Suarez: ( ), influenzerà a lungo la teologia

7 De Deo creante et elevante
I. Trattato De Deo creante et elevante

8 Dopo il De Deo Uno e Trino il Suarez mette il De Deo creatore
il trattato è suddiviso in: De Deo rerum omnium creatore De Angelis De opere sex dierum la creazione dell’uomo costituisce un capitolo all’interno della trattazione più ampia della creazione e si concentra sulla questione dell’originario stato di innocenza (prima del peccato)

9 a sé stante, il trattato relativo al De Anima, che studia la “costituzione” della persona, concentrandosi su questioni filosofiche un trattato distinto è relativo ai vizi e ai peccati, in cui si studia anche il peccato originale (staccato dalla protologia) dell’uomo ci si occupa anche nell’escatologia, De ultimo fine hominis, in cui i riferimenti antropologici sono sostanzialmente relativi all’anima

10 Osservazione: l’attenzione all’antropologia ha un taglio filosofico Lo conferma Suarez che parlando di Dio creatore distingue tra: ciò che la teologia può dire di Dio in se stesso, nella sua natura e ciò che se ne può affermare a partire dal suo rapporto con la creazione (inteso nei termini filosofici di causa-effetto) questa distinzione rispecchia quella propria dell’epoca tra una theologia supernaturalis, formulabile solo in base alla rivelazione, e una theologia naturalis, che si avvale dell’apporto della ragione L’intento di questa distinzione era quello di favorire, attraverso la theologia naturalis, un incontro e un confronto con l’umanesimo nascente, accettando la sfida della ragione e opponendosi allo stesso tempo al pessimismo protestante.

11 II. Trattato De Gratia

12 il trattato De Gratia nasce dopo Trento ed è polarizzato sulla grazia creata e/o santificante
in reazione all’interpretazione luterana della giustificazione la teologia cattolica ribadisce l’affermazione di una modificazione reale accidentale della natura umana  Il tridentino contro la giustizia forense, o solo imputata, proposta dalla Riforma, insegnò il carattere interiore della giustificazione come un fatto che modifica realmente l’uomo giustificato (cfr. Sessione VI: De Justificatione).  Pare precisamente questa concentrazione polemica sul tema l’origine di un trattato autonomo sulla grazia.

13 Il trattato De Gratia, ridottissimo fino a S
Il trattato De Gratia, ridottissimo fino a S. Tommaso, subisce uno sviluppo enorme con la Riforma e con i dibattiti post-tridentini. Dalle poche pagine dedicate al tema della grazia nella Summa si passa a vari e grossi volumi: la necessità della grazia i suoi aiuti l’essenza della grazia abituale la giustificazione aumento e conservazione della grazia ecc…

14 NB: le controversie costringono l’approfondimento del tema della Grazia, giustificando indirettamente l’enfasi data al tema e lo sviluppo di una trattazione autonoma tanto complessa la nascita all’interno della teologia controversistico-dogmatica ne condiziona anche l’andamento, poiché sorge con un intento polemico e negativo, teso più a smontare le posizioni dell’avversario che a formalizzare in modo globale il proprio pensiero  la trattazione della grazia precede ancora la cristologia, dunque, ne prescinde.

15 Suarez fa ancora da modello: Tractatus De Gratia Dei seu De Deo salvatore, iustificatore et liberi arbitrii adiutore per gratiam suam (Lione 1620). Attinge ampiamente dalla tradizione a lui precedente: dalla linea agostiniana riprende l’affermazione della gratuità e della necessità della grazia, ribadendo l’atteggiamento antipelagiano dalla tradizione Scolastica assume la centralità della grazia abituale, ossia degli aspetti ontologici della grazia.

16 Di qui distingue due azioni della grazia divina, la santificazione e la redenzione.
Le due azioni sono chiaramente attribuite a Dio, ma in maniera diversa: a Cristo, l’uomo-Dio, è attribuita solo la redenzione mentre la santificazione commune est tribus personis  È clamorosa la  «pretesa di separare la santificazione dalla cristologia» , poiché è un segno chiaro che la grazia è intesa a prescindere da Gesù Cristo.

