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5 LEGGENDE DA SFATARE PER UNA BUONA SCUOLA

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Presentazione sul tema: "5 LEGGENDE DA SFATARE PER UNA BUONA SCUOLA"— Transcript della presentazione:

1 5 LEGGENDE DA SFATARE PER UNA BUONA SCUOLA
SILVANO TAGLIAGAMBE BERGAMO E TREVIGLIO APRILE 2016

2 PRIMA LEGGENDA «LA CONOSCENZA
VA TRASFERITA» 1

3 LE DIVERSE MODALITÀ DELLA COMUNICAZIONE Modelli di comunicazione
Retroazione Modelli di comunicazione

4 IL MODELLO LINGUISTICO DI JAKOBSON
Contesto Messaggio Mittente Destinatario Canale Codice Radio TV, …

5 Contesto Messaggio Mittente Destinatario Canale Codice
QUESTO MODELLO È IMPERNIATO SULL’IDEA DELLA COMUNICAZIONE COME PROCEDIMENTO AUTOMATICO E OBBLIGATO Contesto Messaggio Mittente Destinatario Canale Codice Radio TV, …

6 The message is the medium
Mc Luhan Contesto Messaggio Mittente Destinatario Canale Codice Mc Luhan The message is the medium

7 SOLUZIONE DELLA PATOLOGIA COMUNICATIVA:
LA RIDONDANZA Contesto Messaggio Mittente Destinatario Canale Codice Ridondanza

8 MUTAMENTO DEL MODELLO LINGUISTICO
Condivisione Mittente e Destinatario pur condividendo il codice: Intersoggettività Non condividono Gli obiettivi di fondo Il modo di usare il codice il senso da assegnare alle parole Contesto Messaggio Mittente Destinatario Canale Codice

9 JURI LOTMAN-ANDREJ KOLMOGOROV
Due tipi di codici: dispositivi che agiscono in modo veloce e automatico e dispositivi che richiedono uno sforzo cognitivo Kolmogorov

10 JURI LOTMAN E ANDREJ KOLMOGOROV Comunicazione veloce e automatica
TU contesto Comunicazione veloce e automatica

11 JURI LOTMAN E ANDREJ KOLMOGOROV Comunicazione veloce e automatica
TU IO Contesto comune Comunicazione veloce e automatica

12 JURI LOTMAN E ANDREJ KOLMOGOROV Comunicazione veloce e automatica
TU IO Contesto comune Comunicazione veloce e automatica

13 JURI LOTMAN E ANDREJ KOLMOGOROV Comunicazione con «sforzo cognitivo»
TU IO Contesto comune Comunicazione con «sforzo cognitivo»

14 MODELLIZZARE : PER TENTATIVI ED ERRORI
TU IO Si può solo ipotizzare

15 COMUNICAZIONE INIZIALE
TU IO

16 COMUNICAZIONE È UN FARSI…
TU IO Diventare buoni traduttori sulla base dello scambio comunicativo

17 JURI LOTMAN Quando manca uno «sfondo condiviso» la comunicazione diventa un lavoro di traduzione e non di semplice trasferimento di un messaggio Codici creativi Kolmogorov

18 JURI LOTMAN E ANDREJ KOLMOGOROV
Nelle situazioni di mancanza di un codice condiviso la relazione tra le intenzioni dei parlanti e lo sforzo degli ascoltatori nella costruzione di un equilibrio comunicativo viene ad assumere un ruolo di primo piano negli scambi comunicativi. In questi casi la comunicazione è un lavoro di traduzione Alla lingua del TU Dalla lingua dell’IO

19 JURI LOTMAN E ANDREJ KOLMOGOROV
La nozione di sforzo cognitivo applicata al linguaggio apre la strada all’idea della comunicazione come una forma di equilibrio precario, risultato di continui riaggiustamenti tra le intenzioni comunicative del parlante e le aspettative che l’ascoltatore ha nel cogliere queste intenzioni. È questo, appunto, il senso della traduzione Alla lingua del TU Dalla lingua dell’IO

20 JURI LOTMAN E ANDREJ KOLMOGOROV
In un modello di questo tipo comunicare è sfruttare i punti di appoggio (gli indizi offerti dal parlante) con cui erigere la costruzione di uno spazio di convergenza (sfondo condiviso) tra i sistemi concettuali di chi parla e di chi ascolta. Lo sforzo del comprendere e lo sforzo del farsi comprendere è un sintomo dell’attività dei comunicatori di mantenere costantemente in vita questa forma di equilibrio traduzione Alla lingua del TU Dalla lingua dell’IO

21 JURI LOTMAN E ANDREJ KOLMOGOROV
I 4 soggetti implicati IO TU Modello del TU Modello dell’IO

22 JURI LOTMAN E ANDREJ KOLMOGOROV
I 4 soggetti implicati IO TU Modello del TU Modello dell’IO La comunicazione dell’IO si basa sul modello che egli si è fatto del TU e delle sue capacità di ascolto e di comprensione

23 JURI LOTMAN E ANDREJ KOLMOGOROV
I 4 soggetti implicati IO TU Modello del TU Modello dell’IO La comprensione del TU si basa sul modello che egli si è fatto dell’IO e delle sue intenzioni comunicative

24 JURI LOTMAN E ANDREJ KOLMOGOROV
IO TU contesto Necessita’ di un contesto comune da costruire

25 JURI LOTMAN E ANDREJ KOLMOGOROV
Affrontare in questi termini lo studio del linguaggio significa evidenziare il passaggio dall’analisi degli enunciati all’elaborazione del discorso come un tutto «olistico» traduzione Alla lingua del TU Dalla lingua dell’IO

26 JURI LOTMAN E ANDREJ KOLMOGOROV
Il flusso del parlato, da questo punto di vista, non è una semplice successione di frasi: produrre-comprendere un discorso non è produrre-comprendere un enunciato dietro l’altro. Il modello automatico del linguaggio spiega gli aspetti della comunicazione che dipendono dall’analisi in costituenti delle frasi (microanalisi), ma non è in grado di dar conto di alcune proprietà del linguaggio dipendenti dalla relazione tra enunciati (macroanalisi) Alla lingua del TU Dalla lingua dell’IO

