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SEMINARIO DI FILOSOFIA

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Presentazione sul tema: "SEMINARIO DI FILOSOFIA"— Transcript della presentazione:

1 SEMINARIO DI FILOSOFIA
TEMPO, COSCIENZA ED ESSERE

2 Presentazione Il seminario di filosofia, rivolto agli studenti delle quinte classi nel corrente anno scolastico, progettato come un intenso momento di riflessione tra docenti e alunni , è stato incentrato su un tema di grande interesse e portata: il Tempo. Le giornate di studio sono state modulate in modo da creare una tavola rotonda che mirasse a mettere a confronto il pensiero di alcuni autori su un tema così significativo, per raggiungere l’ obiettivo di consolidare le conoscenze acquisite, abituando a raffrontare tesi di pensatori diversi su un argomento comune, mentre insieme si pensa il pensiero dei filosofi. Sei, in tutto, sono stati gli incontri, pomeridiani, di due ore ciascuno. La prof.ssa Abate ha condotto i primi tre su H. Bergson, M. Heidegger, A. Einstein . Il prof. Cataldo, invece, ha curato gli altri tre su F. Nietzsche. Si ringraziano gli studenti che hanno partecipato e che, insieme ai docenti, a partire dagli appunti presi durante lo svolgimento dei lavori e dai materiali utilizzati, hanno rielaborato la struttura degli incontri e i testi che di seguito si propongono.

3 INDICE I incontro: H. BERGSON, Saggio sui dati immediati della coscienza. II incontro: M. HEIDEGGER, Essere e Tempo III incontro: A. Einstein. IV-V-VI incontro: Nietzsche e l’Eterno Ritorno

4 I incontro: H. BERGSON, Saggio sui dati immediati della coscienza
1) Cenni sulla vita, sulle opere e sul pensiero centrale dell'autore. 2) Introduzione : problematicità ed inafferrabilità del tempo - la coappartenenza dell'uomo e del tempo. Che cos'è il tempo? Questa è una classica domanda a cui ognuno di noi, in un primo momento, crede di essere in grado di rispondere , fino a quando, ponendola esplicitamente, essa non rivela tutta la sua problematicità. Affrontare il problema relativo all'essenza del tempo significa, analogamente, indagare sulla natura dell'essere, ritenuta da Aristotele la questione filosofica per antonomasia. La difficoltà, cioè, di dare una risposta alla domanda iniziale sta nel delicatissimo rapporto che lega l'uomo alla domanda stessa, poiché risulta impossibile cogliere i limiti di ciò in cui l'uomo è totalmente immerso. D'altra parte, proprio per questa coappartenenza di uomo e tempo, è impossibile evitare che nascano domande su tale questione. In fondo, cosa c'è di più “familiare” del tempo? Nel corso dei secoli il problema del tempo è stato sempre e in diversa misura presente alla riflessione filosofica. Non ci meravigliamo, quindi, se fra Ottocento e Novecento, la riflessione di Henri Bergson risulti particolarmente significativa per la sua capacità di fondere nel proprio pensiero filosofico il rigore dell'argomentazione scientifica e la profondità dell'intuizione artistica e letteraria.

5 3) Premessa e lettura del testo:
Obiettivo dell'opera Saggio sui dati immediati della coscienza è tentare di risolvere il problema della libertà attraverso una nuova impostazione di quello del tempo. E' infatti in questa dimensione che si sviluppa autenticamente la coscienza. Che il tempo fosse strettamente legato all'interiorità non era certo una novità, ma Bergson intende sottolineare che il reale significato del tempo è sempre da ricondurre allo spazio anche quando parrebbe nettamente distinto. Nell'analisi del mondo esterno la scienza non fa mai uso dell'autentico concetto di tempo, ma si limita a constatare delle simultaneità nello spazio. In questa sua opera di riduzione del tempo a spazio la scienza è perfettamente legittimata. Ma nel momento in cui si vuole indagare l'interiorità del flusso di coscienza, è necessario purificare il tempo da qualsiasi residuo di spazialità.

6 “...Ora, se lo spazio dev'essere definito come l'omogeneo, sembra che, inversamente, qualsiasi mezzo omogeneo ed indefinito abbia da essere spazio. Dato, infatti, che l'omogeneità consiste qui nell'assenza di ogni qualità, non si vede come due forme dell'omogeneo possono distinguersi l'una dall'altra. Tuttavia si è d'accordo nel considerare il tempo come un mezzo indefinito, diverso dallo spazio, ma omogeneo come quello: l'omogeneo così rivestirebbe una doppia forma, a seconda che si riempia d'una consistenza o d'una successione. E’ vero che, quando si fa del tempo un mezzo omogeneo in cui gli stati di coscienza sembrano svolgersi, li si pone, per ciò stesso, tutti in una volta, ciò che equivale a sottrarli alla durata: questa semplice riflessione dovrebbe avvertirci che allora noi ricadiamo inconsciamente sullo spazio.