17  Il trattato De Gratia rimane sostanzialmente stabile sino al Vaticano II
 solo con i primi movimenti di rinnovamento biblico e patristico del secolo XX si inizierà a ripensare l’interpretazione della grazia  in particolare M.J. Scheeben, con il celebre studio I misteri del cristianesimo (1865), torna a considerare la grazia dopo Cristo e, dunque, in relazione alla cristologia: la grazia è data da Cristo  Ma qual è il “contenuto” teologico della Grazia?

18 Da insistenza a grazia creata (modificazione accidentale dell’anima) a Grazia increata
si recupera progressivamente la comprensione della grazia come “divinizzazione”, ossia come Spirito Santo questa linea di riflessione conduce ad un recupero del riferimento cristologico, poiché lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo ritornando allo Spirito si esige di ripensare la grazia e l’uomo a partire da Cristo (non dal concetto di natura umana o dall’uomo peccatore), recuperando la tesi originaria della “predestinazione”.

19 4) Conclusione dell’itinerario storico:
la Neoscolastica perché poi arriva il rinnovamento con il Vaticano II

20 Constatazione di due blocchi di temi antropologici distribuiti su due trattati:
la protologia (creazione – elevazione – peccato) e la grazia senza preoccupazione di armonizzarli internamente soprattutto, manca un esplicito riferimento a Cristo ne è prova il fatto che, per secoli, rimangono approfonditi in trattati separati e, sostanzialmente, autonomi; fino al Concilio Vaticano II  Il De Gratia rimane sostanzialmente immutato.

21  Il De Deo Creatore ha vissuto un significativo passaggio nella neoscolastica del sec. XX:
l’itinerario storico ha mostrato la crescente «filosofizzazione del tema della creazione» sin dal Rinascimento (= seconda Scolastica), infatti, si è imposta una più netta separazione tra la riflessione cristologica e la dottrina della creazione, considerata praticamente a sé stante (ad es., Suarez) la teologia c’è per dirci perché / come Dio ha creato il mondo (= Deo elevante) ma non per dirci che Dio l’ha creato (= Deo creante). La creazione rimane un tema filosofico “al di fuori” del sapere teologico.

22 Proseguendo la separazione tra visione della natura e considerazione soprannaturale della creazione, la scolastica dell’‘800 (la neo-) conferma l’impostazione passando dal De Deo Creatore al De Deo creante et elevante il primo trattato a portare questo titolo pare essere quello del gesuita romano D. Palmieri, nel 1878 (l’anno precedente l’Aeterni Patris). Il trattato si articolava in due parti:

23 A) De Deo Creante: la creazione del mondo, degli uomini, degli angeli; il primo momento conferma il prevalere dell’orizzonte cosmologico rispetto a quello antropologico: l’uomo, dopo che è studiato insieme con il mondo in generale, viene considerato in ciò che lo differenzia dagli esseri animali B) De Deo elevante: l’uomo nella condizione originaria, studiato in due momenti successivi: lo stato originario, caratterizzato dall’elevazione all’ordine soprannaturale, coi doni ricevuti da Dio (naturali - soprannaturali) la caduta, con la conseguente perdita dello stato originario. A questo punto, però, il Peccato Originale viene definito «a partire dalla caduta di Adamo più che in riferimento a Gesù Cristo»

24 Interessante la breve prefazione che il Palmieri mette in testa al suo volume perché da essa risulta il modo quasi fortuito con cui si è formato il trattato e quella sua mancanza di unità suggerita dal titolo stesso (ET): la prima parte raccoglie le tesi riguardanti l’attività creatrice di Dio e i suoi effetti, tesi che, di per sé, sono accessibili anche alla sola ragione parlando di Dio creatore si tratta dell’ordine naturale e si presuppongono temi già studiati in filosofia in particolare si considera Dio quale causa ed origine delle cose la seconda parte raccoglie le tesi sul soprannaturale fornite dalla rivelazione. Evidentemente l’elevazione all’ordine soprannaturale appare un’aggiunta estrinseca alla natura dell’uomo, già data e completa in sé.

