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La Pazienza di Giobbe e la Sapienza di Salomone

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Presentazione sul tema: "La Pazienza di Giobbe e la Sapienza di Salomone"— Transcript della presentazione:

1 La Pazienza di Giobbe e la Sapienza di Salomone
Virtù e Tradizioni a confronto tra Vicino Oriente Antico e Occidente Contemporaneo

2 Le fonti bibliche In questo corso affronteremo un tema affascinante, quello della nozione e del concetto di “sapienza” nella Bibbia, utilizzando due testi: il libro di Giobbe come opera o testo sapienziale classico, anzi il maggiore dell’intera Bibbia… e il libro della Sapienza, che è virtù attribuita soprattutto al gran re Salomone, e opera o testo sapienziale, elaborato probabilmente da uno scriba ebreo in un contesto culturale ellenistico (Alessandria d’Egitto).

3 Il canone biblico Se per il libro di Giobbe non vi è stato mai il problema della sua canonicità, per il libro della Sapienza si è, invece, posto: infatti esso ha trovato posto nel Canone cattolico solamente nel 1546 al Concilio di Trento, che lo inserì, insieme con altri sei libri di matrice ellenistica, e solo in parte ebraica, e precisamente: i libri di Tobia, Giuditta, Primo e Secondo dei Maccabei, Siracide e Baruc (detti anche deutero-canonici). I Protestanti, pur avendone grande stima, non hanno mai posto il libro della Sapienza nel loro Canone. Canonicità (dal greco kànon, regola) significa “appartenente ad una raccolta di scritti approvata come autentica” dalla Chiesa cattolica, o protestante, etc..

4 I libri sapienziali I Nella Bibbia sono denominati “Sapienziali” 5 libri del Primo Testamento: Giobbe, Proverbi, Qoèlet (o Ecclesiaste), Siracide e Sapienza. In questo corso noi ci riferiremo soprattutto, come d’accordo, a Giobbe e al libro della Sapienza, ma non trascureremo di fare dei cenni agli altri, ad esempio al Qoèlet e ai Proverbi. Alcuni studiosi a volte associano ai libri sapienziali anche i Salmi e il Cantico dei cantici: noi comunque ci atterremo alla suddivisione più classica.

5 I libri sapienziali II La letteratura “sapienziale” ha caratterizzato molto la riflessione sui temi dell’uomo e del “divino” l’intero Vicino Oriente Antico: troviamo infatti testi sapienziali nell’Antico Egitto, in Mesopotamia, in Edom, in Arabia, e verso est fino ai confini con le altre grandi culture iraniche e quelle oltre la valle dell’Indo: induismo, buddismo e nell’estremo oriente il taoismo e il confucianesimo. La “sapienza” dunque è un tratto caratteristico che possiamo riferire - in modi diversi - a tutte le popolazioni dell’Antico Oriente.

6 I libri sapienziali III
Le parti più antiche di questi testi (ad esempio dei Proverbi) altro non sono che precetti di sapienza umana, di saggezza e di buon senso. In Israele, però, avviene a un certo punto (secc. IX - VIII a. C.) una specie di fusione tra questo sapere popolare e un sapere religioso che si viene formando attorno al culto di un Dio locale chiamato Jahwe. I sapienti allora, lentamente, fanno entrare nelle loro raccolte dei cenni di una dottrina teologica, che illumina progressivamente le dottrine umane prospettando una finalità e un destino non solamente terreni.

7 I libri sapienziali IV La sapienza allora, da una configurazione connotata come suprema virtù umana, comincia ad essere concepita come figura divina, come rappresentazione di una qualità eccelsa e inattingibile. Inizia un lungo percorso che finirà, in epoca cristiana con l’identificazione della Sapienza con Cristo Gesù. Ma, in realtà, che cosa si intende per “sapienza”? La sapienza è ciò che permette all’uomo di operare con giustizia, pietà e timore di Dio, evitando la stoltezza, l’iniquità e l’empietà.

8 I libri sapienziali V La sapienza insegna che l’uomo non ha un diritto alla felicità indipendentemente dalle sue azioni, e che, comunque, anche in presenza di una vita virtuosa, a volte può darsi che non vi sia una remunerazione proporzionata…, ovvero che tocchino in sorte prove difficilissimi, come vedremo studiando il libro di Giobbe. Comincia a delinearsi una visione che non prevede soltanto la prospettiva di una remunerazione per il bene fatto o di una punizione per il male fatto, ma anche la possibilità di un esito che non dipende dall’uomo, bensì dall’imperscrutabile volontà di Dio.

9 I libri sapienziali VI Non vi è nei testi che studieremo ancora una dottrina dei “fini ultimi” o della immortalità dell’anima nei libri che studieremo, perché questa sarà prospettata solo in scritti successivi e molto prossimi all’era cristiana, e precisamente nel libro di Daniele (12, 2) e nel Siracide, che si presume siano stato redatti in tempi non antecedenti al I sec. a. C.. La dottrina dei fini ultimi e dell’immortalità dell’anima ripugnavano alla mentalità ebraica tradizionale, per cui poterono essere considerati solo quando l’influenza greco-alessandrina (medio-platonismo) divenne importante per la redazione delle Sacre Scritture. Cfr. dialogo Fedone di Platone.

10 I libri sapienziali VII
Aggiungiamo anche che la cultura e la letteratura sapienziale è caratterizzata da modi espressivi adatti ad una pedagogia popolare. La sua origine si può collocare nella vita concreta delle famiglie e dei clan di quelle popolazioni nomadi che poi si sono sedentarizzate nel corso dei secoli (tra il XII e il X a. C.). La trasmissibilità dei detti era garantita a livello familiare (padre-madre verso i figli) e di comunità locale, dove operavano dei “maestri”.

11 La Sapienza dei Greci Quasi contemporaneamente allo sviluppo della Sapienza nel mondo del Vicino Oriente Antico, anche nelle Grecia classica, accanto alla grande lirica di Pindaro, Teocrito, Anacreonte, Alceo, Saffo, etc., e alla tragedia di Eschilo, Sofocle, Euripide, si sviluppò una sapienza di origine filosofica, che preparò la grande stagione di Socrate, Platone e Aristotele: la stagione dei cosiddetti presocratici:, che erano filosofi, veggenti, medici e naturalisti: Talete, Anassimene, Anassimandro, Empedocle, e soprattutto Parmenide e Zenone di Elea, Eraclito di Samo…

12 La falsa sapienza di oggi I
Delle Gnosi cognitive: (la scienza spiegherà prima o poi tutto), gnosi vitalistiche (wellness o benessere, autostima, abolizione del concetto di colpa, etc.), gnosi rivoluzionarie (palingenesi sociali o nazionali), gnosi dissolutorie (spacchiamo tutto, qualcosa di buono nascerà, tipo certe facce, non tutte, da no global). Le gnosi sono diversi tipi di volontà di potenza (potrebbe dire Nietzsche) dell'intelletto umano. Partiamo dalle gnosi mentali o cognitive. Esemplifico per non appesantire.

13 La falsa sapienza di oggi II
Il professor Richard Dawkins (quello dell’Orologiaio cieco) ne è una rappresentazione efficace: per lui la scienza, solo questione di tempo, arriverà allo svelamento di tutto ciò che è ancora velato all'umana conoscenza. Umberto Eco ne rappresenta un altro idealtipo, magari più dialogico, simbolico, semiologico (è il suo mestiere), ma dovrebbe ricordare il detto classico latino "sutor, ne ultra crepidas" (ciabattino, non andare oltre le tue ciabatte), mentre si intrufola in contesti culturali che non conosce, come quando ha attribuito anacronisticamente a san Tommaso d'Aquino posizioni di filosofia della natura (biologia) improprie (sulla questione del concepimento in utero) rispetto ai tempi del teologo domenicano. Ognuno parli di ciò che sa come può, senza la pretesa di dire parole definitive, ché Minerva non aiuta più di tanto i temerari.