7 D’altra parte è, sì concepibile che le cose materiali, esterne le une rispetto alle altre e rispetto a noi, mutuino questo doppio carattere dall’omogeneità d’un mezzo che stabilisce intervalli tra di esse e ne fissa i contorni; ma i fatti di coscienza, anche successivi, si compenetrano, e nel più semplice tra essi può riflettersi l’anima intera. Vi sarebbe dunque ragione di chiedersi se il tempo, concepito come un mezzo omogeneo, non sia un concetto bastardo, dovuto all’intrusione dell’idea di spazio nel dominio della coscienza pura. Comunque non si possono ammettere definitivamente due forma dell’omogeneo, tempo e spazio, senza cercare anzitutto se una di esse si possa ricondurre all’altra. Ora, l’esteriorità è il carattere proprio delle cose che occupano spazio, mentre i fatti di coscienza non son punto essenzialmente esteriori gli uni dagli altri, e lo divengono soltanto per uno sviluppo nel tempo considerato come un mezzo omogeneo. Se dunque una di queste due pretese forme dell’omogeneo, tempo e spazio, deriva dall’altra, si può affermare a priori che l’idea di spazio è il dato fondamentale (…) non appena si attribuisca la minima omogeneità alla durata, vi si introduce surrettiziamente lo spazio.” (H.BERGSON, Saggio sui dati immediati della coscienza, II, 19-21)

8 II incontro: M. HEIDEGGER, Essere e Tempo
1) Cenni sulla vita, sulle opere e sul pensiero centrale dell’autore. 2) Introduzione all’opera Essere e Tempo: “Non guardiamo alla risposta , ma ripetiamo la domanda. Che cosa è accaduto della domanda? Si è trasformata. “Che cos’è il tempo?” è diventato: “chi è il tempo?”. Più precisamente: siamo noi stessi il tempo? O ancora più precisamente: sono io il mio tempo? Così mi faccio il più vicino possibile al tempo, e se intendo bene la domanda allora con essa tutto si è fatto serio. Dunque questo domandare è il modo più adeguato di accedere al tempo e di trattarlo in quanto ogni volta mio. Allora l’esserci sarebbe problematicità” (M. HEIDEGGER) Pubblicata nel 1927, l’opera Essere e Tempo (Sein und Zeit) viene consacrata come il più autorevole e significativo contributo di quegli anni alla filosofia dell’esistenza,” a quel filone di pensiero, cioè, che aveva messo in primo piano la riflessione sulla dimensione individuale e irripetibile della vita umana contro tutte le astrattezze e le generalizzazioni concettuali” (M. CHIAUZZA, Filosofia e dintorni – Il tempo, ed. PARAVIA).

9 II incontro: M. HEIDEGGER, Essere e Tempo
Il vero tema dell’opera, come lo stesso autore tornò spesso a ribadire non era l’esistenza, bensì appunto l’essere. Ora, poiché il senso dell’essere si definisce solo interrogando l’uomo, allora l’uomo ed il suo particolare modo di essere, l’esistenza, è ciò che Heidegger, nel corso dell’opera, chiamerà “ESSERCI”. E come mai, lungo questo cammino diviene centrale il problema del tempo? Risposta: la temporalità è costitutiva dell’esistenza poiché quast’ultima, dilatandosi nel futuro, è interamente immersa nel tempo, proiettata verso il proprio da farsi. Come direbbe poetando Borges: El tiempo es la sustancia de que estoy hecho. El tiempo es un rio que me arrabatta, pero yo soy el rio; es un tigre que me destroza, pero yo soy el tigre; es un fuego que me consume, pero yo soy el fuego. (Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume; è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; è un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco.) (J.L. BORGES, Nueva refutacion del tempo, in Otras inquisiciones, Emecè,BuenosAires, 1960, p. 301)

10 Premessa e lettura del testo:
Il testo che segue è tratto da una conferenza tenuta da Heidegger nel 1924 dinanzi ai teologi di Marburgo; in essa il filosofo presentava le linee essenziali delle sue ricerche sul tempo. Nel brano che segue si trovano delineati i tratti dell’ESSERCI, la cui autenticità sta nell’”essere per la morte”. L’essere dell’uomo è l’”essere della possibilità del non più”. Questa consapevolezza proietta l’esserci nel futuro, facendo, appunto, del tempo la struttura stessa dell’Esserci. Il tempo degli orologi. “…Sotto quale forma il fisico vede il tempo? Il coglimento determinante del tempo ha il carattere della misurazione. La misurazione indica la durata e il quando, il da-quando-a-quando. Un orologio è un sistema fisico nel quale si ripete costantemente la stessa successione temporale di stati, a condizione che questo sistema fisico non sia sottoposto al mutamento per un’incidenza esterna. La ripetizione è ciclica. Ogni periodo ha la stessa durata temporale. L’orologio dà una stessa uguale durata che si ripete costantemente, e alla quale ci si può sempre rifare. La suddivisione di questo intervallo è arbitraria. L’orologio misura il tempo in quanto riporta l’estensione della durata di un accadimento a uguali successioni di stati dell’orologio e, in base a ciò, la determina numericamente nella sua quantità.