25 La struttura del testo e la logica che lo guida denunciano evidentemente la mancanza di unità, anzi la giustapposizione tra momento teologico e quello filosofico, che rende semplicemente aggiuntiva, successiva, la trattazione propriamente “cristiana” dell’uomo. Conclusione: si danno ormai due separate considerazioni sull’uomo: una secondo la ragione, l’altra secondo la rivelazione si abbandona la prospettiva storico-salvifica entro cui comprendere l’uomo, per parlarne semplicemente in termini di “natura” cioè come un essere la cui definizione può prescindere dal rapporto storico-salvifico con il piano di Dio

26  a cui aggiungere – in un momento successivo -l’elevazione soprannaturale, intesa come la chiamata ad un fine nuovo, eccedente, non dovuto alla natura umana come tale, un fine appunto soprannaturale. Quale logica sottesa alla prima sezione del trattato? sta una concezione dell’uomo come “natura”, cioè come un essere la cui definizione può prescindere dal rapporto storico-salvifico con il piano di Dio e può essere fatta semplicemente sulla base di certe caratteristiche che compongono la sua essenza, al di là delle variabili storiche: a questa natura umana vengono ricondotte alcune tesi proposte dalla Rivelazione ma accessibili anche alla ragione

27 è evidente l’estrinsecismo del secondo momento: il De Deo creante rischia così di apparire soltanto una introduzione di ibrido carattere filosofico-teologico al De Deo elevante e viene favorita l’idea di una pura sovrapposizione estrinseca del soprannaturale al naturale è compiuto il progressivo oblio del riferimento storico-cristologico nella definizione dell’uomo e della creazione in favore di una sottolineatura cosmologica ed essenzialista.

28 L’antropologia si definisce a prescindere da Cristo
la definizione dell’uomo può benissimo rimanere quella aristotelica di “animale razionale”. Solo in seconda battuta si precisa che è stato scelto e chiamato da Dio, tramite una elevazione al di sopra della sua natura, a una relazione soprannaturale in definitiva, rimane valido il giudizio di K. Barth, per cui il discorso sulla creazione rimane «l’atrio dei gentili»  quasi una premessa, senza legame con il seguito e priva di una lettura teologica.

29 Svantaggio la giustapposizione e il dualismo che segna il limite interno del trattato e della comprensione dell’uomo  questa visione, indipendente dall’alleanza biblica, risulta filosofica e dimentica ogni determinazione cristologica su questo sfondo il rapporto con la grazia, benché affermato, non può che risultare accessorio e marginale incongruenza della separazione stessa dei trattati: Deo elevante e De Gratia, in fondo, si ripetono l’insieme dell’analisi antropologica vede un discorso che da un lato, afferma che Dio crea (1°) ed eleva (2°) l’uomo e, dall’altro, gli dona la grazia (3°). Evidentemente la trattazione della grazia appare sdoppiata, o forse sarebbe meglio dire, duplicata, con un immediato sospetto di ripetitività.

30 Osservazioni sulla panoramica storica: critiche alla teologia manualistica
raccogliamo il contributo della ricerca sin qui condotta dalla teologia, anche nei suoi limiti  per comprendere poi il cambiamento e la direzione su cui la moderna antropologia teologica si va indirizzando sottolineiamo il contributo positivo che la tradizione ci consegna ribadiamo la lacuna più macroscopica cioé l’insufficienza cristologica

31 Apporti positivi Contenuti
 Diversi temi di interesse antropologico hanno trovato un loro sviluppo nella storia della teologia. Progressivamente si è andato fissando un patrimonio di tematiche di antropologia cristiana: creazione (in questa, a se stante, l’uomo nei suoi elementi costitutivi) – il peccato originale – la grazia, nel senso della redenzione e dell’aiuto di Cristo per la salvezza. Metodo una prospettiva comune: si segue lo sviluppo cronologico della storia della salvezza, poiché si segue sostanzialmente l’ordine narrativo della Bibbia. Di fatto i successivi approfondimenti non prescinderanno dal confronto con questa eredità.

32 Limiti il cammino dell’AnTh è avvenuto senza un criterio logico né sistematico, bensì alla luce di esigenze contingenti e variegate è dipeso in gran parte da vicende contingenti = alcune controversie o questioni dibattute anche la formulazione positiva è rimasta condizionata dall’origine polemica della riflessione cristiana: dal punto di vista dei temi si è limitata alle questioni oggetto delle controversie il tono polemico e negativo di tale genesi ha marcato in senso restrittivo l’analisi e la presentazione dei temi. L’urgenza di una diatriba impone inevitabilmente la contrapposizione alla tesi avanzata, la negazione di un aspetto problematico e l’accentuazione, talora, unilaterale di una dimensione, non l’approfondimento pacato di un tema, colto in tutte le sue valenze