27 LO “SPAZIO DEL MALINTESO”/1
Lo spazio interposto tra due individualità, il luogo dell’estraneità, viene chiamato da Franco La Cecla “il malinteso”, in quanto è qui che avvengono qui gli scontri e le tensioni (ma anche l’incontro e il dialogo”). “Il malinteso è il confine che prende forma”, proprio perché è in virtù della sua presenza che si definiscono le culture, le diversità, i diversi modi di vedere il mondo. Nello spazio dell’incontro/scontro il malinteso diviene occasione e luogo di traduzione dei linguaggi, una sorta di compromesso per cercare di raggiungere un’intesa. “Il malinteso assolve ad una funzione sociale: è la società stessa; essa imbottisce lo spazio tra gli individui dell’ovatta, dei piumini, delle menzogne ammortizzanti”.

28 LO “SPAZIO DEL MALINTESO”/2
La Cecla mostra come il malinteso e l’incomprensione tra le culture siano stati, storicamente, una risorsa per incontri duraturi e fecondi. Non è per nulla detto, infatti, che l’incontro tra le culture possa avvenire solo in conformità ad una comune valutazione delle situazioni di vita. Anzi, i fraintendimenti, i malintesi (anche se non in tutte le loro forme) possono diventare "lo spazio in cui le culture si spiegano e si confrontano, scoprendosi diverse. Il malinteso è il confine che prende una forma. Diventa una zona neutra, un «terrain-vague», dove le identità, le identità reciproche si possono attestare, restando separate appunto da un malinteso". Nel malinteso, nel fraintendimento, potremmo dire, facciamo esperienza dell’alterità dell’altro.

29 LO “SPAZIO DEL MALINTESO”/3
Il malinteso può pertanto divenire una buffer-zone, una zona cuscinetto in cui sperimentare delle forme semplificate e superficiali di "incontro". Avremo quindi i "giochi di faccia", la messa in scena di vere e proprie maschere culturali, di cliché e stereotipi, che spesso, sottolinea La Cecla, non sono altro che ciò che una cultura è disposta a concedere di sé agli altri, a "dare ad intendere" agli altri per gestire le "relazioni" da posizione di vantaggio o solamente per poter "essere lasciata in pace". In tal modo il malinteso (beninteso) può diventare uno strumento per evitare conflitti irreparabili, oppure (qualora questi ultimi si diano) può essere un modo di "dare tempo al tempo" per "raffreddarli" e, a volte, per guarirli.

30 Lo spazio intermedio è alla base della comunicazione interessante e creativa
TU Spazio intermedio IO

31 LO SPAZIO INTERMEDIO COME BASE DELLA COMUNICAZIONE
Con il passaggio dal modello della comunicazione classico, quello di Jakobson, a quello alternativo proposto da Lotman e Kolmogorov il baricentro del processo comunicativo si sposta dalla centralità del messaggio e dai soggetti che sono coinvolti nel processo medesimo (mittente e destinatario) verso lo spazio intermedio tra questi ultimi, che può essere più o meno pieno, in caso di presenza di uno sfondo condiviso, che funge da terreno di intersezione tra i rispettivi codici, o del tutto vuoto, in caso di reciproca estraneità di questi ultimi.

32 LO SPAZIO INTERMEDIO COME BASE DELLA COMUNICAZIONE
Questo spazio vuoto non è però un semplice nulla, una semplice assenza o mancanza, il non-ente che cancella l'ente, ma il luogo proprio della comunicazione, cioè un nulla che eccita e stimola quest’ultima e da cui scaturisce la sua stessa possibilità.

33 SECONDA LEGGENDA: L’ANALOGIA MENTE/COMPUTER 2

34 COSTRUZIONISMO Il costruzionismo è basato sulla teoria del costruttivismo secondo la quale l'individuo che apprende costruisce modelli mentali per comprendere il mondo intorno a lui. Secondo Seymour Papert, il processo di apprendimento è un processo di costruzione di rappresentazioni più o meno corrette e funzionali del mondo con cui si interagisce. Rispetto al costruttivismo, il costruzionismo introduce il concetto di artefatti cognitivi, ovvero oggetti e dispositivi che facilitano lo sviluppo di specifici apprendimenti. Il costruzionismo sostiene che l'apprendimento avviene in modo più efficiente se chi apprende è coinvolto nella produzione di oggetti tangibili. In questo senso il costruzionismo è connesso all'apprendimento esperienziale e ad alcune teorie di Jean Piaget.

35 IL COGNITIVISMO Nel corso degli ultimi anni è entrata in crisi l’architettura per la modellizzazione dei processi cognitivi che fino a qualche tempo fa godeva di un’egemonia presso che incontrastata. Un’architettura definisce le capacità fondamentali di elaborazione del sistema cognitivo. L’approccio tradizionale, basato sull’idea della mente come sistema simbolico fisico, che si avvale di un linguaggio formalizzato e sull’analogia mente-computer, ha avuto l’innegabile merito di sottolineare la possibilità di una organizzazione ordinata, razionale del percorso di apprendimento e di porre le basi di quella che può essere considerata una “teoria dell’istruzione” ben definita e coerente.

36 IL COGNITIVISMO Punto d’avvio dell’applicazione di questa architettura ai processi d’insegnamento può essere considerata la famosa Conferenza di Woods Hole del 1959 coordinata da Bruner, nella quale emerse l’esigenza di definire un approccio “scientifico- razionale” all’attività didattica, alla sua strutturazione sequenziale, alla valutazione “oggettiva” degli apprendimenti, di delineare le linee generali di una “teoria dell’istruzione” e furono messi a punto alcuni criteri di quello che diverrà l'approccio curricolare e che possono essere così sintetizzati: definire operativamente l’obiettivo da conseguire; valutare le conoscenze in ingresso; scomporre analiticamente l’obiettivo in sotto-obiettivi elementari; fornire feed-back orientativo durante il processo.