11 Che cosa esperiamo del tempo per mezzo dell’orologio
Che cosa esperiamo del tempo per mezzo dell’orologio? Il tempo è qualcosa in cui un “punto-ora” può essere fissato a piacimento in modo tale che, di due diversi punti temporali, l’uno è sempre prima e l’altro poi, senza che alcun “punto-ora” del tempo si distingua dall’altro. In quanto “ora” esso è il possibile prima di un poi, in quanto “poi” è il possibile poi di un prima. Generalmente questo tempo è omogeneo. Solo in quanto il tempo è costituito come tempo omogeneo, è misurabile. Il tempo è pertanto uno svolgersi i cui stadi stanno in rapporto fra loro come il prima al poi. Ogni prima e poi è determinabile partendo da un “ora”, che però è a sua volta arbitrario. Se si guarda a un accadimento servendosi dell’orologio, l’orologio rende esplicito l’accadimento più in relazione al suo scorrere nell’”ora” che alla quantità della sua durata. La determinazione primaria operata di volta in volta dall’orologio non è l’indicazione della durata, della quantità di tempo che fluisce nel presente, ma il rispettivo fissare l’”ora”. (…) Che cos’è l’”ora”?Dispongo dell’”ora”? Sono io l’”ora”? E’ ciascun altro l’”ora”? In tal caso sarei io stesso il tempo, ciascun altro sarebbe il tempo. E nel nostro essere l’uno con l’altro saremmo il tempo - nessuno e ciascuno. Sono io l’”ora”, oppure sono solo colui che dice “ora”? E lo dico con l’orologio o senza? Ora, di sera, di mattina, questa notte, oggi: ci imbattiamo qui in un orologio che l’esistenza umana si è procurata da sempre, l’orologio naturale dell’alternarsi di giorno e notte.

12 L’Esserci, come “essere per la morte”, è il tempo.
Com’è che l’esistenza umana si è procurata un orologio già prima che esistessero orologi da tasca o solari? Io dispongo forse dell’essere del tempo e con l’”ora” intendo, oltre al tempo, anche me stesso? Sono io stesso l’”ora” e il mio esserci è il tempo? Oppure, in fondo, è il tempo stesso che si procura in noi l’orologio? (…) La domanda che chiede che cos’è il tempo ha rinviato la nostra considerazione all’esserci, se con “esserci” si intende l’ente che noi conosciamo come vita umana, nel suo essere. (…) L’essere temporale – rettamente compreso – dovrebbe quindi essere l’asserzione fondamentale dell’esserci relativamente al suo essere. (…) ( M. HEIDEGGER, Il concetto di tempo, Adelphi, Milano, 1998, pp ).

13 III incontro: A. Einstein.
Einstein travestito da ubriacone ha nascosto i suoi appunti in un baule è passato di qui un’ora fa diretto verso l’ultima Thule, sembrava così timido e impaurito quando ha chiesto di fermarsi un po’ qui ma poi ha cominciato a fumare e a recitare l’A B C ed a vederlo tu non lo diresti mai ma era famoso qualche tempo fa per suonare il violino elettrico in via della Povertà. ( da Via della povertà B. Dylan, F. De Andrè, F. De Gregori)

14 1) Introduzione ad Einstein e la relatività attraverso una videolezione di Piergiorgio Odifreddi
2) Riflessione filosofica sull’opera scientifica di A. Einstein attraverso la lettura di alcune pagine del libro di Federico Laudisa, ALBERT EINSTEIN, un atlante filosofico. In quest’opera l’autore riesce, in due passaggi, a presentare le linee essenziali della filosofia della scienza di Einstein e, in secondo luogo, la rilevanza del pensiero filosofico-epistemologico del grande genio per la filosofia della scienza contemporanea, fermo restando che “riflessione filosofica e indagine scientifica creano un fecondo corto circuito speculativo – e il caso di Einstein è da questo punto di vista emblematico – esse contribuiscono alla costruzione di un’immagine coerente e concettualmente robusta del mondo fisico. (…)

15 Su questo aspetto, una grande influenza è stata esercitata da un saggio di Gerald Holton del 1968 intitolato Mach, Einstein e la ricerca della realtà. In questo saggio Holton si propone di raccontare la parabola epistemologica del pensiero scientifico di Einstein, sostenendo che essa potrebbe essere definita come un autentico pellegrinaggio filosofico, una sorta di viaggio di formazione che partirebbe da una forma accentuata di positivismo e di sensismo per arrivare ad una forma decisa di realismo, abbracciata nella tarda maturità e risultato ultimo di ciò che Holton chiama una graduale riorientazione filosofica.” ( F. Laudisa, op. cit., pag. 15 ) 3) Lettura del capitolo Viaggi filosofici pp

16 IV-V-VI incontro: Nietzsche e l’Eterno Ritorno
Un punto cardine del pensiero filosofico di Nietzsche è la concezione dell’Eterno Ritorno. L’eterno ritorno dell’uguale potrebbe essere così presentato: tutto torna per l’eternità, tutto si ripete in un ciclo continuo senza fine; ciò che è già successo succederà ancora e ancora per l’eternità, sempre uguale a se stesso. Nella odierna concezione si pensa che il tempo sia lineare e che, quindi, sia un insieme di eventi che si susseguono uno dopo l’altro verso un futuro che già incalza altro futuro e progressivamente si porta sempre più lontano dal suo passato. Questo tempo lineare può essere concepito come un flusso in perenne movimento, ostinatamente proteso in avanti, mentre con l’eterno ritorno non c’è un susseguirsi di eventi ma una ripetizione di questi nel tempo, sempre allo stesso modo, così come si pensava nella Grecia presocratica.