14 La falsa sapienza di oggi III
Delle Gnosi vitalistiche. Oggi si deve stare bene a tutti i costi. Bisogna crescere nell'autostima personale. Sacrosanto. Ma a volte mi sembra si esageri. Funziona un'estetica unisex, dove l'indifferenziato fa premio sulla distinzione, l'informe sul determinato, il casuale sull'adeguato. L'androginia è un modo di abbigliarsi e di vivere. Curioso lo stile odierno dei jeans: a vita bassa, per ragazzi e ragazze, dove queste ultime, essendo spesso dotate da madre natura di esuberanti natiche, callipigie (quando erano proporzionate) dicevano i greci che di bellezza, armonia e proporzioni si intendevano, esibiscono accenni di prominenze davanti e didietro, con risultati estetici molto dubbi, e talora penosi. Venastài, si direbbe in friulano, che le gambe, già talora non troppo da silfide, si accorciano ulteriormente, con effetti che sfiorano la comicità.

15 La falsa sapienza di oggi IV
Il benessere è visto come un evitare a tutti i costi ogni sofferenza, e se non è possibile, nasconderla, mimetizzarla, quasi a scongiurarla con il suo nascondimento. Non come un equilibrio tra diversi stati, dove lo "stare bene" è anche un risultato del rispetto che si deve a se stessi, e lo "star male" è uno dei modi dell'essere dell'uomo a questo mondo: tutti e due plausibili, perché l'uomo è imperfetto, cagionevole, fragile, e nel contempo straordinariamente forte, resistente, capace, al bisogno, di superarsi.

16 La falsa sapienza di oggi V
Delle Gnosi rivoluzionarie Si può dire che rappresentano il sostrato di tutte le utopie sociali e politiche della storia umana. Si tratta comunque di un sentimento fondamentalmente "religioso" nel senso dell'assolutezza e della credenza. Possiamo citare teologi ereticali del Medioevo come fra' Gioacchino da Fiore, che prevedeva la venuta dell'era dello Spirito, dopo quella del Figlio, Arnaldo da Brescia, con le sue convulse iniziative politiche finite sul rogo, e poi, più tardi fra' Tommaso Campanella il quale, prudentemente si limitò a scrivere de "La città del sole", evitando guai peggiori del carcere, che non evitò invece frate Giordano Bruno, arso vivo a Campo de' Fiori il primo febbraio del '600. Geniale panteista, e testardo come il nostro vecchio Menego Scandella (il Menocchio).

17 La falsa sapienza di oggi VI
Anche il nobile Thomas Moore va ricordato tra gli utopisti, ma fu decapitato per ragion di stato, più che per le sue idee rivoluzionarie. Così come i francesi pre-rivoluzionari dom Deschamps e Monsieur de Morelly, autore de Il codice della natura. E poi i grandi eponimi del socialismo, a partire dai rivoluzionari francesi, da Robespierre a Bàbeuf a Blanqui, che desideravano una società più giusta, ma scelsero drammatiche scorciatoie. Per finire con il grande ebreo tedesco Karl Marx, che più di ogni altro strutturò un'ipotesi di mondo nuovo, ma anche di "uomo nuovo", che non avrebbe più dovuto opprimere il suo prossimo. Radicalizzazioni giudaico-cristiane oltre che gnosi rivoluzionarie, credo.

18 La falsa sapienza di oggi VII
Delle Gnosi dissolutorie, infine, si può dire che sono attuali e pericolose. Sono quelle dell'abuso di alcol, droghe e allucinogeni, quelle della fuga dal presente e dalla realtà. Quelle della magia, dello spiritismo e del satanismo. Della ricerca dell'estasi artificiale e del dominio di potenze esterne all'uomo, per rinforzare, si fa per dire, il proprio ego, andando oltre. Le più inutili e forse le più pericolose.

19 La falsa sapienza di oggi VIII
Sapienza invece è sapida scientia (scienza saporita, gustosa). Fermiamoci attorno ad essa, riassaporiamola come se fosse una primizia. La sapienza è la coscienza del proprio limite e insieme della propria grandezza. Malattia e salute, ignoranza e conoscenza sono parte, oltre che della vita, anche della sapienza e della sua applicazione all'esistenza di ciascuno, inestricabili, oggettive, umane. Dobbiamo conviverci perché è la strada migliore, la sola veramente umana, perché conosce dialetticamente i tempi della sosta e del cambiamento, della forza e della debolezza, accettando le sconfitte e anche la morte come parti costitutive e "necessarie" alla vita.

20 Il libro di Giobbe – introduzione I
Il libro di Giobbe è il più importante dei libri sapienziali, poema lirico sul rapporto esistente dell’uomo con il male. Il grand’uomo, Giobbe, che era virtuoso e ricchissimo viene dato in balia al “satana” da parte di un Dio che sembra voler sperimentare la sua creatura, cercando di metterla alla prova: già qui sorge un problema: come può Dio, che è omnipotente, omnisciente, eccetera eccetera, avere bisogno di mettere alla prova una sua creatura? È la prima domanda che sorge… e la risposta non è delle più facili.

21 Il libro di Giobbe – introduzione II
L’autore considera dunque il paradosso di un giusto che viene punito, facendo “saltare per aria” la legge non scritta, molto presente nelle dottrine morali del Vicino Oriente Antico, di una retribuzione - sia per il bene sia per il male fatti - qui in vita, sulla terra. Nella Bibbia ciò è mostrato chiaramente nel capitolo 28 del Deuteronomio e nel capitolo 26 del Levitico, e anche nel libro dei Giudici e nel libro dei Re. Anche in Ezechiele al capitolo 18 si conferma la responsabilità individuale delle azioni libere.

22 Il libro di Giobbe – introduzione III
Ma in Giobbe viene smentito tutto questo! Che cosa c’è dunque di più profondo nelle ragioni e cause della sua sofferenza? Come si può tentare di spiegare ciò che appare incomprensibile alla luce delle concezioni del tempo, se non reggono neppure le ipotesi dei suoi interlocutori, che sono dei saggi? Giobbe non è punito per peccati di omissione o per peccati di ignoranza e di debolezza. Perché deve soffrire tanto fino al punto da chiederne conto a Dio stesso? È ciò che cercheremo insieme di capire in questi nostri incontri.

23 Il libro della Sapienza – introduzione I
Tale libro è innanzitutto chiamato “Sapienza di Salomone”, con ciò volendo significare, come usava nell’antichità, l’esigenza di individuare per un libro importante un autore eccelso, per prestigio e tradizione, come il re Salomone, la cui fama aveva varcato tutti i confini del suo tempo (e oltre). In realtà il vero autore non lo conosciamo, perché le ipotesi sono varie e contraddittorie: vi è chi ritiene possa essere stato un monaco esseno di Qumran, chi dice un sacerdote ellenizzante, chi addirittura lo attribuisce al grande filosofo ebreo ellenizzante Filone di Alessandria. Ciò che, allo stato della ricerca, può risultare abbastanza plausibile, è che si tratti di uno scriba alessandrino, attivo nei primi due secoli a. C. o d. C..