37 un codice computazionale qualsiasi ANALOGIA MENTE-COMPUTER
IL CONCETTO DI RAPPRESENTAZIONE DEL COGNITIVISMO Equivalenza simbolica tra: un’entità reale del mondo, oggettivamente data, e un codice computazionale qualsiasi in potenza molteplicemente realizzabile in qualsivoglia diverso supporto (ad es. cervello e software di un computer) PRESUPPOSTO DI PARTENZA: ANALOGIA MENTE-COMPUTER

38 IL COGNITIVISMO Il suo punto di debolezza, successivamente riconosciuto dallo stesso Bruner, stava nel riferimento a un modello dell’intero spettro dei processi cognitivi troppo rigidamente ricalcato su una sua componente, sia pure importante, come quella che si esprime in una specifica rappresentazione del pensiero scientifico che concentra l’attenzione sulle forme e modalità di trattamento ed elaborazione dell’informazione, trascurando, ad esempio, le questioni legate ad aspetti come la “ricerca del significato”.

39 IL COGNITIVISMO Oggi questo approccio si rivela carente soprattutto per il fatto di non aver prestato la debita attenzione a dimensioni che appaiono sempre più centrali ai fini dello sviluppo dei processi d’insegnamento/apprendimento. Cerchiamo di capire quali siano questi limiti. Il cognitivismo, nella versione egemone all’interno di esso del funzionalismo, è basato sull’idea idea fondamentale che uno stato mentale sia uno stato funzionale, appunto, che svolge cioè una funzione ben precisa all’interno della complessiva attività mentale di un agente prescindendo da come questa funzione è realizzata fisicamente. Si tratta, quindi, di un approccio che guarda all’organizzazione o alla struttura logica di un sistema, e non alla sua composizione fisica.

40 IL COGNITIVISMO Se ad esempio si ritiene che il computer sia una macchina intelligente il cui funzionamento sia assimilabile ai processi di pensiero e che è in grado di eseguire qualsiasi tipo di funzione calcolabile, si può impostare un’analogia tra il cervello e il calcolatore medesimo, in virtù della qual la mente può essere appropriatamente e senza equivoci caratterizzata come il “software del cervello”. È evidente che, nel farlo, si guarda al tipo di ruolo che viene svolto, e non alle proprietà fisiche dei due sistemi in gioco, essendo del tutto ovvio che le proprietà neurologiche del cervello non hanno nulla a che vedere con le configurazioni elettriche che realizzano le descrizioni software della macchina.

41 IL COGNITIVISMO Il presupposto che sta alla base di questo modo di trattare il problema è che l'atto del pensare, in generale, non implichi l’uso di simboli qualunque, ma richieda la manipolazione di simboli che abbiano una struttura particolare, costituita da un insieme di relazioni valide intersoggettivamente, come quelle del calcolo logico o della matematica, che non si prestano a essere fraintese e non sono quindi soggette a errori di interpretazione. A questo primo livello abbiamo, dunque, un concetto di rappresentazione associato alla convinzione che pensare equivalga a operare non con un linguaggio qualsiasi, bensì con simboli aventi la struttura di ciò che si chiama linguaggio formalizzato, che consente di procedere (dalle premesse alla conclusione) in modo rigoroso, attraverso regole ben precise.

42 IL COGNITIVISMO Il computer è una macchina intelligente che opera in questo modo: passando da un simbolo all’altro sulla base di una procedura rigorosa che non contempla affatto la comprensione di ciò che i simboli significano, cioè degli oggetti, eventi, processi ai quali essi si riferiscono. La mente, tuttavia, non opera soltanto in questo modo: essa pensa (in parte) costruendo un qualche tipo di "modello" del suo ambiente, un "modello del mondo", cioè elaborando una rappresentazione anche del contesto in cui opera. Questo "modello", non deve assomigliare al mondo, non più di quanto una mappa, geografica, stradale, ferroviaria, debba ricalcare le caratteristiche del territorio al quale si riferisce: è sufficiente l'esistenza di qualche tipo di relazione tra il tessuto di simboli interno al modello e le proprietà del contesto esterno. In questo modo la mente, operando all’interno del suo sistema di rappresentazione, può decifrare ciò che accade al di fuori di essa.

43 IL COGNITIVISMO Come scriveva Putnam, un funzionalista, oggi pentito: "Si mettano insieme queste due idee e ciò che risulta si può chiamare l' Ipotesi fondamentale della psicologia cognitiva: che la mente usa un linguaggio formalizzato (o qualcosa di molto simile a un linguaggio formalizzato) sia come mezzo di calcolo sia come mezzo di rappresentazione". Quello che interessa al cognitivismo nella sua versione funzionalistica è quindi salvaguardare i processi mentali e difenderne la natura astratta in quanto processi computazionali, evitando, nello stesso tempo di cadere in una qualsiasi forma di riedizione del dualismo cartesiano tra il corpo e la mente. Viene di conseguenza escluso in modo netto che la mente sia una sostanza ontologicamente indipendente dal corpo: e ciò nonostante si ritiene che gli stati mentali possano essere individuati e trattati in modo indipendente dalla loro realizzazione cerebrale e che si possa legittimamente assumere una prospettiva che eviti di ridurre la mente al cervello.

44 L’ALTERNATIVA: IL COSTRUZIONISMO
Seymour Papert delinea il termine costruzionismo in un documento intitolato Constructionism. A New Opportunity for Elementary Science Education definendolo: "Una parola che indica due aspetti della teoria della didattica delle scienze alla base di questo progetto. Dalle teorie costruttiviste in psicologia prendiamo la visione dell'apprendimento come una ricostruzione piuttosto che come una trasmissione di conoscenze. Successivamente estendiamo il concetto dei materiali manipolativi nell'idea che l'apprendimento è più efficiente quando è parte di un'attività come la costruzione di un prodotto significativo".

