La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore

La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore

POST IMPRESSIONISMO.

Presentazioni simili


Presentazione sul tema: "POST IMPRESSIONISMO."— Transcript della presentazione:

1 POST IMPRESSIONISMO

2 Caratteri generali Il postimpressionismo è un termine convenzionale, usato per individuare le molteplici esperienze figurative sorte dopo l’impressionismo. Il denominatore comune di queste esperienze è proprio l’eredità che esse assorbono dallo stile precedente. Il postimpressionismo, tuttavia, non può essere giudicato uno stile in quanto non è assolutamente accomunato da caratteri stilistici unici. Esso è solo un’etichetta per individuare un periodo cronologico che va all’incirca dal 1880 agli inizi del 1900.

3 Le radici dell’espressionismo
Nella fase del postimpressionismo l’attività di alcuni pittori crea le premesse di uno degli stili fondamentali del Novecento: l’espressionismo. Il termine «espressionismo» nacque proprio in opposizione a quello di «impressionismo». I pittori impressionisti esprimono le proprie sensazioni visive. Esprimono, in sostanza, le emozioni del proprio occhio. I pittori espressionisti vogliono esprimere molto di più. Vogliono esprimere tutta le proprie emozioni interiori e psicologiche, non solo quelle sensoriali ottiche.

4 Quello che storicamente viene definito «espressionismo», nasce intorno al 1905 contemporaneamente in Francia ed in Germania con due gruppi artistici: i «Fauves» e «Die Brucke». Le loro novità artistiche e stilistiche vengono preparate, dal 1880 in poi, dalla attività di tre principali pittori postimpressionisti: Van Gogh, Gauguin e Munch. In questi tre pittori la pittura non riproduce realtà visibili dall’occhio, ma riproduce il riflesso interiore della realtà esterna. Le motivazioni all’origine dell’opera di questi tre pittori sono molto diverse, così come sono diversi i risultati ai quali giungono. Tuttavia, sia Van Gogh, sia Gauguin, sia Munch, esprimono una forte carica di drammaticità che li pone su un piano opposto rispetto all’impressionismo. L’impressionismo è stato connotato da una gioiosità di fondo. Al contrario l’espressionismo, e tutto ciò che è venuto prima e dopo, a cominciare da Van Gogh, esprime sentimenti e sensazioni più intense e dolorose che toccano alcuni dei centri nervosi più profondi della natura umana.

5 Le tecniche pittoriche dopo l’impressionismo
Su un versante opposto si svolge, negli stessi anni, l’attività pittorica di altri pittori definiti postimpressionisti. Tra essi troviamo pittori quali Cezanne, Seurat, Toulouse-Lautrec, che superano l’impressionismo soprattutto sul piano della tecnica di rappresentazione. Tra queste personalità la più complessa risulta quella di Cezanne, la cui pittura rimane una delle più difficili da decodificare. Egli aveva partecipato a tutta la vicenda artistica della seconda metà dell’Ottocento. Aveva esposto nella prima mostra di pittori impressionisti, nello studio di Nadar, proponendo quadri che già mostravano una certa originalità rispetto a quelli degli altri pittori del gruppo. La sua differenza appare più evidente dopo il 1880, divenendo egli uno dei protagonisti del superamento della pittura impressionista. L’impressionismo si era caratterizzato per due punti fondamentali: le inquadrature di tipo fotografico e la forma evanescente della rappresentazione. Tutto era risolto con il colore, ma per cercare la sensazione di un solo istante. Anche Cezanne risolveva la sua pittura solo con il colore. Ma egli cercava di ottenere una immagine più ferma ed equilibrata. Egli tendeva a cogliere l’equilibrio delle forme per esprimere una sensazione di serenità senza tempo. La sua pittura fu importante soprattutto per le influenze che produsse su un pittore come Picasso, dando vita ad un altro grande movimento avanguardistico del Novecento: il cubismo.

6 La ricerca dell’impressionismo si era basata su un principio tecnico che era già alla base della pittura di Manet: quello di usare solo colori puri, evitandone la sovrapposizione. In tal modo i quadri acquistavano una maggiore luminosità. Questo procedimento fu portato alle estreme conseguenze da George Seurat che fu il fondatore di uno stile definito «pointillisme». La sua pittura, infatti, si componeva di tanti minuscoli punti di colori primari, accostati sulla tela a formare una specie di mosaico. Questo stile, che più correttamente va definito «divisionismo», si basava su un principio ottico fondamentale: il «melange optique», ossia la mescolanza ottica. L’occhio umano, ad una certa distanza, non riesce più a distinguere due puntini accostati tra loro ma vede una sola macchia. Se i due puntini sono blu e giallo l’occhio vede invece una macchia verde. Se i puntini blu e giallo sono puri l’occhio vede un verde molto brillante, più brillante di quanto possa fare un pittore mescolando dei pigmenti per ottenere sulla sua tavolozza un verde da utilizzare sulla tela. La pittura divisionista produsse una influenza notevolissima su tutti i pittori della generazione successiva, molti dei quali saranno protagonisti delle avanguardie storiche del Novecento. Toulouse-Lautrec rappresenta un caso particolare nella vicenda della pittura di fine secolo. Egli potrebbe essere considerato l’ultimo degli impressionisti ma anche un precursore dell’espressionismo per il suo tratto molto inciso e nervoso che lo accomuna alla pittura espressionista. Tuttavia, anche per la sua produzione di manifesti, egli fornì molti stimoli al sorgere di quello stile decorativo, definito Liberty, che contraddistinse la produzione di arte applicata tra fine Ottocento e inizi Novecento.

7

8 VINCENT VAN GOGH Il caso di Van Gogh è uno dei più emblematici. Figlio di un pastore protestante, provò a svolgere diversi lavori fino a quando decise per la vocazione teologica. Divenne predicatore, vivendo in villaggi di minatori. Qui, prese talmente a cuore le sorti dei lavoratori, anche in occasione di scioperi, da essere considerato dalle gerarchie ecclesiastiche socialmente pericoloso. Fu quindi licenziato. Crebbe la sua crisi interiore che lo portò a vivere una vita sempre più tormentata. In questo periodo, era il 1880 e Van Gogh aveva solo 27 anni, iniziò a dipingere. La sua attività di pittore è durata solo dieci anni, essendo egli morto a 37 anni nel 1890.

9 I mangiatori di patate, 1885

10 Questo quadro, dipinto nel 1885, rappresenta il punto di arrivo della prima fase pittorica di Van Gogh. È il periodo che coincide con la sua vocazione religiosa. Aveva iniziato in Inghilterra, predicando accanto ad un pastore metodista di nome Jones. Nel 1877 ritornò a Etten, il villagio in cui abitavano i genitori. Il padre, anch’egli pastore, volle favorire la sua vocazione e lo mandò ad Amsterdam per iscriversi alla facoltà di teologia, ma Van Gogh non superò gli esami di ammissione. Iniziò così a predicare, pur non avendone titoli ufficiali. L’anno dopo si recò a Borinage, centro minerario belga, dove visse a stretto contatto con i minatori. Matura in questo periodo il suo amore per i poveri, i derelitti, le persone sfortunate. E questo suo legame affettivo con i poveri lo ritroviamo soprattutto in questo quadro, che egli dipinse a Nuenen, dopo altri burrascosi anni in cui egli viaggiò in Francia, in Belgio, e dopo la sua convivenza a L’Aja con Sien. Quando lasciò la donna decise di andare in campagna. Iniziò così ad interessarsi ai contadini. In difficoltà finanziarie, si recò a Nuenen dove il padre si era trasferito per i suoi impegni di pastore. Qui, Van Gogh, invece di andare a vivere con la famiglia, prese in affitto due stanze: in una abitava, nell’altra dipingeva. A «I mangiatori di patate» lavorò molti mesi, eseguendone più versioni. In questo quadro sono già evidenti i caratteri stilistici che rendono immediatamente riconoscibile la sua pittura. Vi è soprattutto il tratto di pennello doppio che plasma le figure dando loro un aspetto di deformazione molle. In questo quadro sono più evidenti le influenze della grande pittura fiamminga del Seicento. Sia per la scelta di rappresentare la scena in un interno, sia per la luce debole che illumina solo parzialmente la stanza e il gruppo di persone sedute intorno al tavolo.

11 Il soggetto del quadro è di immediata evidenza
Il soggetto del quadro è di immediata evidenza. In una povera casa, un gruppo di contadini sta consumando un misero pasto a base di patate. Sono cinque persone: una bambina di spalle, un uomo di profilo, di fronte una giovane donna e un altro uomo con una tazzina in mano, e una donna anziana che sta versando del caffè in alcune tazze. Hanno pose ed espressioni serie e composte. Esprimono una dignità che li riscatta dalla condizione di miseria in cui vivono. Nel quadro predominano i colori scuri e brunastri. Tra di essi Van Gogh inserisce delle pennellate gialle e bianco-azzurrine, quali riflessi della poca luce che rende possibile la visione. Da notare l’alone biancastro che avvolge la figura della ragazzina di spalle e che crea un suggestivo effetto di controluce. In questo quadro c’è una evidente partecipazione affettiva di Van Gogh alle condizioni di vita delle persone raffigurate. La serietà con cui stanno consumando il pasto dà una nota quasi religiosa alla scena. È un rito, che essi stanno svolgendo, che attinge ai più profondi valori umani. I valori del lavoro, della famiglia, delle cose semplici ma vere. Non è un’opera di denuncia sociale (come potevano essere i quadri di Courbet), o di esaltazione della nobiltà del lavoro dei campi (come era nei quadri di Millet). Questo quadro di Van Gogh esprime solo la sua profonda solidarietà con i lavoratori dei campi che consumano i cibi che essi stessi hanno ottenuto dalla terra.