24 Il libro della Sapienza – introduzione II
Nonostante abbia posto problemi circa la sua “canonicità” , questo libro è stato utilizzato comunque dai Padri fin dal II secolo, con qualche opposizione da parte di San Girolamo (che nel frattempo traduceva i Vangeli canonici). Nella prima parte il libro mette in evidenza l’importanza che la virtù di Sapienza ha nel destino dell’uomo, confrontando gli esiti futuri (nel senso della “vita eterna”) diversi dei giusti rispetto agli empi e peccatori. Nella seconda parte viene messa in evidenza l’origine e la natura della Sapienza, e il cammino per ottenerla. Circa il termine “destino” è necessario approfondire una seria riflessione, poiché vi sono diverse declinazioni, più o meno deterministiche del suo significato.

25 Il libro della Sapienza – introduzione III
In definitiva, la Sapienza si pone come una lunga digressione - poetica e filosofica - che pone l’uomo di fronte all’esigenza di uscire da se stesso, dalle sue paure, abbandonando gli idoli e le credenze false circa la possibilità di contribuire a decidere del proprio destino. L’autore si rivolge innanzitutto agli Ebrei, cui raccomanda di non cedere alle mode del pensiero che stanno emergendo di quei tempi, ma contemporaneamente utilizza stilemi e concetti filosofici che hanno molto a che fare con il pensiero greco, e in particolare con il neo-platonismo, come vedremo.

26 Premessa metodologica
Terminata una breve presentazione dei due libri cui ci riferiremo in questo corso, vediamo insieme alcuni aspetti che ci aiuteranno nel nostro studio. In particolare, alterneremo la lettura di alcuni passi scelti, che troverete commentati, a una discussione che dovrà vedere coinvolti tutti i partecipanti. Infatti, se vogliamo trarre una qualche utilità, non solo per la nostra cultura personale, ma anche per la nostra vita, dobbiamo porci davanti a questi antichi Scritti con l’anima e l’intelligenza aperte all’ascolto, ma con la volontà di utilizzarli come una specie di “griglia interpretativa” del presente, e quindi della nostra vita individuale.

27 Il libro di Giobbe I Giobbe era dunque un uomo ricco e prestigioso della terra di Ur (la stessa terra di Abramo), in Mesopotamia. “Era un uomo alieno dal male”. Un certo giorno “i Figli di Dio” si presentarono al Padre per rendergli conto delle cose del mondo. Tra loro c’era anche “satana”, che mette in dubbio davanti a Dio la fedeltà di Giobbe. Allora Dio permette a Satana di colpire Giobbe in tutti i suoi affetti e i suoi averi. I Sabei e i Caldei rubano e distruggono tutti i suoi averi. Un terremoto uccise tutti i suoi figli e figlie … … e dei messaggeri vennero da Giobbe ad informarlo di tutto ciò. Giobbe 1, 1.

28 Il libro di Giobbe II “Allora Giobbe si alzò e si stracciò le vesti, si rase il capo, cadde a terra, si prostrò e disse: Nudo uscii dal seno di mia madre,/ e nudo vi ritornerò./ Il Signore ha dato, il Signore ha tolto,/ sia benedetto il nome del Signore!” In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto”. La prima reazione di Giobbe è quindi pacata e paziente, ma … Giobbe 1,

29 Il libro di Giobbe III … doveva accadergli anche di peggio, perché il Signore permette al “satana”, che in questo caso funge quasi da suo strumento, o come una specie di “pubblico ministero” tentatore … Il Signore dice al satana: “Eccolo nelle tue mani! Soltanto risparmia la sua vita”. E satana colpì Giobbe con una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo, dice la Bibbia. Un prurito terribile ed egli si gratta con un coccio. E se anche la moglie lo critica, egli rimane fermo nella sua fede. Giobbe 2, 6b.

30 Il libro di Giobbe IV … e le dice: “Come parlerebbe una stolta tu hai parlato! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male?” E dunque Giobbe pazientò senza protestare mai ed alzare imprecazioni contro Dio o contro la sorte. Ecco che però qualcosa sta per accadere: lo vengono a trovare tre suoi amici che avevano saputo delle sue disgrazie. Si trattava di Elifaz il Temanita, di Bildad il Suchita e di Zofar il Naamatita. Giobbe 2, 10.

31 Il libro di Giobbe V Giobbe maledice il giorno della sua nascita.
“Perisca il giorno in cui io nacqui/ e la notte in cui si disse: è stato concepito un uomo!/ Quel giorno sia tenebra,/ non lo ricerchi Dio dall’alto,/ né brilli mai su di esso la luce,/ lo rivendichi tenebra e morte,/ gli si stenda sopra una nube/ e lo facciano spaventoso gli uragani del giorno!/ Quel giorno lo possieda il buio,/ non si aggiunga ai giorni dell’anno,/ non entri nel conto dei mesi./ Ecco quella notte sia lugubre/ e non entri giubilo in essa./ (…) Giobbe 3,

32 Il libro di Giobbe VI Eccoci di fronte al testo delle imprecazioni, elevate con somma poesia dall’autore del libro! Si tratta precisamente di maledizioni su di sé e su tutto quanto lo riguarda, ambiente, tempo, circostanze … Giobbe è stanco e ha bisogno, diremmo noi, di sfogarsi, proprio come noi … e le maledizioni continuano, potremmo leggerle, ma forse possiamo anche solo commentare.

33 Il libro di Giobbe VII … solo un altro passaggio:
“(…) perché non mi ha chiuso il varco del grembo materno,/ e non ha nascosto l’affanno agli occhi miei!/ E perché non sono morto fin dal seno di mia madre/ e non spirai appena uscito dal grembo?/ (…)” La terribilità delle maledizioni è segno di una disperazione assoluta, sembra che Giobbe non trovi oramai varchi per la sua ragione. Giobbe 3,

34 Il libro di Giobbe VIII La Fiducia in Dio
Ecco che prende la parola il primo degli amici: Elifaz il Temanita, e dice a Giobbe di non pensare a Dio come a chi lo sta ingiustamente punendo, perché Dio, nella sua imperscrutabile Sapienza, conosce il profondo del cuore dell’uomo, i suoi più reconditi e veri sentimenti, e perciò anche le piaghe, le punizioni e il dolore … (leggiamo alcuni passi dei capp. 4 , , e 5, )

35 Il libro di Giobbe IX L’uomo oppresso conosce solo la sua miseria
Giobbe si accorge di poter avere meritato le punizioni, anche se non ne è tanto convinto, e pertanto eleva una preghiera a Dio perché lo “liberi” da questa vita oltremodo penosa, dalle angustie che ogni momento, ogni ora, ogni giorno sono inflitte nelle sue carni e nel suo spirito. Lo liberi facendolo morire. (leggiamo alcuni passi dei capp. 6, , e7, )

36 Il libro di Giobbe X Il corso inarrestabile della giustizia divina
La parola ora viene presa da Bildad il Suchita, il quale cerca di mettere in dubbio le ragioni di Giobbe, chiedendosi come possa Dio fare finta (deviare, falsare) di non vedere il peccato dei figli di Giobbe, che può essere stato commesso. Non può infatti rimanere senza castigo il male commesso. (Leggiamo alcuni passi del cap. 8, e )

37 Il libro di Giobbe XI La giustizia divina è al di sopra del diritto
Giobbe ammette dunque che l’uomo non può avere ragione delle ragioni di Dio, perché Dio è ragione di tutto. Giobbe dice che Dio conosce la profondità del cuore umano, che sfugge all’uomo stesso, il quale può pensare di essere innocente, ma non lo è, o comunque non lo è fino in fondo. All’uomo non resta che essere docile, ma neppure questo basta. (Leggiamo alcuni passi del cap. 9, )