45 IL COSTRUZIONISMO Secondo il costruzionismo, dunque, se esso viene correttamente interpretato e applicato, la questione fondamentale dalla quale non si può prescindere per trattare la questione della natura e dell’efficacia dei processi di insegnamento e apprendimento è quella del rapporto tra processi cognitivi e artefatti cognitivi.

46 IL COSTRUZIONISMO Ciò significa, concretamente, che per rendere realmente efficace l’introduzione delle LIM e dei devices nell’attività scolastica occorre, in primo luogo, riflettere sulle tecnologie di fronte alle quali oggi ci troviamo e con le quali dobbiamo necessariamente fare i conti. Esse non sono soltanto un mondo di macchine, di attrezzi e congegni meccanici, di apparati fisici (l’hardware), o un insieme di regole, di programmi, di codici e di algoritmi necessari per far funzionare le macchine (il software), ma anche e soprattutto strumenti di costruzione di competenze e competenze e di socializzazione e organizzazione (il cosiddetto brainware o knoware).

47 PERCEZIONE E AZIONE: IL MODELLO CLASSICO
Sensazione, percezione e controllo motorio “localizzati” in aree corticali diverse: sensazioni prevalentemente all’interno delle aree     sensoriali primarie; percezione prodotto di “aree associative”, prevalentemente temporo-parietali; controllo dei movimenti nelle aree motorie e premotorie localizzate nella porzione posteriore del lobo frontale (corteccia frontale agranulare).

48 L’IPOTESI DELLE DUE VIE
via dorsale che inizia nella corteccia V1, attraversa l'area V2 (dove in parte viene elaborata), e giunge all’area dorsomediale e all’area visiva MT (Medio Temporale, nota anche come V5) e in seguito alla corteccia parietale posteriore; via ventrale che inizia nella corteccia V1, va verso l'area visiva V2, poi verso l'area visiva V4 e raggiunge la corteccia temporale inferiore.

49 L’IPOTESI DELLE DUE VIE
La via dorsale è spesso definita anche la via del “dove”, oppure la via del “come”, ed è associata al movimento, alla rappresentazione spaziale della posizione degli oggetti e al controllo di occhi e braccia, specialmente quando l'informazione visiva serve per afferrare un oggetto, oppure nei movimenti saccadici ; La via ventrale è definita la "via del cosa”, associata al riconoscimento delle forme e alla rappresentazione degli oggetti. Secondo questa ipotesi si ha quindi una dicotomia tra la percezione e l’azione e il “come” è scisso dal “cosa”.

50 L’IPOTESI DELLE DUE VIE
Ma la distinzione anatomica tra la via ventrale e le vie dorsali può condurre a una contrapposizione funzionale tra una visione-per-la-percezione e una visione-per-l’azione? Rizzolatti e la sua équipe ritengono di no, perché ciò significherebbe ridurre la percezione a una pura rappresentazione iconica degli oggetti, alla raffigurazione di una cosa, indipendente da qualsiasi dove e da qualunque come, e l’azione a un’intenzione che discrimina tra un come e forse un dove, ma nulla ha a che fare con il cosa.

51 L’IPOTESI DELLE DUE VIE
Ciò equivarrebbe a relegare il processo percettivo a mera identificazione di figure (idee, nel senso letterale della parola), emendate da qualunque pregnanza motoria ed elevate al rango di unici possibili veicoli di significato, e di frantumare il senso dell’azione in una semplice successione di movimenti di per sé privi di correlato oggettuale.

52 In questa immagine la corteccia visiva primaria (l’area 17 di Brodmann) viene mostrata in rosso; l’area 18 in arancio e la 19 in giallo.

53 In questa immagine vengono mostrate la via dorsale (in verde) e la via ventrale (in porpora), che originano entrambe dalla corteccia visiva primaria.

54 IL FLUSSO DI INFORMAZIONI DAL MONDO ESTERNO
Processo unidirezionale: dalle aree corticali posteriori (sensoriali e associative) alle aree motorie frontali           qui integrazione con il prodotto della elaborazione della corteccia prefrontale, sede dei processi decisionali e degli aspetti più sofisticati dell’intelligenza.

55 IL NUOVO MODELLO ALTERNATIVO
Molteplicità di circuiti parieto-premotori, localizzati nella corteccia motoria del lobo frontale e in quella parietale posteriore, che integrano informazioni sensoriali e motorie relative a una certa parte corporea e ne assicurano il controllo all’interno di distinti sistemi di coordinate spaziali di riferimento. Abbiamo cioè una molteplicità di “rappresentazioni corticali” di distinti effettori che assolvono a funzioni diverse.

56 IL CONCETTO DI RAPPRESENTAZIONE DELLE NEUROSCIENZE
La rappresentazione è un modello di controllo interattivo organismomondo. Ha una natura: preconcettuale; prelinguistica; relazionale; intenzionale.

57 IL CONCETTO DI AZIONE DELLE NEUROSCIENZE
Inscindibilità di azione e scopo: ogni azione, qualunque essa sia, è caratterizzata dalla presenza di uno scopo. Gli stessi movimenti, come flettere le dita di una mano, possono essere eseguiti per conseguire fini diversi (afferrare una tazzina, grattarsi il capo, giocherellare con le dita ecc.). La presenza di scopi diversi fa di quegli stessi movimenti degli atti motori diversi. Il sistema motorio non è pertanto un semplice controllore di movimenti: alla base della sua organizzazione funzionale c’è la nozione teleologica di scopo.

58 IL CONCETTO DI AZIONE DELLE NEUROSCIENZE
Inscindibilità di azione e scopo: ogni azione, qualunque essa sia, è caratterizzata dalla presenza di uno scopo. Gli stessi movimenti, come flettere le dita di una mano, possono essere eseguiti per conseguire fini diversi (afferrare una tazzina, grattarsi il capo, giocherellare con le dita ecc.). La presenza di scopi diversi fa di quegli stessi movimenti degli atti motori diversi.