33 manca una presentazione unitaria dell’antropologia, uno sguardo sintetico ed organico sul tema
la frammentarietà della riflessione sull’antropologia, e non solo nella cultura ambiente la nota più macroscopica e grave rimane l’evidente mancanza di Gesù Cristo: o quanto meno la sua non rilevanza o necessità per affrontare la/le questioni antropologiche pare che Gesù Cristo non entri nella definizione della creazione, né dell’uomo: ma dove va a finire la «creazione in Cristo» di Col 1? In tal senso, la creazione appare semplicemente una tesi «filosofica» o semplicemente «religiosa», ma non qualificata «cristianamente» la figura stessa dell’uomo pare descrivibile anche senza il riferimento a Cristo che non entra nella definizione dell’uomo con la fatica – se non l’impossibilità – di giustificare e ribadire la sensatezza del rapporto di Cristo con il singolo uomo il rapporto con Cristo anziché essere il fondamento originario dell’umano, interviene solo in seconda battuta, quasi in forma aggiuntiva.

34 Come è stato possibile arrivare a tali estremi?
Perché? Come è stato possibile arrivare a tali estremi? Due sono le questioni fondamentali che stanno alla base del percorso e rendono ragione delle conclusioni cui si è giunti in campo antropologico: La teologia del duplice ordine: la distinzione natura-soprannatura Il modello amartiocentrico: la centralità del peccato Esse mettono in gioco non anzitutto i contenuti, bensì il metodo stesso, il modello teologico che, anziché venir impostato a partire da Cristo, ha assunto altri criteri di riferimento, compromettendo la comprensione cristiana delle cose.

35 a) La teologia del duplice ordine:
la distinzione natura - soprannatura la perdita del riferimento cristologico risale sin nell’impostazione patristica con la separazione tra il Cristo redentore e il Cristo-Logos creatore (= la questione anti-ariana) la tendenza si è consolidata in epoca moderna, fino a fissarsi rigidamente nella separazione tra fede e ragione, tra rivelazione e comprensione razionale o “naturale” del mondo.

36 tale separazione fede-cultura viene esplicitamente formalizzata con la cosiddetta teologia del duplice ordine o del duplice fine (naturale e soprannaturale), che ha trovato, poi, una sua consacrazione sia nel Vaticano I (1870) che nell’enciclica Aeterni Patris (1879) la teologia del duplice ordine riconosce all’uomo due possibili fini: uno puramente naturale = la felicità e l’altro soprannaturale, la visio beatifica. Il primo raggiungibile con le sole forze della natura, il secondo solo tramite la grazia.

37 si pensa che, di fatto, ci sia un livello puramente naturale dell’esistenza, un “primo piano” che tutti possono cogliere con la ragione e che si può descrivere bene anche senza Cristo. L’uomo può realizzarsi ad un livello puramente umano, inteso come un minimo comune denominatore riconoscibile da tutti rispetto a questo, invece, si differenzia un livello ulteriore: una felicità superiore, soprannaturale, la comunione con Dio. Qui si inserisce la novità dell’annuncio cristiano: un dono che oltrepassa la natura, totalmente gratuito ed inatteso.

38 Semplificando, questo è il ragionamento sotteso:
in un primo momento Dio ha creato l’uomo poi, successivamente, lo ha elevato ad un fine soprannaturale, chiamandolo alla comunione personale con Lui  questo è un fine superiore alla natura: l’uomo con le sue sole forze non potrebbe mai arrivarci. Anzi, non potrebbe neppure sperarlo.

39 Il vantaggio di una simile distinzione sta nel fatto che permette di cogliere più efficacemente la “superiorità” della proposta cristiana e la sua “gratuità”: è una possibilità di pienezza ulteriore non necessaria, non esigibile da parte dell’uomo e che appare unicamente come dono. I limiti sono evidenti ed hanno lasciato un notevole strascico sulla tradizione teologica. Specie la questione della cosiddetta “natura pura” che si impone per due ragioni storiche: La polemica con Baio Il confronto con la cultura moderna

40 a) L’ipotesi della natura si impone in seguito alla controversia con Baio. Per la teologia era pacifico affermare che la grazia è gratuita per l’uomo dopo il peccato. Baio conferma tale convinzione, ma sostiene che per Adamo, prima del peccato, la grazia costituiva un dono “naturale”. Si pone così per la teologia il problema di confermare la gratuità (e non la con-naturalità) del fine soprannaturale nello Stato Originario Al di là della discussa interpretazione del pensiero di Baio, l’esito obiettivo fu quello di elaborare l’ipotesi della «natura pura» per tutelare la gratuità della grazia. Si pervenne alla convinzione che: la situazione originaria era gratuita, perché orientava l’uomo a un fine nuovo, eccedente, non dovuto alla natura umana, un fine soprannaturale appunto.

