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Situazione politica mondiale nel primo dopo guerra

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Presentazione sul tema: "Situazione politica mondiale nel primo dopo guerra"— Transcript della presentazione:

1 Situazione politica mondiale nel primo dopo guerra
Di Luciano Corallo

2 Situazione Politica

3 Regimi totalitari Germania Italia Spagna Giappone

4 Totalitarismo  Il termine totalitarismo fu coniato negli anni Venti. Dapprima applicato al regime fascista, venne nel secondo dopoguerra esteso alle forme “moderne” di governo autoritario: Unione Sovietica staliniana, Germania nazista, Cina di Mao. Al di là delle differenze ideologiche, tali stati sembravano infatti presentare alcuni tratti sostanzialmente identici:  v     Culto del capo supremo     Base sociale di massa     Protezione dello stato in ogni settore della vita civile     Ricorso alla repressione poliziesca     Politica di aggressiva espansione all’estero La teoria del totalitarismo è stata oggetto in sede storica di diverse critiche, per la sua pretesa di analizzare secondo un rigido modello società diversissime tra loro; essa tuttavia rappresenta un importatane tentativo di interpretazione dei meccanismi del potere nello Stato contemporaneo. Nel brano che segue due studiosi di storia sovietica cercano di fissare le principali caratteristiche dello Stato totalitario. Le 6 caratteristiche principali del totalitarismo sono:  Una ideologia ufficiale, composta da un corpo dottrinario ufficiale, esteso a tutti gli aspetti vitali dell’esistenza umana, al quale tutti coloro che vivono nella società devono aderire, almeno passivamente; questa ideologia è decisamente proiettata verso uno atato finale perfetto dell’umanità […]; Un unico partito di massa – diretto per lo più da un uomo, il “dittatore” – del quale fa parte una percentuale relativamente ristretta della popolazione (fino al 10%). Questo nucleo è composto da uomini e donne, che sostengono appassionatamente e incondizionatamente l’ideologia ufficiale e sono pronti ad usare ogni mezzo per imporla al resto della popolazione. Un simile partito è organizzato in forma gerarchica e oligarchica e si intreccia con l’organizzazione burocratica del governo […]; Un sistema di controllo terroristico di polizia, che sostiene e insieme controlla il partito attraverso i suoi dirigenti. Esso è diretto non solo contro i “nemici” riconosciuti del regime, ma anche contro strati della popolazione scelti arbitrariamente. La polizia segreta utilizza sistematicamente la scienza moderna, ed in particolare le conoscenze psicologiche. Un pressoché totale controllo esercitato dal partito e dai quadri ad esso sottoposti sui mezzi di comunicazione di massa, come la stampa, la radio, il cinema reso, reso possibile dalla tecnologia. Un quasi totale controllo da parte del partito di tutte le forze armate anch’esso reso possibile dall’evoluzione della tecnologia. Un controllo ed una direzione centralizzata di ogni attività economica attraverso l’integrazione burocratica di fattori economici in precedenza autonomi.   C.J. FRIEDRICH – Z.K. BRZESINSKI,Totalitarian Dictatorship Autocracy, New York, Praeger, 1966

5 Le democrazie

6 Il caso della Russia

7 Il fascismo Nascita Struttura Il bienni rosso La marcia su Roma
La nascita della dittatura La guerra di Etiopia Gli ebrei ed il fascismo Sistema di governo Il governo di coalizione Gerarchie militari

8 Nascita del fascismo Mussolini giovane
Lo scoppio della prima guerra mondiale provocò un radicale cambiamento di posizioni politiche in Benito Mussolini, fino ad allora dirigente socialista e, dal 1912, addirittura direttore de l'Avanti!. Dopo un'iniziale adesione alla linea di neutralismo del partito, Mussolini divenne interventista e allora il 20 ottobre del 1914 si dimise dalla direzione del giornale. In novembre realizzò un suo quotidiano, "Il popolo d'Italia", ultranazionalista, radicalmente schierato su posizioni interventiste a fianco dell'Intesa. Espulso immediatamente dal Psi, qualche anno dopo, nel '18, ruppe anche gli ultimi legami ideologici con l'originaria matrice socialista, in nome di un superamento dei tradizionali antagonismi di classe. Finita la guerra, fondò i fasci di combattimento a Milano, il 23 marzo del Il movimento non ebbe inizialmente successo. Tuttavia, man mano che la situazione italiana si andava deteriorando e il fascismo si caratterizzava come forza organizzata in funzione antisocialista e antisindacale, ottenne crescenti adesioni e favori da agrari e industriali e quindi dai ceti medi.  Divenuto deputato al Parlamento con le elezioni del 1921, Mussolini si avvicinò maggiormente alla monarchia (mentre il suo programma originario era di fedeltà agli ideali repubblicani) con il discorso di Udine (20 settembre 1922). Un mese dopo, organizzò la marcia su Roma, che doveva portarlo alla carica di presidente del Consiglio (31 ottobre 1922).

9 Il manifesto dei fasci di combattimento (1919) - Programma di San Sepolcro
Italiani! Ecco il programma di un movimento genuinamente italiano. Rivoluzionario perché antidogmatico; fortemente innovatore antipregiudiziaiolo. Per il problema politico: Noi vogliamo: a) Suffragio universale a scrutinio di lista regionale, con rappresentanza proporzionale, voto ed eleggibilità per le donne. b) II minimo di età per gli elettori abbassato ai I 8 anni; quello per i deputati abbassato ai 25 anni. c) L'abolizione del Senato. d) La convocazione di una Assemblea Nazionale per la durata di tre anni, il cui primo compito sia quello di stabilire la forma di costituzione dello Stato. e) La formazione di Consigli Nazionali tecnici del lavoro, dell'industria, dei trasporti, dell'igiene sociale, delle comunicazioni, ecc. eletti dalle collettività professionali o di mestiere, con poteri legislativi, e diritto di eleggere un Commissario Generale con poteri di Ministro. Per il problema sociale: Noi vogliamo: a) La sollecita promulgazione di una legge dello Stato che sancisca per tutti i lavori la giornata legale di otto ore di lavoro. b) I minimi di paga. c) La partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell'industria. d) L'affidamento alle stesse organizzazioni proletarie (che ne siano degne moralmente e tecnicamente) della gestione di industrie o servizi pubblici.

10 e) La rapida e completa sistemazione dei ferrovieri e di tutte le industrie dei trasporti. f) Una necessaria modificazione del progetto di legge di assicurazione sulla invalidità e sulla vecchiaia abbassando il limite di età, proposto attualmente a 65 anni, a 55 anni. Per il problema militare: Noi vogliamo: a) L'istituzione di una milizia nazionale con brevi servizi di istruzione e compito esclusivamente difensivo. b) La nazionalizzazione di tutte le fabbriche di armi e di esplosivi. c) Una politica estera nazionale intesa a valorizzare, nelle competizioni pacifiche della civiltà, la Nazione italiana nel mondo. Per il problema finanziario: Noi vogliamo: a) Una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo, che abbia la forma di vera espropriazione parziale di tutte le ricchezze. b) II sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l'abolizione di tutte le mense Vescovili che costituiscono una enorme passività per la Nazione e un privilegio di pochi. c) La revisione di tutti i contratti di forniture di guerra ed il sequestro dell' 85% dei profitti di guerra. («II popolo d'Italia», 6 giugno 1919)

11 Il biennio "rosso" (1919-1920) Gramsci Introduzione
Come iniziò il biennio La sconfitta del movimento operaio Gli industriali e le squadre fasciste Conclusioni Gramsci

12 Introduzione Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, anche l'Italia soffrì di gravi difficoltà economiche. La disoccupazione, la riconversione industriale da militare a civile, il ritorno dei reduci furono problemi giganteschi per il nostro paese. I ceti medi e le classi a reddito fisso furono particolarmente colpite dalla crisi economica, anche perché danneggiate più delle altre dall'inflazione causata dalle enormi spese militari) e deluse a causa del mancato aumento degli stipendi. Nel gennaio 1919, i Cattolici diedero vita al Partito Popolare Italiano, il primo vero partito di ispirazione cattolica. Fondatore e ispiratore della nuova formazione fu Don Luigi Sturzo. Intanto il 23 marzo del 1919 Mussolini fondava i fasci di combattimento, a Milano. Le elezioni politiche del '19 dimostrarono la voglia di novità del popolo italiano, facendo registrare: il netto declino dei liberali; la crescita del partito popolare di don Sturzo; l'enorme forza del partito socialista.

13 Il Partito socialista ottenne 156 deputati in confronto ai 48 del 1913, il Partito popolare ne ebbe 100 in confronto ai 33 cattolici eletti nel I liberali persero la maggioranza. Ottennero infatti poco più di 200 deputati rispetto agli oltre 300 eletti nel 1913. Nel periodo successivo, tra il 1919 e il 1920, la classe operaia esplose con scioperi, dimostrazioni ed agitazioni a livelli impressionanti nelle fabbriche italiane, contro il taglio degli stipendi e le serrate. Tra le cause di questa ondata di scioperi ci furono la crisi economica conseguente alla guerra appena terminata, ma ebbe un ruolo importante anche il mito della rivoluzione russa e il sogno di fare come in Russia. Agli scioperi causati dalle difficoltà economiche e volti a ottenere migliori condizioni di lavoro e salari più alti, si aggiunsero manifestazioni di contenuto dichiaratamente politico. Così i due motivi, le richieste economiche e la pressione rivoluzionaria, finirono col mescolarsi e confondersi. Si diffusero parole d’ordine come le fabbriche agli operai e la terra ai contadini. Nel mezzogiorno gruppi di braccianti tentarono di occupare le terre incolte. Intanto cresceva il partito dei nazionalisti e dei reduci della guerra. La "vittoria mutilata", ovvero il sentimento di scontentezza per l’esito degli accordi di pace di Versailles (l’Italia ottenne il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Giulia, Trieste e l’Istria; restarono invece aperte la questione della città di Fiume e quella della Dalmazia)  trovò un ottimo portavoce in Gabriele D’Annunzio. I reduci della Prima Guerra mondiale videro che il loro ruolo non era valorizzato dallo Stato.

14 Le preoccupazioni della classe politica liberale allora dominante erano sostanzialmente due: fermare il revanscismo dei dannunziani e prevenire in ogni modo la possibilità di una rivoluzione comunista, del tipo di quella avvenuta in Russia pochi anni prima. La seconda preoccupazione era particolarmente sentita anche dagli industriali e dai possidenti agricoli, che detenevano gran parte delle ricchezze del paese. La cronica indecisione dei governanti italiani fece il resto. L’Italia si trovò di fronte ad un bivio, e scelse la tragica strada del fascismo credendo portasse lontano, verso un futuro migliore.

15 Come iniziò il biennio La storia del Biennio Rosso iniziò a Torino il 13 settembre 1919 con la pubblicazione sulla rivista Ordine Nuovo del manifesto Ai commissari di reparto delle officine Fiat Centro e Brevetti, nel quale si ufficializzava l’esistenza e il ruolo dei Consigli di fabbrica quali nuclei di gestione autonoma delle industrie da parte degli operai. Già tre mesi prima Gramsci e Togliatti avevano affrontato il problema, sempre sulla stessa rivista, in un articolo chiamato Democrazia operaia. Torino, culla dell’industrializzazione italiana, si prefigurava così come il centro propulsore del bolscevismo, in quanto la struttura dei Consigli proposta dagli ordinovisti ricalcava, seppur con peculiarità proprie, quella dei Soviet russi. Le proteste iniziarono nelle fabbriche di meccanica, per poi continuare nelle ferrovie, trasporti e in altre industrie, mentre i contadini occupavano le terre. Le agitazioni si diffusero anche nelle campagne della pianura padana, innescando duri scontri fra proprietari e braccianti, con violenza da una parte e dall’altra, soprattutto in Emilia e Romagna. Gli scioperanti, però, fecero molto più che un’occupazione, sperimentando per la prima volta forme di autogestione operaia: scioperanti lavoravano, producendo per se stessi.

16 Guardie rosse armate all'interno di una fabbrica occupata (1920)
Durante questo periodo, l'Unione Sindacale Italiano (USI) raggiunse quasi un milione di membri. Il fenomeno si estese rapidamente ad altre fabbriche del Nord, coinvolse il movimento anarchico ma venne solo in parte appoggiato dal P.S.I., che in quel momento era diviso tra riformisti e massimalisti. Gramsci avvertì l’incapacità dei politici socialisti di fronte a queste manifestazioni di autogoverno proletario, e cercò di dare sistemazione, teorica prima, e pratica poi, al movimento operaio. Nulla potè, però, contro la reazione degli industriali, appoggiati dal governo e da questo aiutati con migliaia di militari in assetto di guerra. Dal 28 marzo 1920 si delinearono i due blocchi, da una parte gli operai con lo sciopero ad oltranza, dall’altra i proprietari, che adottarono la serrata come reazione alle richieste operaie. Dopo alcuni mesi di trattative sugli aumenti salariali, sempre respinti dalla Confederazione Generale dell’Industria, si ritornò all’inasprimento dei contrasti, con l’occupazione armata delle fabbriche da parte degli operai, il 30 agosto del 1920. Guardie rosse armate all'interno di una fabbrica occupata (1920)

17 Mentre il Partito Socialista tentava la trattativa con il governo presieduto da Giolitti, gli industriali e i latifondisti, più pragmatici, cominciarono a garantire il loro appoggio economico alle squadre dei "ras" fascisti. E così agli scioperi agrari nella Pianura Padana, allo sciopero generale dei metallurgici in Piemonte e all'occupazione delle fabbriche in molte città italiane il fascismo rispose con la violenza. Squadre fasciste  intervennero per spezzare gli scioperi aggredendo i partecipanti, pestando deputati e simpatizzanti socialisti. A novembre, in occasione dell'insediamento del nuovo sindaco di Bologna, un socialista di estrema sinistra, partirono pistolettate e bombe a mano che provocarono la morte di nove persone nella piazza, mentre un consigliere nazionalista venne ucciso in pieno Consiglio comunale. Le spedizioni punitive estesero il loro raggio d'azione alla Toscana, al Veneto, alla Lombardia e all'Umbria. Vennero assaltate le Case del Popolo, le sedi delle amministrazioni comunali socialiste e le leghe cattoliche. In Venezia Giulia giovani squadristi assalirono e incendiarono le sedi di associazioni e giornali sloveni. In Alto Adige simili attenzioni vennero rivolte alla popolazione tedesca, di cui i fascisti auspicavano una forzata italianizzazione ("dobbiamo estirpare il nido di vipere tedesco", disse Mussolini). Prefetti, commissari di polizia e comandanti militari tolleravano e in alcuni casi agevolavano le "operazioni" della squadre fasciste contro il 'sovversivismo rosso'. "Sono dei fuochi d'artificio, che fanno molto rumore ma si spengono rapidamente", disse Giolitti minimizzando il problema.

18 La sconfitta del movimento operaio
Giolitti rifiutò di far intervenire la polizia e l'esercito nelle fabbriche e aspettò che il movimento si esaurisse da sé, che terminassero le scorte di materie prime nei magazzini delle aziende occupate, che gli stessi operai si rendessero conto che l'occupazione non portava a nulla. Nello stesso tempo favorì le trattative fra gli industriali e sindacati e, praticamente, obbligò gli industriali a concedere ai lavoratori i miglioramenti di salario richiesti. Così all’inizio di ottobre del 1920 Giolitti riuscì a far accettare un compromesso tra le parti sociali. A tal uopo presentò anche un progetto di legge per controllo operaio su fabbriche, mai attuato. Le agitazioni operaie ebbero in conclusione risultati economici positivi: i lavoratori ottennero miglioramenti nel salario e nelle condizioni di lavoro; la durata massima della giornata lavorativa passò da ore a 8 ore. Ebbero tuttavia anche degli effetti politici negativi, perché spaventarono fortemente la borghesia: non solo i grandi proprietari di industrie o di terre ma, ancora di più, il ceto medio, i piccoli borghesi che cominciavano a costituire una classe sociale decisamente numerosa. Il timore di una possibile rivoluzione li avrebbe presto spinti ad appoggiare il fascismo di Benito Mussolini. Così come fece la classe politica liberale. Fu lo stesso Giolitti a favorire l'ascesa del fascismo quando, in occasione delle elezioni del maggio 1921, cercando di assorbire i fascisti nella normale prassi parlamentare, li inserì nei Blocchi nazionali da opporre ai partiti di massa (popolare, socialista, comunista): ne furono eletti 35, con alla testa Mussilini.

19 Gli industriali e le squadre fasciste
La violenza fascista continuò anche dopo il biennio rosso, anzi si intensificò. Nella sola pianura padana, nei primi sei mesi del 1921, gli attacchi operati dalle squadre fasciste furono 726. Gli obiettivi di questa violenza mostrano chiaramente che le squadre fasciste volevano colpire e da quali interessi erano sostenute: 59 case del popolo, 119 camere del lavoro, 107 cooperative, 83 leghe contadine, 141 sezioni socialiste, 100 circoli culturali, 28 sindacati operai, 53 circoli ricreativi operai. Gli organi dello Stato che avrebbero dovuto mantenere l'ordine, non intervennero per reprimere le illegalità. In alcuni casi, le forze di polizia si affiancarono alle squadre fasciste. Comunisti e anarchici reagirono con la creazione delle squadre degli Arditi del Popolo (epica fu, ad esempio, la difesa di Parma, assalita da migliaia di fascisti nell'agosto del 1922).

20 Conclusioni Il Biennio Rosso rappresentò quindi l’incubatrice di due tendenze opposte, entrambe nate da una scissione del partito socialista: il rivoluzionarismo di stampo bolscevico, che poi si concretizzerà nella fondazione, avvenuta nel gennaio del 1921, al Congresso di Livorno, del P.C.I., un soggetto politico destinato a lasciare un’indelebile impronta nella vita italiana, e contemporaneamente il fascismo reazionario e violento, altrettanto determinante per la storia d’Italia nel XX secolo.