38 Il libro di Giobbe XII Giobbe continua con il suo sfogo, riconoscendo a Dio il suo diritto (si fa per dire) a trattarlo come ritiene giusto. Dio ha un giudizio! Guarda, esamina, giudica. Dio che ha guidato la sua procreazione (… m’hai fatto accagliare come cacio, 10, 10b), lo conosce fin nel profondo della sua verità … (Leggiamo tutto il cap. 10)

39 Il libro di Giobbe XIII La sapienza di Dio provoca il riconoscimento di Giobbe Prende ora la parola Zofar il Naamatita, il quale rimprovera Giobbe con durezza. Gli ricorda che Dio non può compiere ingiustizie, e quindi, se la punizione l’ha raggiunto vuol dire che qualche ragione doveva pur esserci. Lo invita poi alla pazienza, sola virtù che può consentirgli di cominciare a capire, almeno un poco, le ragioni di Dio. (Leggiamo alcuni passi del cap. 11, )

40 Il libro di Giobbe XIV La sapienza di Dio si manifesta anche con le devastazioni provocate dalla sua potenza Dio può tutto, e sia quando agisce per la prosperità degli uomini e del mondo, sia quando sembra voler distruggere tutto con furore. (Si pensi in questo caso alle devastazioni che comporta lo scatenarsi delle forze naturali (terremoti, maremoti, eruzioni, etc.) (Leggiamo alcuni passi del cap. 12, )

41 Il libro di Giobbe XV Giobbe ora vuole di nuovo avere una relazione dialogica con Dio, scartando la mediazione dei suoi “amici”. E allora si costruisce una arringa formidabile a difesa sua, nella quale cerca di giustificarsi come uomo giusto, ma ammette la miseria della condizione umana e la sua fragilità, il limite posto dalla malattia e dalla creaturalità … (Leggiamo alcuni passi dai capp. 13 e 14)

42 Il libro di Giobbe XVI Secondo ciclo di discorsi. Giobbe si condanna con le sue stesse parole Parla Elifaz il Temanita, accusando Giobbe di presunzione, e spingendolo ad ammettere di essere anche lui come tutti gli uomini, i “nati da donna”, imperfetti e fallaci. Nessuno, dice Elifaz, può mettersi a giudicare le azioni di Dio, perché l’Onnipotente conosce i segreti. (Leggiamo del cap. 15 da 2 a 25)

43 Il libro di Giobbe XVII Dall’ingiustizia degli uomini alla giustizia di Dio Dio dunque si è scagliato contro Giobbe (è lo stesso Giobbe che considera la situazione), ma alla fine, in mezzo alle persone, parenti e amici, che cercano di dargli consigli non richiesti, resta solo Dio come unica speranza …(Anche nella nostra esperienza, quante volte non siamo oggetto di consigli non richiesti?). (Leggiamo alcuni passi dal cap. 16: 1 - 9; )

44 Il libro di Giobbe XVIII
Giobbe si convince che non deve aspettarsi nulla dagli altri uomini e che, se Dio stesso non “gli stringe la mano”, quasi a garanzia di un pegno di riscatto, non gli resterà che invocare la “tomba” come unico “genitore”, e i “vermi” che fanno tornare alla terra, come “madre e sorelle”. Il testo è crudo come è tanta la disperazione … (Leggiamo tutto il cap. 17)

45 Il libro di Giobbe XIX La collera non può nulla contro la giustizia
Riprende la parola Bildad il Suchita, con fare trombonesco (quanti consiglieri abbiamo quando le cose non vanno!). Bildad accusa Giobbe di indulgere in vane chiacchiere, invece di riflettere sulle vere ragioni delle sue disgrazie. E poi inizia un’arringa dai toni apocalittici, che in parte leggeremo … (Vediamo dunque il cap. 18, da 6 a 17 e versetto 21)

46 Il libro di Giobbe XX Il trionfo della fede nell’abbandono di Dio e degli uomini Giobbe ora risponde. E urla la sua rabbia, all’inizio impotente, contro chi si accanisce nei confronti della sua condizione. La descrizione del suo declino fisico sfiora notazioni che oggi diremmo “horror”, ma che nell’immaginifica modalità letteraria semitica stanno perfettamente inserite. Giobbe è stremato … ma alla fine la fede vacillante ha un sussulto forte. (Leggiamo cap. 19, )

47 Il libro di Giobbe XXI L’ordine della giustizia non ammette eccezioni
Zofar il Naamatita fa il teologo-biblista, potremmo dire. Spiega che l’uomo, fin dalle origini, ha manifestato tutto il suo smisurato orgoglio, tanto da farlo ergere al cospetto di Dio, quasi come fosse un suo pari. In Genesi 3 egli (Adam) prende il frutto dall’albero della conoscenza del bene e del male … e succede quel che sappiamo. E di nuovo esplodono i toni apocalittici della maledizione che porta l’orgoglio e la superbia. (Leggiamo cap. 20, e )

48 Il libro di Giobbe XXII La smentita dei fatti
Giobbe allora elenca tutti i casi nei quali non vi è retribuzione proporzionata alla malvagità dei comportamenti umani. Molti malvagi, dice, continuano imperterriti a vivere una vita di malefatte e di lussi sfrenati, eppure nulla gli succede, finché giungono alla fine dei loro giorni in serenità e pace … e le zolle della terra sono loro lievi. (Leggiamo il cap. 21, e )

49 Il libro di Giobbe XXIII
Terzo ciclo di discorsi. Dio castiga solo in nome della giustizia Elifaz il Temanita ora fa a Giobbe un vero e proprio processo alle intenzioni. Deduce dalle disgrazie capitate all’”amico” che veramente questi ha violato le leggi di Dio e degli uomini meritando l’aspro castigo. Lo colloca bellamente (che amico, eh? Quanti di noi ne abbiamo di amici cosiffatti?) tra i grandi malvagi e peccatori, e lo invita a pentirsi. (Leggiamo pure tutto il cap. 22)

50 Il libro di Giobbe XXIV Dio è lontano e il male trionfa
Giobbe comunque desidera riprendere il suo confronto con Dio e lo cerca … a destra … a sinistra. E non lo trova, oppure gli sembra che anche se lo trovasse non lo ascolterebbe. Infatti c’è spazio di azione per i malvagi, che a loro piacimento compiono ogni sorta di azione mala, anche nei confronti dei deboli, della vedova, degli orfani. (Leggiamo dal cap. 23 da 1 a 17 e dal cap. 24 da 1 a 12)

51 Il libro di Giobbe XXV Inno all’onnipotenza di Dio
Bildad il Suchita prese a dire parola di lode verso Dio, e poi Giobbe gli risponde … Bildad parla all’aria Giobbe lo rimprovera delle sue rampogne che non portano alcun aiuto a chi si trova nell’angustia … (Leggiamo il cap. 25 e del cap. 26 i versetti da 1 a 4)

52 Il libro di Giobbe XXVI Giobbe, innocente, riconosce la potenza di Dio, ma Zofar ribatte descrivendo la figura del “maledetto da Dio” Giobbe continua nella sua autodifesa, come può, vista la situazione, ma l’”amico” Zofar si intromette con una filippica devastante, e dice che i malvagi avranno la giusta punizione , nella loro persona, nella famiglia e nei propri beni. Di chi parla? (Leggiamo del cap. 27 i versetti da 1 a 6 e da 13 a 23)