17 Per Nietzsche il pensiero dell’eterno ritorno è stato una folgorazione, un’illuminazione improvvisa presentatasi nell’agosto del 1881 a Sils Maria, in Alta Engadina. Di esso Nietzsche ci dà la sua prima formulazione nell’aforisma 341 di La gaia scienza. Nietzsche considerò questo pensiero abissale: esso sprofonda nel senza fondo e perciò si muove negli abissi. La sua natura abissale ne fa il peso più grande, come il filosofo ebbe a titolare l’aforisma che riportiamo di seguito:

18 Il peso più grande: <<Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!». Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina»? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello? >>

19 L’aforisma inizia con l’apparizione di un demone
L’aforisma inizia con l’apparizione di un demone. Un demone parlava anche a Socrate per distrarlo da un proponimento, per porre un veto che inibisse un comportamento sbagliato. Nel Simposio di Platone un demone è Eros, nè uomo nè Dio, il mai-appagato in cammino verso la bellezza e la sapienza. Il demone di Nietzsche è inquietante, appare strisciando quando ci si trova nella solitudine più profonda, quando l’uomo non è più in questo mondo perché ha rotto ogni legame col mondo stesso. Il demone annuncia che questa vita si vivrà più e più volte sempre allo stesso modo. Nella reazione al suo annuncio si apre uno spartiacque tra l’uomo e il super-uomo: il primo è colui che si getta a terra cercando di non sentire ciò che dice il demone e maledicendolo; il secondo è colui che risponde al demone in questo modo: <<Tu sei un Dio e mai intesi cosa più divina>>.

20 Il primo è tutto disperso nella catena di attimi del tempo lineare o, come lo definisce Vattimo, edipico: in esso ogni momento uccide quello che lo precede e viene ucciso da quello che lo segue, figlio che divora il padre per essere a sua volta divorato dal figlio. Nietzsche afferma che questo è il tempo dell’infelicità perché in esso ogni attimo è in funzione del successivo nel quale ogni volta viene deposto il senso dell’accadere. Nel tempo lineare – edipico il significato è sempre pos-posto e l’attimo vissuto viene svuotato di senso: l’esistenza si trova perciò senza un significato. Il secondo è colui che può rispondere al demone : <<Tu sei un Dio e mai intesi cosa più divina>>.E tuttavia questa risposta cade sotto la condizione che la precede :<<Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso…>>. La concezione del tempo di tipo ciclico “discrimina”, ovvero scinde gli uomini in due categorie e questa divisione sembra avere la sua condizione nell’esperienza di un attimo immenso. L’attimo immenso è l’attimo che si astrae dalla catena del tempo, non è né il padre dell’attimo successivo, né il figlio del precedente. Esso è tempo liberato, sciolto dalla catena di attimi che si determinano e si fagocitano perché ogni attimo del circolo del tempo è attimo voluto ogni volta e che porta con sé il senso che la nostra volontà gli ha impresso. Esso è tale quale lo vorremmo se sapessimo che dovrà tornare per l’eternità.

21 Mentre l’uomo si trova proiettato sempre verso il futuro non possedendo così il presente e avvertendo spesso la sensazione che gli viene a mancare del tempo, il super-uomo rende invece pieno l’attimo e gli imprime un significato perché esso viene istituito dalla sua volontà e si configura unicamente come figlio della sua decisione. Se nell’aforisma 341 l’eterno ritorno sembra essere una istituzione del super-uomo, nel testo 1066 di La volontà di potenza, al punto 5, Nietzsche sembra voler suggerire invece un’interpretazione cosmologica del pensiero dell’eterno ritorno. Così scrive: << Se il mondo può essere pensato come una determinata quantità di energia e come un determinato numero di centri di forza (…) ne segue che nel grande gioco di dadi della sua esistenza deve attraversare un numero calcolabile di combinazioni. In un tempo infinito, ogni possibile combinazione deve realizzarsi almeno una volta; di più: deve realizzarsi infinite volte. E poiché fra ogni “combinazione” e il suo successivo “ritorno” dovrebbero intercorrere tutte le rimanenti combinazioni possibili in generale, e poiché ognuna di queste combinazioni condiziona l’intera successione di combinazioni della medesima serie, sarebbe dimostrato un ciclo di serie assolutamente identiche: si dimostrerebbe che il mondo è un ciclo che si è ripetuto un’infinità di volte e che gioca in infinitum il suo gioco (…) >>.