21 Struttura del partito fascista
L’ordinamento nazionale Il Partito Nazionale Fascista è costituito, su base nazionale, da due organi centrali: Il Direttorio nazionale e il Consiglio Nazionale IL DIRETTORIO NAZIONALE Presieduto dal Segretario del Partito e costituito da tre vice Segretari, un Segretario amministrativo e da otto componenti, nominati e revocati dal Duce, su proposta del Segretario del P.N.F. IL CONSIGLIO NAZIONALE Presieduto dal Segretario del Partito, è costituito dal Direttorio Nazionale, dagli Ispettori del P.N.F., dai Segretari federali. L’ordinamento sul territorio Il Partito Nazionale Fascista è costituito dai Fasci di combattimento, i quali sono inquadrati in Federazioni di Fasci di combattimento nelle Province del Regno, nei Governi dell’Impero, nelle Province della Libia e nel possedimento delle Isole Egee. A capo di ciascuna Federazione di Fasci di combattimento è un Segretario federale.

22 LE FEDERAZIONI Il Segretario Federale, nominato direttamente dal Duce su proposta del Segretario del P.N.F., attua le direttive ed eseguisce gli ordini del Segretario del P.N.F., promuove e controlla l’attività dei Fasci di combattimento e delle Associazioni dipendenti dal Partito, controlla le organizzazioni del Regime e il conferimento ai Fascisti delle cariche e degli incarichi nell’ambito della provincia. Mantiene inoltre i collegamenti con gli organi periferici dello Stato e con i rappresentanti provinciali degli Enti pubblici, è Comandante federale della G.I.L., Segretario del Fascio di combattimento del capoluogo, Presidente del Dopolavoro provinciale e del Comitato provinciale dell’Ente radio rurale; fa parte del Comitato di presidenza del Consiglio provinciale delle Corporazioni e del Comitato dell’Opera universitaria nelle città sedi di università. Convoca e presiede il Direttorio federale, i rapporti dei gerarchi della provincia, dei Fascisti e degli iscritti alle Associazioni dipendenti dal P.N.F. nella provincia, dirige i corsi di preparazione politica per i giovani, propone al Segretario del P.N.F. la nomina e la revoca dei componenti il Direttorio federale fra i quali designa il vice Segretario federale e il Segretario federale amministrativo, dei gerarchi provinciali delle organizzazioni del P.N.F. e delle Associazioni dipendenti. Nomina e revoca gli Ispettori federali, i Segretari politici dei Fasci di combattimento della provincia e i componenti dei relativi direttori, i Fiduciari dei Gruppi rionali fascisti e i componenti delle relative Consulte, i Capi settore e i Capi nucleo, ha facoltà di sciogliere i Direttori e le Consulte e di procedere alla nomina di commissari incaricati di reggere in via temporanea i Fasci di combattimento e i Gruppi rionali fascisti, promuove e regola l’attività sportiva delle organizzazioni competenti in relazione alle direttive segnate dal C.O.N.I.,

23 rappresenta il P.N.F. nella provincia a tutti gli effetti e sono perciò a lui subordinati i gerarchi provinciali delle Associazioni e degli Enti che dal Partito dipendono. In ogni Federazione dei Fasci di combattimento è costituito il Direttorio della Federazione, che esegue funzioni consultive ed esecutive sulle direttive del Segretario federale. Componenti il Direttorio Federale sono : v     Il vice Segretario federale; v     Il Segretario federale amministrativo; v     Il Segretario del Gruppo dei Fascisti universitari; v     Il vice Comandante federale della G.I.L. per i Giovani Fascisti; v     Il vice Comandante federale della G.I.L. per gli Avanguardisti e i Balilla. IL FASCIO DI COMBATTIMENTO Il Fascio di combattimento è retto dal Segretario politico, assistito da un direttorio. Il Segretario politico del Fascio di combattimento attua le direttive ed esegue gli ordini del Segretario federale, promuove e controlla l’attività delle Associazioni del Partito e del regime e il conferimento ai Fascisti di cariche ed incarichi nell’ambito del proprio territorio, mantiene il collegamento con gli organi statali e con gli Enti pubblici locali, propone al Segretario federale la nomina e la revoca dei componenti il Direttorio del Fascio di combattimento fra i quali designa il vice Segretario e il Segretario amministrativo, dei Fiduciari dei Gruppi rionali fascisti, dei componenti le relative Consulte, dei Capi settore e dei Capi nucleo, convoca e presiede il Direttorio del Fascio di combattimento e i rapporti dei Fascisti,

24 propone al Segretario federale l’istituzione dei Gruppi rionali fascisti e ha facoltà di costituire e sciogliere settori e nuclei, designa i suoi rappresentanti presso il Comitato dell’Ente comunale di assistenza. v     Il Direttorio del Fascio di combattimento è costituito da: v     Il vice Segretario politico v     Il Segretario amministrativo v     Il Vice comandante locale della G.I.L. (ove sia nominato) v     I Comandanti dei Giovani Fascisti e degli Avanguardisti e Balilla Il Direttorio del Fascio di combattimento dei capoluoghi di provincia è costituito da un vice Segretario politico e da sette membri. I GRUPPI RIONALI FASCISTI I Gruppi rionali fascisti sono sezioni del Fascio di combattimento nei centri con popolazione numerosa. l Gruppo rionale fascista è retto dal Fiduciario, alla dipendenza del Segretario del Fascio di combattimento. Il Fiduciario del Gruppo rionale fascista è assistito da una Consulta di cinque membri, attua le direttive ed esegue gli ordini del Segretario del Fascio di combattimento al quale Segretario designa un vice Fiduciario e un consultore amministrativo, scelti fra i componenti della Consulta del Gruppo. La Consulta del Gruppo è costituita dal vice Fiduciario, dal consultore amministrativo e da quattro componenti, essa esercita funzioni consultive ed esecutive sulle direttive del Fiduciario. Il Gruppo rionale fascista è diviso in settori, i settori in nuclei.

25 Per gli iscritti al Partito vi erano previste alcune cariche onorifiche che erano ratificate dopo un attento esame da parte di apposite commissioni in seno alle Federazioni dei Fasci o alla Segreteria nazionale. Sostanzialmente le onorificenze attribuite ai Fascisti erano tre: Sanselpocristi, Squadristi e Fascio Littorio. Cariche Onorifiche

26 COMPOSIZIONE GRADI DAL 1931 AL 1934
SANSEPOLCRISTI I Sansepolcristi avevano, come segno distintivo sull'uniforme del Partito, uno scudetto ricamato in oro su panno nero. Lo scudetti, di dimensioni 7x5,5 cm., era portato all'avambraccio sinistro. SQUADRISTI “ Spetta la qualifica di squadrista al fascista che, per essere stato iscritto nei Fasci italiani di Combattimento e nel Partito Nazionale Fascista prima della Marcia su Roma e per aver fatto parte delle Squadre d’Azione nel periodo 23 marzo 1919 – 28 ottobre 1922, ne abbia ottenuto il riconoscimento”. COMPOSIZIONE GRADI I gradi all’interno del partito, sono stati modificati per tre volte, fino al 1945. COMPOSIZIONE GRADI DAL 1931 AL 1934 I gradi venivano portati nel centro della giubba, erano costituiti da stellette ricamate a una due o tre stelle in base alla carica rivestita nel Partito, con fondo nero. COMPOSIZIONE GRADI DAL 1934 AL 1938 Il Distintivo di grado, è sostituito in uno a forma di scudetto, con controspalline nere

27 COMPOSIZIONE GRADI DAL 1938 AL 1943
. SEGRETARIO   DEL P.N.F. MINISTRO, SOTTOSEGRETARIO DIRETTORIO NAZIONALE ISPETTORE CONTROSPALLINE COMPOSIZIONE GRADI DAL 1938 AL 1943 I distintivi di grado rimangono a forma di scudetto ma viene aggiunta, anche l'aquila sul berretto, dal cordone portato sulla spalla e dalle controspalline che cambiano totalmente. SEGRETARIO   DEL P.N.F. MINISTRO, SOTTOSEGRETARIO DIRETTORIO NAZIONALE ISPETTORE FREGIO BERRETTO CONTROSPALLINE

28 La conquista del potere: la marcia su Roma (28 ottobre 1922)
La possibilità di conquistare il potere con la forza fu prospettata per la prima volta da Benito Mussolini il 29 settembre 1922, in una seduta segreta a Firenze della direzione fascista. La decisione di passare all’azione si ebbe il 16 ottobre 1922, nella riunione a Milano del gruppo dirigente fascista, nel corso della quale venne anche costituito il quadrumvirato che avrebbe diretto l'insurrezione, formato da De Vecchi, De Bono, Balbo e Bianchi. Pochi giorni dopo, il 24 ottobre, al Congresso fascista di Napoli, arrivò il proclama ufficiale di Mussolini: "O ci daranno il governo o lo prenderemo calando a Roma".

29 Secondo i piani, il quadrunvirato, insediato a Perugia, avrebbe assunto nella notte tra il 26 e il 27 i pieni poteri e nei due giorni successivi sarebbe seguita la mobilitazione delle squadre fasciste che avrebbero occupato i punti chiave dell'Italia centrale. Le bande destinate a marciare sulla capitale ( uomini) furono inquadrate in quattro colonne (una di riserva e tre concentrate a Santa Marinella, Monterotondo e Tivoli) e cominciarono a muovere verso Roma il 27. Mussolini rimase a Milano in attesa degli sviluppi della situazione a livello governativo. In grande ritardo, dopo la mezzanotte tra il 27 e il 28 ottobre 1922, il presidente del consiglio Luigi Facta, richiamato il re da San Rossore (Pisa) a Roma, convocò il Consiglio dei ministri per predisporre il decreto di stato d’assedio, che dava pieni poteri al governo per disperdere i fascisti con l'esercito. Il generale Pugliese, capo del territorio di Roma, predispose, con i suoi uomini, la difesa della capitale. La mattina del 28  le bande fasciste vennero temporaneamente fermate a Civitavecchia, Orte, Avezzano e Segni. Vittorio Emanuele III, che alle due del mattino aveva espresso il suo accordo con la decisione del governo, quando di prima mattina ricevette Facta con il decreto (che era già stato affisso nelle strade della capitale), anche perché influenzato dal parere negativo di Salandra e di Giolitti, si rifiutò di firmarlo. Caduto Facta, il re propose a Mussolini un ministero con Salandra, ma il duce rifiutò sostenendo la richiesta di un governo interamente fascista. Il 29 ottobre Vittorio Emanuele cedette e chiese formalmente a Mussolini di formare il nuovo esecutivo.

30 Quando i fascisti entrarono a Roma, era già tutto deciso
Quando i fascisti entrarono a Roma, era già tutto deciso. Nonostante la successiva mitizzazione della "marcia", essa fu essenzialmente una parata: le squadre fasciste, infatti, giunsero nella capitale 24 ore dopo che Mussolini aveva già ricevuto l’incarico di formare il nuovo governo. Lo stesso duce arrivò a Roma in vagone-letto da Milano la mattina del 30 ottobre e la sera salì al Quirinale per sottoporre al re la lista dei suoi ministri. La marcia su Roma e la conquista del potere da parte di Mussolini rappresentarono il momento culminante di un periodo di scioperi (il cosiddetto biennio rosso, ), violenza e illegalità diffusa cui le istituzioni dello Stato liberale – governi deboli e incapaci di durare a lungo - non erano riuscite a porre rimedio, e che aveva visto gli squadristi fascisti protagonisti, in contrapposizione ai socialisti, ai sindacati e alle leghe contadine. Vissuto in forma minoritaria e marginale fino all’inizio del 1921, il fascismo si inserì nel vuoto di potere e nella crisi dello Stato liberale mediante la violenza e le spedizioni punitive delle "squadre d’azione" – spesso tollerate dalle autorità locali e in alcuni casi perfino appoggiate da esercito e polizia – contro Case del Popolo, sezioni socialiste e amministrazioni comunali rosse. Con le parole d’ordine del nazionalismo e dell’anti-socialismo, il movimento di Benito Mussolini raccolse in breve tempo il largo consenso sia di ex-combattenti, agrari a media borghesia urbana, sia dei centri di potere degli industriali e dell’alta borghesia (di qui la tesi secondo la quale l’avvento del fascismo avrebbe avuto la funzione di impedire la presa del potere da parte dei socialisti in Italia, accreditata anche dal fatto che le forze conservatrici europee inizialmente guardano con un certo favore all’ascesa di Mussolini).

31 Quando Mussolini andò al potere, buona parte della classe politica liberale era convinta che sarebbe durato poco. Lo stesso Giolitti, del resto, inserendo i fascisti nei Blocchi Nazionali – l’alleanza elettorale per il rinnovo del Parlamento del maggio si era illuso di poterne sfruttare la forza contro l’esuberanza della classe operaia, per poi far rientrare gli squadristi nella legalità. Il fascismo invece si stava rapidamente costituendo come una vera e propria struttura statuale alternativa e quindi in grado di sostituirsi al modello liberale in decomposizione.

32 La nascita della dittatura (1922-1926)
Il primo governo Mussolini, al quale partecipano anche ministri liberali, ottiene il voto di fiducia di un ampio fronte parlamentare che va dalla maggioranza dei liberali al partito popolare (306 voti favorevoli e 116 contrari). Utilizzando i poteri costituzionali, tra il 1922 e il 1925, Mussolini svolge un sistematico processo di fascistizzazione dello Stato, delle sue strutture e del suo ordinamento, gettando le basi della dittatura: rafforzamento del potere esecutivo, indebolimento delle prerogative del Parlamento, integrazione delle strutture militari e politiche fasciste nell’apparato statale, riduzione del pluralismo politico per imporre il partito unico, eliminazione delle libertà costituzionali come quelle di stampa, di associazione e di sciopero. Nel 1922 nasce il Gran Consiglio del fascismo e l’anno seguente lo squadrismo viene istituzionalizzato nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, con il doppio scopo da parte di Mussolini di potersene servire contro i nemici politici ed esercitare un controllo diretto sul braccio armato del suo stesso movimento. Sempre nel 1923, viene approvata una nuova legge elettorale, la legge Acerbo, che elimina di fatto il sistema proporzionale fissando un premio di maggioranza pari ai 2/3 dei seggi per la lista che ottiene più del 25%.

33 Le elezioni dell’aprile 1924 si svolgono in un clima di terrore e di violenza. Le opposizioni sono disunite e non riescono ad offrire una alternativa valida al "listone" fascista - cui aderiscono anche la maggior parte dei liberali, escluso Giolitti - che conquista 403 seggi contro i 106 delle opposizioni. Poco dopo però il fascismo si trova a dover affrontare una gravissima crisi. In seguito al rapimento e all’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti, che all’apertura della nuova Camera aveva denunciato le illegalità e le violenze della campagna elettorale, nel paese si diffonde una ondata di proteste e indignazione. Le forze d’opposizione, dai liberali di Amendola, ai socialisti, ai comunisti, abbandonano il Parlamento e si ritirano su quello che Filippo Turati definisce "l’Aventino delle coscienze". Restano però le differenze interne – più prudenti i liberali e i socialisti, mentre i comunisti pensano ad un vero e proprio Parlamento alternativo – e il progetto di convincere il re a liquidare Musolini e indire nuove elezioni ripristinando la proporzionale fallisce. Il 3 gennaio 1924 Mussolini pronuncia il seguente discorso alla Camera: "Dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea ed al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto". Nei giorni seguenti vengono imbavagliati i giornali di opposizione, chiusi 35 circoli politici, sciolte 25 organizzazioni definite "sovversive", serrati 150 esercizi pubblici, arrestati 111 oppositori ed eseguite 655 perquisizioni domiciliari.

34 Intanto la violenza contro gli oppositori si scatenava ancora una volta in modo selvaggio: Amendola, principale capo dell’opposizione dopo la morte di Matteotti, fù nuovamente aggredito, il 20 luglio 1925, da una squadra guidata da Carlo Scorza, futuro segretario del partito fascista, e morì nell’aprile successivo in Francia; la famiglia Rosselli subì tre "azioni punitive"; Filippo Turati e Gaetano Salvemini furono forzati a seguire in esilio Sturzo e Nitti. Il 4 ottobre 1925 si ripeté a Firenze una strage di antifascisti come quella del 18 dicembre 1922 a Torino (la "notte di San Bartolomeo"). Anche alla Camera dei deputati, del resto chiusa per lunghi periodi agli oppositori, i fascisti, non permettevano praticamente più di prendere la parola. Mussolini si esprimeva contro "il parlamentarismo parolaio", che, diceva, gli faceva solo perdere tempo. Pochi mesi dopo vengono varate le "leggi fascistissime". Approfittando dell’attentato progettato dal deputato Tito Zaniboni, denunciato in anticipo da una spia (4 novembre 1925), Mussolini fece occupare le logge massoniche, sciolse il Partito Socialista Unitario e ne soppresse l’organo La Giustizia, s’impadronì del Corriere della Sera e della Stampa, sciolse centinaia di associazioni, decretò il licenziamento di migliaia di impiegati statali, tolse la cittadinanza agli esuli politici, modificò o Statuto stabilendo che al capo del governo, nominato dal re e non più soggetto alla fiducia parlamentare, venivano attribuiti poteri speciali tra cui la nomina a sua discrezione dei ministri e la decisione sugli argomenti in discussione in Parlamento. All’inizio del 1926 vengono abolite le amministrazioni locali di nomina elettiva e il sindaco viene sostituito dal podestà di nomina governativa.