59 IL CONCETTO DI AZIONE DELLE NEUROSCIENZE
Inscindibilità di azione e scopo: Il sistema motorio non è pertanto un semplice controllore di movimenti: alla base della sua organizzazione funzionale c’è la nozione teleologica di scopo. Ciò che fa di un movimento un’azione è il finalismo, vale a dire il progetto d’azione e lo scopo che sono alla base del modo con cui il nostro sistema cervello-corpo-mente struttura e organizza la nostra interazione con il mondo.

60 IL CONCETTO DI AZIONE DELLE NEUROSCIENZE
Inscindibilità di azione e scopo: Una serie di esperimenti di registrazione di singoli neuroni dalla corteccia premotoria di scimmia condotta agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso da Giacomo Rizzolatti e dal suo gruppo di ricerca dell’università di Parma, portarono alla scoperta nell’area F5 di neuroni motori che vengono attivati non durante l’esecuzione di semplici movimenti, ma di atti motori, cioè di movimenti finalizzati al raggiungimento di uno scopo. Nel caso specifico, si trattava di neuroni che scaricavano ogni volta che la scimmia afferrava un oggetto, indipendentemente dal fatto che lo facesse con la mano destra, sinistra, oppure con la bocca. Il movimento di ognuna di queste diverse parti corporee è controllato da gruppi muscolari del tutto diversi. Né muscoli né movimenti possono quindi costituire il comune denominatore alla base dell’attivazione di questa popolazione neuronale. Il comune denominatore è costituito dallo scopo di quegli atti motori.

61 LE TRE VIE DELLA PERCEZIONE VISIVA
OPTIC ATAXIA Via ventrale IT IPL SPL Controllo on-line dell’azione Controllo motorio basato sulla percezione Consapevolezza dello spazio Rappresentazione astratta dell’azione Via ventro-dorsale Via dorso-dorsale LE TRE VIE DELLA PERCEZIONE VISIVA

62 The LA VIA VENTRO-DORSALE
(F4-VIP)

63 AREA F4 Tendere la mano Voltare la testa

64 LA VIA VENTRO-DORSALE:F5c-PF/PFG

65 L’AREA PREMOTORIA F5 TRE CLASSI DI NEURONI: - NEURONI PURAMENTE MOTORI
- NEURONI VISUO-MOTORI: - NEURONI CANONICI - NEURONI MIRROR

66 NEURONI CANONICI Neuroni premotori che codificano lo scopo di particolari atti motori, come afferrare o manipolare oggetti, attivati anche dall’osservazione degli stessi oggetti, pur in assenza di qualsiasi movimento attivo dell’animale. Questi neuroni rispondono all’osservazione di oggetti le cui intrinseche caratteristiche fisiche (forma, grandezza) sono intimamente correlate con il tipo d’azione ‘codificato’ da quegli stessi neuroni.

67 NEURONI CANONICI L’aspetto più interessante dei neuroni canonici è costituito dal fatto che in una considerevole percentuale di essi è stata osservata una congruenza fra l’elevata selettività motoria per un particolare tipo di prensione (per es., opponendo il pollice al dito indice per afferrare oggetti piccoli) e la selettività ‘visiva’ dimostrata per oggetti di piccole dimensioni che, sebbene differenti per la forma (per es., cubo, cono e sfera), tuttavia, per essere afferrati, richiedono egualmente lo stesso tipo di prensione codificato da un punto di vista motorio dagli stessi neuroni. Queste risposte ‘visive’ non preparano né preludono ad alcuna azione verso gli oggetti che la scimmia si limita a osservare.

68 NEURONI CANONICI Studi successivi hanno dimostrato che anche nel cervello umano l’osservazione di oggetti manipolabili determina l’attivazione delle cortecce premotorie e parietali posteriori. L’interpretazione data di queste risposte visive riscontrate in neuroni motori è che gli oggetti, la cui osservazione determina la risposta dei neuroni canonici, vengono da essi analizzati in termini relazionali. L’osservazione di un oggetto, pur in un contesto che con esso non prevede alcuna interazione attiva, determina l’attivazione del programma motorio che si impiegherebbe se si volesse interagire con l’oggetto.

69 NEURONI CANONICI Vedere l’oggetto significa di conseguenza simulare automaticamente cosa faremmo con quell’oggetto; significa simulare un’azione potenziale. In altre parole, gli oggetti non sono unicamente identificati, differenziati e categorizzati in virtù della propria mera ‘apparenza’ fisica, bensì anche in relazione agli effetti dell’interazione con un agente potenziale. Secondo questa prospettiva, l’oggetto acquista così una valenza significativa solo in virtù della propria relazione dinamica con il soggetto/agente fruitore di questa relazione.

70 IL SISTEMA MIRROR PER L’AZIONE NEGLI UMANI

71 NEURONI MIRROR L’osservazione di un oggetto determina l’attivazione del programma motorio che impiegheremmo se volessimo interagire con l’oggetto. Vedere l’oggetto significa evocare automaticamente cosa faremmo con quell’oggetto. Significa simulare un’azione potenziale, l’oggetto è l’azione potenziale.

72 NEURONI MIRROR intenzionali pragmatiche.
La “naturalità” del mondo è un prodotto delle relazioni intenzionali pragmatiche. Tali relazioni uniscono il soggetto/agente all’oggetto in un rapporto correlativo di donazione di senso reciproco.