12 Autoritratto con cappello di feltro, 1887-88

13 Il tema dell’autoritratto occupa un posto notevole nella produzione di Van Gogh. Non è un fenomeno inconsueto che un artista dedichi opere alla sua immagine (si veda soprattutto i casi di Picasso o di De Chirico), ma nel caso di Van Gogh questo suo esercitarsi sul proprio ritratto indica non tanto spitiro di narcisismo ma quanto di profonda solitudine. Quasi che non abbia possibilità di trovare altri modelli se non se stesso. Alcuni suoi ritratti, quali quello dove compare con una benda a ricoprire l’orecchio tagliato, sono divenuti celeberrimi anche per il senso di travaglio esistenziale che comunicano. In questo autoritratto, precedente alla ferita che si fece, appare straordinaria la capacità di comunicare energia. I suoi occhi sono gli unici punti fermi del quadro. Da essi, una serie di studiati tratteggi riesce non solo a costruire i volumi ma anche a trasmettere flusso di energia dagli occhi a tutto lo spazio circostante. I colori sono sempre molto intensi, e si noti soprattutto nel volto l’audace accostamento di tinte diverse. L’effetto è decisamente inedito. L’occhio dello spettatore ha difficoltà a cogliere i particolari della sua figura, che a distanza ravvicinata scompaiono in tocchi di colore che non rappresentano nulla, ma nel suo insieme questa inafferrabile figura trasmette un profondo senso di vitalità psichica, segno di un carattere quanto mai energico e prorompente.

14 AUTORITRATTI

15

16

17 I GIRASOLI

18

19

20

21

22

23 A delle nature morte con girasoli van Gogh iniziò a pensare nell’agosto 1888: esse erano concepite come una serie decorativa di dodici o sei pannelli che inizialmente voleva collocare nel proprio studio e poi nella stanza di Gauguin che stava allestendo. Pensava che sarebbero state particolarmente apprezzate dall’amico, che possedeva già due dipinti con lo stesso soggetto realizzati da van Gogh nel luglio - settembre 1887, due quadri oggi conservati a Berna e a New York: van Gogh li aveva esposti nel ristorante parigino “Le Tambourin” e, secondo quanto narra il mercante d’arte Ambroise Vollard nel suo Souvenirs d’un marchand, erano stati appesi da Gauguin nella propriacamera da letto. Prima ancora di realizzare i quadri con i girasoli scrisse di volere una cornice fatta di «piccole liste dipinte in arancione ocra». Iniziò a lavorare al progetto verso la fine di agosto: eseguì allora quattro tele, di cui solo due furono appese nella stanza di Gauguin: il Vaso con dodici girasoli oggi a Monaco e il Vaso con quattordici girasoli oggi a Londra. Van Gogh si rese conto del valore dei dipinti: «Riuscire ad avere lo slancio necessario per fondere quei gialli e le tonalità di quei fiori - be’, non è da tutti saperlo fare - richiede una forza e una capacità di concentrazione totale», scrisse a Theo. E aggiunse: «Ti accorgerai che queste tele catturano lo sguardo: è quel tipo di dipinto che cambia aspetto col passare del tempo, più lo guardi, più acquista valore»: una predizione esatta, perché proprio una tela con girasoli è stata venduta in asta alla Christie’s di Londra nel 1987 a sterline, uno dei prezzi record di van Gogh, che allora pensava che potessero valere almeno 500 franchi l’una. I due pendant dell’agosto 1888 furono forse tra le opere scelte da van Gogh per una mostra del gruppo Les Vingts a Bruxelles. Nel gennaio 1889 fece dei dipinti alcune copie, firmando solo due tele, quella oggi ad Amsterdam e una conservata a Filadelfia: forse pensava di fare uno scambio con Gauguin, che durante il soggiorno ad Arles aveva realizzato un ritratto di van Gogh che dipinge girasoli e che, dopo la sua partenza, gli aveva espressamente chiesto un quadro con girasoli.

24 IRIS

25 Natura morta con Iris Maggio 1890 Olio su tela; cm 92 x 73,5
Dipinto nelle ultime settimane del suo ricovero a Saint-Rémy, questo vaso con iris rimanda a quella veduta “ravvicinata” del giardino dell’ospedale realizzata esattamente un anno prima, e che era stata esposta con successo al Salon des Artistes Indépendants del Oltre a questa versione verticale egli ne dipinse un’altra orizzontale, Iris con fondo rosa, oggi a New York. Fanno parte della stessa serie altre due tele con Rose, ambedue in collezioni private. Tutte queste tele con iris e rose hanno in comune la linea orizzontale alla stessa altezza, che divide il piano dal fondo, e probabilmente andavano a comporre una serie decorativa pensata come quella dei girasoli di Arles.

26 Camera da letto, 1888

27 A questa stanza, la camera da letto della casa dove risiedeva ad Arles, Van Gogh, nel periodo in cui era ricoverato a Saint-Rémy, dedicò due tele (questa in figura è la prima). L’immagine ha un vago senso di deformazione prospettica che anticipa le più ardite deformazioni degli artisti espressionisti. Ma qui, tutto sommato, domina il senso di tranquillità e anche le pennallate si dispongono con calma, senza eccessivo nervosismo o concitazione. Sembra come se Van Gogh ripeschi nella memoria la sua vecchia camera da letto come approdo di serenità e di equilibrio, in un momento in cui il suo travaglio psicologico era sicuramente notevole.

28 La terrazza del Caffè in Place du Forum ad Arles di notte Olio su tela 81.0 x 65.5 cm.Arles: Settembre, 1888

29 La terrazza del Caffè è una delle opere più notevoli di Vincent van Gogh. E' anche, senza ombra di dubbio, uno dei quadri più famosi dipinti da Van Gogh nella sua breve ma prolifica carriera. Questo lavoro è il primo in una trilogia1 di dipinti che rappresentano cieli stellati. Notte stellata sul Rodano Rodano fu eseguito meno di un mese dopo, seguito dal popolare Notte stellata dipinto l'anno successivo a Saint-Rémy. Un'interessante "pendant" a questi tre dipinti può essere il Ritratto di Eugene Boch (dipinto lo stesso mese di Terrazza del Caffè e di Notte stellata sul Rodano)--notare il motivo stellato dipinto sullo sfondo dell'opera. Vincent era entusiasta di Terrazza del Caffè e scrisse a sua sorella Wil: In effetti, in questi giorni sono stato disturbato nel mio lavorare attorno a un quadro nuovo che rappresenta l'esterno di un Caffè notturno. Sulla terrazza ci sono piccolissime sagome di gente che beve. Un'enorme lanterna gialla spande la sua luce sulla terrazza, la casa e il marciapiede, e produce anche una certa luminosità sul selciato della strada, che assume un tono viola-rosato. I frontoni delle case in una strada che scorre via sotto un cielo blu cosparso di stelle sono blu scuro o viola, e c'è un albero verde. Qui tu hai un quadro di soggetto notturno senza che ci sia del nero, dipinto con nient'altro che del bel blu e viola e verde, e in questo ambiente la piazza illuminata acquisisce un color zolfo chiaro e giallo-limone verdognolo. Mi diverte enormemente dipingere la notte sul posto.Si usa di solito disegnare e dipingere il quadro di giorno dopo uno schizzo approssimativo. Ma io trovo soddisfazione nel dipingere le cose

30 CAFFE’ DI NOTTE Arles 1888

31 Il dipinto è stato realizzato tra il 5 e l’8 settembre 1888 e raffigura un luogo che van Gogh descrive con enfasi in una lettera a Theo come «un posto dove ci si poteva rovinare, diventare pazzi o commettere crimini». In realtà era uno di quei locali che rimanevano aperti tutta la notte, dove «i vagabondi notturni possono rifugiarsi qui quando non hanno soldi per pagarsi un posto per dormire o sono troppo ubriachi per potervi entrare». Un luogo ricettacolo di «terribili passioni umane», che van Gogh cerca di esprimere con il contrasto violento dei rossi e dei verdi, usando cioé il colore con funzione anche simbolica, come aveva tentato nel dipinto del Seminatore. «I verdi e i rossi più vari, i viola e i blu delle figure dei fannulloni addormentati, piccole nella vastità della stanza cupa, si scontrano contrastandosi in ogni angolo»: una tavolozza esasperata che doveva suggerire «un’atmosfera simile a quella della fornace del diavolo», dove l’unica nota “riposante” è nel bianco dell’abito del proprietario del locale.Il dipinto nasce come “risposta” a un regalo dell’amico Émile Bernard, il disegno Scena di bordello, che aveva ricevuto in giugno. Van Gogh voleva rappresentare un luogo altrettanto malavitoso, come spiega in una lettera a Bernard, giudicando però di non essere riuscito nell’intento: «Ma anche se questo è un luogo di ritrovo usato dalle prostitute e ogni tanto ne trovi una seduta a un tavolo col suo protettore, non sono ancora riuscito a fare, te lo devo dire, un vero bordello».Il quadro fu giudicato da van Gogh uno dei più sgradevoli che avesse dipinto, soprattutto per l’uso antiaccademico del colore, e lo paragonava a quello che considerava il suo capolavoro, I mangiatori di patate.

32 dottor Gachet

33 A Auvers van Gogh fu affidato al dottor Gachet dai Pissarro, ma non ebbe del medico una buona impressione, considerandolo un pazzo bisognoso di cure: «Credo che non si debba contare in alcun modo sul dottor Gachet», scrisse. Lo ritrae dapprima in un’incisione tirata in sedici esemplari che è datata 25 maggio 1890, e che van Gogh fa utilizzando il torchio del dottore, anch’egli incisore e pittore che si firmava con lo pseudonimo van Ryssel, Lilla in fiammingo, sua città d’origine. Poi, in una lettera a Theo del 3 giugno scrive che aveva iniziato a dipingere il soggetto e correda la lettera con uno schizzo, che si riferisce a questa prima versione. Il dipinto ha delle assonanze con L’Arlesiana, un quadro che il dottore aveva particolarmente apprezzato: la posa malinconica è la stessa, compaiono in entrambi i libri sul tavolo e ugualmente veloce è la stilizzazione decorativa. Gachet indossa il berretto da marinaio e la sua figura si staglia su un fondo astratto, trattato a piccole onde; alla sua professione di medico omeopatico van Gogh allude con la pianta di digitale in primo piano e descrive in una lettera le sue mani, più pallide del volto, «come le mani di un ostetrico». La sua espressione meditativa viene definita dal pittore in una lettera a Gauguin come «l’espressione triste della nostra epoca», e anche i romanzi posati sul tavolo, Germinie Lacerteux e Manette Salomon dei fratelli Edmond e Jules de Goncourt, alludono alla vita moderna e ai suoi drammi. Il dipinto è stato venduto in asta da Christie’s a New York nel 1990 per 82,5 milioni di dollari, acquistato dalla galleria Kobayashi di Tokio: era stato comprato negli anni Trenta dal banchiere e collezionista di origine tedesca Siegfried Kramarsky, e dal 1984 era in prestito al Metropolitan Museum di New York. Nella seconda versione del dipinto, donata al Musée d’Orsay di Parigi dai figli del dottor Gachet, van Gogh ha eliminato il bicchiere e i libri, lasciando risaltare la pianta di digitale sul fondo rosso, trattando in modo più sommario lo sfondo. Quando van Gogh fece questo ritratto, Paul-Ferdinand Gachet aveva sessantuno anni e dal 1872 viveva a Auvers, luogo dove spesso lo raggiungevano alcuni pittori. Fu infatti mecenate e amico di molti artisti impressionisti: Pissarro, Cézanne - che ha lasciato dei quadri con la casa del dottore, e un disegno in cui Gachet è ritratto di spalle -, Guillaumin, Monet, Renoir. Di Gachet ci è pervenuto un altro ritratto, realizzato nel 1891 da Norbert Goeneutte. Anche la figlia del dottore, Marguerite-Clementine, fu ritratta da van Gogh: è un dipinto verticale in cui la donna seduta al piano, vestita di un abito bianco percorso da lunghe e corpose pennellate nei toni del lilla e del rosa, si staglia su uno sfondo verde chiaro interrotto da piccoli cerchi arancio.