35 E non era finita. In seguito a un altro attentato assai misterioso, che venne attribuito al giovinetto Anteo Zamboni, linciato sul posto a Bologna il 31 ottobre 1926, Mussolini sciolse tutti i partiti — a eccezione, naturalmente, di quello fascista —, soppresse i giornali antifascisti, istituì la pena del confino, introdusse la pena di morte, creò la polizia segreta (OVRA) e il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, col compito di reprimere i reati politici, cioè gli oppositori del fascismo, proclamò la decadenza di 120 deputati d’opposizione accusati di aver disertato i lavori parlamentari, compresi però i comunisti che a Montecitorio erano rientrati tentando di far sentire la loro voce di opposizione. Tutti questi provvedimenti, che tra l’altro aumentavano i poteri dell’esecutivo sul legislativo, passarono in novembre alla Camera e al Senato senza che fosse consentita la minima discussione. Durissime condanne furono comminate agli oppositori (da 20 a 23 anni di carcere a Gramsci, Terracini, Scoccimarro, ma furono centinaia gli antifascisti che riempirono le carceri). Le investigazioni e la repressione furono attuate soprattutto dagli uffici speciali di polizia che costituirono l’OVRA, la cui sigla, sempre rimasta misteriosa, fu inventata personalmente da Mussolini. Col novembre 1926 si può dire che si abbia in Italia la fine di ogni vita politica e l’inizio del "regime". Comincia la "fascistizzazione" di tutte le istituzioni e di tutti i settori dell’attività nazionale: stampa, scuola, magistratura, diplomazia, esercito, organizzazioni giovanili e professionali. La soppressione di libere elezioni completa l’opera. Il regime parlamentare, a questo punto, non esiste più, sostituito da un regime autoritario a partito unico, incentrato sull’autorità del capo del governo e basato sul terrore poliziesco.

36 La guerra di Etiopia (1935-36)

37 La politica coloniale dell'Italia riprese slancio negli anni Venti, trovando una sua coerente giustificazione nell'ideologia fascista. Subito dopo l'avvento di Mussolini, la presenza italiana in Libia fu consolidata: fu ampliata l'occupazione della Tripolitania settentrionale ( ) e della Tripolitania meridionale, mentre una dura repressione fu avviata in Cirenaica, guidata con successo dal generale Graziani. Tra il 1923 ed il 1928 fu inoltre completata la conquista della Somalia, fino a quel momento limitata alla parte centrale del Paese. In Etiopia, invece, il fascismo non ritenne, in questa prima fase, di modificare la situazione. Anzi, nel 1928 Italia ed Etiopia stipularono un patto di amicizia ed una convenzione stradale. La decisione di intraprendere una campagna militare in Etiopia iniziò a maturare a partire dal 1930. Il pretesto per l'avvio delle operazioni militari, i cui piani erano stati preparati già da tempo, fu offerto il 5 dicembre 1934 da un incidente presso la località di Ual-Ual, lungo la frontiera somala. L'imperatore d'Etiopia, Hailè Selassiè, preoccupato dai progetti italiani, si rivolse alla Società delle Nazioni, di cui il suo Paese era membro dal Ma Inghilterra e Francia, che non volevano alienarsi l'appoggio di Mussolini nel nuovo scenario politico d'Europa, impedirono di fatto che l'azione italiana fosse ostacolata. Solo in un secondo tempo, quando l'opinione pubblica internazionale iniziò a mobilitarsi contro la violenta aggressione dell'Italia, la Società delle Nazioni approvò una serie di sanzioni economiche contro l'Italia (ottobre 1935).

38 Il 2 ottobre 1935, in un famoso discorso pubblicato il giorno successivo su tutti i giornali italiani, Mussolini annunciò l'inizio di una guerra provocata senza alcuna causa plausibile, rispolverando come giustificazione la bruciante sconfitta subita dall'Italia alla fine del secolo precedente: «Con l'Etiopia abbiamo pazientato quaranta anni! Ora basta!» L'esito della guerra era facilmente immaginabile considerato l'enorme dispiegamento di mezzi disposto dall'Italia. Il 3 ottobre le truppe italiane invasero l'Etiopia dall'Eritrea, occupando in breve tempo Adua, Axum, Adigrat, Macallè. A metà novembre la direzione delle operazioni fu affidata al generale Pietro Badoglio, che, dopo aver affrontato la controffensiva etiopica, entrò ad Addis Abeba il 5 maggio 1936. Il 9 maggio 1936 Mussolini poté proclamare la costituzione dell'Impero italiano di Etiopia, attribuendone la corona al Re d'Italia Vittorio Emanuele III.

39 Ebrei e fascismo, storia della persecuzione
All'inizio del Novecento le comunità israelitiche sono quasi del tutto integrate in Italia, e l’antisemitismo è limitato a frange minoritarie del mondo cattolico e ad alcune riviste, come La Civiltà Cattolica dei gesuiti. Alcuni esponenti delle comunità ricoprono cariche importanti nella politica e nell’esercito: nel 1902, fra i 350 senatori nominati dal re, figurano 6 senatori ebrei (nel 1920 diventeranno addirittura 19); nel 1906 il barone Sidney Sonnino, ebreo convertito al protestantesimo, è nominato presidente del Consiglio, dopo essere stato ministro delle Finanze e degli Esteri; nel 1910 un altro ebreo, Luigi Luzzati, questa volta non convertito, ricopre la carica di primo ministro, dopo essere stato anch’egli ministro delle Finanze. Il sociologo Leopoldo Franchetti è senatore conservatore per molti anni, prima di suicidarsi dopo la sconfitta italiana di Caporetto. Salvatore Barzilai, giornalista irredentista di Trieste, è eletto deputato per otto mandati e, dopo la Grande Guerra, fa parte della delegazione italiana alla conferenza per la pace a Versailles. Ernesto Nathan, ebreo e massone, è sindaco di Roma dal 1907 al Giuseppe Ottolenghi, primo ebreo a rivestire il grado di generale nel 1888, diventa istruttore del futuro Vittorio Emanuele III e nel 1902 viene nominato senatore e ministro della Guerra. E’ significativo anche il contributo ebraico al primo conflitto mondiale: l’Italia ha 50 generali ebrei; uno di questi, Emanuele Pugliese, sarà il più decorato dell’esercito; un altro, il generale Roberto Segre, idea le difese sul Piave.

40 L’avvento del fascismo non mette in crisi l’integrazione degli ebrei in Italia. Nella famosa riunione in piazza San Sepolcro a Milano (23 marzo1919), fra i 119 fondatori del fascismo ci sono anche cinque ebrei, ed è uno di loro (Cesare Goldman) a procurare la sala all'associazione industriali dove Mussolini tiene a battesimo il movimento. Tra i "martiri fascisti" che muoiono negli scontri con i socialisti fra il 1919 e il 1922, figurano tre ebrei: Duilio Sinigaglia, Gino Bolaffi e Bruno Mondolfo. Più di 230 ebrei partecipano alla marcia su Roma nell’ottobre del 1922 e risulta che a quella data gli iscritti al partito fascista o a quello nazionalista (che poi nel 1923 si fondono) siano ben 746. A Fiume con D'Annunzio ci sono ebrei, fra cui Aldo Finzi che diviene poi sottosegretario agli interni di Mussolini e membro del Gran Consiglio (allontanato dal Regime, entrerà poi nella Resistenza e morirà alle Fosse Ardeatine), mentre Dante Almansi ricopre addirittura sotto il fascismo la carica di vice capo della polizia. Guido Jung è eletto deputato fascista e viene nominato ministro delle Finanze dal 1932 al Maurizio Rava è nominato vicegovernatore della Libia, governatore della Somalia e generale della milizia fascista. Tanti altri ebrei, pur occupando posti di minore importanza, contribuiscono all’affermazione del fascismo, come il commendator Elio Jona, finanziatore de Il Popolo d’Italia, e come gli industriali lombardi di origine ebraica che, per paura del comunismo, sostengono finanziariamente il movimento. Lo stesso Benito Mussolini conta fra i suoi amici esponenti dell’ebraismo quali la russa Angelica Balabanoff, Cesare Sarfatti e Margherita Sarfatti, per lungo tempo amante del duce, condirettrice della rivista fascista "Gerarchia" e autrice della prima biografia di Mussolini dal titolo Dux, tradotta in tutte le lingue, che contribuisce significativamente a propagandare il fascismo a livello mondiale.

41 Questo non significa che l’ebraismo italiano sposi la causa del fascismo. Mussolini, fin dai primi anni, deve fare i conti con l’opposizione anche di molti ebrei: i socialisti Treves e Modigliani sono fra i protagonisti dell’Aventino; il senatore Vittorio Polacco pronuncia un coraggioso discorso, che ha una vasta eco nel paese; Eucardio Momigliano, che era stato uno dei sansepolcristi ebrei, abbandona il fascismo quasi subito, fondando l’Unione democratica antifascista; il deputato Pio Donati, aggredito e percosso due volte, è costretto all’esilio e muore in solitudine nel 1926; alcuni professori universitari rifiutano fedeltà al Regime (tra i 12 coraggiosi in tutt’Italia, tre sono ebrei: Giorgio Errera, Giorgio Levi della Vida e Vito Volterra), il presidente della Corte Suprema Ludovico Mortara si dimette; nel maggio del ’25 il Manifesto degli intellettuali fascisti redatto da Croce è sottoscritto da 33 ebrei. Primi anni del Regime, il problema ebraico non esiste Nei primi anni Venti per il fascismo il problema ebraico non esiste, anzi Mussolini – quando ciò corrisponde ai suoi fini politici – non manca di corteggiare le comunità israelitiche, come testimoniano le sue parole sul Popolo d’Italia del 1920: "In Italia non si fa assolutamente nessuna differenza fra ebrei e non ebrei, in tutti i campi, dalla religione, alla politica, alle armi, all’economia... la nuova Sionne, gli ebrei italiani, l’hanno qui, in questa nostra adorabile terra". Solo dopo il ‘38, molti zelanti gerarchi italiani filo-nazisti, per far piacere a Hitler, spulceranno alcuni vecchi discorsi di Mussolini, con qualche frase che si poteva interpretare razzista (sul Popolo d'Italia del 4 giugno 1919 il duce affermava: "Sulla Rivoluzione Russa mi domando se non è stata la vendetta dell'ebraismo contro il cristianesimo, visto che l'80 per cento dei dirigenti dei soviet sono ebrei...

42 La finanza dei popoli è in mano agli ebrei, e chi possiede le casseforti dei popoli dirige la loro politica" e concludeva che il bolscevismo era "difeso dalla plutocrazia internazionale, e che la borghesia russa era guidata dagli ebrei; quindi proletari non illudetevi"). Ma si tratta soltanto di battute. Nel novembre del ’23 Mussolini, dopo aver ricevuto il rabbino di Roma Angelo Sacerdoti, fa diramare un comunicato ufficiale in cui si legge: "(…) S.E. ha dichiarato formalmente che il governo e il fascismo italiano non hanno mai inteso di fare e non fanno una politica antisemita, e che anzi deplora che si voglia sfruttare dai partiti antisemiti esteri ai loro fini il fascino che il fascismo esercita nel mondo". Nel 1930, l’anno dopo il Concordato col Vaticano, il duce fa approvare la Legge Falco sulle Comunità israelitiche italiane, accolta molto favorevolmente dagli ebrei italiani. In realtà con questa legge il fascismo vuole soltanto servirsi degli ebrei per la sua politica. Il rabbino di Alessandria d’Egitto (David Prato) è un italiano; in tal modo si pensa che l’influenza italiana nel Levante si affermi; viene perciò aperto un Collegio rabbinico a Rodi; i consoli italiani fanno opera di persuasione perché gli ebrei italiani all’estero non rinuncino alla cittadinanza; si facilita l’iscrizione alle Università italiane di quegli studenti stranieri che provengono da paesi dove vige il "numerus clausus". Il Collegio rabbinico da Firenze viene nuovamente trasferito a Roma. Nel ’32 la Mondadori pubblica i famosi Colloqui con Mussolini di Emil Ludwig, e il duce condanna il razzismo senza riserve, definendolo una "stupidaggine", quanto all’antisemitismo, afferma che "non esiste in Italia". Dopo la presa del potere da parte di Hitler, i profughi ebrei dalla Germania vengono accolti e il loro insediamento non è ostacolato dalle Autorità.

43 Se non si tratta di un corteggiamento, poco ci manca
Se non si tratta di un corteggiamento, poco ci manca. La risposta delle comunità ebraiche è ottima: tra l’ottobre del 1928 e l’ottobre del 1933, sono 4920 gli ebrei che si iscrivono al partito fascista; poco più del 10 per cento della popolazione ebraica italiana. , comincia l'antisemitismo I primi germi dell’antisemitismo incominciano a manifestarsi dopo la conquista del potere da parte di Hitler in Germania nel Su diversi giornali fascisti appaiono i primi segni dell’antisemitismo che, raccogliendo la letterature tradizionali, accusano gli ebrei di voler conquistare il potere mondiale. Nel marzo del 1934 due giovani ebrei torinesi aderenti a Giustizia e Libertà, Sion Segrè e Mario Levi, sono fermati dall’Ovra alla frontiera mentre tentano di introdurre manifestini e propaganda antifascista. Levi riesce a darsi alla fuga gettandosi nelle acque del Lago Maggiore. Nella rete cadono anche i loro "complici": Leone Gizburg, Carlo Mussa Ivaldi, Barbara Allaso, Augusto Monti. Questo fatto da’ occasione a molti giornali di sfogare il loro livore antisemita. tanto che il gerarca Roberto Farinacci invita tutti gli ebrei italiani a scegliere tra sionismo e fascismo. E mentre alcuni ebrei corrono ai ripari, e nella stessa Torino viene fondato il giornale La nostra bandiera, diretto da Ettore Ovazza (che poi nel ’43 sarà ucciso dai tedeschi), esponente dei buoni "cittadini italiani di religione israelitica" , devoti al Regime, altri continuano a tenere un contegno degno delle più nobili tradizioni risorgimentali; fra questi i due fratelli Nello e Carlo Rosselli - discendenti da Pellegrino Rosselli e Jeannette Nathan Rosselli, che ospitarono Mazzini - uccisi in Francia da sicari fascisti nel Carlo Rosselli, in esilio a Parigi, fonda il movimento "Giustizia e libertà" e poi combatte nella guerra civile in Spagna.

44 Dal ‘34 è un crescendo di "segnali" antiebraici
Dal ‘34 è un crescendo di "segnali" antiebraici. La stampa ospita sempre più di frequente articolo razzisti. Nel 1936, a Tripoli, alcuni esponenti della Comunità ebraica vengono fustigati nella pubblica piazza perché i commercianti ebrei della città si rifiutano di tenere i negozi aperti di sabato. Mussolini, autonominatosi "protettore dell’Islam", appoggia gli Arabi di Palestina, inviando loro armi; si parla di minaccia ai luoghi santi da parte del Sionismo, sostenuto dalla Gran Bretagna. Nel novembre del ’36 il Ministro degli esteri Galeazzo Ciano emana precise istruzioni affinché si eviti che funzionari ebrei della Farnesina siano incaricati di trattare con la Germania. Eppure si tratta ancora di episodi limitati, non ancora di una scelta politica dichiarata dell’intero partito. E infatti si registrano anche avvenimenti di segno opposto. Nel ’34 Mussolini da’ il via libera alla creazione della sezione ebraica della scuola marittima di Civitavecchia (molti dei partecipanti costituiranno poi il nucleo della marina israelina): L’anno dopo diversi ebrei partecipano alla guerra d'Etiopia e, successivamente, alla guerra di Spagna Uno dei caduti in Spagna (Alberto Liuzzi) è perfino decorato di medaglia d'oro. Anche quando la Società delle Nazioni sanziona l’Italia, l’adesione alla "giornata della fede" e all’offerta dell’oro da parte delle comunità ebraiche è larghissima. La guerra in Africa mette il Governo italiano in contatto coi 30 mila Falascia che vivono in Abissinia, un nucleo di negri professante la religione ebraica, ma vissuto per secoli in assoluto isolamento. Mussolini, ritenendo opportuno favorire questo gruppo, dopo che i capi Falascia hanno prestato il giuramento di fedeltà, lo mette in relazione con gli ebrei d’Italia. Anche se, contemporaneamente, il Regime mette in cantiere una legislazione indirizzata a contenere il meticciato fra italiani e popolazioni indigene africane che fa da apristrada a a concezione di superiorità della razza italica.

45 La situazione va nettamente peggiorando col graduale avvicinamento del governo fascista a quello hitleriano, anche se Mussolini, il 16 febbraio del ’38, con il documento n. 14 dell’Informazione diplomatica, il bollettino semiufficiale adoperato dal regime per comunicare le sue scelte di politica estera, smentisce ufficialmente le voci, sempre più insistenti, provenienti dall’estero, di misure antisemite che il governo italiano andrebbe elaborando. Ne sono consapevoli i vertici delle comunità ebraiche. E infatti nel ’37, dopo che una delegazione italiana ha partecipato al Congresso antisemita di Erfurt, viene pubblicato un coraggioso "Manifesto dei rabbini d’Italia ai loro fratelli", aperta rampogna agli ebrei italiani che seguendo altre ideologie si ritengono avulsi dal loro ceppo di origine. Nella primavera del ’37 Paolo Orano, rettore dell’Università di Perugia, pubblica "Gli Ebrei Italiani". In questo libro Orano chiede agli ebrei di diventare in tutto e per tutto italiani, di prendere le distanze dal sionismo e di tagliare i ponti con gli ebrei dei paesi liberal-democratici per sostenere la lotta contro l’internazionale ebraica. Intanto Giovanni Preziosi diffonde in Italia il falso documento "I Protocolli dei Savi Anziani di Sion", pesantemente antisemita. La campagna di stampa si fa sempre più pesante. Il giornale Regime Fascista pubblica regolarmente articoli razzisti firmati Farinacci. Altri giornali antisemiti, Il Tevere, Giornalissimo, Quadrivio, vomitano insulti e calunnie contro gli ebrei; il più zelante divulgatore di odio razziale è Telesio Interlandi, autore del libello "Contra Judaeos".