22 Il filosofo qui sostiene che nel mondo tutto è finito, finiti sono i centri di forza e finite le probabilità; perciò in un tempo infinito si deduce che le probabilità verificatesi si ripresenteranno all’infinito, per l’eternità. Non solo tutto si ripeterà in infinitum nel gioco del mondo, ma tutto accadrà sempre allo stesso modo e con lo stesso ordine di successione: così il mondo gioca il suo gioco.

23 Il primo è tutto disperso nella catena di attimi del tempo lineare o, come lo definisce Vattimo, edipico: in esso ogni momento uccide quello che lo precede e viene ucciso da quello che lo segue, figlio che divora il padre per essere a sua volta divorato dal figlio. Nietzsche afferma che questo è il tempo dell’infelicità perché in esso ogni attimo è in funzione del successivo nel quale ogni volta viene deposto il senso dell’accadere. Nel tempo lineare – edipico il significato è sempre pos-posto e l’attimo vissuto viene svuotato di senso: l’esistenza si trova perciò senza un significato. Il secondo è colui che può rispondere al demone : <<Tu sei un Dio e mai intesi cosa più divina>>.E tuttavia questa risposta cade sotto la condizione che la precede :<<Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso…>>. La concezione del tempo di tipo ciclico “discrimina”, ovvero scinde gli uomini in due categorie e questa divisione sembra avere la sua condizione nell’esperienza di un attimo immenso.

24 L’attimo immenso è l’attimo che si astrae dalla catena del tempo, non è né il padre dell’attimo successivo, né il figlio del precedente. Esso è tempo liberato, sciolto dalla catena di attimi che si determinano e si fagocitano perché ogni attimo del circolo del tempo è attimo voluto ogni volta e che porta con sé il senso che la nostra volontà gli ha impresso. Esso è tale quale lo vorremmo se sapessimo che dovrà tornare per l’eternità. Mentre l’uomo si trova proiettato sempre verso il futuro non possedendo così il presente e avvertendo spesso la sensazione che gli viene a mancare del tempo, il super-uomo rende invece pieno l’attimo e gli imprime un significato perché esso viene istituito dalla sua volontà e si configura unicamente come figlio della sua decisione. Se nell’aforisma 341 l’eterno ritorno sembra essere una istituzione del super-uomo, nel testo 1066 di La volontà di potenza, al punto 5, Nietzsche sembra voler suggerire invece un’interpretazione cosmologica del pensiero dell’eterno ritorno.

25 Così scrive: << Se il mondo può essere pensato come una determinata quantità di energia e come un determinato numero di centri di forza (…) ne segue che nel grande gioco di dadi della sua esistenza deve attraversare un numero calcolabile di combinazioni. In un tempo infinito, ogni possibile combinazione deve realizzarsi almeno una volta; di più: deve realizzarsi infinite volte. E poiché fra ogni “combinazione” e il suo successivo “ritorno” dovrebbero intercorrere tutte le rimanenti combinazioni possibili in generale, e poiché ognuna di queste combinazioni condiziona l’intera successione di combinazioni della medesima serie, sarebbe dimostrato un ciclo di serie assolutamente identiche: si dimostrerebbe che il mondo è un ciclo che si è ripetuto un’infinità di volte e che gioca in infinitum il suo gioco (…) >>. Il filosofo qui sostiene che nel mondo tutto è finito, finiti sono i centri di forza e finite le probabilità; perciò in un tempo infinito si deduce che le probabilità verificatesi si ripresenteranno all’infinito, per l’eternità. Non solo tutto si ripeterà in infinitum nel gioco del mondo, ma tutto accadrà sempre allo stesso modo e con lo stesso ordine di successione: così il mondo gioca il suo gioco.

26 Nella terza parte di Così parlo Zarathustra troviamo un testo che si intitola La visione e l’enigma. Il testo sembrerebbe ribadire in qualche modo quanto già asserito nel testo precedente elevando l’eterno ritorno a visione cosmica del perenne venire e tornare delle cose. Al punto 2 leggiamo: << …Guarda questa porta carraia! Nano! Continuai: essa ha due volti. Due sentieri convergono qui: nessuno li ha mai percorsi sino alla fine. Questa lunga via fino alla porta e all'indietro: dura un'eternità. E quella lunga via fuori della porta e in avanti – è un’altra eternità. Si contraddicono a vicenda questi sentieri; sbattono la testa l'un contro l'altro: e qui, a questa porta carraia, essi convergono. In alto sta scritto il nome della porta: "attimo". Ma chi ne percorresse uno dei due - sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno? (…) Guarda, continuai, questo attimo! Da questa porta carraia che si chiama attimo, comincia all’indietro una via lunga, eterna: dietro di noi è un’eternità.