53 Il libro di Giobbe XXVII
L’elogio della Sapienza. La Sapienza inaccessibile all’uomo Ecco che siamo forse nel vero centro del Libro di Giobbe. La Sapienza è inaccessibile all’uomo, è trascendente. Solo Dio può accedervi, perché la possiede. È imperscrutabile, perché segue una “logica” che non appartiene al modo umano di pensare. Sembra quasi che metta l’uomo nella condizioni di non capire assolutamente il suo proprio destino … (Leggiamo tutto il cap. 28)

54 Il libro di Giobbe XXVIII
Lamenti e apologia di Giobbe: a) i giorni passati Giobbe propone quasi una ”elegia del rimpianto” dei tempi quando le cose andavano bene, c’era agio e serenità, compagnia e benessere. Beni materiali e spirituali. Il benessere non apparteneva solo a lui, ma lui stesso si faceva curatore di sofferenze e distributore di benefici. (Leggiamo l’intero cap. 29)

55 Il libro di Giobbe XXIX b) Angoscia presente
Ecco che invece il presente è pieno di angoscia e dolore, e non basta: la disgrazia porta con sé altri mali, non solo fisici, ma anche morali, la perdita di ogni prestigio, ogni credibilità sociale, la perdita delle amicizie. (Ma erano vere amicizie?). Come mai le “sfortune” si accompagnano sempre al silenzio e agli abbandoni, e le fortune si accompagnano al clamore e allo sfarzo? (Leggiamo il cap. 30 dal versetto 1 al versetto 9)

56 Il libro di Giobbe XXX Apologia di Giobbe I
Giobbe prova a cercare quasi di descrivere a se stesso la propria vita, in qualche modo affidandosi completamente a Dio: “(…) Se ho agito con falsità / e il mio piede si è affrettato verso la frode,/ mi pesi pure sulla bilancia della giustizia / e Dio riconoscerà la mia integrità. (…) mia moglie macini per un altro/ e altri ne abusino;/ difatti quello è uno scandalo, / un delitto da deferire ai giudici (…)”

57 Il libro di Giobbe XXXI Apologia di Giobbe II
Egli continua descrivendo tutti gli ipotetici peccati che avrebbe potuto fare nella sua posizione, alternandoli con le buone azioni che egli sa ed è convinto di aver fatto (soccorso le vedove e gli orfani, etc.): 1) negato i diritti allo schiavo, 2) avidità dell’oro, 3) gioito della disgrazia del nemico, 4) fatto sospirare di fame i coltivatori delle sue terre, … e su tutto ciò chiede risposta all’Onnipotente.

58 Il libro di Giobbe XXXII
Intervento di Eliu Giunge allora questo giovane saggio, Eliu, figlio di Barachele il Buzita, della tribù di Ram, che finora se era stato zitto per rispetto dei tre sapienti anziani. … e dice, con forza, come è tipico della gioventù, delle cose spigolose e, secondo lui, veramente definitive … su Giobbe. Parla con un’altra sapienza, che va oltre quella umana, è una sapienza di derivazione divina, carismatica… … parla della presunzione di Giobbe, e dell’incapacità di svelarla da parte dei tre anziani.

59 Il libro di Giobbe XXXIII
… continua Eliu rimproverando sia Giobbe sia i sapienti, poiché né Giobbe stesso né gli altri tre, in realtà hanno mostrato con le, loro parole di comprendere ciò che Dio decide secondo una logica che supera perfino la dottrina della retribuzione, per ragioni note a Lui solo, che appaiono a volte irragionevoli a giudizio umano, ma … E conclude elevando una lode poetica alla potenza di Dio… (capp. 36 e 37)

60 Il libro di Giobbe XXXIV
I Discorsi di Iahwe Prende dunque la parola Dio stesso, confondendo Giobbe. Dio dice della Sua potenza creatrice, (…) hai mai comandato al mattino/ e assegnato il posto all’aurora/ (…) Per quali vie si espande la luce,/ si diffonde il vento d’oriente sulla terra?/ (…) Puoi tu annodare i legami delle Pleiadi / o sciogliere i vincoli di Orione? (…) … E conclude sfidando Giobbe: “Il censore vorrà ancora contendere con l’Onnipotente?”

61 Il libro di Giobbe XXXV Iahwe continua …
dopo la timida risposta di Giobbe (… mi metto le mani sulla bocca). Dio continua nell’elenco di pericoli da cui la Sua potenza ha salvato la vita degli uomini, mostri, potenze avverse, draghi maligni, abissi paurosi … Giobbe da ultimo risponde: (…) io ti conoscevo per sentito dire,/ ma ora i miei occhi ti vedono).

62 Il libro di Giobbe XXXVI
Epilogo. Iahwe biasima i saggi e reintegra la fortuna di Giobbe. Dio, rimproverando i saggi, li biasima perché hanno detto di Lui stesso cose sbagliate e malvagie a Giobbe, e gli ordina di sacrificare sette vitelli e sette montoni come olocausto. Poi ripristina raddoppiando tutti beni a Giobbe: pecore, cammelli, paia di buoi e asine; e poi anche sette figli e tre figlie, le più belle che si fossero viste. … poi Giobbe morì dopo esser vissuto ancora centoquarant’anni, vecchio e sazio di giorni.

63 Dalla Pazienza alla Sapienza
E ora accingiamoci alla nuova esplorazione, addentradoci nell’ampio scenario della Sapienza biblica. Terremo, come abbiamo detto all’inizio, innanzitutto in considerazione il Libro della Sapienza, ma i tanto in tanto andremo ad ascoltare anche altri testi, primo fra i quali, il Qoèlet, o Ecclesiaste.

64 Il Libro della Sapienza
Quando affrontiamo un testo come il libro della Sapienza dobbiamo tenere presenti almeno quattro antitesi concettuali: 1. ragni e formiche, 2. ragione e senza ragione, 3. scienza e divulgazione, 4. ascolto e domanda.

65 Ragni o Formiche (… o) La ricerca sul testo non deve avvenire solo dall’alto (come fanno i ragni che tessono la loro tela), né come le formiche che scavano pertugi e curano ogni dettaglio della tana … I ragni sanno già tutto prima, le formiche invece non sanno mai niente e cercano sempre … … piuttosto è meglio seguire l’esempio delle api, che scelgono i fiori con discernimento, costruiscono le loro cellette e producono cera, miele e pappa reale. Costruiscono la loro città ordinata … del sapere.

66 Con la Ragione o senza Ragione
L’antitesi ovviamente non sta in piedi: occorre infatti curare il testo applicandovi tutti i criteri della ricerca razionale, ma non si deve trascurare ciò che il cuore suggerisce. La ragione è fondamentale per penetrare nei sentieri della verità, usando la logica, ma il cuore e le emozioni sono è altrettanto importanti per illuminare con la volontà la fatica di percorrere tali ardui sentieri, e per illuminarne il cammino.

67 Scienza o Divulgazione
Anche in questo caso si tratta di una falsa contraddizione o antinomia. Scienza come metodo e Divulgazione come comunicazione sono ambedue indispensabili. Bisogna essere seri senza scivolare nella pedanteria noiosa e improduttiva. Vi è un tempo per la ricerca rigorosa e un tempo per la narrazione che può raggiungere tutti coloro che sono curiosi dell’uomo, della vita e del modno.

68 Ascolto o Domanda “Chiunque è capace di dare risposte più o meno convincenti, ma per fare domande ci vuole un genio”. (Oscar Wilde) Questo paradosso dello scrittore inglese dice moltissimo sull’esigenza di saper mettersi in ascolto della risposta senza pretese, più che di cercare con frettolosità di dare o di ricevere risposte. Nell’esperienza umana sono molto più numerose le domande inevase che le risposte comunque formulabili.