46 1938, la visita di Hitler e le leggi razziali
Nel maggio del 1938 Hitler viene a Roma per ricambiare la visita di Mussolini. Storicamente non esiste la prova di un collegamento diretto tra la visita e la svolta razzista del Regime (e secondo molti storici, a partire da De Felice, sarebbe ingiusto scaricare le responsabilità dell’Italia e del fascismo su Hitler). Fatto sta che il mese dopo una delegazione di esperti tedeschi di razzismo viene in Italia per istruire funzionari italiani su questa pseudo-scienza; e appena due mesi dopo, il 14 luglio del 1938, viene pubblicato il "Manifesto della razza" , firmato da un gruppo di professori, di cui il più autorevole è Nicola Pende, in cui si sostiene la teoria della purità della razza italiana, prettamente ariana, il cui sangue va difeso da contaminazioni: quindi, gli ebrei sarebbero estranei e pericolosi al popolo italiano. Sempre in luglio l’ufficio demografico del Ministero dell’interno si trasforma in Direzione generale per la demografia e la Razza. Il massimo consenso alla campagna razzista si manifesta tra gli intellettuali e i docenti universitari. Tutto ciò suscita scarsi dissensi. Uniche eccezioni di rilievo sono il filosofo Giovanni Gentile, lo scrittore Massimo Bontempelli, e il fondatore del futurismo Tommaso Marinetti. Voci discordi si levano anche in ambienti cattolici (in particolare ad opera del gruppo fiorentino di Giorgio La Pira), preoccupati tra l’altro della piega "pagana" che sembra prendere la persecuzione antiebraica, e inizialmente anche da parte del Vaticano che però – come scrive Renzo De Felice – tutto sommato non si dimostra contrario "ad una moderata azione antisemita". E infatti il 10 ottobre l’ambasciatore italiano presso la santa Sede comunica per telespresso a Mussolini: "(…) le recenti deliberazioni del Gran Consiglio in tema di difesa della razza non hanno trovato in complesso in Vaticano sfavorevoli accoglienze (…) le maggiori per non dire uniche preoccupazioni della Santa Sede si riferiscono al caso di matrimoni con ebrei convertiti".

47 Contemporaneamente al "Manifesto della razza" viene lanciata (in data 15 luglio 1938) un’edizione speciale dei "Protocolli"; e per sostenere e diffondere la teoria razziale, nuova per gli italiani, inizia le sue pubblicazioni una rivista: La difesa della razza, diretta da Telesio Interlandi. Durante tutta l’estate del ‘38 tutta la stampa italiana pubblica articoli diffamatori contro gli ebrei per preparare l’opinione pubblica alla normativa razziale. Il 1° settembre 1938 viene emanata la legge: tutti gli ebrei italiani sono messi al bando della vita pubblica; perfino le scuole sono precluse ai bambini ebrei. All’interno del partito fascista, tra i pochi ad opporsi c’è Italo Balbo. La persecuzione degli ebrei italiani Il periodo è tragico per gli ebrei italiani. Michele Sarfatti nel suo studio certifica che in questi sei anni vengono assoggettate alla persecuzione circa persone, cioè poco più dell’1 per mille della popolazione della penisola; i perseguitati sono in parte (circa ) ebrei effettivi e in parte (circa 4500) non-ebrei classificati "di razza ebraica". L’antisemitismo permea la vita del paese in tutti i suoi comparti. In un solo anno, dei 10 mila ebrei stranieri presenti in Italia, 6480 sono costretti a lasciare il Paese. Uno degli epicentri della "pulizia etnica" del fascismo sono le scuole e le Università. Nel giro di poche settimane, 96 professori universitari, 133 assistenti universitari, 279 presidi e professori di scuola media, oltre un centinaio di maestri elementari, oltre 200 liberi docenti, 200 studenti universitari, 1000 delle scuole secondarie e 4400 delle elementari vengono allontanati dagli atenei e dalle scuole pubbliche del regno: una profonda ferita, mai completamente rimarginata, viene inferta alla cultura italiana.

48 Molti illustri docenti sono costretti all’esilio (come Enrico Fermi, che ha una moglie ebrea); altri costretti al silenzio e alla miseria, esclusi da quegli istituti che hanno creato, come Tullio Levi Civita (fisico e matematico), che si vede persino negare l’ingresso alla biblioteca del suo Istituto di Matematica della Università di Roma dal nuovo direttore, Francesco Severi. La stessa tragica sorte subiscono 400 dipendenti pubblici, 500 dipendenti privati, 150 militari e 2500 professionisti, che perdono i loro posti di lavoro e vengono ricacciati nel nulla, senza possibilità non solo di proseguire la loro carriera, ma spesso anche di sopravvivere. Gli episodi di violenza fisica da parte fascista sono per fortuna contenuti (qualche incidente si verifica solo a Roma, Trieste, Ferrara, Ancona e Livorno) Gli ebrei come reagiscono? Quelli che hanno la possibilità, emigrano: i più verso le Americhe, molti in Palestina (alla data del 28 ottobre 1941 risultano aver lasciato il regno 5966 ebrei di nazionalità italiana). L’1 per mille dei perseguitati si suicida. Il caso più drammatico è quello di Angelo Fortunato Formiggini, giornalista, editore, fra i primi a rendersi conto della pericolosità del fascimo. Si registrano anche molte abiure e pubbliche dissociazioni (3880 casi tra il 1938 e il 1939) ed anche qualche "arianizzazione", ottenuta col presentare documenti falsi e forti somme di denaro. Sono invece pochi quelli che fanno valere una legge, emanata ad hoc, secondo la quale era da considerarsi "ariano" l’ebreo che dimostrava di essere figlio di un adulterio. Gli altri si adattano a vivere come possono, si organizzano in seno alle stesse Comunità e continuano, malgrado le loro peggiorate condizioni, ad aiutare i fratelli d’oltralpe che dall’avvento di Hitler al potere continuano ad affluire numerosi in Italia (tra il ’38 e il ’41, nonostante i divieti e le leggi razziali, ne arrivano almeno 3mila, anche grazie alla compiacenza delle guardie di frontiera).

49 Nel 1939, Dante Almansi, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, è autorizzato dal governo a creare un’organizzazione per assistere i rifugiati ebrei giunti in Italia da altre parti d’Europa. Conosciuta come Delasem, il nome per esteso di questa organizzazione era Delegazione Assistenza Emigranti Ebrei. Tra il 1939 e il 1943 la Delasem aiuta oltre cinquemila rifugiati ebrei a lasciare l’Italia e raggiungere Paesi neutrali, salvando loro la vita. II guerra mondiale, la persecuzione si aggrava La politica razziale del fascismo dovrebbe concludersi con l’allontanamento di tutti gli ebrei dalla penisola. Mussolini decide nel settembre 1938 l’espulsione della maggioranza degli ebrei stranieri e nel febbraio 1940 l’espulsione entro dieci anni degli ebrei italiani. L’ingresso dell’Italia in guerra il 10 giugno 1940 blocca l’attuazione di queste decisioni. Con la guerra, però, il fascismo aggrava la persecuzione dei diritti, istituendo nel giugno 1940 l’internamento degli ebrei italiani giudicati maggiormente pericolosi (per il regime) e degli ebrei stranieri i cui paesi avevano una politica antiebraica. Nel ’40 gli ebrei italiani internati o confinati sono 200 (tra essi, vi è Leone Ginzburg con la moglie Natalia); nel ’43 raggiungeranno il migliaio. Il numero degli ebrei stranieri internati è di gran lunga più alto, anche se mancano dati precisi al riguardo. Campi di concentramento vengono aperti in ogni parte d’Italia. I più importanti sono quelli di Campagna e di Ferramonti. De Felice nel suo libro "Storia degli ebrei sotto il fascismo", parla di oltre 400 tra luoghi di confino e campi di internamento, ma non è stato ancora fatto un censimento attendibile. Ebrei vengono rinchiusi anche nelle prigioni delle maggiori città italiane, San Vittore a Milano, Marassi a Genova e Regina Coeli a Roma.

50 Non è finita. Nel maggio 1942 gli israeliti di età compresa tra i 18 e i 55 anni sono precettati in servizi di lavoro forzato(ma su precettati, ne saranno avviati al lavoro solo 2038). Nel maggio-giugno 1943 vengono creati dei veri e propri campi di internamento e lavoro forzato per gli ebrei italiani. Soltanto all’Estero, la situazione è visibilmente migliore: in Francia, Jugoslavia e Grecia, i comandi italiani intervengono spesso a difesa degli ebrei e sottraggono molti di loro ai tedeschi, salvandoli dalla persecuzione e dalle deportazioni. Scriverà in un rapporto a Berlino un alto ufficiale delle SS, Roethke: "La zona di influenza italiana (…) è divenuta la Terra Promessa per gli Ebrei residenti in Francia". Il 25 luglio del '43 viene destituito Mussolini e sciolto il partito fascista. Il governo Badoglio rilascia i prigionieri ebrei, abroga le norme che prevedono il lavoro obbligatorio e i campi di internamento ma – nonostante la sollecitazione dei partiti antifascisti - lascia in vigore le leggi razziali, che non sono revocate neppure dal Re. Badoglio scriverà nelle sue memorie che "non era possibile, in quel momento, addivenire ad una palese abrogazione delle leggi razziali, senza porsi in violento urto coi tedeschi". Un comodo alibi. Forse qualche peso nella decisione ha anche la nota della Santa Sede al Ministro dell’Interno badogliano secondo cui la legislazione in questione "ha bensì disposizioni che vanno abrogate, ma ne contiene pure altre meritevoli di conferma". 1943, l'occupazione tedesca, la Rsi e le deportazioni Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, gli ebrei rifugiati al Sud tirano un sospiro di sollievo. La persecuzione è finita e il Governo Badoglio prende atto delle richieste degli Alleati.

51 L’articolo 31 del cosiddetto armistizio lungo è chiaro al riguardo: "Tutte le leggi italiane che implicano discriminazioni di razza, colore, fede od opinioni politiche saranno, se questo non sia già stato fatto, abrogate". E infatti il 24 novembre del ’43 il consiglio dei ministri comincia ad abrogare le leggi razziali. Nel centro-nord occupato dai tedeschi, invece, la situazione degli ebrei si aggrava ulteriormente. Già il settembre 1943 i nazisti arrestano e deportano 22 ebrei di Merano, e negli stessi giorni rapinano e uccidono quasi 50 ebrei sulla sponda piemontese del lago Maggiore, a Meina, Baveno, Arona. Il 23 settembre il RSHA, la centrale di polizia tedesca che gestiva la politica antiebraica, comunica che gli ebrei di cittadinanza italiana sono divenuti immediatamente assoggettabili alle "misure" in vigore per gli altri ebrei europei. La prima retata delle SS è quella del 16 ottobre 1943 a Roma: quel sabato vengono rastrellati 1259 ebrei; due giorni dopo 1023 di essi vengono deportati ad Auschwitz (tra di essi vi è anche un bambino nato dopo l’arresto della madre); di questi deportati, solo 17 sopravviveranno. La neonata Repubblica di Salò non è più tenera del fascismo con gli ebrei, anzi. La Carta di Verona del 14 novembre il manifesto politico della Rsi - risolve il problema degli ebrei italiani nel capitolo settimo, affermando che tutti i membri della razza ebraica sono "stranieri e parte di una nazione nemica". L’Ordine di Polizia numero 5, emanato il 30 novembre 1943 e trasmesso il giorno seguente alla radio, annuncia che tutti gli ebrei saranno inviati ai campi di concentramento, fatta eccezione per quelli gravemente malati o di età superiore ai settant’anni. Tutte le proprietà ebraiche nella Repubblica di Salò saranno sequestrate e assegnate alle vittime dei bombardamenti alleati.

52 Una legge del 4 gennaio 1944 trasforma i sequestri in confische (alla data di Liberazione il numero dei decreti di confisca sarà di circa 8mila; la Rsi si approprierà di terreni, fabbricati, aziende, titoli, mobili, preziosi, merci di famiglie ebraiche pari a oltre 2 miliardi di lire). Già il 1° dicembre le autorità italiane cominciano ad arrestare gli ebrei e a internarli in campi provinciali; alla fine di quel mese iniziano a trasferirli nel campo nazionale di Fossoli, nel comune di Carpi, in provincia di Modena. Nella "caccia agli ebrei", i più accaniti sono i fascisti delle bande autonome, la banda Carità a Firenze, la banda Kock a Roma e poi a Milano, la legione Muti, e la Guardia nazionale repubblicana, le Brigate Nere, le SS italiane. Ma si macchiano di complicità con i nazisti pure le prefetture, la polizia e i carabinieri (alcune prefetture e comandi – scrive De Felice – ci mettono "uno zelo veramente incredibile, fatto al tempo stesso di fanatismo, di sete di violenza, di rapacità"). E’ un fatto ormai accertato che i 4210 ebrei deportati dopo l’Ordine n. 5, siano stati arrestati quasi tutti dalle autorità italiane. Una "caccia" che durerà fino alla fine: il 25 aprile del 45, un gruppo di militi fascisti in fuga verso la Francia, si ferma a Cuneo per prelevare sei ebrei stranieri e li uccide, gettando i loro corpi sotto un ponte. L’8 febbraio del 1944 il campo di Fossoli passa sotto il comando tedesco e il comandante italiano del campo, che pure aveva assicurato più volte che non avrebbe mai consegnato i suoi prigionieri ai nazisti, all’atto pratico non mantiene le sue promesse. A Fossoli si realizza – come ha scritto Sarfatti – "la saldatura tra le politiche antiebraiche italiane e tedesca".

53 Dal campo modenese, infatti, gli ebrei catturati dalle autorità italiane vengono inviati nei lager dell’Europa orientale. E che in quei luoghi gli ebrei non vadano in gita ma vengano uccisi, Mussolini lo sa almeno dal febbraio del ‘43, quando aveva ricevuto un rapporto segreto di Ciano sulle deportazioni e le "esecuzioni in massa degli ebrei" in Germania. Il 15 marzo del ’44 Mussolini compie un ulteriore grave passo: istituisce un Ufficio per la razza, alle dipendenze della Presidenza del Consiglio, e vi pone a capo il super-razzista Giovanni Preziosi che sostiene apertamente che il "primo compito" della Rsi è "quello di eliminare gli ebrei". Preziosi si adopera per inviare nei campi di concentramento non solo gli ebrei puri, ma anche i cittadini di "origine mista", e per confiscare i beni anche degli ebrei "arianizzati". Prima dell’arrivo delle forze alleate, gli ebrei vengono trasferiti nel campo di Bolzano-Gries, luogo noto per le torture e gli assassinii. Dalla Risiera di San Sabba a Trieste un numero alto di ebrei viene indirizzato a morte sicura e lo stesso destino incontrano 1805 ebrei di Rodi e Kos. Le SS e la milizia fascista catturano e giustiziano sommariamente più di duecento ebrei (77 vengono fucilati alle Fosse Ardeatine, il 24 marzo, insieme a molti partigiani). In questo sono aiutati da due collaboratori ebrei - a Roma e Trieste - che identificano i correligionari e li consegnano ai loro carnefici. Per fortuna la persecuzione degli ebrei trova scarso consenso nel popolo italiano, salvo poche eccezioni; molti, pur consci del pericolo cui si espongono, salvano la vita a ebrei italiani e stranieri, nascondendoli nelle loro case; i partigiani accompagnano alla frontiera svizzera vecchi e bambini, e li mettono in salvo. Tra tutti, spiccano gli atti di eroismo di Giorgio Perlasca e del questore di Fiume Giovanni Palatucci (poi morto a Dachau). Anche la Chiesa Cattolica interviene in modo deciso. Molti ebrei trovano rifugio e salvezza nei monasteri o nelle parrocchie (solo a Roma il Vaticano aiuta oltre 4 mila ebrei).

54 Le cifre della deportazione in Italia
Quante vittime ha fatto la deportazione degli ebrei in Italia? Liliana Picciotto Fargion nell'aggiornamento del "Libro della Memoria" (Mursia) riscrive le cifre. Gli ebrei arrestati e deportati nel nostro Paese furono 6807; gli arrestati e morti in Italia, 322; gli arrestati e scampati in Italia, 451. Esclusi quelli morti in Italia, gli uccisi nella Shoah sono Ovvero circa il 20 per cento della popolazione ebraica italiana ( tra i rabbini-capo la percentuale sale al 43 per cento). A questi vanno aggiunte 950 persone che non si è riusciti a identificare e che quindi non sono classificabili. Ci sono novità anche sul meccanismo della persecuzione. La Picciotto è convinta, sulla base delle circolari che i nazisti inviavano alle autorità italiane, che tra i ministeri degli Interni tedesco e della Rsi ci fosse un accordo preciso: gli italiani avrebbero pensato alle ricerche domiciliari, agli arresti e alla traduzione nei campi di transito (in particolare quello di Fossoli); i tedeschi alla deportazione nei campi di sterminio. "Manca il documento- precisa - ma i sospetti sono oramai quasi realtà". Chi si salvò? Secondo i calcoli di Michele Sarfatti, i perseguitati che non vennero deportati o uccisi in Italia furono circa Circa 500 di essi riuscirono a rifugiarsi nell’Italia meridionale; riuscirono a rifugiarsi in Svizzera (ma per lo meno altri furono arrestati prima di raggiungerla o dopo esserne stati respinti); gli altri vissero in clandestinità nelle campagne e nelle città. Circa 2000 ebrei, tra i quali Enzo e Emilio Sereni, Vittorio Foa, Carlo Levi, Primo Levi, Umberto Terracini e Leo Valiani, parteciparono attivamente alla Resistenza (1000 inquadrati come partigiani e 1000 in veste di "patrioti"), pari al 4 per cento della popolazione ebraica italiana.