34 Notte stellata Giugno 1889 Olio su tela; cm 73,7 x 92,1

35 La Notte stellata fu realizzato insieme al paesaggio delle Alpilles, come racconta l’artista in una lettera al fratello. Quello di dipingere cieli notturni era un suo pensiero costante dall’aprile 1888, quando ne parla a Bernard. Ad Arles usciva di notte indossando un cappello su cui erano poggiate delle candele per studiare le luci della notte, quelle delle stelle e gli effetti dell’illuminazione a gas: proprio ad Arles realizza i suoi primi due notturni, la Terrazza del caffè sulla piazza del Forum e la Notte stellata sul Rodano, dalla tavolozza ridotta ai blu, gialli e aranci. Nel quadro con la terrazza il blu profondo del cielo è punteggiato dal giallo delle stelle, l’azzurro delle case e dello stipite in primo piano a sinistra, illuminato dal giallo della luce che invade le vetrate del caffè, le finestre delle case; il giallo e il blu accostati disegnano l’acciottolato della strada. Nel paesaggio notturno sul Rodano il giallo chiaro delle stelle simili a piccoli e pallidi soli, si stagliano sugli azzurri del cielo stesi come se fossero tessere di mosaico, mentre gli aranci delle luci della città si riflettono sul blu profondo dell’acqua. La Notte stellata nasce invece da un desiderio di maggiore distacco dalla veduta reale, per cui sia la composizione del paesaggio in basso, sia il cielo stellato raggiungono un livello di alta astrazione. Il paesaggio secondo alcuni nascerebbe da un disegno con una Veduta di Saint-Rèmy che però sembra essere più tardo del dipinto, mentre invece appare più convincente la conclusione che il gruppo di case con i tetti spioventi e la chiesa dal campanile svettante sia stato composto pensando a un tipico paesaggio del Nord: un ricordo dunque, e non una veduta reale. Il cielo è una visione sfolgorante di luce, dove la luna diventa con il suo alone un piccolo sole, le stelle sono gomitoli di luce, e vortici di pulviscolo luminoso attraversano il cielo come sentieri. Del dipinto van Gogh fece un disegno che è andato distrutto a Brema e che presentaalcune varianti rispetto al quadro: il fumo che esce dai camini delle case, i cipressi più aperti e mossi, come lingue di fuoco.

36 La chiesa di Auvers, 1890

37 Questo quadro è una delle ultime tele realizzate da Van Gogh
Questo quadro è una delle ultime tele realizzate da Van Gogh. Siamo nel periodo del suo soggiorno a Auvers-sur-Oise, il luogo dove si è suicidato. Ad essere rappresentata è la zona absidale della chiesa del paese, con in primo piano una stradina che si biforca e una contadina vista di spalle. La grande massa architettonica si staglia contro un cielo color cobalto, tipico della produzione di questo periodo. Il quadro è forse un tentativo di ricreare suggestioni già presenti nell’opera sintetista di Gauguin, fatta di rapporti tra religione e mondo contadino. Ma qui la vitalità della pennelleta di Van Gogh rende l’immagine visionaria e quasi inquietante. L’edificio prende in effetti un aspetto "molle" e sembra quasi animarsi di vita propria. La sensazione è di trovarsi al cospetto di un artista talmente ipersensibile da vedere con occhi sovraeccitati tutta la realtà che lo circonda.

38 Campo di grano con volo di corvi, 1890

39 Questa è stata, con molta probabilità, l’ultima tela dipinta da Van Gogh. Dopo pochi giorni, in un campo di grano come quello raffigurato sul quadro, si sparò un colpo di pistola al cuore. È un artista oramai giunto alla soglia della disperazione interiore quello che dipinge questo quadro. Ed è una disperazione talmente forte che riesce a trasfigurare la visione che il pittore ha innanzi: un campo di grano diviene una immagine di massima intensità drammatica. Egli stesso, nello scrivere al fratello, aveva detto: «non ho avuto difficoltà nel cercare di esprimere la tristezza, la solitudine spinta all’eccesso». «Il campo di grano con volo di corvi» è un paesaggio interiore. Un paesaggio fatto di solitudine e disperazione. In questa tela vi è racchiusa non solo la tragica esistenza del pittore ma tutta la sua vibrante tecnica esecutiva. Il quadro è realizzato con pochi colori fondamentali. Su una preparazione rossa, traccia dei segni gialli per indicare il grano, altri segni verdi e rossi per indicare le strade che attraversano i campi. Il cielo è di un blu cobalto cupo ed innaturale. Un cielo pesante ed oppressivo. Pochi tratteggi neri raffigurano un volo di corvi. La loro è una presenza inquietante. Il tutto è realizzato con una mirabile sintesi di colore, materia, gesto, segno, portati ad un livello massimo di esplosione drammatica. «Il campo di grano con volo di corvi» è la più grande sinfonia coloristica mai realizzata sul dolore di vivere.

40 PAUL GAUGUIN

41 Paul Gauguin ( ), pittore francese, è stato uno dei protagonisti della fase artistica che definiamo post-impressionismo. Egli incarna un altro archetipo di artista: l’artista che vuole evadere dalla società e dai suoi problemi per ritrovare un mondo più puro ed incontaminato. Egli, al pari di tutti gli altri artisti e poeti francesi di fine secolo, vive sullo stesso piano la sua vita privata e la sua attività artistica. E le vive con quello spirito di continua insoddisfazione e di continua ricerca di qualcosa d’altro che lo portò a girovagare per mezzo mondo, attratto soprattutto dalle isole del Pacifico del Sud. Egli, benché nato a Parigi, trascorse la sua prima infanzia a Lima, in Perù. Tornato in Francia, a diciassette anni, si arruolò come cadetto in Marina, restando in mare per cinque anni. Nel 1871 ritornò a Parigi e si impiegò presso un agente di cambio. Iniziò così il periodo più sereno e borghese della sua vita. Si sposò con una ragazza danese, ebbe cinque figli, condusse una vita contraddistinta da un discreto benessere economico. Intanto iniziava a collezionare quadri e a dipingere. Espose sue opere nelle mostre che gli impressionisti tennero dal 1879 al Ma la situazione della ditta presso la quale lavorava si fece critica e nel 1883 fu licenziato. Venuta meno l’agiatezza economica si aggravarono anche i suoi problemi familiari. La moglie ritornò presso la sua famiglia d’origine in Danimarca. Gauguin la seguì cercando di lavorare in Danimarca ma, seguendo la sua vocazione artistica, abbandonò il lavoro per dedicarsi solo alla pittura. Ritornò in Francia e i rapporti con la moglie divennero solo epistolari. Si trasferì in Bretagna, a Pont-Aven, nel 1885, dove divenne capofila di una nuova corrente artistica chiamata «scuola di Pont-Aven» e che egli definì «sintetista». Nel 1887 andò a Panama e in Martinica. L’anno dopo era di nuovo a Pont-Aven. Nel 1888 trascorse un periodo anche ad Arles dove dipinse insieme a Vincent Van Gogh. Ruppe con il pittore olandese per ritornare a Pont-Aven. Nel 1891 andò per la prima volta a Tahiti, trannendosi tre anni. Fece ritorno a Pont-Aven, ma per poco. Nel 1895 si trasferì nuovamente nei mari del Sud e non fece più ritorno in Francia. Morì nel 1903 nelle Isole Marchesi.

42 La pittura di Gauguin è una sintesi delle principali correnti che attraversano il variegato e complesso panorama della pittura francese di fine secolo. Egli partì dalle stesse posizioni impressioniste, comuni a tutti i protagonisti delle nuove ricerche pittoriche di quegli anni. Superò l’impressionismo per ricercare una pittura più intensa sul piano espressivo. Fornì, dunque, soprattutto per i suoi colori forti ed intensi, stesi a campiture piatte, notevoli suggestioni agli espressionisti francesi del gruppo dei «Fauves». Ma, soprattutto per l’intensa spiritualità delle sue immagini, diede un importante contributo a quella pittura «simbolista», che si sviluppò in Francia ed oltre, in polemica con il naturalismo letterario di Zola e Flaubert e con il realismo pittorico di Courbet, Manet e degli impressionisti. Il suo contributo al «simbolismo» avvenne attraverso la formazione del gruppo detto «scuola di Pont-Aven». Fonte di ispirazione per questa pittura erano le vertate gotiche e gli smalti cloisonne medievali. Prendendo spunto da essi i pittori di Pont-Aven stendevano colori puri e uniformi, contornati da un netto segno nero. Ne derivò una pittura dai toni intimistici che rifiutava la copia dal vero e l’imitazione della visione naturalistica.