69 I Commenti al libro della Sapienza
Questo libro strano e controverso è stato commentato anticamente anche da Ambrogio e Agostino. I commenti di questi due Padri sono andati perduti. Ci è rimasto invece il commento dell’arcivescovo di Magonza Rabano Mauro. Nell’epoca moderna è stato commentato dal teologo francese Larcher e dall’ebreo americano Reider. E ora, nel nostro piccolo ci accingiamo a farlo noi.

70 L’Autore Abbiamo già detto che tradizionalmente questo libro, come altri appartenenti al “filone sapienziale” della Bibbia, è stato chiamato Sofia Salomonis (cioè Sapienza di Salomone), e quindi attribuito a questo grande re sapiente. In realtà, si tratta di pseudoepigrafia, molto comune nei tempi antichi, al fine di conferire particolare prestigio a un testo che si riteneva importante. Anche molti dei Proverbi, il Qoèlet e il Cantico dei cantici sono stati attribuiti a Salomone.

71 Alcune ipotesi sull’Autore I
Qualcuno sostiene che potrebbe essere stato un monaco esseno di Qumran; Altri preferiscono l’ipotesi di un seguace di Paolo, prima della conversione al cristianesimo, tale Apollo; Altri ancora ritengono possa essere il sommo sacerdote Onnias III (2° sec. A. C.); Si pensa perfino a Filone di Alessandria (a cavallo dell’era cristiana), ma sembra poco probabile;

72 Alcune ipotesi sull’Autore II
Un’ulteriore idea che qualcuno sostiene è che si tratti del traduttore dall’ebraico al greco del libro del Siracide. Tutte queste ipotesi possono però essere riassunte in una più plausibile: potrebbe trattarsi di un ebreo- alessandrino senza nome conosciuto, che ha operato probabilmente nella seconda parte del I sec a. C.. Sussistono, però, altre ipotesi, che collocano questo libro addirittura agli inizi del I sec. d. C., e ciò, chiaramente, se fosse attestato in modo definitivo, cambierebbe completamente la prospettiva del libro, in ogni senso, letterario, storico e teologico.

73 Alessandria d’Egitto I
Fondata nel 332 a. C. da Alessandro, diventa bene presto uno dei fari politici e culturali del Vicino Oriente Antico, soprattutto sotto la dinastia dei Tolomei. La sua biblioteca era la più importante del mondo antico: distrutta da Cesare nel 48 a. C., fu ripristinata da Marco Antonio, che all’uopo - pare - smantellò quella di Pergamo. Alessandria è già aperta al Cristianesimo, che lì sviluppò una delle stagioni più alte del suo pensiero: con Filone, con Clemente, e soprattutto con Origene.

74 Altre notizie I Nel 641 Alessandria passa sotto il dominio musulmano, occupata dal califfo Omar, successore del profeta Mohamed. In questo ambiente con quasi certezza viene composto il libro della Sapienza, la cui data abbiamo già prima proposto, come ipotesi più accreditata. Il libro è scritto in greco, ma con una stilistica letteraria semitica: infatti non prevalgono gli aspetti quantitativi delle vocali delle sillabe, come in greco e in latino, ma quelli musicali ed eufonici. Sembra quasi che l’autore scriva in greco pensando in ebraico.

75 Altre notizie II Un esempio di questo ”scrivere in greco pensando in ebraico” è l’uso della parola greca “psuché”: in greco essa significa “anima”, da cui il termine italiano “psichico”. Quando però viene usata per tradurre il lemma ebraico “nefesh” nasce un problema, perché questo termine ebraico significa “essere vivente”, quindi rappresenta un concetto più onnicomprensivo. Che cosa intende veramente l’autore ebreo quando dice “nefesh?”

76 Altre notizie III Un altro ipotesi, presente in un passaggio successivo (8, ): Ero un fanciullo di nobile indole,/ avevo avuto in sorte un’anima buona/ o piuttosto, essendo buono,/ ero entrato in un corpo senza macchia./ (…). Qui sembrerebbe di trovarsi di fronte a un’idea di metempsicosi, cioè di “trasmigrazione delle anime” da un corpo all’altro, alla ricerca di un corpo che ne sia degno … ; si tratta di un collegamento con alcune dottrine orientali?

77 La Speranza dell’Immortalità beata
I capitoli da 1 a 5 affrontano il tema dell’immortalità, e di qui iniziamo il nostro viaggio nel Libro della Sapienza. Come abbiamo già detto studiando Giobbe, anche in questo libro si pone il problema della Traduzione, che è come il rovescio della trama di un tappeto tessuto. … troviamo innanzitutto un “orecchio che ascolta” e una “” .. voce che risuona

78 La Sapienza è uno spirito amico …
Vale la pena scorrere insieme i versetti da 6 a 11 del primo capitolo, dove viene esaltato il ruolo e il suono della parola, che deve essere buona e luminosa (sinestesia), evitando di essere usata per cose cattive, per maldicenze, per mormorazioni, per menzogne, per fare del male … Leggiamo …

79 Morte e Vita I … la parola cattiva uccide l’anima. Ecco quello che succede nella vita umana! La Morte e la Vita (… rimangono uguali, cantavano i Nomadi e Guccini) sono intrecciate: la Parola del Sapiente non parla solo di morte, ma, mentre parla di morte parla anche di vita, la quale non viene mai sopraffatta definitivamente. Ecco, leggiamo i versetti da 12 a 15 …

80 Morte e Vita II Sappiamo che per gli Orientali la “parola” è la vita stessa: si pensi al verbo ebraico “dabàr”, che significa sia “dire”, sia “creare”: il libro della Genesi inizia con le parole “Bereshit barà Elohim” (In principio Dio creò). Dio creò con la sua parola …: “e Dio disse: “… sia separata la luce dal buio, e fu sera e poi mattino …”. Leggiamo il versetto 1, 16 …

81 Morte e Immortalità Il capitolo secondo inizia con un canto, che poeticamente si potrebbe anche recitare, e ci proveremo. È il canto di un poeta-filosofo materialista, che magnifica il tema dell’avere e del caso … Leggiamo i versetti da 2 a 5 dai quali traspare questa filosofia, che si fonda soprattutto sulla volatilità della vita e …

82 Edonismo e Apostasia I Dopo il “canto del materialista”, incontriamo, potremmo dire con linguaggio contemporaneo, un altro ideal-tipo, l’edonista, cioè colui che ritiene essere buono solo il piacere, in mezzo ai travagli della vita … e ciò lo si faccia anche a spese degli altri, dei deboli, dei vecchi … un cinismo esasperato caratterizza questo approccio alla vita … Leggiamo i versetti da 6 a 11 …

83 Edonismo e Apostasia II
L’apostasia è la tentazione ricorrente degli uomini: oggi potremmo dire che vi è -peraltro come in tutti i tempi, perché la natura umana è tale- una sottile apostasia dall’essere per un scelta orientata all’avere. Come sempre, i convertiti sono i peggiori persecutori dei loro ex confratelli, che attaccano con violenza, ma alla fine, il destino dei reprobi è segnato … la morte incombe Leggiamo i versetti da 21 a 24 …

84 L’Uomo di fronte alla Morte I
Ora occorre però che facciamo una breve riflessione sul tema della Morte, uscendo per qualche tempo dal commento al libro della Sapienza, per poi rientrarvi. Già Platone affermava che “… quanti per retta via esercitano amor di sapienza, fanno studio continuo di morte” (Fedone), e Bossuet (in un’omelia del 1666): “I mortali si preoccupano di seppellire il pensiero della morte con la stessa cura con la quale sotterrano i loro morti”, e Heidegger scriveva nel 1927 che “L’uomo è un essere- per-la-morte” (Essere e Tempo).