55 Una percentuale di gran lunga superiore a quella degli italiani nel loro complesso. Circa 100 ebrei caddero in combattimento o, arrestati, furono uccisi nella penisola o in deportazione; cinque furono insigniti di medaglia d’oro alla memoria. Fra i caduti, vanno ricordati il bolognese Franco Cesana, il più giovane partigiano d’Italia, il torinese Emanuele Artom, i triestini Eugenio Curiel e Rita Rosani, il milanese Eugenio Colorni, il toscano Eugenio Calò, gli emiliani Mario Finzi e Mario Jacchia, e l’intellettuale Leone Ginzburg. Un alto contributo al ritorno della libertà e della democrazia in Italia.

56 Il “Governo di Coalizione” MUSSOLINI
MUSSOLINI BENITO Presidente del Consiglio dei Ministri Ministro degli Interni – Ministro degli Esteri Ministro delle Poste COLONNA DI CESARO’ (democratico – sociale) Ministro dei Lavori Pubblici a. cARNAZZA Ministro del Tesoro Tangorra (popolare) Ministro del Lavoro CAVAZZONI OVIDIO (gruppo fascista) Ministro delle Finanze DE STEFANI Ministro delle Colonie FEDERZONI (gruppo nazionalista) Ministro alle Terre Liberate GIURATI Ministro dell’Agricoltura DE CAPITANI (destra salandriana) Ministro dell’Industria teofilo rossi (giolittiano) Ministro dell’Istruzione GIOVANNI GENTILE Ministro della Guerra A. DIAZ Sottosegretario alla Presidenza Del Consiglio GIACOMO ACERBO Sottosegretario agli Interni FINZI Sottosegretario alla Marina COSTANZO CIANO Sottosegretario all’Assistenza Militare DE VECCHI Sottosegretario alle Poste TEZAGHI Ministro della Marina AMM . THAON DI REVEL

57 Lo schema illustra il Ministero che Mussolini consegnò al Re dopo la Marcia su Roma, che sarà formalmente costituito il 31 ottobre. Mussolini si era rivolto agli uomini della destra e della sinistra (esclusa l’estrema) e i rispettivi gruppi non avevano fatto alcuna opposizione né avevano posto condizioni per l’entrata dei loro. La collaborazione al ministero di Mussolini più spiccata fu quella dei democratico – sociali di cui entrò addirittura il capo (Colonna di Cesarò - alle Poste). Anche il partito popolare si mostrò favorevole alla collaborazione, ritenuta utile per la pacificazione e lo sviluppo delle organizzazioni bianche, dando loro due portafogli. Il gruppo fascista era rappresentato con due portafogli, il gruppo nazionalista con altri due ministeri, presenti anche un salandiano e un giolittiano, oltre dei combattenti in congedo (Guerra e Marina) per assicurarsi tutto il favore dell’esercito, la rappresentanza fascista era molto numerosa fra i sottosegretari (alla Presidenza, Assistenza militare e alle poste. Gli altri sottosegretari erano misti e diversi, abbiamo menzionato solo quelli di destra per avere un quadro più generale e completo della politica di Mussolini appena occupato il posto alla Presidenza del Consiglio.

58 Struttura militare Re Vittorio Emanuele III BENITO MUSSOLINI
COMANDO SUPREMO Re Vittorio Emanuele III COME CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DELLA GUERRA MARINA E AVIAZIONE COME COMANDANTE IN CAPO DELLE FORZE ARAMATE  BENITO MUSSOLINI Capo di Stato Maggiore Generale BADOGLIO, fino al 6/12/40 CAVALLERO, fino al 31/01/43 AMBROSIO, fino al 26/07/43 Ministro della Guerra Marina e Aviazione Sottosegretari di Stato (sottoposti al “Duce”) Capo S. M. Milizia STARACE, fino al ‘41 GALBIATI, fino al ‘43 Capo S.M. ESERCITO Pariani (10/39) Graziani (3/41) Roatta (1/42) Ambrosio (43) Rossi (6/43) Capo S.M. MARINA Cavagnari (12/40) Riccardi (7/43) Capo S.M. AERONAUTICA Valle (10/39) Pricolo (11/42) Fougier (7/43) Gov. gen LIBIA Balbo (6/41) Graziani (3/41) Cavallero (12/41) Roatta (1/42) Bastico (2/43) Gov. gen Africa Orientale Badoglio(6/40) Graziani (9/39) Duca d’Aosta (5/41) Gov. gen EGEO De Vecchi

59 VITTORIO EMANUELE IIIRe d’Italia 29/7/1900Imperatore d’Etiopia
Re d’Albania 12/4/1939 BENITO MUSSOLINI DUCE E CAPO DEL GOVERNO ESECUTIVO GRAN CONSIGLIO FASCISMO DEL    PARTITO NAZIONALE FASCISTA SEGRETARIO SENATO DEL REGNO MILIZIA VOLONTARIA PER LA SICUERZZA NAZIONALE CAMERA DEI FASCI E DELLE CORPORAZIONI DIRIGENTI TERRITORIALI DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA SEGRETARIO FEDERALE SEGRETARIO DEL FASCIO ORGANIZZAZIONI DIPENDENTI G.I.L (Gioventù italiana del Littorio) G.U.F. (Gruppi Universitari fascisti) O.N.D. (Opera Nazionale Dopolavoro) LEGISLATIVO GIUDIZIARIO DEI MINISTRI ORGANI TERRITORIALI DEL MINISTERO DELL’INTERNO PREFETTO PODESTA CORPORAZIONI (Associazioni obbligatorie fra sindacati di categoria dei datori di lavoro e dei prestatori d’opera) NELLE PROVINCIE NEI COMUNI TRIBUNALE SPECIALE PER LA DIFESA DELLO STATO MAGISTRATURA ORDINARIA Stato

60 Giappone E’ esistito il fascismo in Giappone? Probabilmente è una questione che interessa solo gli storici. Tuttavia io ritengo che l’opinione pubblica debba essere informata, non solo perché il ventre che partorisce il fascismo è sempre fertile, ma perché quello più pericoloso è il fascismo che si manifesta non in modo traumatico e violento, ma in modo subdolo, strisciante, come sarebbe possibile con i moderni mezzi mass-mediatici e con il fascino di un Grande Fratello, magari unto dal Signore. L’opinione pubblica nella sua grande maggioranza è convinta, secondo la tesi dominante della storiografia statunitense, che il regime giapponese prima e durante la seconda guerra mondiale sia stato ultra nazionalista e ultra militarista, ma non fascista. Sulla base di nuovi studi gli storici europei sono arrivati alla conclusione che il Giappone conobbe un fascismo "strisciante", nella specificità e diversità della cultura sociale e politica autoctone, ma non diverso nella sostanza dal fascismo italiano e tedesco. Noto qui di passaggio che il fascismo come movimento ebbe una diffusione mondiale, arrivando perfino in Cina con le ‘camicie azzurre’, ma come regime statale si affermò in Italia, in Germania, nei Paesi satelliti dell’Asse, e in Giappone.

61 Lo riconobbe già nel 1946 lo studioso giapponese Maruyama Masao, che in una famosa conferenza introdusse la distinzione "fascismo dal basso" (movimento) e "fascismo dall’alto" (regime, tipico del Giappone), e indicò i tratti comuni col fascismo italiano e col nazismo: negazione del liberalismo e del Parlamento, antimarxismo e anticomunismo, militarismo, nazionalismo e razzismo. Da Muruyama Masao nacque una scuola di storici che, pur evidenziando le differenze fenomenologiche, teorizzò il compimento del "tennòsei fashizumu" (fascismo del sistema imperiale) nel periodo tra le due guerre mondiali. Nell’ambito di un articolo di giornale non è possibile entrare nei dettagli. Basterà ricordare che la burocrazia di origine samuraica fu il collante del blocco di potere fin dall’inizio della industrializzazione del Giappone, e contribuì nel tempo, a partire dalla fine del 1800, a dare corpo non già a uno Stato di diritto, ma uno Stato che aveva come base "la lealtà e l’obbedienza" all’imperatore (tenno), considerato di origine divina. Quando la prima e la seconda rivoluzione industriale determinarono le prime scosse sociali, e gli intellettuali rivendicarono maggiori libertà e diritti civili e politici, il Giappone avrebbe potuto avviarsi verso una moderna democrazia e un vero Stato di diritto. Invece si ebbe la svolta autoritaria che rafforzò il sistema imperiale, connotato da uno specifico blocco di potere e dal largo consenso dei sudditi. Potremmo far cominciare il fascismo giapponese nel 1925 con la famigerata legge "Chian ijiho" per il mantenimento dell’ordine pubblico, contenente norme, inimmaginabili in uno Stato di diritto, che consentivano ampi poteri alla Polizia, alla Magistratura e perfino alla burocrazia in materia di controllo del consenso.

62 2 settembre 1945: il Giappone si arrende
2 settembre 1945: il Giappone si arrende.La legge in questione imponeva a tutti i Giapponesi il dovere di difendere il "kokutai", cioè il sistema nazionale (norma che nella sua genericità consentiva ogni arbitrio), e introduceva il "crimine di pensiero" che praticamente trasformava ogni suddito in potenziale imputato. Tra il 1925 e il 1941 furono infatti colpiti e condannati gli individui e le organizzazioni pericolose per il "kokutai", in particolare il nascente movimento operaio e gli intellettuali dissidenti. Le componenti del blocco di potere, intrecciando i loro interessi, diedero vita silenziosamente a un regime fascista, strumento della politica di espansione imperiale. Scrive Francesco Gatti: "La Corte imperiale, l’alta burocrazia, la polizia, la magistratura, l’esercito e la marina, gli ‘zaibatsu’ (monopoli) rivendicarono da un lato l’ampliamento e la difesa dei mercati di importazione e di esportazione, dall’altro l’espansione militare sul continente asiatico e nei mari, percorrendo all’interno la strada della conservazione ad ogni costo". (F. Gatti, Una grande rimozione: il fascismo giapponese, pag.202, in Fascismo e Antifascismo, a cura di Enzo Collotti, Laterza, 2000). La seconda guerra mondiale cominciò per il Giappone nel 1931 con l’invasione della Manciuria, cui seguirono il ritiro dalla Società delle Nazioni, la guerra alla Cina, l’occupazione del Vietnam, l’attacco a tradimento di Pearl Harbour, dando vita sul piano politico e militare all’alleanza col regime nazista e con quello fascista italiano: patto anticomintern e patto tripartito.

63 (in "Questo Trentino", n° 10 del 19.5.2001)
Il fascismo giapponese fu sempre connotato da una forte valenza razzista e nazionalista, come è provato fra l’altro da tre esempi paradigmatici: il massacro di Nanchino nel 1937, quando i Giapponesi uccisero civili inermi solo perché cinesi; l’attività della cosiddetta unità 731 in Manciuria, consistente in esperimenti chimici e biologici su cavie umane; infine la coercizione sugli abitanti di Okinawa. Un tratto caratteristico del fascismo giapponese fu che mancò qualunque fenomeno di resistenza attiva, nulla che sia anche lontanamente paragonabile alle Resistenze europee, o all’attentato a Hitler del 20 luglio 1944 in Germania. La mancanza di un partito unico non deve indurre in errore: la divinità carismatica dell’imperatore e il pensiero unico del blocco di potere supplirono benissimo, anche organizzativamente attraverso le numerose organizzazioni patriottiche, occupando lo Stato dall’interno e permeandolo in modo capillare. Sulla base delle acquisizioni degli storici europei credo non sia più possibile negare la tesi che il "tennòsei fashizumu" fu un regime fascista che si espresse in forme proprie e originali, radicate nella storia del Giappone. (in "Questo Trentino", n° 10 del ) 2 settembre 1945: il Giappone si arrende.

64 Spagna Quanti sanno che, in tempo di pace, il regime franchista fu forse addirittura più sanguinario e repressivo del fascismo e del nazismo? Che, di fronte alle poche decine di sentenze capitali eseguite dal 1922 al 1939 dal regime italiano (si parla delle sentenze pubbliche: le esecuzioni “illegali” furono senza dubbio maggiori), e ai pur numerosi eccidi compiuti dalla Germania nazista fra il 1933 e il 1938, vi sono spagnoli giustiziati o morti in carcere fra il 1939 e il 1945, ovvero in tempo (per la Spagna) di pace, e che alcuni storici giungono a parlare di esecuzioni complessive (comprendendo le esecuzioni “informali”)? Certo, il paragone è largamente improprio, in quanto in Spagna fra il 1936 e il 1939 fu combattuta una cruenta guerra civile, in quanto il franchismo sorse da tale guerra civile: le origini del fascismo italiano e del nazismo tedesco furono diverse, addirittura elettorali, nel secondo caso. Dopo la vittoria, Franco impose alla Spagna una strategia di isolamento e di autarchia. Non solo autarchia economica, ma anche autarchia politica, ideologica, culturale.

65 La Spagna voluta dai vincitori doveva essere una Spagna isolata da ogni scambio e dialogo, pura e purificata da ogni idea diversa di Spagna. Tutto ciò che riguardava la Seconda Repubblica, ovvero l’esperienza democratica vissuta in Spagna fra 1931 e 1936, era associato a “degenerazione”, “morbo”, “infermità”, era l’antitesi di ciò che la Spagna doveva essere. E nel dopoguerra la pratica “chirurgica” continuò: il nemico principale della Spagna franchista fu, costantemente, un “nemico interno”. La stessa strategia fu attuata anche nell'economia. La Spagna degli anni quaranta soffrì una enorme regressione economica. La mano d’opera fu soggetta a disciplina coercitiva, e sulla fame di gran parte dei lavoratori fu costruita la nuova accumulazione di capitale necessaria alla ricostruzione. Ogni identità collettiva dei gruppi sociali sconfitti (lavoratori del campo, delle miniere, dell’industria) fu distrutta, ogni diritto di espressione soppresso. La spietata dittatura franchista ebbe anche i suoi «schiavi»: 110 mila prigionieri, tutti militari catturati durante la «Guerra Civil» '36-'39. Con la legge sulle «responsabilità politiche» il dittatore perseguì, incarcerò, condannò tutti coloro che si erano opposti all´«Alzamiento». Il regime cominciò a schedare «los Rojos», ossia tutti i suoi prigionieri, allestendo una maniacale banca dati sul loro profilo professionale. Se gli incarcerati nel frattempo non erano morti né giustiziati, entrava in gioco il «Sistema de Redenciones de Penas» motivato così: «E´ giustissimo che i prigionieri contribuiscano con il lavoro alla riparazione dei danni arrecati con il loro appoggio alla ribellione marxista». Un decreto del '46 stabiliva l´obbligatorietà del lavoro: «E´ considerata infrazione molto grave rifiutarlo».

66 A differenza della mano d'opera impiegata nei lager hitleriani, il «Caudillo» pagò il lavoro coatto. Ma i forzati ricevettero solo il 25% del salario pattuito (appena il 14% di quello percepito dagli operai civili dell'epoca). Infatti la remunerazione degli schiavi venne fissata in 2 pesetas al giorno (la diaria di un operaio era di 14 pesetas) di cui i tre quarti vennero destinati al loro mantenimento. Poi altre 2 pesetas se erano sposati in chiesa (molti «rojos», atei, erano solo conviventi), più 1 peseta per ogni figlio a carico. Il resto andò nelle casse del regime. Non solo: dal '39 al '70, Franco affittò i suoi internati a 36 imprese private (le fabbriche pagavano allo Stato il salario di 14 pesetas), incassando un ingente bottino, calcolabile intorno ai 780 milioni di euro. Detenuti in 72 campi di concentramento, gli schiavi ricostruirono le infrastrutture distrutte durante il conflitto, dagli aereoporti alle strade, dalle dighe ai porti, dalle ferrovie ai ponti ma anche mausolei franchisti come la famigerata madrilena «Valle de Los Caidos» (ove è sepolto il tirannno). La vita degli schiavi, in quei lunghissimi trentatré anni, fu disumana: fame brutale, estrema durezza nel lavoro fisico. E castighi terribili. Ad El Dueso, per esempio, obbligavano i puniti a mettersi sulle spalle un sacco da 50 chili ricoperto da filo spinato. Una repressione particolare fu rivolta alle donne: rispetto all’incerta mobilitazione dei decenni precedenti, la condizione della donna visse una regressione alla sfera domestica. Alle donne fu negato ogni accesso educativo di tipo moderno. I concetti di purificazione e redenzione assunsero per milioni di spagnoli un aspetto di quotidiano terrore. La Spagna, dopo la purificazione della “cruzada”, fu posta in “quarantena” da un regime che vietava qualsiasi dialogo con l’esterno e qualsiasi dibattito sul futuro. Solo nel '75, dopo la morte di Franco, gli spagnoli si sono liberati dalla dittatura e hanno finalmente respirato l'aria della democrazia.    