73 I NEURONI MIRROR: (Gallese et al. 96 Brain)
Scaricano quando le azioni sono eseguite o osservate. (Gallese et al. 96 Brain) Scaricano quando le conseguenze dell’azione possono essere solo predette. (Umiltà et al Neuron) • Scaricano anche quando l’azione può solo essere udita. (Kohler et al Science) INCARNANO UNA RAPPRESENTAZIONE ASTRATTA DELL’AZIONE

74 I NEURONI MIRROR Uno degli aspetti forse più interessanti della scoperta di questi neuroni consiste nel fatto che, per la prima volta, è stato identificato un meccanismo neurale che consente una traduzione diretta fra la descrizione sensoriale (visiva e uditiva) di un atto motorio e la sua esecuzione. Questo sistema d’accoppiamento permette di tradurre i risultati dell’analisi visiva di un movimento osservato in qualcosa che l’osservatore è capace di comprendere, nella misura in cui l’osservatore già lo possiede pragmaticamente ed esperienzialmente.

75 I NEURONI MIRROR Percepire un’azione in quanto azione, e non semplicemente come una sequenza di movimenti, quindi comprenderne il significato per noi, equivale a simularla internamente, equivale cioè ad attivare il suo programma motorio pur in assenza dell’esecuzione fattuale di quella stessa azione. Ciò consente all’osservatore di utilizzare le proprie risorse neurali per penetrare il mondo dell’altro dall’interno, mediante un meccanismo automatico e prelinguistico di simulazione motoria.

76 SOMATOTOPIA DELL’OSSERVAZIONE DI UN’AZIONE
del piede Azione della mano Azione della bocca Buccino et al. 2001

77 IL CONCETTO DI AZIONE DELLE NEUROSCIENZE
Inscindibilità di azione e scopo: Un gruppo di neuroni premotori, tradizionalmente considerati parte della via finale comune mediante cui l’agente risponde a stimoli esterni, si rivela pertanto strettamente correlato con il livello più astratto di descrizione del movimento: il progetto d’azione e lo scopo che si intende raggiungere con esso.

78 IL CONCETTO DI AZIONE DELLE NEUROSCIENZE
La correlazione di azione e scopo emerge ancora più chiaramente da una serie di esperimenti recenti in cui gli stessi neuroni premotori dell’area F5 sono stati registrati mentre la scimmia afferrava oggetti con una pinza che, per la sua particolare conformazione, la obbligava a eseguire movimenti della mano opposti a quelli normalmente impiegati per afferrare un pezzo di cibo; i neuroni per l’afferramento continuavano a scaricare durante l’afferramento del cibo con la pinza, anche se il conseguimento dello scopo era raggiunto impiegando movimenti del tutto opposti a quelli naturali. Questi risultati dimostrano che ciò che tali neuroni rappresentano/controllano è lo scopo dell’atto motorio e non i mezzi, cioè i movimenti, richiesti per conseguirlo.

79 INTERRELAZIONE E INTERSEZIONE DI PERCEZIONE-AZIONE
Se guardiamo ai meccanismi secondo cui funziona il nostro cervello ci rendiamo conto di quanto astratta sia la descrizione abituale dei nostri comportamenti che tende a separare i puri movimenti fisici dagli atti che tramite questi verrebbero eseguiti. atti eseguiti dai movimenti puri movimenti fisici

80 INTERRELAZIONE E INTERSEZIONE DI PERCEZIONE-AZIONE
I più recenti risultati ottenuti dalle neuroscienze hanno evidenziato quanto siano improponibili la riduzione della percezione a una rappresentazione iconica degli oggetti, indipendente da qualsiasi dove e da qualunque come, e la concomitante riduzione dell’azione a un’intenzione che discrimina tra un come e, forse, un dove, ma nulla ha a che fare con il cosa. Quello motorio non è un puro sistema esecutivo e di controllo, ma un ruolo attivo e decisivo anche nella costituzione del significato degli oggetti e nella loro percezione.

81 INTERRELAZIONE E INTERSEZIONE DI PERCEZIONE-AZIONE
La percezione non è una rappresentazione iconica degli oggetti, indipendente dal dove e dal come, Non prescinde dall’azione e dall’intenzione Quello motorio non è un puro sistema esecutivo e di controllo, Il sistema motorio ha un ruolo attivo e decisivo nella costituzione del significato degli oggetti e nella loro percezione.

82 GLI EFFETTI DELL’AZIONE RIPETUTA SUI CIRCUITI CEREBRALI
È del 1995 il primo studio sugli umani che dimostra che il movimento rapido delle dita, per quattro settimane, causa un allargamento dell’area corticale primaria, deputata all’organizzazione del movimento delle dita. In questo studio, realizzato con la risonanza magnetica, si dimostrò che l’allargamento dell’area corticale motoria persisteva per mesi, fin quando l’esercizio poteva essere richiamato alla mente. Ciò vuol dire che l’esercizio ripetuto aveva creato nuovi circuiti stabili.

83 INTRECCIO E SINCRONICITÀ
Oggi i diversi ambiti dell’esperienza umana s’intrecciano sempre più tra di loro e si raccordino reciprocamente non più secondo la logica dell’alternanza, del «prima» e del «poi», bensì secondo quella della sincronicità, della compresenza. La percezione, ad esempio, tende a essere considerata non più uno stadio antecedente e indipendente rispetto all’azione, ma come un’implicita preparazione dell’organismo ad agire: percezione e azione sarebbero, pertanto, compresenti, così come la conoscenza e la sua applicazione.

84 ONTOLOGIA RELAZIONALE
L’oggetto cessa di esistere per sé stesso, ed è per noi solo in quanto si trova a essere in un rapporto di relazione intenzionale, cioè pragmatica, con un agente potenziale. Le invarianze del mondo degli oggetti non vanno quindi viste esclusivamente come caratteristiche intrinseche del mondo fisico, ma come il risultato dell’interazione peculiare con organismi agenti. Possiamo così definire il concetto di visione (e per traslazione anche quello delle altre modalità sensoriali) in un modo completamente nuovo. Da un lato, i processi sensoriali costituiscono il presupposto dell’azione, ma contemporaneamente sono anche parte dell’azione.