85 L’Uomo di fronte alla Morte II
Mi sembra anche opportuno fornirvi alcuni suggerimenti bibliografici su questo tema così fondamentale: - Storia della morte in occidente (Rizzoli 1978) di Philippe Aries - L’aldilà dell’uomo (Mondadori 1985) di Luigi Moraldi - L’antropologia della morte (Garzanti 1976) di Vincent Louis Thomas.

86 L’Uomo di fronte alla Morte III
Possiamo dire che di fronte alla morte l’uomo reagisce solitamente in due modi un po’ “polari”: a) c’è chi la vede come pace, passaggio, angelo, trascendenza, inizio e c’è b) chi la vede come incubo pauroso, polvere, nulla, mostro, negazione, fine di tutto. Non dobbiamo parteggiare per nessuna di queste due posizioni, perché sono entrambe legittime razionalmente, ma esaminare un po’ più a fondo la questione.

87 La Morte come “angelo” La morte era vista un tempo, anche solo fino a pochi decenni fa, come un passaggio … si moriva in casa, raramente ospedalizzati … anche il dolore si sapeva ne facesse parte necessariamente (come un qualcosa che-non-cessa). Leggiamo in proposito una poesia del padre David M. Turoldo, scritta in morte dei suoi genitori, nella quale traspare la forza della fede in un qualcosa che non finisce.

88 La Morte come “mostro” Per molti, invece, la morte è una realtà mostruosa. In molte parti del mondo occidentale la more viene nascosta, truccata dalla industria del “caro estinto”. Vi è addirittura un mercato per nasconderla meglio. Sappiamo che nelle società “semplici” la morte è semplicemente una parte dell’itinerario, è l’ultimo momento, da vivere con dignità e compostezza. Anche su questo tema la grande letteratura può esserci di aiuto: ad esempio ne La morte di Ivan Il’ic di Leone Tolstoj, oppure ne La cripta dei cappuccini di Joseph Roth, o, infine, in Platone stesso che scrive nel dialogo Gorgia. Nel biblico libro di Qoèlet … Nel libro di Giobbe … Leggiamo …

89 La Morte secondo la Sapienza
Nel capitolo 3 il libro della Sapienza propone parole di speranza: leggiamo l’inizio. Per l’autore della Sapienza la morte è un angelo, che annuncia l’immortalità: Elpìs autòn athanasias pleres, cioè la loro speranza è piena di immortalità. I suoi riferimenti sono amplissimi, soprattutto alla filosofia platonica, che merita essere esaminata un po’ meglio in tema di morte e immortalità.

90 La Morte e l’Immortalità in Platone
In diversi dialoghi il grande filosofo ha trattato di questo duplice e ambiguo argomento, la Morte e l’Immortalità, un sintagma che ha sempre interpellato l’uomo in tutta la sua storia: in particolare in Fedone, Gorgia, Repubblica, Fedro, Timeo e Critone. Platone si propone di mostrare, ad esempio, la ragionevolezza dell’ipotesi che l’anima spirituale sia immortale, mediante quattro ragioni: 1) l’opposizione dei contrari, 2) la reminiscenza, 3) la semplicità e incorruttibilità, 4) la partecipazione all’idea di vita.

91 Le altre fonti antiche Platone stesso sicuramente ha avuto contatti con le religioni e le filosofie misteriche dell’Oriente antico, forse anche dell’Induismo vedico. L‘Oriente antico è il luogo da cui sono provenuti nel corso dei secoli i profondi misteri proto-gnostici circa la possibilità per l’anima dell’uomo di conoscere il proprio destino eterno. Con questi misteri avrebbe avuto poi molto a che fare lo stesso Cristianesimo.

92 Psuché: io personale-anima spirituale
Nel libro della Sapienza è presente sia la nozione “greca” di anima spirituale, sia la nozione ebraica di “principio vitale” (nefesh) che informa di sé l’io personale. Ciò che emerge, dunque, dal libro della Sapienza, è una nozione che potremmo definire “mista”, non chiara, contaminata, tra “anima spirituale” di tipo greco, del tutto separata dal corpo, e “principio vitale” di stampo ebraico.

93 Athanasia e Aftarsia: immortalità e incorruttibilità I
Se in Platone l’immortalità dell’anima è una qualità intrinseca della sua spiritualità, poiché essendo realtà semplice, è perciò indivisibile e così incorruttibile, per l’autore della Sapienza, le cose stanno in modo diverso. Leggiamo alcuni passi: 3, 1; 3, 9; 4, 15-16; 5, 15-16; 6, Come vedete vi troviamo concetti che afferiscono soprattutto alla relazione dell’anima con Dio: si tratta non di un’immortalità dell’anima per così dire “autonoma”, ma uno “stare-presso-Dio-che-è- immortale”.

94 Athanasia e Aftarsia: immortalità e incorruttibilità II
Si tratta non tanto di una “condizione” dell’essere, ma piuttosto di un “dono” (di Dio). … è un qualcosa che somiglia molto a grazia, amore, misericordia, alleanza … fino a una completa “divinizzazione” dell’anima umana. A quel punto la mera condizione umana sarà stata superata e sarà così raggiunta la condizione dell’immortalità. A questo proposito vale la pena dare uno sguardo a un passo dostoevskjiano, ne I demoni. Leggiamo …

95 L’immortalità gratuita
L’immortalità di cui si tratta nel libro che stiamo studiando è, alla fine, un concetto giudaico-cristiano, più che greco, anche se pure la visione platonica può servire alla ragione per cercare, per quanto possibile, di comprendere razionalmente questo tipo di concetto, in sé oltremodo arduo. Si tratta -alla fine- di un’immortalità gratuita, dovuta solamente all’amore divino per la sua creatura autocosciente, a sua immagine. Ma qui c’è di nuovo un ritorno alla dimensione di fede.

96 Il nostro Destino futuro
Già in altri momenti del corso abbiamo parlato del “destino” concependolo come una qualcosa di cui abbiamo parte con le nostre de-cisioni e azioni. Ora proviamo ad approfondire alla luce di questo testo. Per l’autore de la Sapienza la morte è “una cessazione del limite e un’apertura verso l’infinito”. A questo evento è l’uomo stesso, singolarmente, a dare un significato positivo o negativo, con le sue decisioni e comportamenti. Abbiamo visto che, nel caso di un comportamento improntato alla vicinanza con Dio, si accede all’immortalità, ma … in caso contrario?

97 Il Destino dell’Empio Innanzitutto chiariamo il significato del termine “empio” (dal latino im-pius), che significa non-pio, cioè non attento alle prerogative di Dio. Tutto sommato, questo autore ebraico ellenizzato non si distanzia molto dalla tradizione biblica classica, per cui il destino dei morti è lo sheol, quello stato umbratile dell’essere che caratterizza il loro stato e condizione. Ma in questo modo, propone una visione che non si può dire sia molto distante da una visione teologica cristiana di “una specie di assenza della visione divina”: vale a dire ciò che l’inferno potrebbe essere, una infinita solitudine.

98 Una riflessione extra sapienziale
Ponendoci ora nell’ottica di chi non crede nella tradizione religiosa giudaico-cristiana, di chi non crede in un Dio-persona, né tantomeno che Gesù Cristo sia Dio, anche per costoro potrebbe non essere tanto peregrina la tesi generale di cui al libro della Sapienza. Se anche fossimo “solo” un fascio energetico in un contesto energetico più grande, il nostro orientamento volontario in vita potrebbe condizionare, in qualche modo, anche il nostro destino futuro, o no? Ciò è implausibile?