67    Nazionalisti   Repubblicani Se in Spagna c'è color di sangue un albero è quello della libertà / Se in Spagna c'è e parla alto una bocca / Parla di libertà / Se in Spagna c'è un bicchier di vino puro / E' il popolo che lo berrà  (P. Eluard)

68 Gran Bretagna La GB usciva dalla guerra con perdite umane ed economiche inferiori a quelle degli altri paesi europei, ciò è soprattutto dovuto al fatto che non si combatté mai sul territorio inglese, ma la situazione era in ogni caso critica, in quanto da quel momento iniziò il lento declino della potenza britannica. Già nel corso dell'800 gli USA ne avevano intaccato il predominio economico e politico. La GB si era momentaneamente liberata della sua grande rivale europea, la Germania, ma le esportazioni si affermavano con difficoltà crescenti: i manufatti inglesi avevano perso competitività sui mercati internazionali. Questa situazione fu aggravata dalla politica economica attuata dal governo di Londra nel dopoguerra, che ebbe come obiettivo il pareggio del bilancio, la riduzione dell'inflazione e la difesa del valore della sterlina. Di conseguenza fine si attuò una politica deflazionistica, riducendo la quantità di moneta in circolazione e aumentando le imposte, al fine di contenere i consumi. La sterlina fu rivalutata a stabilizzata ad un livello di parità con il dollaro, cosa che consentì ala sterlina di essere moneta i riserva nel sistema monetario internazionale. La principale conseguenza fu un aumento della disoccupazione. Tali difficoltà economiche provocarono tensioni sociali e crescita dei sindacati, situazione che precipitò nel 1926 quando un gruppo i minatori (settore in forte crisi) provocò uno sciopero nazionale che durò 9 giorni. Da quel momento in poi, però, la forza sindacale diminuì e si avviò la tendenza ad una contrattazione preventiva tra imprenditori e sindacati dei lavoratori, per evitare nuovi scioperi. Nella vita politica, vi fu un declino dei liberali e l'ascesa di conservatori e laburisti, che fondarono il bipartitismo. Il governo laburista ( ) tentò di reagire alle difficoltà economiche con il contenimento della spesa pubblica, diminuendo gli stipendi e i sussidi. Ciò provocò il dissenso di alcuni laburisti che abbandonarono il governo.  In seguito, la sterlina fu svalutata per favorire le esportazioni e si realizzò per la prima volta l'intervento dello stato nell'economia. (il "welfare state" è stato creato dai laburisti)

69 Francia Nel dopoguerra anche la Francia dovette sopportare un grosso sforzo per ricostruire il paese. Il governo diede il via ad un progetto di crescita economica che prevedeva, per tutti gli anni '20 un aumento e una modernizzazione della produzione. Questo sviluppo fu agevolato da una leggera svalutazione del franco (favorite le esportazioni) e dalla debolezza sindacale. Questa fase però terminò con la crisi economica del '29: la produzione industriale diminuì, numerose imprese fallirono, aumentò la disoccupazione, gli scioperi e i conflitti sociali. In questa crisi, però, le organizzazioni fasciste non riuscirono mai a assumere il potere come era accaduto in Italia o in Germania. Alle elezioni del 1936 le sinistre si presentarono unite in un Fronte popolare, che ottenne un grande successo. Il loro programma era soprattutto riformista e antifascista, con promesse di aumenti salariali, opera pubbliche, conquiste sindacali. Tuttavia in breve tempo si aprirono contrasti all'interno del partito, che fu costretto a sciogliersi dopo pochi mesi di legislatura. Ciò portò al ritorno di governi instabili.

70 Stati Uniti Nel 1929 gli USA furono colpiti da una devastante crisi economica. Per uscirne, il presidente democratico Franklin Delano Roosevelt (1933) inaugurò la politica del New Deal, che non riguardava solo misure di politica economica ma anche la creazione di un nuovo clima culturale e civile. Il programma prevedeva l'introduzione, per la prima volta nel sistema capitalistico statunitense, dell'intervento dello stato nella vita economica attraverso la spesa pubblica, anche a costo di ricorrere al deficit spendine. Il provvedimento più importante fu la legge per il risanamento industriale, con la quale si stanziavano notevoli fondi per lavori pubblici e misure per limitare la concorrenza, sostenere i prezzi e garantire un salario minimo. Ciò costituisce il "primo New Deal", una fase che diede risultati incerti e mise in discussione la credibilità del presidente. Essendo prossima la scadenza del suo mandato, Roosevelt applicò il "secondo New Deal", una serie i misure finalizzate alla sicurezza sociale, alla ricerca del consenso.  Importante fu il rapporto attivo con i sindacati, considerati ora come alleati e non più come nemici. Per sostenere le enormi spese pubbliche, fu aumentato il prelievo fiscale a carico dei ceti più ricchi e si lasciò svalutare il dollaro, per favorire le esportazioni. I risultati del New Deal furono inferiori alle attese, infatti negli anni '30 gli Usa non avevano ancora recuperato il livello di ricchezza di prima della crisi. Ciò nonostante, quando Roosevelt si ricandidò alla presidenza per due volte gli elettori confermarono il loro consenso.

71 MATTEOTTI Giacomo Matteotti nasce a Fratta Polesine il 22 maggio 1885 da famiglia benestante. Secondo di tre figli frequenta il Liceo-ginnasio  “Celio” di Rovigo e si laurea in giurisprudenza all’università di Bologna con una tesi sulla “recidiva”. Fin dagli anni universitari si collega con il movimento socialista di cui diviene rapidamente un esponente di primo piano conducendo, in prima persona, le battaglie dei lavoratori agrari del Polesine. Durante la I guerra mondiale è deciso neutralista e viene per questo dispensato dal servizio militare attivo  e internato in Sicilia. Dopo la guerra diventa consigliere comunale, sindaco e, infine, deputato. Il fascismo che combatte inizialmente è quello organizzato dagli agrari, particolarmente violento e attivo nelle campagne venete e romagnole. E’ vittima, per questo, più di una volta, di aggressioni da parte di  “squadristi”. Nella complessa geografia politica del socialismo italiano occupa una posizione centrale . Il suo “programma minimo” deve essere realizzato attraverso le autonomie dei comuni e il governo delle città da parte delle forze operaie e contadine e, soprattutto, attraverso l’estensione di una rete capillare e diffusa sul territorio di associazionismo e di cooperazione.

72 Le “leghe”, le organizzazioni di massa, le forme di lotta e di rappresentanza  sindacali hanno per lui la preminenza sul ruolo del partito, inteso più come raccoglitore che elaboratore di idee e strategie. Com’è tradizione del socialismo italiano influenzano la sua azione politica tanto la visione movimentista-sindacalista di Sorel, quanto il pensiero di Antonio Labriola. Come segretario del Psu svolge una politica costantemente unitaria, attento a non accentuare le differenze esistenti fra le tradizionali componenti del socialismo italiano: quella riformista e quella massimalista. Difficile il suo rapporto con il Pcd’Italia (da cui lo divide soprattutto  l’adesione di quel partito alla III Internazionale), con cui non intende concludere patti elettorali.  Rivolge, invece, grande attenzione agli esponenti moderati che hanno assunto da sempre una posizione di chiara opposizione al fascismo (i liberali come Gobetti e Amendola). Il raggiungimento, da parte delle classi subalterne, delle elementari forme di democrazia costituisce una premessa indispensabile per ulteriori conquiste delle forze socialiste. “Cosmopolita” e “internazionalista” convinto, viaggia molto in Europa e stabilisce una serie di rapporti con i socialisti francesi, tedeschi e, soprattutto, britannici.  Il suo ultimo scritto “Mussolini, Machiavelli and the fascism” appare in un giornale inglese, English life, pochi giorni prima della sua morte. Dai banchi del Parlamento polemizza costantemente con gli avversari confermandosi un avversario irriducibile dei fascisti che, dopo la vittoria elettorale del “listone”, intendono consolidare il loro potere e non sopportano alcuna forma di opposizione. Le sue ultime battaglie di parlamentare e di giornalista, prima della sua uccisione, producono, principalmente: a) la denuncia del clima di intimidazioni che ha caratterizzato le elezioni del b) la denuncia dell’Affaire Sanclaire, la convenzione con la società americane produttrice di petroli  che vede implicati la famiglia Mussolini e la casa regnante c) la pubblicazione di un libro-denuncia  sulle sopraffazioni fasciste (Un anno di malgoverno fascista) di cui intende proporre una seconda edizione d) la contestazione, cifre alla mano, del bilancio presentato dal governo. Quando viene rapito ha appena compiuto trentanove anni.  

73 NAZISMO ORIGINI La Repubblica di Weimar LA DITTATURA NAZISTA
PRELUDIO ALLA GUERRA ECONOMIA 3° REICH STRUTTURA MILITARE STRUTTURA STATALE

74 Le origini del Nazismo La sconfitta della grande guerra fu pagata a caro prezzo dalla Germania, messa in ginocchio e ridicolizzata dai vincitori con il trattato di Versailles. Nonostante la proclamazione della Repubblica di Weimar, il Paese era disastrato dalla fame, dalla disoccupazione, con l’inflazione che raggiunse livelli talmente spaventosi da ridurre il marco a mera carta straccia. I tumulti di piazza, i disordini erano all’ordine del giorno e il governo appariva troppo debole per poter arginare la protesta e le insurrezioni che rendevano sempre più concreto, lo spettro di una rivoluzione filo-bolscevica. In questo quadro angosciante e caotico, si ritrovò a convivere un reduce di guerra di origine austriache, Adolf Hitler, sconvolto da una sconfitta attribuibile, nei suoi pensieri, al tradimento degli ebrei e dei comunisti, da lui considerati i veri nemici del popolo tedesco.

75 Hitler con Hindenburg Nel luglio 1919 il giovane Hitler entrò in contatto con il partito dei lavoratori tedeschi, un piccolo gruppo nazionalista di estrema destra guidato da Anton Drexler, che traeva le proprie origini da circoli e sette esoteriche come la Thule e dall’influenza di tetri e enigmatici personaggi come Dietrich Eckart, Karl Haushofer, Helena Petrovna Blavatsky, Jorg Lanz Von Liebenfels, tutti fattori che hanno contribuito a creare un macabro alone di mistero e di occulto, circa presunti lati oscuri del nazional-socialismo e circa il suo legame con il mondo del paranormale. Dopo aver scritto nel settimanale del partito, il Völkischer Beobachter di Monaco e dopo aver esposto, il 24 febbraio 1920, in una birreria di Monaco (la "Hofbräuhaus"), in venticinque punti, il suo programma, fondato su teorie razziali, il 10 luglio 1921, Adolf Hitler fu nominato capo del movimento che era stato ribattezzato "partito nazional-socialista dei lavoratori tedeschi"; l’emblema della formazione divenne la svastica, un’ antica immagine della tradizione indoeuropea simboleggiante la fortuna, nota nella religione nordica per essere legata al Sole e rappresentante Thor, il Dio del Fulmine; nelle teorie occulte della Blavatsky, la svastica era il simbolo esoterico più importante, da lei indicato come l’emblema della razza ariana.

76 Il partito fu anche organizzato militarmente, attraverso la nascita delle SA (squadre d’assalto), i gruppi paramilitari nazisti, diretti dal comandante Ernst Rohm, che vennero impiegati da Hitler e dai suoi seguaci, nel cosiddetto putsch di Monaco, il fallito colpo di stato del novembre 1923, che provocò l’arresto del futuro fuhrer e la sua condanna a cinque anni di reclusione nel carcere di Landsberg; nella realtà la prigionia durò meno di un anno e fu proprio durante la sua detenzione che Hitler dettò al fedele amico Hess, camerata della prima ora, il "Mein Kampf", la bibbia della dottrina nazional-socialista ove furono esposti i principi cardine di un’ideologia fondata sulla necessità di garantire alla razza ariana la giusta espansione verso i territori orientali ed il dominio sui popoli inferiori tra cui, in primis, quello ebraico, considerato la causa di tutti i mali e, come tale, da eliminare; nel "Mein Kampf, la storia è vista nell’ottica di una guerra, nella quale le razze superiori sottomettono quelle inferiori, attraverso la necessaria costituzione di uno stato fortemente autoritario, volto a creare le basi per la creazione di una società razziale. Uscito dal carcere, in seguito ad amnistia, Hitler riorganizzò il partito che, nel giro di pochi anni sarebbe, tragicamente, passato dall’anonimato delle elezioni del 1925, agli 800 mila voti e 12 deputati nel 1928 e ai sei milioni e mezzo con 107 deputati del 1930, grazie alla veemente arte oratoria del suo capo, che colpiva profondamente l’animo frustrato dei tedeschi, umiliati dalle condizioni di Versailles, con discorsi invocanti la nascita di una grande Germania, votata alla rivincita.

77 Nonostante i consensi ottenuti e l’appoggio, finanziario, dei grandi industriali, il partito nazional-socialista venne sconfitto, alle elezioni presidenziali della primavera 1932, dal vecchio maresciallo Hindenburg ma, ciononostante, grazie alle divisioni dello schieramento avversario, ad abili mosse politiche e a delicati meccanismi di alleanza, Adolf Hitler fu nominato, il 30 gennaio 1933, dallo stesso Hindenburg, cancelliere del reich; il primo atto di una storia fatta di orrori e sofferenze era stato dunque scritto. 1920 – Hitler fonda un piccolo partito di destra che, un anno dopo, prende il nome di Partito nazionalsocialista (NSDAP);  successivamente organizza anche le squadre d’azione militari (le SA e le SS) per colpire i militanti della sinistra. 1923 – Tenta un colpo di stato a Monaco, in Baviera, ma il putsh fallisce e viene arrestato. Per tutti gli anni '20 il partito nazista ottiene consensi modesti. 1928 – Elezioni: 2,6% dei voti (12 seggi). 1930 – Elezioni: il partito nazionalsocialista, con il 18,3% dei consensi, diventa il secondo partito tedesco (106 seggi). 1932 (marzo e aprile) – Elezioni presidenziali: Hitler ottiene, nei due turni elettorali, il 30,1% e il 36,8% dei suffragi; Hindenburg vince le elezioni con il 53%; 1932 (novembre) – Il partito nazional-socialista si ferma al 33,1% (196 seggi). 1933 (30 gennaio) – Hitler, nominato cancelliere dal presidente Hindenburg, assume la guida del governo tedesco. 1933 (5 marzo) – Nuove elezioni, in un clima di terrore e repressione: la NSDAP ottiene il 43,9 per cento dei suffragi, i suoi alleati tedesco-nazionali l'8 per cento.

78 La Repubblica di Weimar (1918-1933)
Quando nel 1918 finisce la guerra, in Germania scoppia la rivoluzione. E' una nazione esausta, prostrata dalla guerra. Le perdite umane sono state ingentissime: un milione e ottocentomila morti. Vi sono inoltre più di quattro milioni di feriti. E poi: distruzioni, ingegni sprecati, menti devastate, disperazione... La rivolta è spontanea, senza nessuna guida ideologica o organizzativa, alimentata dalla fame, dalla delusione della guerra perduta, dalla volontà diffusa di cacciare i responsabili. Alcuni dei rivoluzionari vogliono la democrazia parlamentare, altri un sistema politico come quello russo, tutti vogliono la Repubblica e le dimissioni del Kaiser. C'è molto idealismo ed entusiasmo, ma non c'è nessuno capace di guidare i tanti focolai rivoluzionari che nascono un po' dappertutto.

79 Il 30 settembre il cancelliere Hertling rassegna le sue dimissioni e la carica viene assunta il 3 ottobre dal principe Max von Baden, un monarchico liberale favorevole alle riforme interne e all'intesa internazionale. L'8 novembre il cancelliere Max von Baden chiede con fermezza all'imperatore di abdicare. Gli operai di Berlino scendono nelle strade e anche il generale Hindenturg e il successore di Ludendorff, il generale Groener, si uniscono alla richiesta avanzata dal cancelliere. Poiché Guglielmo II tergiversa, il Cancelliere nomina suo successore il leader socialdemocratico Friedrich Ebert e annuncia l'abdicazione. In questo clima ormai assai prossimo alla rivoluzione totale, il 9 novembre 1918 i leader socialdemocratici Friedrich Ebert e Philipp Scheidemann, da un balcone del Reichstag, proclamano la repubblica. Ebert diventa così il capo del primo governo repubblicano provvisorio di sei membri, tre socialdemocratici e tre indipendenti, che resisterà meno di due mesi. La nascita della Repubblica è salutata dalle potenze vincitrici come l'inizio di una nuova epoca per i tedeschi. Alcuni ritengono prematura la proclamazione della repubblica; secondo Scheidemann però essa giunge appena in tempo per prevenire gli spartachisti che sono pronti a proclamare una repubblica sovietica. La notte stessa il kaiser Guglielmo II fugge in Olanda. Il governo provvisorio si scioglie il 27 dicembre con le dimissioni degli indipendenti. Nel frattempo in tutto il paese si sono costituiti dei consigli di operai e soldati (soviet), sul modello sovietico, e gli scioperi si susseguono. La Socialdemocrazia non sa bene se sostenere la rivoluzione o no.

80 Da una parte sostiene alcune delle richieste dei rivoluzionari, dall'altra parte ne era anche piuttosto spaventata. Dopo tanti anni di opposizione è arrivato finalmente il momento di poter governare e all'improvviso si vedono superati a sinistra da una grande massa di rivoluzionari costituita in parte anche da propri sostenitori e militanti. Per la media e l'alta borghesia e per le forze militariste e monarchiche la rivoluzione è invece un vero e proprio choc. Nasce così una strana alleanza tra la socialdemocrazia e le forze militariste della destra più estrema. Nessuna delle due forze ha da sola la forza di placare l'ondata rivoluzionaria. Insieme ci riescono facilmente. La Germania, anche quella socialista, ha paura della rivoluzione, così la nascita del partito degli spartachisti (i comunisti), il 1° gennaio del '19, è vista con molta preoccupazione. Lo guidano Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, che mirano ad una spontanea sollevazione della classe operaia. R. Luxemburg

81 Una sollevazione che non ci sarà, nonostante scioperi e manifestazioni
Una sollevazione che non ci sarà, nonostante scioperi e manifestazioni. L'alleanza tra socialdemocratici ed estrema destra è spietata. In un paio di settimane l'esercito entra in azione e il 15 gennaio Luxemburg e Liebknecht vengono uccisi da un gruppo paramilitare. Altri scioperi e timidi tentativi insurrezionali a Brema sono stroncati nei mesi successivi. Stessa cosa avviene in Baviera: il 28 febbraio viene assassinato a Monaco il governatore del lander, un noto esponente socialista indipendente, Kurt Eisners. In marzo il socialdemocratico Noske, incaricato del mantenimento dell'ordine, accetta l'aiuto piuttosto equivoco dei fanatici Freikorps, organizzazioni paramilitari di frettolosa costituzione composti di ex-ufficiali, disoccupati e giovani avventurieri smaniosi di uccidere. L'assassinio di Eisner innesca una serie di violenze in Baviera, seguite poi da uno sciopero generale e dalla proclamazione di una repubblica sovietica che viene a sua volta rovesciata alla fine di aprile e all'inizio di maggio con selvaggia brutalità dalle truppe governative. Una delle vittime è lo scrittore Gustav Landauer, comunista di nobile idealismo, picchiato a morte in prigione dai soldati. La rivoluzione "fallita" e la frattura insanabile fra socialdemocratici e comunisti, saranno tra le cause che favoriranno indirettamente l'ascesa del nazismo. Il 19 gennaio 1919 si tiene una consultazione nazionale per l'elezione dei deputati all'Assemblea costituente che deve redigere la Costituzione e, nonostante il boicottaggio dei comunisti, più di trenta milioni di tedeschi vanno alle urne. Il partito socialdemocratico esce vincitore dalla consultazione e la neo-eletta Assemblea costituente esprime una maggioranza di fautori della democrazia borghese.