43 La visione dopo il sermone, 1888

44 Il quadro «La visione dopo il sermone», appartiene alla fase simbolista e sintetista dell’arte di Paul Gauguin. Il quadro è idealmente diviso in due parti dalla diagonale del tronco d’albero. Nella parte in alto a destra compaiono Giacobbe che combatte con un angelo. Nella metà inferiore sinistra vi sono le donne che assistono alla scena. Il quadro è costruito con la stessa tecnica di scorcio che utilizzava Degas per rappresentare il palco di un teatro visto dai palchetti degli spettatori. Solo che, in Degas, le immagini conservano un preciso naturalismo. Qui non vi è assolutamente naturalismo. Il rapporto prospettico tra le figure è molto equivoco e dubbio. Il quadro si presenta con una evidente bidimensionalità che nega qualsiasi costruzione naturalistica e prospettica. Ciò viene ulteriormente confermato dal colore rosso steso con tale uniformità da non far capire se rappresenta un piano orizzontale, verticale, o di altra inclinazione. Già il soggetto, di per sé, non può essere considerato naturalistico. Non appartiene alla normale esperienza visiva vedere un angelo e un demonio che lottano. Se si ha una tale visione, essa proviene di certo dalla propria interiorità psichica. Interiorità che, come il titolo ci suggerisce, è stata eccitata dall’ascolto di un sermone. Il contenuto dell’opera è quindi un’allegoria dell’eterna lotta tra il bene e il male che è uno dei fondamenti su cui si basano tutte le religioni. In questo senso il simbolismo dell’opera è evidente. Il quadro cerca una significato che va al di là di un semplice episodio: vuole proporre invece una riflessione più universale sulla capacità di penetrazione, anche delle persone semplici come le donne raffigurate sul quadro, di quei misteri invisibili e insondabili quali la lotta tra il bene e il male che governano la reale dinamica della vita e dell’universo. Il quadro è pertanto pervaso da una religiosità mistica molto evidente. Linee e colori cercano equilibri solo sul piano del quadro, equilibri che volutamente ignorano il naturalismo per tendere al puro e semplice decorativismo. Esso, infatti, ha una evidente bidimensionalità che sarà una delle costanti di tutta la pittura di Gauguin. Il quadro si costruisce solo di simboli. Anche il colore diviene un simbolo acquistando una capacità di significazione che ignora ogni imitazione naturalistica. Il colore viene steso con campiture piatte ed uniforme, prendendo in ciò spunto dall’arte francese gotica che si poteva ritrovare nelle vetrate delle cattedrali realizzate con colori puri e non sfumati. Questo colore puro, steso senza passaggi chiaroscurali e senza alcuna ricerca di profondità prospettica, sarà una delle maggiori eredità che Gauguin lascerà ai pittori successivi, soprattutto ai «Fauves».

45 Il Cristo giallo, 1889 «Il Cristo giallo», al pari della «Visione dopo il Sermone», è una tela di intenso valore mistico. La scena è dominata da un grande crocefisso, come spesso compaiono nella campagna, sotto il quale tre donne, nei tradizionali costumi bretoni, sono inginocchiate a pregare. Fa da sfondo un paesaggio rurale che trasmette un sentimento di calma e di serenità. La composizione riprende quello della «Crocefissione» comune a tante immagini medievali, dove però al posto del Cristo vi è un Crocefisso e al posto della Madonna, la Maddalena e gli apostoli, vi sono delle contadine moderne. Il significato è ben chiaro: rivivere nell'esperienza quotidiana il mistero del sacrificio come dimensione sacra della rinascita della vita. Da questa visione proviene anche il colore giallo che domina nel quadro, assumendo il valore di unione simbolica tra le messi di grano e il Messia. Stilisticamente l'opera deve molto al "cloissonisme", ovvero ad uno stile che, prendendo ispirazione dalle vetrate gotiche, tende a delimitare le figure con spessi tratti neri, quali le piombature che circondano le figure delle vetrate, e a campirle con colori uniformi e saturi.

46 Ia orana Maria, 1891 Il quadro è stato realizzato durante il primo soggiorno di Gauguin a Tahiti. È anch’esso un quadro di soggetto religioso, che riprende il tema dell'Annunciazione ma lo ambienta nel contesto tahitiano. Sulla sinistra, tra i rami di un arbusto, appare un angelo dalle ali bianche che indica a due donne tahitiane la Madonna con il Bambino posti a destra in primo piano. Sulla sinistra, sempre in primo piano, Gauguin pone una natura morta di frutta esotica e la scritta «Ia orana Maria» che in tahitiano significa «Ti saluto, Maria». Il quadro testimonia, come le analoghe tele di soggetto religioso realizzate nel periodo bretone, l'interesse suscitato in Gauguin dalle visioni mistiche. È il suo modo per andare oltre le apparenze del reale e ritrovare una dimensione spirituale nella vita di tutti i giorni.

47 Te tamari no Atua, 1896 Il quadro è un’altra trasposizione di immagini cattoliche in ambiente polinesiano. Questa volta, ad essere rivisitata, è la Natività. La Madonna, dai tratti indigeni, giace su un letto dall’intenso colore giallo. Il bambino è tenuto in braccio da un’altra donna seduta accanto al letto. Sullo sfondo, a destra, due buoi vicino ad una mangiatoia ripropongono un altro elemento iconografico tipico delle Natività. Ciò che colpisce di questo quadro è soprattutto la semplicità della scena, che crea un’atmosfera di tranquilla contemplazione di un evento sospeso tra il sacro e il quotidiano.

48 Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?, 1897

49

50 La grande tela, realizzata da Gauguin negli ultimi anni della sua attività, costituisce quasi un testamento spirituale della sua arte. La sua pittura, pur di grande qualità decorativa, non si limita all’apparenza delle cose, ma cerca di scavare nel profondo, soprattutto della dimensione umana, per cercare il confronto (le risposte sarebbe un po’ troppo) con i grandi interrogativi esistenziali citati dal titolo.La tela si presenta a sviluppo orizzontale con un percorso di lettura che va destra a sinistra. Lungo questa direzione, Gauguin dispone una serie di figure che ripropongono in sostanza le "Allegorie delle età della vita". Dal neonato nell’angolo a destra si giunge alla donna scura a sinistra passando attraverso le varie stagioni della vita. La donna al centro, che quasi divide il quadro in due, simboleggia il momento dela vita in cui si raccolgono i frutti, ovvia allegoria del momento della procreazione. La vecchia in fondo a sinistra, già presente in altre composizione di Gauguin, nella sua posizione fetale con le mani accanto al volto, in realtà non simboleggia solo la vecchiaia ma soprattutto la paura della morte.Ma straordinaria in questo quadro è soprattutto l’ambientazione. Il percorso della vita si svolge in un giardino che sa proprio di Eden. Come dire che, secondo Gauguin, in fondo la vita e la realtà non sono poi male, se non fosse per l’angoscia di non sapere con certezza a cosa serve tutto ciò.Con questo quadro il senso di inquietudine e di instabilità, tipico dell’artista e uomo Gauguin, ci appare alla fine come un percorso senza fine, perché volto a traguardi che non sono di questo mondo. E così il suo fuggire dall’Occidente verso i paradisi dei mari del Sud, in fondo, altro non è che la metafora, non figurata ma reale, della ricerca perenne ma inesauribile dell’approdo ultimo della nostra serenità.

51 Aha oe feii?

52 Questo dipinto appartiene alla fase tahitiana di Gauguin
Questo dipinto appartiene alla fase tahitiana di Gauguin. Il pittore, trasferitosi nei mari del Sud, aveva iniziato la produzione di quadri dall’evidente contenuto esotico. Vi compaiono soprattutto donne che vengono ritratte in una nudità molta casta e pura. L’intento è quello di mostrare le isole dell’oceano Pacifico come piccoli angoli di paradiso terrestre dove si vive una armonia molto pacifica tra uomini e natura. Quanto sia reale tale concetto rimane un mistero. Tuttavia, Gauguin proveniva da un mondo, quello occidentale, molto più complesso e pervaso da egoistici interessi economici, sociali e politici. Per lui, con gli occhi dell’occidentale, ritrovarsi in questo mondo significa davvero riscoprire una vita diversa. Una vita più semplice e pura, fatta di cose genuine, pervase da una spiritualità molto semplice ma molto evidente. In questo quadro sono raffigurate due donne. Una accovacciata, l’altra distesa. Della seconda si intravede solo la testa e la parte superiore del busto. Il soggetto è tratto da un fatto a cui il pittore aveva assistito e che così descrive nel suo libro «Noa Noa»: sulla spiaggia due sorelle che avevano appena fatto il bagno, distese in voluttuosi atteggiamenti casuali, parlano di amori di ieri e di progetti d’amore di domani. Un ricordo le divide: «Come! Sei gelosa?» Come spesso capita nei dipinti di Gauguin, il titolo dell’opera viene scritto sulla tela, in questo caso in basso a sinistra. È scritto in tahitiano e il suo esotico suono serve a dare più suggestione al quadro. Ed è proprio la scritta che non è solo un titolo, ma è anche una frase realmente pronunciata dalle due donne, a dare il contenuto più specifico al quadro. Se non fosse per questa frase riportata sul quadro il contenuto del quadro potrebbe essere scambiato per una pura sinfonia decorativa. Del resto, l’aspetto muto e silenzioso delle donne e la loro posa estremamente plastica e affascinante potevano essere scambiata per una ricerca solo sulla bellezza formale dei loro corpi. Invece Gauguin vuole cogliere un diverso significato: la complicità tutta femminile nel dialogare del più profondo arcano della vita: l’amore. E c’è in questo quadro una tale carica di intensa primitività che sembra riportare il momento del dialogo ad una ritualità senza tempo. L’eterno ritorno dei sentimenti e dell’amore e il continuo interrogarsi sul loro significato.

53 Il quadro, come la precedente produzione di Gauguin, è tutta giocata sulla risoluzione bidimensionale dell’immagine. Nella sua pittura il problema della rappresentazione tridimensionale è del tutto assente. Egli accosta forme, senza preoccuparsi della loro plausibile collocazione in uno spazio virtuale che vada oltre il piano della rappresentazione. Ciò è ancora più evidente in questo quadro dove la donna distesa, e arditamente vista in uno scorcio dalla testa in giù, scompare completamente nella metà inferiore. Le due donne formano quasi un corpo solo, divise solo dalla diversa tonalità dei loro corpi. Sono distese su una spiaggia di sabbia rosa che nella parte sinistra perde qualsiasi apparenza orizzontale per divenire un piano indefinito. Nella parte superiore, colori vari vengono stesi in campiture piane senza alcuna preoccupazione naturalistica o mimetica. Servono solo a rendere più evidente la bidimensionalità dell’immagine e, nel contempo, ad accentuarne il carattere decorativo. Gauguin era molto affezionato a questo quadro, tanto che in una lettera ad un amico scriveva: «Ho fatto ultimamente un nudo a memoria, due donne sulla spiaggia, credo che sia anche la mia cosa migliore fino ad oggi». Il dipinto fu in seguito acquistato dal collezionista russo Sukin e come tutto il resto della sua collezione fu nazionalizzato dallo stato sovietico subito dopo la rivoluzione d’ottobre. Oggi il quadro è esposto nel museo Puskin di Mosca. È ritornato in Occidente in occasione della mostra «Da Monet a Picasso», tenuta a Milano dal marzo al giugno del 1996.