27 Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà forse aver già percorso un’altra volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose che possono accadere, già essere accaduta, fatta, trascorsa una volta? E se tutto è già esistito: che ne pensi tu, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia - esserci già stata? E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l’una all’altra in modo tale che quest’attimo trae dietro di sé tutte le cose av venire? Dunque -- anche sé stesso? Infatti, ognuna delle cose che possono camminare: anche in questa lunga via “al di fuori” – deve camminare ancora una volta! E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna, e persino questo chiaro di luna, ed io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne bisbiglianti – non possiamo esserci tutti stati un’altra volta? E ritornare a camminare in quell’altra via al di fuori, davanti a noi, in questa orrida via – non dobbiamo ritornare in eterno? >>

28 Zarathustra e un nano scalano una montagna e giunti sulla sua cima si ritrovano davanti una porta carraia con su scritto “Attimo”. Questa porta divide in due il sentiero: uno va indietro, via lunga ed infinita, un’eternità; l’altro, se percorso interamente, in avanti, risulta essere anch’esso illimitato, un’altra eternità. Ora, dato che entrambe le strade hanno un percorso infinito si può pensare che il percorso fatto a ritroso e quello fatto in avanti coincidono, ognuno è assorbito nell’altro che, in quanto infinito, deve necessariamente contenerlo. Si tratterebbe allora di un solo sentiero che nel movimento ciclico ed infinito che lo caratterizza ci dà l’illusione del passato e del futuro essendo questo già infinitamente stato e dovendo quello infinite volte ancora, nel “futuro”, tornare. E se le due vie si identificano con il tempo passato e con il futuro e se passato e futuro coincidono, allora << Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà forse aver già percorso un’altra volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose che “possono” accadere essere già accaduta, fatta, trascorsa una volta? >>.

29 Subito a seguire, quasi una visione nella visione, la scena muta improvvisamente e ci introduce in un paesaggio surreale, dai toni fortemente onirici: << - allora vidi un cane ululare così. E lo vidi anche, il pelo irto, la testa all’insù, tremebondo, nel più fondo silenzio di mezzanotte, quando anche i cani credono agli spettri: - tanto che ne ebbi pietà. Proprio allora la luna piena, in un silenzio di morte, saliva sulla casa, proprio allora si era fermata, una sfera incandescente, - tacita, sul tetto piatto, come su roba altrui: - ciò aveva inorridito il cane (…) D’un tratto mi ritrovai in mezzo ad orridi macigni, solo, desolato, al più desolato dei chiari di luna. Ma qui giaceva un uomo! E – proprio qui! – il cane, che saltava, col pelo irto, guaiolante, - adesso mi vide accorrere – e allora ululò di nuovo, urlò: - avevo mai sentito prima un cane urlare aiuto a quel modo? E davvero ciò che vidi non l’avevo mai visto. Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca. Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e - lì si era abbarbicato mordendo.

30 La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava - invano
. La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava - invano! non riusciva a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: "Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!", così gridò da dentro di me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia pietà, tutto quanto in me - buono o cattivo - gridava da dentro di me, fuso in un sol grido. Voi, uomini arditi che mi circondate! Voi, dediti alla ricerca e al tentativo, e chiunque tra di voi si sia mai imbarcato con vele ingegnose per mari inesplorati! Voi che amate gli enigmi! Sciogliete dunque l'enigma che io allora contemplai, interpretatemi la visione del più solitario tra gli uomini! Giacché era una visione e una previsione: - che cosa vidi allora per similitudine? E chi è colui che un giorno non potrà non venire? Chi è il pastore, cui il serpente strisciò in tal modo entro le fauci? Chi è l'uomo, cui le più grevi e le più nere fra le cose strisceranno nelle fauci? - Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido: e morse bene! Lontano da sé sputò la testa del serpente -; e balzò in piedi.- Non più pastore, non più uomo, - un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise! >>

31 In un paesaggio lunare, in una terra abitata solo da spettri e cani ululanti, Zarathustra si imbatte in un pastore che si dimena nel tentativo di strapparsi un serpente dalla bocca. Tutto si presenta orrido e spaventevole in una scena predisposta per rappresentare qualcosa di enormemente raccapricciante. Cosa deve manifestarsi nella desolata e pallida luminosità lunare? Se il serpente che si raggomitola racchiudendosi in se stesso e formando un circolo può essere pensato come il simbolo dell’eternità, in questa solitaria desolazione attraversata dall’ululato di un cane è possibile cogliere l’irruzione del pensiero dell’eterno ritorno! Quando Zarathustra si accorge di non poter far nulla per aiutare il pastore, gli grida: << Mordi! Mordi! Staccagli il capo … >>. Il pastore, agendo secondo il consiglio di Zarathustra, morde e stacca la testa al serpente sputandola lontano ma trattenendo il resto del corpo dentro di sè. Se lo sputo manifesta tutto lo schifo e il disgusto del pastore, il morso tuttavia sancisce la decisione di tenersi il resto del serpente: il morso praticamente pone fine ad ogni ulteriore tentativo di trazione ed espulsione e rappresenta la vittoria del pastore che “mangiando” il serpente accetta l’idea dell’eterno ritorno e la fa sua. Dunque, il morso è l’accettazione dell’eterno ritorno che qui viene riproposto come qualcosa che è da istituire piuttosto che come realtà cosmica. L’accettazione dell’eterno ritorno comunque non lascia integra l’essenza del pastore, quale era prima dell’incontro con la fiera; infatti, dopo questo evento, il pastore diviene un “trasformato” o, per usare le parole del filosofo, il pastore diviene un Über-mensch, un Oltre-uomo: con questo termine Nietzsche indica l’uomo dell’avvenire, che è superamento di quello tradizionale, la cui essenza sembra saldamente intrecciata con l’esperienza abissale dell’eterno ritorno e la sua accettazione. L’oltre-uomo non è Zarathustra. Zarathustra lo annuncia e quindi ne è il profeta.