41 l’ipotesi della natura pura afferma, in linea meramente teorica, che Dio avrebbe potuto creare l’uomo solo con un fine puramente naturale, per poter far meglio risaltare la gratuità del fine soprannaturale a cui, in realtà, è stato chiamato. Di fatto, poi, l’affermazione della natura pura passò – inconsapevolmente - da ipotesi teologica a “realtà storicamente realizzata”, che venne assunta per definire l’uomo dopo il peccato (poiché aveva perso i doni “soprannaturali” della grazia originale), dando così un ulteriore punto di appoggio alla teologia del duplice ordine

42 b) la necessità di dialogare con la cultura moderna, da cui la teologia assume la visione “naturalistica” dell’uomo per aggiungervi, in seconda battuta, la specificità cristiana. La teologia dei due ordini/fini appare, dunque, strumento efficace – per quanto riduttivo, ai nostri occhi – con cui cercare di instaurare un rapporto con la cultura ambiente (a cui, in realtà, si adegua).

43 Queste veloci indicazioni suggeriscono la complessità dei fattori che convergono nel dare origine e consistenza a questo modello teologico. Per quanto non condivisibile, si può perlomeno comprendere il motivo per cui, nell’impostazione dei trattati, si è potuto parlare dell’uomo (sua creazione, origine, struttura e fine) a prescindere da Gesù Cristo. L’uomo, infatti, poteva essere adeguatamente definito dalla sua natura. Un simile procedimento, però, non può essere accettato ed occorre evidenziarne i limiti interni ed i possibili esiti.

44 Esito? Va constatato, infatti, che con un linguaggio suggestivo (molte affermazioni sono in se stesse buone e necessarie – anche se la loro giustificazione rimane problematica) si è prodotta una reale separazione nella visione dell’uomo: un livello solo naturale ed uno successivo soprannaturale. La radicalità di questo esito impone un interrogativo: esiste veramente questa distinzione?

45 Un simile dualismo è possibile grazie alla cosiddetta “antropologia dei due fini”, la novità di questo periodo che si impone come comodo schema interpretativo per la teologia cattolica: «introducendo un fine naturale a fianco di quello tradizionale soprannaturale F. Suarez e T. de Vio, detto il Cajetano, modificheranno radicalmente il paradosso medioevale di una creatura orientata a un fine soprannaturale, eccedente le sue possibilità In ordine a questa antropologia, la grazia è pensata come mezzo, come aiuto gratuito e necessario insieme, per quel fine soprannaturale che supera comunque l’uomo» (G. Colzani)

46 In realtà, una distinzione logica (fatta per capire) è stata elevata a livello sistematico
l’ordine cronologico dello sviluppo storico (= «è avvenuto così»: da creazione a peccato a grazia) viene sovradeterminato a livello ontologico (= «la realtà è così»: creazione + grazia) in questo modo, natura e soprannaturale sono arrivate ad indicare due realtà distinte, addirittura separate si è progressivamente imposta una separazione (non più ad una semplice distinzione logica) tra un primo livello umano, naturale, autosufficiente ed autonomo, ed un secondo livello soprannaturale, dono divino, che risalta nella sua gratuità, che resta indebito ed indeducibile problematicità di tale scelta per la giustapposizione e la non-necessità del legame tra i due momenti:

47  la giustapposizione:
il soprannaturale resta letteralmente sopra-la natura, è aggiunto, accostato ad una realtà che è già consistente e completa in se stessa, dunque le rimane estrinseco; il termine stesso evidenzia questa distanza (sta “sopra”) Che tipo di rapporto rimane tra i due momenti? Sostanzialmente natura e soprannatura, fede e ragione sono pensate come realtà separate e definibili autonomamente: di qui l’estrinsecismo che viene giustamente criticato a questo modello teologico. Per quanto, ci si sforzi di giustificarne la necessità, il soprannaturale rimane un «di più», qualcosa aggiuntivo e se ne potrebbe tranquillamente fare a meno. Al limite, persino “inutile”.  accettata come presupposto la separazione tra natura e sopra-natura come recuperarne il nesso?