54 DONNE DI TAHITI SULLA SPIAGGIA

55 Lo spirito dei morti veglia
Rappresenta un incubo della giovane moglie tahitiana di Gauguin, Tehura, che il pittore sorprese tornando a casa a notte alta, come lui stesso racconta nelle proprie memorie Noa noa (ma nel Cahier pour Aline, appunti destinati alla figlia, racconta una storia leggermente diversa e meno autobiografica). Fu sempre uno dei quadri più amati da Gauguin, che ne trasse alcune incisioni e lo raffigurò alle proprie spalle nell'Autoritratto con cappello del 1893 (Parigi, Musée d'Orsay).

56 La donna del Re Il dipinto ritrae la tahitiana Pahura (una delle numerose compagne dell'artista) con una complessa tramatura di riferimenti stilistici e simbolici. Il modello è l'Olympia di Manet, combinata con la ieraticità enigmatica degli idoli indigeni. Lo sfondo, ricco di piante immaginarie, rimanda invece per ammissione di Gauguin a un'allegoria del Paradiso terrestre. Il pittore si riferiva a questo quadro nelle sue lettere come a una "Eva tahitiana".

57 Paul Cezanne

58 Paul Cezanne ( ) è il pittore francese più singolare ed enigmatico di tutta la pittura francese post-impressionista. Nato ad Aix-en-Provence, nel meridione della Francia, proviene da una famiglia benestante (il padre era proprietario della banca locale). Egli quindi ebbe modo di condurre una vita agiata, a differenza degli altri pittori impressionisti, e di svolgere una ricerca solitaria e del tutto indifferente ai problemi della critica e del mercato. Egli, infatti, nella sua vita, al pari di Van Gogh, vendette una sola tela, solo qualche anno prima di morire. Pur vivendo quasi sempre a Aix-en-Provence, trascorse diversi periodi a Parigi dove ebbe modo di venire a contatto con i pittori impressionisti della prima ora quali Pissarro, Degas, Renoir, Monet e gli altri. Egli, come gli altri impressionisti, si vedeva rifiutato le sue opere dalla giuria del Salon. E così anche egli partecipò alla prima mostra che gli impressionisti tennero nello studio del pittore Nadar nel A questa mostra egli espose la sua famosissima opera «La casa dell’impiccato a Auvers». La sua aderenza al movimento fu però sempre distaccata. La sua pittura seguiva già agli inizi un diverso cammino che la differenziava nettamente da quella di un Monet o di un Renoir. Mentre questi ultimi erano interessati solo ai fenomeni percettivi della luce e del colore (vedi schema a pag. 53), Cezanne cerca di sintettizzare nella sua pittura anche i fenomeni della interpretazione razionale che portano a riconoscere le forme e lo spazio. Ma, per far ciò, egli non ricorse mai agli strumenti tradizionali del disegno, del chiaroscuro e della prospettiva, ma solo al colore. La sua grande ambizione era di risolvere tutto solo con il colore, arrivando lì dove nessun pittore era mai arrivato: sintetizzare nel colore la visione ottica e la coscienza delle cose.Egli disse infatti che «nella pittura ci sono due cose: l’occhio e il cervello, ed entrambe devono aiutarsi tra loro» Da questa sua ricerca parte proprio la più grande rivoluzione del ventesimo secolo: la pittura cubista di Picasso. Con il cubismo si perde completamente il primo termine della sintesi di Cezanne (visione-coscienza), per ricercare solo quella rappresentazione che ha la coscienza delle cose. Perdendosi il primo termine il cubismo romperà definitivamente con il naturalismo e la rappresentazione mimetica della realtà per introdurre sempre più l’arte nei territori dell’astrazione e del non figurativo. In Cezanne tutto ciò è però ancora assente. Egli non perde mai di vista la realtà e il suo aspetto visivo. Come per i pittori impressionisti, egli è del tutto indifferente ai soggetti. Li utilizza solo per condurre i suoi esperimenti sul colore. Ed i suoi soggetti sono in realtà riducibili a poche tipologie: i paesaggi, le nature morte, i ritratti a figura intera.

59 I paesaggi sono, tra la produzione di Cezanne, quella più emozionante e poetica. Vi dominano i colori verdi, distesi in infinite tonalità diverse, tra cui si inseriscono tenue tinte di colore diverso. Sono paesaggi che nascono da una grande sensibilità d’animo e che cercano nella natura la serenità e l’equilibrio senza tempo. Le nature morte di Cezanne sono quasi sempre dominate dalla frutta. Inconfondibili sono le sue mele che, come perfette sfere rosse, compaiono un po’ ovunque. In questi quadri gli elementi si pongono con grande libertà, cominciando già a mostrare le prime volute rotture con la visione prospettiva. Cezanne è interessato solo ai volumi non allo spazio. Tanto che egli affermò che tutta la realtà può essere sempre riconducibile a tre solidi geometrici fondamentali: il cono, il cilindro e la sfera. Questa sua attenzione alla geometria solida ritorna anche nei suoi ritratti a figura intera, tra cui spiccano le composizioni delle Grandi Bagnanti. La sua tecnica pittorica è decisamente originale ed inconfondibile. Egli sovrapponeva i colori con spalmature successive, senza mai mischiarle. Per far ciò, aspettava che il primo strato di colore si asciugasse per poi intersecarlo con nuove spalmature di colore. Era un metodo molto lento e meticolo, per certi versi simile a quello di Seurat e dei neoimpressionisti che accostavano infiniti e minuscoli puntini. Cezanne è, tuttavia, molto lontano dai risultati e dagli intenti dei puntinisti. Egli non ricercava una pittura scientifica, bensì poetica. La sua rimane però una pittura molto difficile da decifrare e spiegare. Ma basti il giudizio di Renoir che di lui disse: «Ma come fa? Non mette neanche due macchie di colore su una tela, senza fare una cosa eccezionale!» La sua ricerca fu estremamente solitaria e scevra di clamori. Anche per il suo carattere schivo e introverso condusse una vita molto ritirata nella sua Aix-en-Provence. La sua attività di pittore è del resto contraddistinta da una insoddisfazione perenne. Egli si sentiva sempre alla ricerca di qualcosa che non riusciva mai pienamente a raggiungere. La sua riscoperta e rivalutazione avvenne solo negli ultimi anni della sua vita. Nel 1904, due anni prima della morte, il Salon d’Automne espose le sue opere dedicandogli una intera sala. Dal 1906, anno della sua morte, la sua eredità venne ripresa soprattutto dai cubisti che in Cezanne videro il loro precursore

60 La montagna Sainte-Victorie, 1904-06

61 Numerose sono le tele che Cezanne ha dedicato alla montagna Saint-Victorie, soprattutto negli ultimi anni della sua vita. Si può quindi ritenere che, in questi quadri, si sintetizzi molto della sua ricerca pittorica. L’immagine è ottenuta solo con il colore che viene steso a piccole pezzature con direzioni e orientamenti diversi. Prevalgono nel basso i toni arancio e verde, mentre il profilo della montagna è della stessa tonalità azzurrina del cielo in cui si staglia. Ma il verde ritorna anche nel cielo, come riflesso capovolto della terra verso l’alto. Il quadro ha un’idea compositiva molto semplice. Una linea orizzontale, a due terzi dalla base, definisce l’orizzonte dividendo il quadro in due parti distinte e separate. Nella parte inferiore il colore definisce la multiforme varietà dei campi coltivati, degli alberi e delle case inserite tra essi. Nella parte superiore domina, quasi come un simbolo totemico, l’inconfondibile profilo della montagna. Di per sé, il soggetto non ha una forma precisa. Non può essere trattato volumetricamente ma solo spazialmente. Sono quindi elementi imprescindibili della rappresentazione la luce e l’aria. E qui il colore che stende Cezanne sembra compiere il miracolo: socchiudendo gli occhi, ed allontandosi dal quadro, l’immagine si forma nella nostra percezione come dotato di vera luce e di vera aria . Ma la visione è ferma, immobile, dotata di una sua precisa staticità che rende questo quadro del tutto diverso dai quadri impressionisti. Non c’è la ricerca dell’attimo fuggente né la rappresentazione della mobilità della luce. Gli oggetti non vibrano né si sfaldano. Ogni cosa è al suo posto con un ordine ed un equilibrio ben precisi. Eppure il quadro tende ad una rappresentazione quasi astratta. Le macchie sono colori puri che non permettono la riconosciobilità di un oggetto preciso. Le macchie di colore hanno valore solo nel loro mutuo rapporto. Da qui all’arte astratta il passo è molto breve. Un percorso simile lo svolgeranno molti astrattisti del XX secolo: dalla forma alla stilizzazione segnica. Cezanne cercava invece un diversa costruzione dell’immagine: dalla forma al colore-luce, senza però perdere la forma. E per questo, egli non divenne mai un pittore astratto pur anticipando anche questo sviluppo dell’arte del Novecento

62 La montagna Sainte-Victorie

63

64 La casa dell’impiccato a Auvers-sur-Oise, 1873

65 Il quadro appartiene alla fase impressionista di Cezanne, quando egli, da poco giunto a Parigi, entra in contatto con Camille Pissarro. L'amico lo sollecita infatti a schiarire la sua tavolozza e a dipingere «en plain air», secondo la tecnica che in quegli anni utilizzano i pittori impressionisti. E con Pissarro, Cezanne si reca nel paesino di Auvers-sur-Oise ove risiedeva il dottor Gachet, amico di Pissarro, anch'egli pittore dilettante nonché collezionista d'arte. Da ricordare che in questo stesso paese, circa venti anni dopo, si recò Vincent Van Gogh, per farsi curare dal dottor Gachet, e qui nel 1890 si suicidò. Nel soggiorno a Auvers-sur-Oise Cezanne realizza diverse tele e questa, il cui titolo peraltro rimane misterioso, fu scelta dall'artista per la prima mostra tenuta dai pittori impressionisti nel salone di Nadar nel Da ricordare che questa fu una delle pochissime tele a trovare un acquirente nella mostra del 1874: fu infatti acquistata dal conte Doria di Torino. Il quadro è stilisticamente diverso dalle successive tele di Cezanne e testimonia della influenza che in questa fase egli subisce da Pissarro. La forma geometrica rimane ancora salda, ma la sua visione si sfalda in un colore più filamentoso che vuol rendere gli effetti cangianti della luce, così come praticato dagli altri impressionisti. In seguito l'attività pittorica di Cezanne lo porta ad abbandonare completamente le ricerche del rapporto colore-luce per soffermarsi solo sul rapporto colore-forma.