32 Chi è lo Zarathustra di Nietzsche?
Dal titolo del libro forse più famoso di Nietzsche, Così parlò Zarathustra, sappiamo che Zarathustra è un uomo che parla, un “parlatore”. È un avvocato ed un portavoce, è colui che guida un discorso e quindi, parlando davanti a noi, ci conduce con il suo parlare. Per capire meglio chi è Zarathustra, ma anche per capire di più circa il pensiero dell’eterno ritorno, prenderemo ora in esame, e lo seguiremo in tutta la sua esposizione, il testo di M.Heidegger, Chi è lo Zarathustra di Nietzsche? ( in Saggi e discorsi, Mursia ). Nel suo lavoro di lettura e interpretazione dell’opera di Nietzshe Così parlò Zarathustra, Heidegger comincia con il prendere in esame il testo “Il convalescente”. Il convalescente è colui che si riprende da una malattia, sente tornare le forze e si riappropria della salute. In questo caso il convalescente è proprio Zarathustra che è in cammino verso se stesso e dice: << Io Zarathustra sono l’avvocato della vita, della sofferenza, del circolo … >>. Nella prefazione dell’opera si legge inoltre: << Io ( Zarathustra ) vi insegno il superuomo >>. Il superuomo e l’eterno ritorno sono due cose strettamente connesse fra loro e Zarathustra ne è il maestro.

33 Zarathustra dice di essere l’avvocato della vita; ma cosa intende Nietzsche con vita? Nietzsche intende vita in maniera essenziale, per quello che per sua natura e fondamentalmente essa è, cioè: volontà di potenza. Dunque Zarathustra è l’avvocato della volontà di potenza. È l’avvocato dell’essenza di tutto ciò che vive. Il mondo è volontà di potenza; essa è perciò la parte fondamentale del mondo. La sofferenza per Nietzsche è strettamente legata alla vita e dunque alla volontà di potenza; si soffre quando la volontà di potenza vuole se stessa sempre di più, oltre se stessa. La volontà di potenza vuole fondamentalmente se stessa, cioè ancora più potenza, e così vuole il suo superamento, vuole cioè crescere su se stessa. La volontà si esprime nel volersi continuamente superare e in questo essa soffre, soffre per la resistenza che incontra nel suo volere, soffre per lo sforzo che essa compie. Il movimento della volontà di potenza, questo suo volere di più per tornare a sé come volontà potenziata, come volontà che si supera con altra potenza, ripete il movimento dell’oltre-uomo che, come la volontà, vuole il suo superamento.Il super-uomo, dunque, va oltre. Ma oltre cosa? Va oltre se stesso e quindi oltre l’uomo tradizionale. L’oltre-uomo è in cammino verso la propria essenza che è volontà di potenza.

34 Zarathustra insegna l’eterno ritorno e l’oltre-uomo: quest’ultimo può vivere solo in un tempo ciclico, ossia in una dimensione temporale chè è quella dell’eterno ritorno. Dopo il testo “Il convalescente” Heidegger prende in considerazione il testo “Della grande nostalgia”. Questo brano è dai toni commoventi e Nietzsche-Zarathustra non parla con il nano o con i suoi animali, il serpente e l’aquila, non parla nemmeno con gli uomini ma esclusivamente con la propria anima che, secondo la concezione di Platone, è il motore del pensiero, il luogo dell’essenza del pensiero. Zarathustra comincia dicendo: << Anima mia, io ti insegnai a dire “oggi” come se fosse “un giorno” e “un tempo”, e a danzare al di sopra di ogni “qui” e “lì” la tua danza circolare. >>

35 L’insegnamento di Zarathustra sta nel considerare il passato e il futuro come se fossero la stessa identica cosa. Tutte e tre le fasi temporali (passato, presente, futuro) è come se si trovassero in un unico presente, in un’unica continua ora. L’ora, in cui convergono l’ieri e il domani, diventa così l’unica dimensione del tempo: la filosofia, da sempre, l’ha chiamata “eternità”. Parmenide l’aveva detta “è” dopo aver negato le altre due dimensioni temporali: il passato e il futuro. Nietzsche non è parmenideo; infatti l’ora del filosofo tedesco non è immobile e statica come quella di Parmenide ma pensata a partire da una continuità che non è fissa nello stare, ma è tale in quanto l’ora ritorna eternamente. Eternità è immodificabilità e continuo movimento: l’ora, sempre identica a se stessa, ritorna sempre.