82 L'assemblea è inaugurata solennemente il 9 febbraio 1919 e due giorni più tardi elegge presidente Ebert che, a sua volta incarica il socialdemocratico Philipp Scheidemann di formare un governo. Il primo gabinetto è costituito con membri dei tre partiti maggioritari, socialdemocratici, cattolici di centro e democratici: la coalizione di Weimar. A Versailles, nel frattempo, una delegazione tedesca, che vi è stata invitata con disprezzo a ricevere le condizioni di pace, cerca di migliorare almeno lievemente quanto non può modificare in sostanza. Le notizie dalla Francia fomentano nuove tensioni in Germania. Il 20 giugno il governo Scheidemann rassegna le dimissioni. Gli succede il giorno seguente un gabinetto presieduto da un altro socialdemocratico, Gustav Bauer, che cercò di far stralciare dal trattato perlomeno alcuni articoli. Gli alleati però sono inflessibili: gli sconfitti devono firmare senza riserve. Posto di fronte a un ultimatum, il governo tedesco cede e il 28 giugno una nuova delegazione capeggiata dal ministro degli esteri socialdemocratico Hermann Muller firma il Versailles

83 Il trattato di Versailles impone pesanti gravami economici, politici e psicologici alla Germania sconfitta. L'Alsazia-Lorena è restituita alla Francia, la Prussia orientale viene separata dal cuore della Germania con la cessione alla Polonia della Prussia occidentale, della Slesia superiore e della Posuania. Danzica diventa una città libera, il Belgio acquista alcuni piccoli distretti, la Germania è privata di tutte le sue colonie, si proibisce la fusione con l'Austria, si impone l'occupazione militare della sponda sinistra del Reno. Da subito, gli alleati prendono possesso del bacino della Saar. L’esercito tedesco viene ridotto a effettivi, la marina a , l’aeronautica vietata. Ma le condizioni più inaccettabili e che contribuiscono di più a infiammare gli animi sono quelle contenute negli articoli che privano i tedeschi di quella cosa intangibile che è "l'onore". Il trattato prevede la consegna da parte della Germania dei "criminali di guerra", incluso il deposto imperatore, perché siano processati per "atrocità" e nell'articolo 231 insiste perché "la Germania e i suoi alleati" accettino "la responsabilità" di aver provocato tutte le perdite e i danni "cui le potenze alleate erano state esposte dalla loro aggressione". La clausola non fa uso esplicitamente del termine "colpa", ma viene subito bollata come la "clausola di colpa", e se praticamente tutti i tedeschi sperano in una sua abrogazione, qualcuno ripone la sua speranza nella vendetta. Infine le riparazioni in denaro che, dopo complicati conteggi, vengono fissate nel 1921 nell’enorme cifra di 269 miliardi di marchi-oro pagabili in quarant’anni, scontati poi in 132 miliardi per trent’anni.

84 La Costituzione viene approvata dopo sei mesi di lavori, il 31 luglio del 1919, e diviene legge l'11 agosto. Prevede una repubblica federale (il territorio viene suddiviso in 17 Lander = regioni); un Reichstag eletto a suffragio universale, a partire dai vent'anni di età, con il sistema proporzionale, cui spetta il potere legislativo; la possibilità di promuovere referendum e leggi di iniziativa popolare; un presidente del Reich eletto direttamente ogni 7 anni, cui spetta il potere esecutivo, la nomina del cancelliere, la guida dell'esercito. All’epoca viene considerata un gioiello di liberalità, basata com’è su di un delicato mélange di parlamentarismo e presidenzialismo. Molti diritti ed istituzioni, che oggi sono normali in tutti i paesi democratici, nascono proprio in quei giorni. Per la prima volta, anche le donne hanno il diritto di voto e i sindacati ottengono competenze importanti che possono migliorare la situazione dei lavoratori. Insomma, sono gettate le basi per far crescere una nazione democratica. La Germania adotta perfino una nuova bandiera, quella nera, rossa e oro del Ma l'articolo 48 della Costituzione avrebbe purtroppo assunto una grave importanza storica: esso prevede che, ove la sicurezza dello Stato sia posta in pericolo, il presidente abbia facoltà di prendere provvedimenti d'emergenza con valore di legge. Il clima sociale resta teso. Mentre la nobiltà accoglie con disappunto la nascita della repubblica, l'esercito inizia a far politica ed a fornire la manovalanza per le formazioni di estrema destra. Nel marzo del '20 si assiste anche ad un tentativo di colpo di stato, promosso da squadre armate, i "Freikorps", reclutate fra i soldati e gli ufficiali smobilitati dopo la disfatta. In seguito al putsch di Kapp, il cancelliere Bauer lascia il posto al compagno di partito Müller, e il nuovo cancelliere mantiene l'unità della coalizione fino a giugno.

85 Il 6 giugno 1920 si tengono le elezioni per il Reichstag e per i repubblicani si tratta di un disastro. Il partito tedesco-nazionale e il tedesco-popolare di Stresemann emergono con forza, guadagnando milioni di voti e dozzine di seggi; il partito democratico scende a quasi un terzo della sua forza elettorale, il partito socialdemocratico raccoglie soltanto cinque milioni e mezzo di voti, mentre i socialisti indipendenti mostrano di aver acquistato una nuova grande forza.  La coalizione di Weimar con undici milioni di voti e 225 deputati perde il controllo del Reichstag; gli altri partiti, infatti, nel complesso raccolgono 14 milioni e mezzo di voti e i 251 seggi. Intanto gli assassini politici sono all'ordine del giorno. Nell'agosto del '21 viene ucciso il ministro delle finanze Matthias Erzberger, che aveva firmato l'armistizio di Versailles; nel giugno del '22 viene assassinato Walther Rathenau, ministro degli esteri, proprietario dell'industria Aeg, uomo di profonda cultura, che stava lavorando per l'applicazione di quegli accordi. Nel '23 Hitler e i suoi tentano un putsch a Monaco. Tra il 1919 e il 1922 vengono commessi 376 omicidi politici, quasi tutti da parte dell'estrema destra. Intanto la situazione economica è grave.  L''economia tedesca, disastrata dalla guerra, fa fatica a riprendersi nel clima di totale insicurezza politica e sotto le pesanti condizioni che il trattato di Versailles ha imposto alla Germania. Molti tedeschi si sentono umiliati da questa situazione. Nel gennaio del '23 la Francia e il Belgio occupano il bacino della Ruhr. Per la propaganda di destra è la cosa migliore che poteva capitare, e i partiti di destra, quello di Hitler in modo particolare, lo sfruttano per molti anni come uno dei più efficaci argomenti di propaganda, contro tutti quelli che vogliono invece stabilire buoni rapporti con gli ex-nemici.

86 I prezzi galoppano. Già dalla guerra si sentivano gli effetti di una inflazione abbastanza consistente e preoccupante. Per pagare gli enormi costi della guerra, il governo tedesco comincia a fare ciò che fanno tutti i governi, quando non sanno più come affrontare una montagna di spese incontrollabili: stampava più banconote, con le conseguenze facilmente prevedibili. Questa inflazione, a partire dal 1922, comincia rapidamente ad aggravarsi. Il denaro perde di valore a vista d'occhio. Prima si paga pane, latte e patate con alcune migliaia di marchi, poi si passa ai milioni, per infine arrivare a miliardi e addirittura a migliaia di miliardi di marchi. L'inflazione del 1923 1 dollaro costava nel 1923 (in marchi): 1 kg di pane costava nel 1923 (in marchi): gennaio 35.000 250 luglio 3.465 agosto 4,6 milioni settembre 98 milioni 1,5 milioni ottobre 25 miliardi 1,7 miliardi novembre 2.190 miliardi 210 miliardi dicembre 4.210 miliardi 399 miliardi

87 Gli operai vengono pagati ogni giorno, dal ufficio paga corrono subito verso il mercato per spendere tutto e subito, perché un'ora più tardi i prezzi potevano essere già raddoppiati e il giorno dopo le stesse banconote non valevano più nulla. 200 fabbriche di carta stampano, giorno e notte, nuove banconote, francobolli e altri valori con sopra delle cifre sempre più astronomiche. Alla fine del 1923, la giovane Repubblica di Weimar ha appena 4 anni. In questi 4 anni ha visto 2 tentativi di colpo di stato, centinaia di omicidi politici, un'inflazione senza precedenti nella storia e un conseguente esaurimento dell'economia. Il paese è profondamente lacerato e le forme di lotta politica a destra e a sinistra si stanno deteriorando. Per molti le conquiste della democrazia non contano più nulla, anche perché economicamente si sta peggio che prima della guerra. Nel 1923, con la nomina a cancelliere di Gustav Stresemann, leader del Partito Popolare, le cose cambiano profondamente. Stresemann prova, e con successo, a far cessare gli scioperi e a riannodare il confronto con gli alleati vincitori, in particolare con la Francia. Dopo la breve esperienza come cancelliere, Stresemann è nominato ministro degli esteri e in questo ruolo, con la collaborazione del ministro degli esteri francese Aristide Briand,  è responsabile del Patto di Locarno con cui Germania, il Belgio, la Francia, la Gran Bretagna e l'Italia s'impegnano a garantire le frontiere franco-tedesca e germano-belga (1925), dell’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni (1926) e del trattato di non aggressione russo-germanico. Nel 1925 la conciliazione tra Francia e Germania è sancita anche dal premio Nobel per la pace assegnato quell’anno ai due ministri degli esteri artefici della distensione.

88 Nel frattempo gli Stati Uniti varano il Piano Dawes a sostegno dell'economia tedesca e cessa l'occupazione della Ruhr. L'economia riprende fiato, finanzieri americani e inglesi concedono prestiti, la stabilità della Germania pare un fatto acquisito. Nei cinque anni successivi il Paese vive un fortissimo rilancio economico. Sono i cosiddetti "anni d'oro" della Repubblica di Weimar. Insieme ad una sorprendente capacità di ripresa economica, la Germania dimostra  una straordinaria vivacità in campo culturale. Cominciano a fiorire il cinema, il teatro, la letteratura, la pittura, la musica, i cabaret. Thomas Mann                      Bauhaus  

89 Berlino, che negli anni venti arriva a 4 milioni di abitanti (oggi ne ha solo 3,5), diventa così la capitale europea della cultura, della creatività e del divertimento. Sono gli anni dei film di Fritz Lang e di Murnau, del teatro di Brecht, della pittura di Klee e Kandinsky. Sono gli anni in cui si affermano scrittori come Thomas Mann, Alfred Döblin, Herman Hesse, Erich Maria Remarque, Elias Canetti, filosofi come Martin Heidegger, sociologi come Max Weber. La cultura di Weimar diventa un mito nei salotti di Parigi o di Praga. Nasce l'espressionismo, la "Nuova oggettività", artisti come George Groz mettono alla berlina il potere, nasce la più originale scuola artistica del '900, la Bauhaus. Si insegna architettura, scultura, pittura, fotografia, design. Il suo fondatore è Gropius, un architetto che ha una visione socialdemocratica della società e mira a valorizzare il lavoro e la manualità degli artigiani. La scuola viene fondata nel '19 a Weimar e nel '25 si trasferisce a Dessau. Tra i suoi insegnanti, Klee, Kandinskij, van der Rohe. Si diffonde un clima allegro e spensierato, la gente vuole dimenticare la politica e la guerra, vuole guardare verso il futuro, vuole star bene. La Germania comincia a respirare, sembra finalmente la svolta. Nel '25, con la morte del presidente Friedrich Ebert, viene eletto come suo successore il vecchio maresciallo Paul von Hindenburg. Hindenburg

90 L'andamento dell'economia (1928 - 1932)
Questi, gloria dell'esercito tedesco nel secondo Reich, è sostenuto solo dai monarchici e della borghesia, ma appare un personaggio credibile anche se conservatore, forse anche per l'età, 78 anni. Socialdemocratici e comunisti si presentano invece con due candidati diversi e vengono sconfitti, anche se la somma dei voti dei due è maggiore dei voti al maresciallo. Nel 1929, dopo 5 anni finalmente felici per i tedeschi, anche a livello internazionale la Germania ha conquistato nuove simpatie. Ma con il famoso "Venerdì nero" a New York crolla la borsa e inizia una lunga e profonda crisi economica mondiale. La Germania, il cui boom è basato in gran parte sulla collaborazione e su soldi americani, è colpita più di ogni altra nazione. Oltre al proletariato, anche impiegati, negozianti, artigiani, piccoli commercianti, insomma tutta la piccola borghesia tedesca è schiacciata dalle difficoltà economiche. E' il fallimento per banche ed aziende, ma soprattutto la rovina per la classe media, che inizia a guardare al partito nazista come ad un salvatore. I governi si succedono, incapaci di dare una rotta al paese. In pochi anni, dal 1929 al 1932, il Paese precipita in una crisi che sembra inarrestabile e che vede alla fine l'arrivo di Hitler al potere. L'andamento dell'economia ( ) Prodotto interno lordo Produzione industriale Disoccupati 1928 100 1,3 milioni 1930 91 87 3 milioni 1931 80 70 4,5 milioni 1932 76 58 6,1 milioni

91 Contemporaneamente a questa crisi drammatica, si risvegliano anche al livello politico tutti i fantasmi che avevano già dominato i primi anni infelici della Repubblica. Nel parlamento ci sono 13 partiti anche piccolissimi che si aggrappano al potere e che non capiscono che le accanite lotte tra di loro favoriscono solo uno: Hitler. La Repubblica di Weimar ha visto 20 governi in 14 anni, 5 elezioni politiche negli ultimi 6 anni, un mare sempre crescente di disoccupati, una violenza politica sulle strade soprattutto tra comunisti e nazisti con morti e feriti quasi ogni fine settimana. Tutto questo fa svanire definitivamente ogni fiducia nella democrazia che entra in un'agonia irreversibile. E le elezioni del '30 sono il primo grande successo per Hitler e il suo partito. La repubblica comincia a sgretolarsi, fino al 30 gennaio '33, quando Hitler diventa cancelliere.

92 La dittatura nazista Il paradosso del nazional-socialismo, di un’ideologia che fece della violenza e della brutalità, gli strumenti stessi per realizzare i propositi di una grande Germania dominatrice, è dato dal fatto che Hitler, a differenza del fascismo, conquistò il potere in maniera legittima, senza ricorrere ad un colpo di mano, come quello tentato, viceversa, nel 1923, con il putsch della birreria; ma la nomina a cancelliere del futuro fuhrer del reich, fu l’ultimo atto di legittimità e democrazia di una repubblica ormai agonizzante e che nel giro di poco tempo si sarebbe tramutata in dittatura, feroce ed incontrastata, degli uomini con la svastica. Il 28 febbraio del 1933, approfittando dell’incendio del reichstag, attribuito ai comunisti, vennero emanate le prime leggi volte ad eliminare le libertà civili ed ogni forma di opposizione politica, mentre, dopo lo scioglimento del parlamento e le contestuali nuove elezioni, che attribuirono ai nazisti la maggioranza, anche grazie al terrore scatenato dalle milizie paramilitari del partito, il 23 marzo Hitler si faceva attribuire i pieni poteri, in parallelo a quanto aveva fatto Mussolini nel 1926; solo due giorni prima era stato istituito il tribunale politico speciale, il Volksgerichtshof.

93 Il 26 aprile 1933 nacque la temibile GESTAPO, la polizia segreta, la quale, insieme alle SA, diede il via, in tutto il paese, a terrificanti azioni di repressione; il 14 luglio, il partito nazional-socialista divenne l’unico consentito mentre tutti i movimenti della defunta repubblica di Weimar vennero eliminati. La dittatura fu consolidata il 2 agosto 1934, quando, alla morte di Hindenburg, Hitler si addossò la duplice carica di presidente e primo ministro; meno di due mesi prima, il 30 giugno, nella cosiddetta "notte dei lunghi coltelli", su ordine del fuhrer, le SS di Himmler avevano massacrato, in un drammatico regolamento di conti, Rohm ed i vertici delle SA, sospettati di cospirazione ai danni del potere centrale. Da quel momento le squadre d’assalto, i camerati della prima ora, coloro che avevano condiviso l’ascesa al potere del nazismo, uscirono di scena insieme alle loro famigerate camicie brune, per far posto all’ordine nero delle SS dello stesso Himmler, che avrebbero dato vita, negli anni successivi, ai più terrificanti e macabri massacri che la storia ricordi, divenendo, tragicamente, il cinico e zelante braccio armato di una folle ideologia. Hitler e Hindemburg

94 Nel contempo i vertici nazisti cominciarono, con regolare perseveranza, ad attuare la loro politica antisemita, cominciata con l’azione di boicottaggio contro le attività ebraiche e con il rogo dei libri di scrittori ebrei, al fine di purificare la cultura tedesca; il 15 settembre 1935 vennero emanate le leggi di Norimberga, che tolsero agli ebrei ogni diritto politico, proibendo anche i matrimoni misti, al fine di tutelare la purezza della popolazione di razza ariana; la stessa propaganda diretta dall’abile ed intelligentissimo dottor Joseph Goebbels, martellava continuamente le menti dei cittadini, con discorsi, articoli, volti a screditare, ferocemente, il "traditore giudeo" nemico della patria e del popolo tedesco. La vera e propria azione di persecuzione cominciò però il 9 novembre 1938, quando, nella "notte dei cristalli", al fine di vendicare l’uccisione, avvenuta a Parigi, di un diplomatico tedesco, ucciso da un dissidente ebreo, furono distrutti negozi, case, sinagoghe, profanati cimiteri, sterminate intere famiglie. Nonostante il nazismo avesse cominciato a gettare la maschera, il consenso di Hitler e del suo movimento, negli anni pre-bellici, raggiunse livelli trionfali.