66 Le grandi bagnanti I, 1906

67 Il tema dei bagnanti (sia maschili sia femminili) occupa una parte cospicua nella produzione di Cezanne. A conclusione di un percorso di ricerca svolto attraverso numerosissime tele, vi sono le tre composizioni chiamate le «Grandi Bagnanti» I, II e III, realizzate negli ultimi anni di attività. Questa in esame è la prima delle tre composizioni, e quella probabilmente più nota. Il tema è abbastanza semplice: l’inserimento del nudo nel paesaggio. Vi si possono leggere significati di un ecologismo ante litteram che, in seguito, ritroveremo soprattutto nell’espressionismo tedesco: la ricerca di una nuova armonia tra l’uomo e la natura. In realtà, nell’ottica di Cezanne, il problema del significato può anche essere secondario. Prevalente è il problema della pittura e del nuovo linguaggio che egli sperimenta. La pittura di Cezanne, qui più che altrove, si mostra come ricerca di insieme e non di particolari: la donna accovacciata a sinistra non ha neppure il volto. Ma ciò che l’artista cerca è rendere l’emozione della visione solo attraverso la stesura di colori su una superficie, senza altra preoccupazione relativa alla verosimiglianza. Questa visione così sintetica del rappresentare influenzerà molti artisti dopo Cezanne. Soprattutto Picasso e Matisse, e tramite loro gran parte dei pittori del Novecento, pur attraverso percorsi diversi, gli saranno debitori di nuove possibilità espressive del linguaggio pittorico.

68 Ricerca sul tema delle bagnanti

69

70 Il grande bagnante 1885 circa
La figura riprende isolandola una di quelle che avevano composto i gruppi di Bagnanti nei quadri dipinti attorno al 1875, dove si ritiene adombrasse la memoria delle giornate giovanili al fiume in compagnia dello scrittore Emile Zola, che rievocherà la stessa atmosfera nel romanzo L'opera (che provocherà la rottura con il pittore, offeso per essersi riconosciuto nel protagonista). E' evidente in opere come questa la memoria della scultura classica, da Cézanne costantemente studiata.

71 I bagnanti 1890 circa olio su tela; 60 x 81
Nella folta serie di opere dedicate da Cèzanne alle figure nude al bagno, questo dipinto è uno di quelli ultimi riferiti al corpo maschile. Il soggetto si svincola via via dalla memoria della statuaria classica riconoscibile nei primi dipinti della serie, dove (secondo un atteggiamento caratteristico di tutta la giovane pittura dell'Ottocento) aveva cercato di conciliare la tradizionale trattazione del nudo con l'interesse per la spontaneità delle pose antiaccademiche, per ricercare, come in questo quadro, una dimensione di corrispondenza plastico-cromatica tra i corpi nudi e il paesaggio.

72 Natura morta con mele e vaso di primule, 1894

73 Il quadro, conservato nel Metropolitan Museum di New York, è uno degli esempi più noti di natura morta con mele realizzati da Cezanne. La mela è infatti un frutto che appare molto di frequente nelle nature morte dell'artista, divenendo quasi un suo marchio di fabbrica. E a tal proposito è sorta la leggenda che l'intento di Cezanne era di «stupire Parigi con una sola mela». Vale a dire che l'artista voleva ottenere la perfezione nella forma più semplice possibile: quella di una sfera pura. In realtà, dato lo stile che il pittore adotta, fatto di pennellate che tirano il colore stendendolo in maniera uniforme, riuscire nella costruzione tridimensionale di una sfera non era semplice, ma rappresentava un notevole traguardo non solo tecnico ma di grande sensibilità percettiva. In realtà Cezanne, finché è stato in vita, non ha mai visto apprezzati i suoi sforzi, e le sue mele sono divenute un mito della pittura solo molti decenni dopo la sua morte.

74 Natura morta con bottiglia di liquore alla menta 1890-1894
Cézanne continuò per tutta la vita a dipingere nature morte, fedele alla sua abitudine di ritornare costantemente sul 'motivo': dichiarò all'amico Gasquet che anche gli oggetti, come la natura, cambiano ogni giorno. In questo caso, l'accentuata bidimensionalità, rinunciando a rendere la profondità spaziale del tavolo, concentra l'attenzione sull'intrecciarsi di forme e colori

75 Recipienti e piatto con frutta su un tappeto 1893-1894
Nelle nature morte di Cézanne si possono riconoscere spesso gli stessi oggetti da un quadro all'altro. Particolarmente amati dal pittore dovettero essere gli oggetti raffigurati in questo quadro, che ricorrono anche in moltissime sue opere nel corso degli anni, come il vaso dello zenzero avvolto nella corda, la zuccheriera, il recipiente verde.

76 Tenda, caraffa e piatti con frutta 1895
La tendenza a dissolvere lo spazio prospettico tradizionale porta Cézanne a strutturare le proprie nature morte con una disposizione inquieta e vorticosa degli elementi, trascinati da un impulso centripeto (che in questo caso ha il proprio nucleo nella caraffa). E' l'anno in cui Vollard gli organizza la prima personale nella sua galleria.

77 Due giocatori di carte 1893-1896
Il ciclo di cinque tele dei giocatori di carte fu eseguito ad Aix a partire dal 1890, e ogni versione fu preparata con numerosi studi di ritratto (nel personaggio a sinistra è stato riconosciuto il giardiniere di casa Cézanne, Père Alexandre), mentre la successione delle versioni vede un progressivo ridursi dei personaggi da cinque a due. L'impulso a realizzare questo ciclo venne al pittore dallo studio del quadro Giocatori di carte del pittore francese del Seicento Louis Le Nain, conservato nel Museo Granet di Aix.

78 Château Noir 1904 Gli ultimi anni di Cézanne lo vedono concentrato sulla ripetizione dei paesaggi che poteva osservare nei dintorni di Aix-en-Provence, variando appena, talvolta impercettibilmente, il punto di vista, mentre ricerca un’unità organica del paesaggio attraverso un trattamento del colore che ha fatto parlare di solidificazione dell'impressionismo. L'ambizione è quella di restituire la compattezza della forma attraverso la vibrazione del colore. Una ricerca che prelude alle incipienti rivoluzioni dell'arte delle avanguardie storiche. Lo Chateau Noir era un edificio di stile neogotico costruito nell’Ottocento vicino ad Aix, dove il pittore aveva uno studio.

79 Georges Seurat

80 Georges Seurat ( ), è il pittore che porta alle estreme conseguenze la tecnica pittorica degli impressionisti. Il problema di dar maggior luce e brillantezza ai colori posti sulla tela era già stato impostato da Manet e dagli impressionisti. La loro risposta a questo problema era stato il ricorso a colori puri, non mescolati, così da evitare al massimo le sintesi sottrattive che smorzavano i colori rendendoli privi di luminosità. Georges Seurat intese dare una nuova risposta a questo problema. Egli voleva giungere ai risultati di massima brillantezza utilizzando il «melange optique», ossia la mescolanza ottica. Negli stessi anni, le ricerche sul colore avevano trovato un notevole impulso scientifico da parte del chimico francese Chevreul. Egli aveva messo a punto il principio di «contrasto simultaneo», secondo il quale se si accostano due colori complementari le qualità di luminosità di ognuno vengono esaltate. Il principio non era sconosciuto agli impressionisti che anzi lo utilizzavano spesso nella loro tecnica pittorica. Ma la grande novità fu il principio di «melange optique», che per primo formulò proprio Seurat. In sostanza l’occhio ha una capacità di risoluzione che lo porta a distinguere due puntini tra loro accostati se questi non sono troppo piccoli. Se i puntini diventano eccessivamente piccoli, o se aumenta la distanza dell’osservatore dai due puntini, l’occhio dell’osservatore non ha più la capacità di separare i due puntini ma vede un’unica macchia di colore. Se questi due punti sono di colore diverso, l’occhio vede un terzo colore dato dalla somma dei due. In tal modo, secondo il principio di Seurat, un occhio, guardando dei puntini blu e gialli, vede un verde più brillante di qualsiasi verde che possa ottenere il pittore con la mescolanza dei pigmenti. La grande novità tecnica della pittura di Seurat furono i puntini. Egli realizzava i suoi quadri accostando piccoli puntini di colori primari. Ne derivava una specie di mosaico che trasmetteva un’indubbia suggestione. Dalla sua tecnica derivò il nome dato a questo stile, definito «puntinismo» o «pontillisme», alla francese. Altro nome che ebbe questo stile fu di neo-impressionismo, a sottolinearne la sua ideale continuazione con l’impressionismo.