48  conseguenza della giustapposizione è che il soprannaturale appare anche non-necessario
se ci arrivo, bene! Ho raggiunto una pienezza di vita superiore, la felicità più grande; altrimenti, non importa: dovrò accontentarmi di una felicità «minore», solo naturale l’uomo può pensarsi e definirsi anche a prescindere da Dio e da Gesù Cristo la giustapposizione di fede e ragione che ha condotto solo all’estrinsecismo tra teologia e cultura compromette anche la comprensione della persona da una parte la persona è pensata in ordine al cosmo e alla nozione di essere, più o meno come natura (perdendo la sua chiamata originaria alla alleanza, cioè alla comunione con Dio

49 dall’altra il riferimento cristologico non tocca più la profondità della persona finendo per mantenere il dono della grazia in termini esteriori e accidentali. In definitiva, si comprende sempre più la ragione della lacuna cristologica, in questa antropologia: il rapporto con Gesù Cristo rimane un «di più», un qualcosa si separato rispetto all’umano, e difficile da giustificare.

50 si può ormai cogliere la ragione di questa teologia impostata sulla categoria di «natura pura» che ha elaborato una visione astratta, astorica dell’uomo, dimenticandone l’originario riferimento a Gesù Cristo. Le istanze in essa racchiuse erano e restano valide. Ne è prova l’impegno profuso da numerosi teologi nella celebre controversia de auxiliis, impegnata nella difficile - ed apparentemente irrisolvibile - conciliazione tra grazia e libertà. Da un lato, infatti, si deve salvaguardare il primato e la gratuità della grazia, ma dall’altro anche la consistenza e l’autonomia della libertà: si ha la preoccupazione che la grazia non pre-determini la vicenda della libertà, ma neppure che la libertà possa fare a meno della grazia.

51 Simili istanze sono corrette e necessarie per la teologia cattolica, che rifiuta a più riprese la scelta unilaterale per l’una o per l’altra, senza però arrivare ad elaborare una proposta che le sappia tenere insieme armonicamente. A questo punto, è corretto pensare che il problema non stia tanto né nelle esigenze né nelle critiche avanzate dalle due differenti linee, bensì dal presupposto iniziale. Entrambe le linee, infatti, hanno assunto come punto di partenza – accettandolo acriticamente, però – la separazione tra grazia e libertà, così come tra natura e sopranatura, trovandosi poi nella difficoltà di ricostruire e giustificare il loro rapporto.

52 Se, invece, si mettesse in questione la premessa
Se, invece, si mettesse in questione la premessa?  Se il punto di partenza non fosse la separazione? Una volta definite separatamente – non solo “distinte” –, grazia e libertà, natura e sopranatura, occorre trovare un punto di unione: ma resta sempre l’impressione di un legame estrinseco, se non aggiuntivo. Efficace in questo la critica di Rahner che evidenzia la “pretesa” di poter definire, da un lato, ciò che è naturale e, dall’altro, ciò che è il soprannaturale da aggiungere.  Ma come definire il limite tra l’uno e l’altro?

53 Sopra-natura? ? natura Dove porre il limite? Sono realmente circoscrivibili?

54  Questi due interrogativi, per quanto elementari, mettono in luce la contraddizione insita nel presupposto iniziale. All’opposto, Rahner critica l’assunzione di questo punto di partenza, accettato acriticamente dalla teologia di fronte alla cultura moderna. Al suo posto propone una visione “unitaria” tra grazia e libertà: all’inizio non si dà una natura a cui, poi, in seconda battuta, si aggiunga il dono della grazia. Piuttosto l’uomo esiste da sempre nella grazia, è un «esistenziale soprannaturale». Questa è la categoria sintetica proposta da Rahner, con la quale intende indicare la convinzione che la libertà umana non si dà mai se non all’interno di un contesto di grazia, anzi questa ne è il fondamento originario.

55 Così il problema si trova impostato diversamente ed apre le contraddizioni del precedente modello a nuove soluzioni lo sbocco definitivo si avrà nel momento in cui natura e soprannaturale saranno definiti non a partire da qualche precomprensione esterna alla rivelazione, ma da Gesù Cristo stesso.


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