99 L’io personale immerso nell’infinito di Dio I
Varie traduzioni del testo pongono accenti sull’infinito, sul mondo cosmico, sulla presenza di un numero incalcolabile di astri e di luci nel cielo. I filosofi neo-pitagorici ponevano la possibilità che le anime dei giusti entrassero nell’infinito diventando stelle della Via Lattea, cioè della Galassia. È il mistero della poesia che si accende in questi passi, e non cede più al tentativo dell’ordine razionale di spiegare …

100 L’io personale immerso nell’infinito di Dio II
Anche san Paolo non spiegherà come saranno le anime (e i corpi), cioè gli esseri umani, dopo la resurrezione, ma userà similitudini (il seme e l’albero, e noi potremmo aggiungere lo zigote e la persona adulta). … e gli empi? Bene, dice l’autore del nostro libro: saranno giudicati dalla loro coscienza stessa, che li allontanerà dalla luce, avendo scelto tale via umbratile e fosca ben prima, quando l’autocoscienza e la coscienza erano operative, potremmo dire con linguaggio contemporaneo. Molto interessante questo modello scritturistico a cui non siamo abituati.

101 La Morte dell’Empio Qui l’autore propone una pagina di altissima poesia, paragonando la sorte dell’empio al nulla, anzi a un processo di nientificazione, di annullamento progressivo, e tanto più grave perché cosciente. Le immagini che si susseguono sono le più adatte a dare la sensazione di un qualcosa di inutile, di passeggero e perciò stesso di insignificante. La sorte degli empi, per l’autore della Sapienza, non è l’inferno cristiano (e musulmano), ma il nulla dell’inutilità, lo scomparire definitivo di un essere che non si è mai manifestato come soggetto di bene. Leggiamo …

102 La Teologia della Sapienza
Il nostro autore, però, non finisce di stupirci. L’impianto letterario del libro è articolato e complesso: a un certo punto compare un costrutto, che gli studiosi di ars rethorica chiamano sorite, il quale, con una serie incalzante di concetti ci introduce nel secondo leit motiv del libro, proprio quello di ciò che sia la vera Sapienza.

103 Che cosa è la Sapienza I La Sapienza, tutto sommato, l’abbiamo incontrata anche leggendo Giobbe, poiché la sua grande pazienza, alla fine si è rivelata come una vera sapienza. Abbiamo già detto che la Sapienza è oggetto formale (argomento) anche di altri libri biblici cui ci riferiremo per cenni, il Qoèlet e Proverbi. Ma, in definitiva, questo autore che cosa ci dice?

104 Che cosa è la Sapienza II
Innanzitutto è la facoltà o virtù che spinge l’uomo a farsi tre domande: a) chi è lui stesso e l’altro uomo; b) (se c’è) chi è Dio; c) perché il mondo e come funziona. In ambiente biblico-semitico, per la prima volta queste domande sono strutturate in modo che il popolo (minuto) possa trovare risposte. Nelle più antiche civiltà sumeriche ed egiziane, la ricerca della sapienza era retaggio di pochi, privilegiati e potenti: i principi e si sacerdoti. In ambiente ebraico, invece, questa ricerca condivisa si chiama mashal, e costituisce il primo embrione di sapienza popolare.

105 L’esempio dei Proverbi
Quando pensiamo ai Proverbi, in generale, di solito ci vengono in mente detti e ragionamenti brevi e a volte per noi banali e scontati, ma non è sempre così. Nella Bibbia, oltre a questo, che a volte è intriso di oscenità, misoginia, e altre espressioni di basso profilo, vi è anche dell’altro … Leggiamo qualcosa …

106 La “sapienza” di questo libro
La Sapienza è stata anche una scuola, che in civiltà più antiche di Israele si era sviluppata ancora un paio di millenni prima: nella zona delle civiltà Caldee e Sumeriche. Era perlopiù destinata a principi ed aristocratici, per prepararli all’arte di governare. Ma, oltre alle “scuole ufficiali”, sorsero anche scuole popolari, all’aperto, nelle quali venivano insegnati, da scribi e dotti, i principi della saggezza.

107 Il Mashal Ecco allora che nascono i “mashal”, i detti, o proverbi.
La Sapienza è dunque una dimensione, sia popolare, sia aristocratica, come possiamo constatare dalle letture appena fatte. La Sapienza si configura, inoltre, sia come letteratura ottimistica, sia come letteratura pessimistica, sull’uomo e sulle sue azioni.

108 La Sapienza, l’Uomo e Dio
Essa delinea i passaggi che portano l’uomo a Dio, mediante eleganti metafore filosofiche. Se l’uomo guarda bene, trova nella natura e nella sua propria vita, quasi, le “orme di Dio”. Leggiamo il passo 7, La Sapienza, poi, è come una luce: leggiamo 7,

109 Il Mondo è “poesia” di Dio
“Pòiesis”, in greco significa non solo componimento in versi, ma “cosa fatta”, manufatto. La “Poesia” è dunque anche quasi un’attività fabbrile, un qualcosa di concreto, visibile, usabile. In questo senso la Sapienza dice che il mondo è “Poesia di Dio”, opera di un Creatore supremamente intelligente e buono: “(…) e Dio vide che ciò era buono (…) (Genesi 1.

110 L’Uomo e l’Altro uomo Il Salmo 8 dice: “Tu l’hai fatto di poco inferiore a Dio”, parlando dell’uomo … E così è anche l’Altro uomo, chi è altro da noi, chi arriva con una barca, chi cammina per strada, chi … La Sapienza insegna che ognuno di noi ha uguale dignità, perché siamo fatti “a sua immagine “ (Genesi, 1, 26-7).

111 La Scienza umana I La Sapienza di Salomone loda la scienza umana, che è resa possibile dal dono intellettuale e raziocinante. La Scienza arricchisce non solo la mente, ma anche la Fede. La scienza nasce dalla meraviglia che prova l’uomo per le cose del mondo, e crea a sua volta meraviglia per le cose che l’uomo scopre, del mondo.

112 La Scienza umana II In greco scienza si dice “Epistème”, ed è collegata alla sapienza, che si dice “Sophia”. Arte invece si dice “Tekne”, e rinvia a tutte la nostra terminologia moderna che ha a che fare con “tecnica e tecnologie”. In cinese, arte, invece, si dice “Asobi”, che significa gioco. Nel libro della Sapienza vi sono ambedue questi significati: meraviglia e senso pratico.

113 La Scienza umana III La Sapienza loda anche la Politica.
Leggiamo in proposito il passo di 8, Oggi più che mai necessiteremmo di “sapienza” nella politica. Lo squallore che circonda oggi questo mondo avrebbe bisogno di essere illuminato da questa “sapienza” antica e immortale.

114 La Sapienza è Grazia La Sapienza è molto più dell’intelligenza, perché vi sono uomini molto intelligenti che si comportano da stupidi, quando sono arroganti, quando sono autoritari, egoisti, narcisi. Esempi a iosa … La Sapienza richiede un lungo esercizio, perché l’arte del comprendere è un’ascesi, una ricerca faticosa e dura. Leggiamo ancora due passi: 8, 2 e 7,

115 … e continuiamo … con il prossimo libro.
Come abbiamo detto all’inizio del corso, il nostro sguardo conclusivo riguarderà il libro straordinario del Qoèlet, cioè il Convocatore , in ebraico, che ci accompagnerà per l’ultimo tratto di questo nostro itinerario alla ricerca della Sapienza.


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