81 Molte sono le affinità tra i due stili artistici, soprattutto sul piano della scelta dei soggetti tratti dalla vita parigina di quegli anni. Tuttavia, sul piano estetico, le differenze sono notevolissime tali da rendere i due stili quasi opposti. Uno dei maggiori fascini della pittura impressionista era la poetica dell’attimo fuggente che veniva materializzata in immagini sfuggenti e tremolanti. Nel neo-impressionismo, invece, non vi sono attimi che trascorrono ma una sorta di congelamento del tempo che rende tutto immobile e statico. Georges Seurat morì molto giovane, nel 1891, a soli trentadue anni. La sua eredità venne raccolta soprattutto dall’amico Paul Signac. Oltre all’attività pittorica, Signac si dedicò anche a quella di teorico e con il suo libro, «Da Delacroix al neoimpressionismo», diede i fondamenti teorici del «pointillisme» che egli proponeva invece di chiamare «divisionismo». Sosteneva infatti che il loro obiettivo non era fare dei puntini ma dividere il colore. Il puntino era quindi solo un mezzo e non un fine. Tanto che gli stessi procedimenti divisionistici potevano ottenersi anche con tratteggi accostati e non solo con piccoli punti. Ed il tratteggio divenne infatti la tecnica preferita dai divisionisti italiani quali Pelizza da Volpeda, Segantini e Previati. Il divisionismo fu infatti un movimento più vasto e che andava oltre il semplice puntinismo. Divisionisti furono molti pittori europei tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, diffondendo questa tecnica per tutto il continente

82 Una domenica pomeriggio all'isola della Grande Jatte, 1883-85

83 Questo è senz’altro il quadro più famoso di Georges Seurat e quello che compendia pienamente la novità della sua pittura neo-impressionista. La Grande Jatte è un’isola di Parigi che sorge in mezzo al fiume Senna. Su questa isola, fatta di alberi e prati, i parigini trascorrevano ore serene e spensierate. L’aria è luminosa e calda. Vi è un notevole affollamento di figure e persone. Gente che passeggia, che è seduta a terra, che fuma, che pesca. Sull’acqua del fiume si vedono vele che passano, rematori che remano. Il soggetto del quadro è tipico da pittura impressionista: una scena di vita urbana vissuta con allegria e spensieratezza. Vi è una aria lieve e rilassata che ispira sensazioni piacevoli. Ma manca assolutamente quel senso di immediatezza dei quadri impressionisti. Qui, non solo il tempo non viene colto nella sua estrema variabilità, ma vi è una stasi ed immobilità che dà l’idea che il tempo si sia del tutto fermato e congelato. Le figure sono assolutamente immobili anche se colte nell’atteggiamento di camminare. Ma hanno soprattutto una identica posa: sono tutti o di profilo o in vista frontale. Ciò dà loro un carattere quasi irreale che ricorda inaspettatamente la pittura egizia. Le figure vengono definite da un contorno ben evidente; hanno una resa decisamente chiaroscurale; lo spazio appare del tutto nitido e messo a fuoco. In sostanza, questo quadro è decisamente agli antipodi rispetto alle tele impressioniste dove tutto è vagamente indefinito e mobile, dove il chiaroscuro era stato del tutto eliminato per ricorrere unicamente al contrasto tonale. Il quadro è una tela di notevoli dimensioni (circa 2 metri per 3) che di certo non poteva essere dipinta en plain air. Non solo. La miriade infinita di punti necessari a ricoprire una tela di tali dimensioni ha richiesto oltre due anni di lavoro. Anche in ciò il pointillisme di Seurat andava in direzione opposta rispetto all’impressionismo. Alcuni dei tratti caratteristici della pittura impressionista erano proprio la velocità di esecuzione. Non è però da negare che il quadro trasmette una sua indubbia suggestione, soprattutto per la sua evidente laboriosa esecuzione che ne fanno una specie di mosaico coloristico su tela.

84 Un bagno ad Asnières,

85 Questa tela di Seurat è conservata nella National Gallery di Londra
Questa tela di Seurat è conservata nella National Gallery di Londra. Nello stesso museo è conservata anche una tela di Piero della Francesca: «Il battesimo di Cristo». La coincidenza è abbastanza singolare, in quanto non pochi sono i punti di somiglianza tra i due quadri. Innanzitutto l’atmosfera luminosa e tersa, poi la precisione del disegno, infine la costruzione dell’immagine per geometrie precise, fatte di sfere, coni e cilindri. Già il fatto di poter confrontare Seurat con Piero della Francesca ci dice tanto sulla distanza che separa l’artista francese dai pittori impressionisti. La sua pittura, pur cogliendo quella stessa spensierata modernità condivisa dagli impressionisti, giunge ad esiti complessivamente classici, dove la rivoluzione del "puntino" non stempera l’assoluta staticità dell’immagine

86 Le Chahut, Lo "chahut", che da il titolo al quadro, era un ballo in voga nei locali parigini alla fine del secolo scorso. In questa tela Seurat giunge ad esiti molto particolari, che sanno più di grafica che di pittura. Appare indubbio che il suo stile, insieme a quello di Toulouse-Lautrec, abbia fornito spunti notevoli alla successiva estetica del Liberty.

87 Le modelle (versione grande), 1887-88
Composizione molto ricca di elementi, si caratterizza per le tre donne nude colte nell’angolo di una stanza, piena di vestiti e accessori, alla cui parete di sinistra compare un angolo della grande tela di Seurat «Una domenica pomeriggio alla Grande Jatte».

88 Il circo, Questa è l’ultima tela alla quale stava lavorando Seurat prima di morire, ed è un quadro che rimane parzialmente compiuto. Benché completo nel disegno compositivo, manca probabilmente una compiuta definizione cromatica. Anche in questa ultima tela si conferma non solo lo stile, ma anche l’impianto costruttivo classicheggiante della pittura di Seurat.

89 Henri de Toulouse-Lautrec

90 Henri de Toulouse-Lautrec ( ) è uno degli ultimi pittori impressionisti. Discendente di una nobile ed antichissima famiglia francese, la sua vita fu segnata, a quattordici anni, da due cadute da cavallo che gli procurarono delle fratture ad entrambe le ginocchia. In seguito le sue gambe non crebbero al pari del resto del corpo, restando egli deforme come un nano. Ciò lo portò a vivere una vita bohemiene nel pittoresco e malfamato quartiere parigino di Montmartre. E in questo povero universo di ballerine e prostitute egli svolse la sua arte, prendendo di lì la propria ispirazione. Morì nel 1901 all’età di trentasette anni per problemi di alcolismo. Egli è soprattutto un grande disegnatore, portando la sua arte su un piano che era sconosciuto agli altri pittori impressionisti: quello della linea funzionale. Egli con la linea coglie con precisione espressionistica le forme, i corpi e lo spazio. Non solo. Anche le superfici vengono tutte intessute di linee che si intrecciano a formare suggestivi intrecci. Questa sua capacità di deformare la linea con grande capacità espressionistica rese la sua opera pittorica densa di suggestioni per i movimenti pittorici successivi. Soprattutto l’espressionismo prese ispirazione da Toulouse-Lautrec ma anche la successiva cultura figurativa liberty che fece della linea la sua principale matrice figurativa. Ed al liberty Toulouse-Lautrec fornì anche un nuovo àmbito di applicazione: quello del manifesto d’autore. Egli, infatti, fu il primo pittore ad utilizzare le sue capacità artistiche per la produzione di grafica d’autore, soprattutto in occasione di spettacoli teatrali e cabarettistici.

91 La breve vita di Toulouse-Lautrec rimane un esempio anch’esso emblematico dell’artista di fine secolo. Ovvero di artista maledetto che vive la propria vita e la propria arte su un unico piano di intensa partecipazione emotiva. Egli, pur provenendo da una famiglia nobile ed agiata, preferì vivere la propria esistenza fuori dai comodi schemi della vita borghese, consumandola con un disprezzo per la vita stessa che lo accomuna ad altri artisti, non solo pittori, di questa fase. Come Van Gogh e Gauguin anche egli, a suo modo, evade dalla società. Ma mentre i primi due lo fanno ricercando il mondo dei contadini o i mondi esotici delle isole del Pacifico, Toulouse-Lautrec evade rifugiandosi in quel mondo equivoco fatto di bordelli e locali di spettacoli in cui incontrava barboni, reietti, ubriachi, prostitute e con i quali condivideva anche la sua affettività. Ed essi divennero il soggetto dei suoi quadri, cogliendo in loro una vera e genuina umanità, a volte struggente e dignitosa.

92 I MANIFESTI

93 I manifesti, che Toulouse-Lautrec realizza per il mondo dello spettacolo parigino, nascono più dall’amicizia che egli intrattiene con i personaggi di questo ambiente che non per calcolo particolare. L’occasione è quindi casuale, e rappresenta la prima esperienza di un artista nel linguaggio più popolare quale quello della pubblicità. Dopo di lui, non saranno pochi i pittori che non disdegneranno di realizzare manifesti pubblicitari. Del resto, lo stile sintetico e lineare di Toulouse-Lautrec ben si prestava ad esiti più grafici che pittorici, ed i suoi manifesti riescono, più di molti quadri, a dare immagine suadente e affascinante a quel bel mondo parigino che si affacciava alla Belle Epoque.

94 La toilette, 1896

95 Il dipinto è realizzato in una di quelle case di appuntamento in cui il pittore passava la maggior parte del suo tempo. La rappresentazione coglie un istante di vita quotidiana con un senso di immediatezza molto evidente. Contribuisce a questo senso di immediatezza il taglio di tipo fotografico con una angolazione dall’alto verso il basso. La donna viene vista di spalle presentandosi in un aspetto di fragilità quasi commovente. Le spalle hanno una linea molto armoniosa. Su di esse la testa ha una positura molto diritta e serena. I capelli sono di un rosso molto delicato, raccolti in modo seducente. Le braccia e le gambe sono magre e delicate. Tutto ciò crea un contrasto evidente con l’attività della donna la quale, proprio per questa sua bellezza che non scompare, conserva una sua purezza virginale. La simpatia del pittore è tutta per lei. La donna ha appena finito di lavarsi in una vasca che si intravede accanto alla sua testa. Sta asciugandosi seduta a terra su degli asciugamani. Il fatto che sia appena uscita dall’acqua ne accentua simbolicamente l’avvenuta purificazione. La stanza si presenta povera e spoglia. Il pavimento è un normale parquet a listoni paralleli su cui sono posati pochi oggetti: la poltroncina e il divanetto di vimini, la tinozza per il bagno. La tecnica pittorica risulta molto sapiente e sicura. Toulouse-Lautrec stende i colori secondo linee veloci e marcate. L’immagine prende mirabilmente forma con tratti che si intessono senza perdere la loro evidenza lineare. I colori sono molto delicati e definiscono dei riflessi che danno alle cose una sensazione di grande verità. La pittura di Toulouse-Lautrec ha anch’essa decisamente superato l’impressionismo. Benché egli si consideri il continuatore di Degas, di cui conserva il tipo di inquadratura evidente anche in questo quadro, la sua pittura è oramai alla ricerca di significati e di contenuti che non sono più quelli superficiali e festosi della pittura impressionista.