36 Perché Nietzsche inserisce nel titolo di questo testo la parola nostalgia? Il termine deriva dal greco e significa sofferenza del ritorno, percezione della lontananza e desiderio del ritorno. Nella nostalgia non si ha solo consapevolezza e percezione della lontananza: il desiderio dolorante del ritorno che ha origine nel sentimento del lontano ci rappresenta questo lontano e ce lo mantiene, così, vicino. Ma non c’è nostalgia senza speranza. Nella nostalgia il lontano è tenuto vicino; questa vicinanza, della cui lontananza si soffre, accende la speranza del ritorno.Nella seconda parte di “Così parlò Zarathustra” troviamo un brano dal titolo “Delle tarantole”. << Giacchè: che l’uomo sia redento dalla vendetta – questo è per me il ponte verso la speranza suprema e un arcobaleno dopo la tempesta. >> Zarathustra, in questo frammento, ci indica la Speranza Suprema e ci mostra il ponte attraverso il quale si deve passare per raggiungerla: << un arcobaleno dopo la tempesta >>. L’arcobaleno in questo caso non congiunge il cielo con la terra: per Nietzsche non c’è altro oltre questo mondo, la terrestrità è l’unica dimensione concessa all’uomo. Il ponte è la redenzione dell’uomo dalla vendetta. Ma non si pensi che così Nietzsche voglia trasmettere un messaggio morale o evangelico; non si parla di perdono, non si fa cenno al “porgi l’altra guancia”. “Vendetta” per Nietzsche ha un significato puramente filosofico e metafisico. Il reale significato della parola vendetta lo si trova nella seconda parte del “Così parlò Zarathustra”, nel testo “Della redenzione”: << Ma questo, soltanto questo, è la vendetta stessa: l’avversione della volontà contro il tempo e il suo “così fu” >>.

37 In questo testo Nietzsche ci dice qual è l’essenza della vendetta: l’avversione della volontà contro il tempo e il suo così fu. Questa avversione non è da intendere come odio. È avversione della volontà, e il tempo è ciò verso cui la volontà è avversa. Il così fu del tempo ci mette in primo piano il passare del tempo rappresentandolo nelle sue tre fasi. Il tempo è qualcosa che viene sempre a noi e se ne va, e va semplicemente perché passa. In questo passare il tempo diventa il così fu. Quindi l’avversione della volontà è contro il passare del tempo? È forse questa la sofferenza di tutto il vivente, essendo la volontà di potenza l’essenza di tutto ciò che vive?

38 La volontà soffre del passare del tempo perché non può nulla contro lo scorrere del tempo. Soffre perché il così fu è il macigno che la volontà non riesce a rovesciare. La Redenzione, ovvero la liberazione dalla vendetta, vuole che l’avversione, il no della volontà, diventi un si. Ma dire si al passare del tempo non nega la volontà stessa che gli è avversa? La volontà non soccombe perché il suo si è esso stesso un atto di volontà, una sua affermazione. Nel volere il passare del tempo e nel volerlo come un flusso perenne, la volontà vuole che il passare ritorni sempre, vuole l’Eterno Ritorno dell’uguale. Questo stesso ritorno avrà la caratteristica del permanente, quindi dell’essere, in quanto torna eternamente.

39 Perché l’oltre-uomo può vivere solo nell’eterno ritorno?
L’oltre-uomo accetta-vuole l’idea del ritornare sempre uguale di tutte le cose. L’eterno ritorno è così una sua istituzione. L’oltre-uomo vuole il ritorno sempre uguale delle stesse cose, vuole il loro passare perché solo così possono ritornare: questo incessante passare è ciò che costantemente rimane mentre tutto va. Il circolo del tempo è la ruota dell’essere che imprime al passare il carattere della stabilità. Per questo Nietzsche può dire che l’eterno ritorno è l’estrema approssimazione del mondo dell’essere a quello del divenire, il luogo in cui ciò che è sempre stato estremamente lontano (l’ essere dal divenire, e viceversa, per la loro reciproca e filosoficamente insolubile contraddizione) viene alla sua estrema vicinanza. Heidegger scrive: << Poiché vuole l’ultrapotenziamento di se stessa, la volontà non si acquieta a nessun livello di vita, per alto che sia. La volontà esercita la potenza nell’ oltrepassamento del suo stesso volere. Essa ritorna costantemente a se stessa come eguale a se stessa>>. ( M.Heidegger, Sentieri interrotti, La sentenza di Nietzsche “Dio è morto”, La Nuova Italia )

40 L’inappagamento della volontà porta la volontà solo inessenzialmente fuori di sé in un andare che è un continuo ritorno perché la volontà vuole fondamentalmente soltanto se stessa come volontà di potenza che è, in ultima analisi, volontà di volontà. Il tornare sempre identico delle cose nell’eterna curvatura del tempo secondo Heidegger allora riprodurrebbe il movimento circolare della volontà che, volendo, in fondo non si allontana mai veramente da se stessa ma sempre a sé ritorna come più-di-volontà che vuole eternamente soltanto se stessa, sempre allo stesso modo. Volontà di potenza ed eterno ritorno esprimono quindi l’ente nel suo insieme, il mondo, dicendone rispettivamente la sua essentia e la sua existentia. La volontà di potenza rappresenta l’essenza di tutto ciò che vive, l’eterno ritorno esprime invece l’esistenza, il modo dell’ente: il suo tornare eternamente uguale a se stesso, come volontà che vuole eternamente se stessa.


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