85 «CERVELLO CHE COMPRENDE» e «CERVELLO CHE AGISCE»
Il «cervello che comprende», il «cervello che decide» e il «cervello che agisce» sono dunque inscindibilmente correlati. Il «cervello che comprende» è, contemporaneamente e necessariamente, anche un «cervello che decide» e un «cervello che agisce». Anche per questo non si può accumulare un sapere che duri e basti per tutta una vita: anche conoscenza e applicazione, istruzione e lavoro risultano fortemente interconnessi e compresenti, pur senza fondersi.

86 «CERVELLO CHE COMPRENDE» e «CERVELLO CHE AGISCE»
Il problema fondamentale di fronte al quale ci pone questa situazione è allora quello di stabilire come possano i vari aspetti e ambiti significativi dell’esperienza umana, correlati, rispettivamente, al «cervello che comprende» (istruzione e formazione) , al «cervello che agisce» (lavoro) e al «cervello che decide» (democrazia e convivenza civile) relazionarsi reciprocamente senza offuscare i punti focali che ne assicurano la specificità e i tratti distintivi. E dunque la questione madre diventa quello di fare in modo che questi domini del vissuto di ciascuno di noi si connettano tra di loro mantenendo la propria sfera d’azione.

87 «CERVELLO CHE COMPRENDE» e «CERVELLO CHE AGISCE»
Per questo occorre valorizzare un tipo d’esperienza e una forma di vita, al centro delle quali va posta non tanto la tendenza ad accumulare informazioni e conoscenze, quanto la capacità di selezionarle, discriminando tra ciò che è importante e pertinente e ciò che lo è meno, o non lo è affatto ai fini dei problemi specifici da affrontare e dei nessi e dell’interrelazione da operare tra la percezione e l’azione, tra il cervello che conosce e comprende, il cervello che agisce e il cervello che deve assumere responsabilità e prendere decisioni.

88 COSTRUZIONISMO E TECNOLOGIE
Intese in questa accezione le tecnologie hanno un duplice scopo: quello di sostenere e potenziare i processi percettivi e cognitivi soprattutto per quel che riguarda le modalità di elaborazione e di selezione dell’informazione in base a un criterio di pertinenza e le procedure per «estrarre» nuova informazione da quella già disponibile; quello di semplificare e rendere più trasparenti e controllabili le relazioni all’interno di un determinato contesto sociale e, soprattutto, di attivare legami tra le sue componenti che consentano a esse di scambiarsi informazioni, comunicazioni e conoscenze, di lavorare e decidere insieme, di gestire in termini unitari processi che una volta erano possibili solo in sistemi che disponessero dell'unità di luogo, di controllo e di tempo. I tre aspetti e stadi della tecnologia indicati sono interdipendenti, si determinano e si influenzano reciprocamente, le loro relazioni sono circolari (e non lineari o gerarchiche): ciascuno di essi è ugualmente importante e necessario.

89 COSTRUZIONISMO E TECNOLOGIE
Il costruzionismo prende marcatamente le distanze da ogni forma di «concezione salvifica» della tecnica e delle tecnostrutture improntata a un neo-determinismo tecnologico e basata sull’illusione che le nuove tecnologie configurino da sole servizi, processi, organizzazione, lavoro, culture. Parliamo di illusione in quanto le tecnologie, vecchie o nuove che siano, non sono un sostituto dell’attività di gestione dei sistemi sociali da parte dell’intelligenza umana e della capacità di quest’ultima di governarne la transizione da un assetto corrente a una modalità organizzativa desiderata e migliore, ma una loro componente, che è in grado di sviluppare la propria forza solo se viene accompagnata e sorretta da interventi di natura sociale e culturale.

90 NATURALE/ARTIFICIALE
TERZA LEGGENDA: LA CONTRAPPOSIZIONE  NATURALE/ARTIFICIALE 3

91 IL COSTRUZIONISMO Perché la prospettiva e l’approccio del costruzionismo non rimangano una semplice petitio principii bisogna però che la didattica multimediale e l’uso dei devices, cioè il ricorso agli artefatti, si pongano in linea di continuità con i processi di sviluppo dell’intelligenza naturale e in sintonia con quel crescente incontro fra le macchine realizzate dall’uomo e le macchine naturali, dal quale sta progressivamente emergendo una nuova idea di macchina, modellata più sulle «macchine interne», naturali, che su quelle «esterne», artificiali. Proprio in seguito a questo processo, come ha recentemente scritto Boncinelli, “diventa ogni giorno più sfumata la linea divisoria fra cervello e mente, tanto sul piano dell’ideazione cosciente quanto su quello del puro comportamento” (E. Boncinelli, L’anima della tecnica, Rizzoli, Milano, 2006, pp. 162 e 165).

92 FLORENSKIJ: LA PROIEZIONE DEGLI ORGANI
Già nel 1922 Florenskij aveva ipotizzato la possibilità di stabilire uno stretto parallelismo tra linguaggi del corpo e tecnologie, basato sul presupposto che gli oggetti si costruiscano a partire dalla vita organica profonda e non da quella superficiale, e che in profondità ciascuno di noi abbia potenzialmente nel suo corpo diversi organi non svelati, che può però rendere manifesti in proiezioni tecniche. Da questo deriva anche il contrario: la vita può realizzare tecnicamente la proiezione di alcuni organi prima che ci accorgiamo della loro esistenza anatomica e fisiologica in noi stessi o anche in altri organismi, in altre creazioni non umane della vita, o forse anche nell’uomo allo stato di embrione. Se lo studio degli organismi è la chiave delle invenzioni tecnologiche, allora anche, viceversa, le invenzioni tecniche possono essere considerate come il reagente per la conoscenza di se stessi.

93 FLORENSKIJ: LA PROIEZIONE DEGLI ORGANI
La tecnologia può e deve ispirare la biologia, così come la biologia deve ispirare la tecnica. Dentro di noi e anche nella vita scopriamo tecniche ancora non realizzate nella tecnologia – aspetti della vita ancora non studiati. La forma della tecnica e la forma della vita sono parallele; ma alcuni sviluppi dell’una possono andare avanti o rimanere indietro rispetto all’altra. E questo ci permette di giudicare ciascuna di queste linee per prevedere nei tempi lunghi, più di quanto abbiamo fatto finora, la forma della vita nella nostra mente, la forma della tecnologia nella realtà.