96 Il letto, 1892 Quadro di grande valore intimistico, questa tela rappresenta due prostitute colte in un atteggiamento di partecipazione affettiva. Il senso di tepore, dato dall’immagine del letto e dalla dominante rossa del quadro, accentuano il senso di profonda simpatia che Toulouse-Lautrec provava per queste particolare donne.

97 AMICHE 1895

98 rue des moulins: visita medica 1894,

99 due amiche 1894

100 due donne mezze nude viste da dietro 1894,

101 donna tira su la calza 1894

102 La Goulou e Valentin-Le-Désossé, 1895

103 Negli anni Novanta dell’Ottocento, al Moulin Rouge le due stelle più importanti erano due ballerini soprannominati la Goulou (che significa la "golosa") e Valentin detto "le désossé" (il disossato). La prima era una lavandaia di origine alsaziana così soprannominata per il vizio della golosità che, nel giro di pochi anni, la portò, per eccessiva pinguedine, ad allontanarsi dalle scene. Valentin-le-désossé era invece un viveur proveniente da una ricca famiglia, di aspetto longilineo e dai movimenti molto elastici e molleggiati. Sono gli stessi personaggi che compaiono anche sul manifesto del Moulin Rouge già visto. Dopo aver abbandonato le scene più prestigiose del Moulin Rouge, la Goulue si aprì un baraccone in cui si esibiva nella danza del ventre e dove, molto probabilmente, si prostituiva anche. Per decorare questo baraccone chiese a Toulouse-Lautrec di realizzare due pannelli, i quali, frantumati e divisi, sono a noi giunti in condizioni non proprio perfette. In essi Toulouse-Lautrec riuscì comunque a cogliere quello spirito di festa, proprio dei locali notturni di Parigi, realizzando un’opera non priva di notevoli qualità estetiche.

104 Nella sala di rue des Moulins, 1894
Nel quadro è rappresentato un angolo di una nota casa chiusa parigina. Le prostitute sono viste senza alcuna enfasi erotica, ma come persone annoiate che aspettano indolenti e pigre l’arrivo dei clienti. Non manca una ricerca cromatica preziosa che, soprattutto nelle armonizzazioni di gialli e rossi, rendono il quadro affascinante e gradevole.

105 Al Moulin Rouge, Il quadro rappresenta un angolo del noto locale parigino. Intorno ad un tavolo vi è un gruppo di amici del pittore, mentre sullo sfondo appare egli stesso in compagnia del cugino e la ballerina soprannominata Goulue che si guarda nello specchio. Il taglio dato all’inquadratura ricorda molto il quadro «L’absinthe» di Degas, pittore molto studiato da Toulouse-Lautrec. Ciò che caratterizza questo quadro è tuttavia la dominante verde, creata forse dalle tappezzerie e dai velluti della sala, che, riflettendosi negli specchi, creano una luce particolare, causa anche del riflesso verde sul volto della donna in primo piano sulla destra. Ne deriva un’atmosfera irreale ma non priva di un certo fascino lussuoso

106 Yvette Guilbert saluta il pubblico 1894

107 EDVARD MUNCH

108 Edvard Munch ( ) è senz’altro il pittore che più di ogni altro anticipa l’espressionismo, soprattutto in ambito tedesco e nord-europeo. Egli nacque in Norvegia e svolse la sua attività soprattutto ad Oslo. In una città che, in realtà, era estranea ai grandi circuiti artistici che, in quegli anni, gravitavano soprattutto su Parigi e sulle altre capitali del centro Europa. Nella pittura di Munch troviamo anticipati tutti i grandi temi del successivo espressionismo: dall’angoscia esistenziale alla crisi dei valori etici e religiosi, dalla solitudine umana all’incombere della morte, dalla incertezza del futuro alla disumanizzazione di una società borghese e militarista. Del resto tutta la vita di Munch è stata segnata dal dolore e dalle sofferenze sia per le malattie che per problemi familiari. Iniziò a studiare pittura a diciasette anni, nel Dopo un soggiorno a Parigi, dove ebbe modo di conoscere la pittura impressionista, nel 1892 espose a Berlino una cinquantina di suoi dipinti. Ma la mostra fu duramente stroncata dalla critica. Egli, tuttavia, divenne molto seguito ed apprezzato dai giovani pittori delle avanguardie. Espose nelle loro mostre, compresa la celebre Secessione di Vienna del Il sorgere dell’espressionismo rese sempre più comprensibile la sua opera. E al pari degli altri pittori espressionisti fu anche egli perseguitato dal regime nazista che dichiarò la sua opera «arte degenerata». 82 sue opere presenti nei musei tedeschi vennero vendute. Egli morì in piena guerra, nel 1944, presso Oslo, lasciando tutte le sue opere al municipio della città.

109 Nell’opera di Munch sono rintracciabili molti elementi della cultura nordica di quegli anni, soprattutto letteraria e filosofica: dai drammi di Ibsen e Strindberg, alla filosofia esistenzialista di Kierkegaard e alla psicanali di Sigmund Freud. Da tutto ciò egli ricava una visione della vita permeata dall’attesa angosciosa della morte. Nei suoi quadri vi è sempre un elemento di inquietudine che rimanda all’incubo. Ma gli incubi di Munch sono di una persona comune, non di uno spirito esaltato come quello di Van Gogh. E così, nei quadri di Munch il tormento affonda le sue radici in una dimensione psichica molto più profonda e per certi versi più angosciante. Una dimensione di pura disperazione che non ha il conforto di nessuna azione salvifica, neppure il suicidio.

110 Pubertà, 1894 La figura della ragazza nuda, seduta sul bordo del letto, è una delle più famose della produzione di Munch. Non vi è alcun compiacimento sensuale in questo nudo, anzi, l’immagine trasmette, ad uno sguardo più attento, un intenso sentimento di angoscia. Il nudo, in questo caso, è allegoria di condizione indifesa, soprattutto da parte di chi è ancora giovane ed acerbo, nei confronti dei destini della vita. E che ognuno ha un destino che lo aspetta, in questo quadro è simboleggiato dall’ombra che la ragazza proietta sulla parete. Non è un’ombra naturale, ma un grumo nero come un fantasma che si materializza dietro di noi, senza che possiamo evitarlo: è un po’ il simbolo di tutti i dolori che attendono chi vive.

111 Sera sulla via Karl Johann, 1892

112 La passeggiata lungo un viale cittadino di Oslo è occasione per Munch di mostrare cosa egli pensa dei cittadini borghesi in genere: un’umanità spiritualmente vuota che come zombi vive senza realmente vivere. Il quadro ha un’atmosfera anche gradevole, con i suoi toni saturi che rendono efficacemente la suggestione dell’ora serale, e ciò crea un contrasto ancora più stridente con l’immagine cadaverica dei passanti che, più che passeggiare, sembra stiano seguendo un funerale.

113 Madonna, Prima versione del quadro «Madonna» realizzato da Munch. Rispetto alla versione successiva sono intensificati gli elementi allegorici, quali la presenza degli spermatozoi e del feto, ma la figura della donna appare più graficamente stilizzata e meno espressiva della successiva versione

114 Madonna, Il tema della sensualità ha in Munch un carattere mai allegro. In questa immagine, la donna ispira un qualcosa di torbido e peccaminoso. Nella sua dimensione misogina, Munch lega la sessualità al peccato non per motivi etici, ma perché, per lui, eros e morte sono la stessa cosa. Come dire che non può esistere piacere senza dolore, e tutto ciò che sembra farci felice, in realtà ci porta sempre sofferenza. Questa visione pessimistica viene accentuata nella prima versione del quadro, dove sulla cornice egli disegna degli spermatozoi e un feto. Il peccato legato al piacere giunge quindi a minare l’atto stesso del ricreare la vita.

115 L'urlo, 1885

116 Questo è senz’altro il quadro più celebre di Munch ed, in assoluto, uno dei più famosi dell’espressionismo nordico. In esso è condensato tutto il rapporto angoscioso che l’artista avverte nei confronti della vita. Lo spunto del quadro lo troviamo descritto nel suo diario: Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto sul fiordo nerazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura. Lo spunto è quindi decisamente autobiografico. L’uomo in primo piano che urla è l’artista stesso. Tuttavia, al di là della sua relativa occasionalità, il quadro ha una indubbia capacità di trasmettere sensazioni universali. E ciò soprattutto per il suo crudo stile pittorico.

117 Il quadro presenta, in primo piano, l’uomo che urla
Il quadro presenta, in primo piano, l’uomo che urla. Lo taglia in diagonale il parapetto del ponte visto in fuga verso sinistra. Sulla destra vi è invece un innaturale paesaggio, desolato e poco accogliente. In alto il cielo è striato di un rosso molto drammatico. L’uomo è rappresentato in maniera molto visionaria. Ha un aspetto sinuoso e molle. Più che ad un corpo, fa pensare ad uno spirito. La testa è completamente calva come un teschio ricoperto da una pelle mummificata. Gli occhi hanno uno sguardo allucinato e terrorizzato. Il naso è quasi assente, mentre la bocca si apre in uno spasmo innaturale. L’ovale della bocca è il vero centro compositivo del quadro. Da esso le onde sonore del grido mettono in movimento tutto il quadro: agitano sia il corpo dell’uomo sia le onde che definiscono il paesaggio e il cielo. Restano diritti solo il ponte e le sagome dei due uomini sullo sfondo. Sono sordi ed impassibili all’urlo che proviene dall’anima dell’uomo. Sono gli amici del pittore, incuranti della sua angoscia, a testimonianza della falsità dei rapporti umani. L’urlo di questo quadro è una intesa esplosione di energia psichica. È tutta l’angoscia che si racchiude in uno spirito tormentato che vuole esplodere in un grido liberatorio. Ma nel quadro non c’è alcun elemento che induca a credere alla liberazione consolatoria. L’urlo rimane solo un grido sordo che non può essere avvertito dagli altri ma rappresenta tutto il dolore che vorrebbe uscire da noi, senza mai riuscirci. E così l’urlo diviene solo un modo per guardare

118 L’ANGOSCIA 1984


Scaricare ppt "POST IMPRESSIONISMO."

Presentazioni simili


Annunci Google