95 Il fuhrer aveva infatti trasformato un paese alla fame, distrutto, umiliato, in una nazione che stava ritrovando l’antica potenza ed i fasti perduti; la miseria degli anni venti, la disoccupazione, il collasso economico, erano ormai soltanto un ricordo; Hitler infiammava le folle con discorsi esaltanti la grandezza della Germania, di una nazione destinata a vendicare le umiliazioni subite e a riconquistare un posto di prim’ordine in Europa e nel mondo. Il nazionalismo cancellò l’inflazione, fece ritrovare ai tedeschi il benessere perduto: anche grazie al potenziamento dell’industria bellica, tutti lavoravano, ogni famiglia poteva vivere serenamente, le città erano più floride ed eleganti che mai, degne cornici per i rappresentanti della razza perfetta. Ai congressi del partito di Norimberga, alle olimpiadi di Berlino del 1936, Hitler, di fronte a folle oceaniche e deliranti, in un clima di esaltazione collettiva, appariva come il condottiero invincibile di una nazione ritrovata, più possente che mai, che cominciava a preoccupare il mondo intero per le sue smanie di grandezza e per la sua esuberanza. Erano gli anni del nazismo farneticante, che trovava la sua magnificazione nel mito della purezza ariana, in filmati come "il Trionfo Della Volontà" ed in Olimpia", della grande regista Leni Riefensthal e nella megalomania delle geometrie dell’architetto del reich Albert Speer.

96 Preludio alla guerra In barba agli accordi di Versailles, che privavano la Germania, dell’aviazione, della flotta, dell’artiglieria e che riducevano l’esercito a soli effettivi, i vertici nazisti diedero il via ad un possente piano di riarmo, che contribuì alla creazione di un esercito spaventosamente potente, forte di armamenti di prim’ordine e di un’aviazione, la Lutwaffe, all’avanguardia. L’intenzione del fuhrer era quella di imporre la superiorità razziale ariana tramite un’azione militare destinata a soggiogare le altre nazioni e gli altri popoli.

97 Per far questo fu varato un piano economico quadriennale, volto a fare, della Wehrmacht, un esercito moderno ed evoluto, pronto e predisposto alla guerra prima che le altre nazioni potessero essere in grado di arginare gli ambizioni piani egemonici del III reich; la responsabilità del riarmo fu affidata ad Hermann Goring, che fu in grado di contare su risorse economiche sterminate e su una forza lavoro senza precedenti. A poco a poco, Hitler cominciò a mettere in pratica i suoi propositi espansionistici, a partire dal 7 marzo 1936, quando la Renania venne rioccupata militarmente, senza reazione da parte delle potenze occidentali e con la solidarietà di Mussolini, che si era legato alla Germania nazista dopo la campagna d’Etiopia, quando il governo tedesco appoggiò l’Italia regia, contro il boicottaggio economico stabilito, nei suoi confronti, dalla Società delle Nazioni, per l’ invasione dello stato sovrano dell’Abissinia. L’avvicinamento tra i due regimi sfociò in un vero e proprio trattato di alleanza tra Italia fascista e Germania nazista, in quello che fu denominato "asse Roma-Berlino" e che ebbe modo di operare immediatamente nella guerra civile spagnola, in appoggio alle forze nazionaliste di Francisco Franco; l’evento fornì ad Hitler l’occasione di collaudare le sue forze armate, in funzione di una guerra sempre più imminente; gli Stuka tedeschi divennero dunque, tragicamente, i protagonisti ed i signori assoluti dei cieli spagnoli, seminando il panico con devastanti bombardamenti, preceduti dall’ agghiacciante suono della sirena che tali aerei azionavano durante la loro picchiata, proprio al fine di terrorizzare gli inermi civili. Hitler e Franco

98 L’esuberante politica estera di Hitler proseguì con l’ "anschluss", l’ annessione, il 13 marzo 1938, tra il tripudio della gente, dell’Austria, ma ciò non fu sufficiente per placare i propositi espansionistici del III reich: con la scusa del problema della tutela delle minoranze tedesche, venne infatti reclamata la regione dei Sudeti, che si trovava sotto la sovranità Cecoslovacca; ne seguì una violenta attività propagandista, che portò il mondo sull'orlo di una guerra evitata solo grazie alla mediazione di Mussolini, promotore e sostenitore di un accordo, quello di Monaco del settembre 1938, nel quale, pur di evitare di ripiombare nell’incubo, si decise di accontentare di nuovo Hitler, che ottenne i Sudeti, impegnandosi a non avanzare altra pretesa; ma la parola del fuhrer restò carta straccia e ben presto, le truppe tedesche invasero ed annientarono, con la creazione del protettorato di Boemia e Moravia, una Cecoslovacchia privata, con la perdita dei Sudeti, delle proprie fortificazioni di confine e delle proprie difese naturali. I fragili equilibri e la speranza di mantenere la pace furono però, definitivamente vanificati dall’ulteriore progetto di Hitler, quello di impossessarsi del cosiddetto "corridoio di Danzica" che separava la Prussia orientale dal resto della nazione e che era stato concesso alla Polonia, nel 1919, con il trattato di Versailles, per consentirle di avere uno sbocco sul mare.

99 Il 23 agosto 1939 il mondo fu scosso dalla notizia dalla stipula, tra Germania e Unione Sovietica, del patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop, chiaro preludio dell’imminente invasione della Polonia e della sua futura spartizione tra le due grandi potenze; il 1 settembre 1939, la Wehrmacht oltrepassò il confine orientale scatenando il dramma del secondo conflitto mondiale, che avrebbe dovuto portare, nei propositi del fuhrer, al trionfo del III reich ed alla nascita di una grande Germania, volta ad esaltare la superiorità della razza eletta, secondo i dettami codificati, già 16 anni prima, nelle pagine del "Mein Kampf". Hitler "sposa" Stalin

100 STRUTTURA MILITARE ADOLF HITLER ALTO COMANDO DELLA WEHRMACHT
(Fuhrer e Cancelliere del Reich) Alto Comando della Wehrmacht Capo: Feldmarisciallo Keitel Capo si stato maggiore: Colonnello Generale Alfred Jodl Aiutanti in campo Gen. Schumundt Gen. Burgdof (dal 12/10/44) Alto Comando dell’Esercito Feldm. von Brauchtsh Hitler (dal 19/12/41) Alto Comando della Luftwaffe Maresciallo del Reich Goring Gen fldm. von Grem Alto Comando della Marina Gr. Amm. Raeder Gr. Amm. Donitz (dal 30/1/43) Contro-Amm von Friedeburg

101 ECONOMIA 3° REICH Il successo di Hitler si basò, nei primi ani, non solo sui suoi trionfi in politica estera che permisero tante conquiste senza spargimento di sangue, ma pure sulla ripresa economica della Germania, che, nei circoli del partito e anche in alcuni ambienti economici stranieri, fu accolta come un miracolo. E invero avrebbe potuto sembrare tale a molti. La disoccupazione, calamità che funestò il decennio 1920 – 30 e i primi anni di quello successivo, fu ridotta da 6 milioni nel 1932 a meno di un milione quattro anni più tardi. La produzione nazionale crebbe del 102% del 1932 al 1937, mentre il reddito nazionale fu raddoppiato. A uno spettatore la Germania degli anni interno al 1935 sembrava un grande alveare: le ruote dell’industria ronzavano e ognuno affaccendato come un’ape. Nel primo anno la politica economica nazista, diretta in gran parte dal dott. Schacht (Hitler, da parte sua, detestava interessarsi di economia, scienza che ignorava totalmente), mirò soprattutto a ridare un lavoro ai disoccupati, promovendo lavori pubblici di vasta portata e dando nuovo impulso all’iniziativa privata. Il credito governativo fu fornito con la emissione di speciali buoni di disoccupazione, e furono concesse generose agevolazioni fiscali alle imprese che aumentavano il loro capitale e incrementavano la mano d’opera. Ma la vera base su cui fondò la ripresa tedesco fu il riarmo verso il qual il regime nazista orientò lo sforzo delle imprese e dei lavori (come pure dei generali) dal 1934 in poi.

102 L’intera economia tedesca finì con l’essere definita, nel linguaggio nazista, Wehrwirtschaft o economia di guerra, e fu deliberatamente predisposta non solo per i tempi di guerra, ma anche per la pace che a quella conduceva […]All’inizio […] gli uomini d’affari sperarono che il regime nazista portasse alla realizzazione di tutti i loro desideri. Certamente, l’inalterabile programma del partito, con le sue promesse di nazionalizzazione dei consorzi, di ripartizione degli utili nel commercio all’ingrosso, di << municipalizzazione dei grandi magazzini e locazione degli stessi a piccoli commercianti, a basso prezzo >> (come diceva l’articolo 16), di riforma fondiaria e di abolizione degli interessi sulle ipoteche, era stato male accolto. Ma gli industriali e i finanziari compresero ben presto che Hitler non aveva la minima intenzione di tenere fede ad uno solo degli articoli economici del programma del partito: le promesse radicali erano state inserite solo per attirare più voti […] i piccoli commercianti, che erano stati uno dei più validi sostegni del partito e che si aspettavano grandi cose dal cancelliere Hitler, si trovarono ben presto, e in gran numero, ad essere rovinati o retrocessi al rango di salariati. Le leggi dell’ottobre 1937 scioglievano tutte le società con capitale inferiore a dollari, e proibivano che se ne costituissero delle nuove se il capitale non superava i dollari. In breve tempo, ciò segnò la fine di 1/5 di tutte le piccole aziende commerciali.

103 D’altro canto i grandi trust, che già erano stati favoriti dalla repubblica, furono ancora resi più potenti dai nazisti. Con la legge del 25 luglio 1933, infatti, essi divennero obbligatori. Al Ministero dell’Economia fu conferito il potere di istituire nuovi cartelli obbligatori e di costringere le aziende ad unirsi a quelle esistenti. Il sistema di tenere in vita un’infinità di associazioni commerciali, istituito durante la Repubblica, fu mantenuta dai nazisti, per quanto la legge fondamentale del 27 febbraio avesse riorganizzato queste associazioni in base al nuovo << principi autoritario >> e sotto il divenire membri. All’apice di una struttura incredibilmente complessa stava la Camera dell’Economia del Reich, il cui capo veniva nominato dallo Stato, che controllava 7 gruppi economici nazionali, 23 camere economiche, 100 camere d’industria e commercio e 70 corporazioni dei mestieri. In mezzo a questo labirinto di super organizzazione e alla moltitudine di uffici, centrali e distaccati, del Ministero dell’Economia, incalzato al piano quadriennale e dalla marea di decreti e leggi speciali, perfino l’uomo d’affari più astuto spesso si perdeva, ed era necessario l’impiego di legali specializzati per rendere possibile il funzionamento di un’azienda […] nonostante questa vita tribolata l’uomo d’affari prosperava. Le industrie pesanti, principali beneficiarie del riarmo, videro i loro utili aumentare del 2% nel 1926, anno del rialzo, al 6,5% nel 1938, l’ultimo anno di pace […] oltre che da questi piacevoli utili, l’uomo d’affari era rallegrato dal modo in cui i lavoratori erano messi al loro posto sotto il regime di Hitler.

104 Non si avevano più ragionevoli richieste di salari
Non si avevano più ragionevoli richieste di salari. Al contrario, i salari furono leggermente ridotti, nonostante un aumento del 25% nel costo della vita. E, soprattutto, non vi erano più scioperi dispendiosi. Anzi, non vi erano affatto scioperi: tali manifestazioni d’indisciplina erano “verboten” (proibite) nel Terzo Reich. W. SHIRER, Storia del Terzo Reich, Torino, Einaudi, 1962 

105 ORGANIGRAMMA DEL TERZO REICH
ADOLF HITLER Führer - Reichskanzler (“guida e cancelliere del Reich”) ORGANIGRAMMA DEL TERZO REICH HANS LAMMERS Assistente del Reich FRANZ von PAPEN Vice – Cancelliere (1933) Ministro dell'Aviazione Hermann Wilhelm Göring (1933) Ministro per gli Armamenti e produzione bellica albert peer (1942) Ministro degli Interni Heinrich Himmler (1943) Ministro degli Affari Ecclesiastici MERMAN MUHS Ministro dell'Economia WALTER FUNK Ministro degli Affari Esteri JOACHIM von RIBBENTROP (1938/45) Ministro dell'Educazione BERNARD RUST (1934) Ministro della Giustizia OTTO THIERACK (1942) Ministro del Lavoro FRANZ SELDTE (1934) Ministro delle Finanze LUTZ GRAF SCHWERIN von KROSIGK Labor Services  KONSTANTIN HIERL Ministro dell'Alimentazione e Agricoltura HERBERT BACKE (1942/45) Ministro delle Poste KONSTANTIN HIERL Ministro della propaganda Paul Joseph Goebbels (1933) WERNER von BLOMBERG (1938)

106 CAPO DELLA POLIZIA D’ORDINE – SD (Sicherheitspolizei)
COORDINAMENTO DELLE FORZE DI POLIZIA COMANDATE DELLE SS E DELLA POLIZIA TEDESCA (der Deutschen Polizei di Chef del und di Reichsfuehrer ss) HEINRICH HIMMLER CAPO DELLA POLIZIA D’ORDINE – SD (Sicherheitspolizei) (der Ordnungspolizei di Chef) WUENNENBERG CAPO DELLA POLIZIA DI SICUREZZA (Sicherheitspolizei del der di Chef) ERNST KALTENBRUNNER (1941) UFFICIO GENERALE DI SICUREZZA DEL REICH ( Reichsicherheitshauptamt) ERNST KALTENBRUNNER (1942) RESPONSABILE DELL’UFFICIO DEL PERSONALE ERWIN SCHULZ RESPONSABILE ORGANIZZAZIONE E GESTIONE DIPARTIMENTO DELLA GIUSTIZIA HAENEL

107 RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI SICUREZZA
OTTO OHLENDORF CAPO DELLA POLIZIA SEGRETA DI STATO – (GESTAPO) HEINRICH HIMMLER CAPO DEL DIPARTIMENTO DI POLIZIA CRIMINALE (Kripo) FRIEDRICH PANZINGER (1944) CAPO DEI SERVIZI DI SICUREZZA NEI TERRITORI OCCUPATI WALTER SCHELLENBERG CAPO DEL DIPARTIMENTO DI RICERCA IDEOLOGICA DITTLE

108 STALIN La guerra civile e la durezza del “comunismo di guerra”, particolarmente feroce con i contadini, portarono alla crisi del potere bolscevico, che reagì reprimendo duramente le proteste di operai, militari e contadini che reclamavano il ripristino della democrazia dei soviet. L’isolamento internazionale dell’ Unione Sovietica, fortemente osteggiata dalle potenze occidentali timorose del contagio rivoluzionario, costrinse il gruppo dirigente bolscevico a riformulare il rapporto tra ottobre sovietico e rivoluzione mondiale. Nel 1921 Lenin decise di avviare una Nuova politica economica (Nep), che rivitalizzasse l’economia sovietica con un’iniezione di mercato e di profitto. I risultati della Nep furono parzialmente positivi, ma non da superare la secolare arretratezza russa. Il problema di come modernizzare rapidamente il paese divise il gruppo dirigente bolscevico, orfano di Lenin morto nel 1924, tra i fautori di una moderata transizione al socialismo attraverso il rafforzamento dell’agricoltura (Bucharin) e i critici della Nep (Trockij), preoccupati che essa indebolisse la prospettiva socialista e favorisse l’emersione di ceti medi benestanti.

109 Alle incerte prospettive economiche si legò il problema della nuova leadership. La lotta per il potere oppose Trockij, sostenitore della rivoluzione permanente, a Stalin, partigiano del socialismo in un solo paese. Risolta a favore di Stalin la vicenda (Trockij, esiliato, fu assassinato da un sicario staliniano nel 1940), l?Unione Sovietica imboccò la via dell’industrializzazione forzata. La pianificazione dell’economia (piani quinquennali), la proprietà pubblica dei mezzi di produzione e il regime di terrore dentro e fuori il partito consentirono all’Unione Sovietica di trasformarsi tra il 1928 e il 1937 nella terza potenza industriale del mondo. L’incredibile sviluppo economico ebbe dei costi umani e sociali elevatissimi: all’esplosione del prodotto nazionale lordo non corrispose un aumento dei consumi delle famiglie, giacchè la produzione riguardava soprattutto l’industria pesante e militare; la burocratizzazione del potere e la compenetrazione tra stato e partito trasformò la dialettica interna ai bolscevichi in una vera e propria lotta per la sopravvivenza, combattuta a colpi di processi, esecuzioni sommarie e internamento nei gulag. L’asservimento della scienza e della cultura e il culto della personalità di Stalin divennero in questi anni impressionanti.


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