94 BONCINELLI: CONVERGENZA DI NATURALE E ARTIFICIALE
NATURALE e ARTIFICIALE si avvicinano sempre più e diventa ogni giorno più sfumata la linea divisoria fra cervello e mente, tanto sul piano dell’ideazione cosciente, tanto su quello del puro comportamento[…]. Molti congegni avventizi verranno resi organici o quasi organici in un processo di NATURALIZZAZIONE DEGLI ARTEFATTI e di CONCOMITANTE MODIFICAZIONE STRISCIANTE DELL’ORGANICO, che non sappiamo dove ci porterà.

95   CONOSCERE: NON SOLO RAPPRESENTARE, MA FARE E MANIPOLARE
Comunque si definisca la «realtà esterna» e comunque la si intenda l’uomo non può accedere direttamente a essa, ma soltanto attraverso una cascata di processi di mediazione in cui la manipolazione ha un ruolo sempre più determinante. Non ci sono «copie» degli oggetti che scivolano dentro i nostri occhi, ma solo fotoni, quanti di luce riflessi (o eventualmente emessi) dagli oggetti del mondo fisico. E questi fotoni piovono su un esteso tappeto di unità fotorecettrici distinte, la retina oculare. Queste unità fotorecettrici trasformano l’energia luminosa in segnali elettrochimici individuali che viaggiano nel tessuto nervoso. L’oggetto di partenza a questo punto è inghiottito dal brulichio dei neuroni e delle sinapsi e, da questo momento in poi, risponde alla logica del nostro campo recettivo interno, e non più a quella dello spazio esterno. Se poi l’oggetto è una microentità (meccanica quantistica, tecnologie) la mediazione degli strumenti e delle macchine e l’intervento dei processi di manipolazione sono sempre più ineludibili.

96 Damasio: “Quando le particelle di luce, i fotoni, colpiscono la retina secondo una particolare configurazione collegata a un oggetto, le cellule nervose attivate in tale configurazione – un cerchio o una croce, poniamo - costituiscono una ‘mappa’ neurale transitoria. Anche ai livelli successivi del sistema nervoso, per esempio nelle cortecce visive, si formano altre mappe collegate. E’ pur vero che esiste un concetto legittimo di configurazione e di corrispondenza tra ciò cui si riferisce la mappa e la mappa stessa. Ma la corrispondenza non è uno-a-uno e quindi non è necessario che la mappa sia fedele. Il cervello è un sistema creativo. Più che rispecchiare l’ambiente circostante, come farebbe un dispositivo artificiale di elaborazione dell’informazione, ogni cervello costruisce mappe dell’ambiente usando i propri parametri e la propria struttura interna, dunque crea un mondo specificamente legato alla classe di cervelli di struttura paragonabile”.

97 IL CERVELLO FUNZIONA COME UNA RETE
L’interesse per le reti ha portato a un conseguente approfondimento delle loro possibili topologie. In particolare si è scoperto che una vasta gamma di reti naturali, artificiali e sociali (dalle reti neuronali alle modalità di distribuzione dell’energia) posseggono una struttura particolare, intermedia fra una distribuzione perfettamente casuale (ogni nodo di una rete può essere connesso a ogni altro nodo, indipendentemente dalla distanza) e una distribuzione perfettamente ordinata (ogni nodo di una rete è allora connesso localmente ai nodi che lo circondano). In questa struttura, che si rivela sempre più interessante per capire l’organizzazione e il funzionamento del cervello, mentre la maggioranza dei nodi mantiene quasi esclusivamente relazioni a corto raggio, esistono alcuni nodi strategici (hubs) che intrattengono relazioni a lungo raggio, garantendo l’interconnessione complessiva del sistema.

98 IL CERVELLO FUNZIONA COME UNA RETE
L’interesse per le reti ha portato a un conseguente approfondimento delle loro possibili topologie. In particolare si è scoperto che una vasta gamma di reti naturali, artificiali e sociali (dalle reti neuronali alle modalità di distribuzione dell’energia) posseggono una struttura particolare, intermedia fra una distribuzione perfettamente casuale (ogni nodo di una rete può essere connesso a ogni altro nodo, indipendentemente dalla distanza) e una distribuzione perfettamente ordinata (ogni nodo di una rete è allora connesso localmente ai nodi che lo circondano). In questa struttura, che si rivela sempre più interessante per capire l’organizzazione e il funzionamento del cervello, mentre la maggioranza dei nodi mantiene quasi esclusivamente relazioni a corto raggio, esistono alcuni nodi strategici (hubs) che intrattengono relazioni a lungo raggio, garantendo l’interconnessione complessiva del sistema.

99 IL CERVELLO FUNZIONA COME UNA RETE
Grazie alla funzione di questo tipo di nodi e di relazioni tutti gli elementi del sistema possono comunicare vicendevolmente in un numero molto ristretto di passi, attraverso un numero molto ridotto di intermediari. Questo modello si basa su due assunti principali: una rete, per essere efficace, deve rispondere a due requisiti fondamentali che possono venire così sintetizzati: Essere in continua crescita; Fare in modo che un nuovo nodo che appare alla ribalta nell’ambito di essa si colleghi a nodi che hanno già un alto numero di connessioni. Quest’ultimo assunto è noto anche come «effetto Matteo», riferendosi al passo del Vangelo (Matteo, 25:29) nel quale si afferma “così a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza”.

100 IL CERVELLO FUNZIONA COME UNA RETE
Questo effetto small world, che esprime l’elevata interconnessione di un gran numero di reti, è stato descritto da D. Watts e S. Strogatz nel 1998 ed è subito diventato un risultato classico delle scienze della complessità. Anche il mondo nel suo complesso è uno small world: in genere ogni individuo può raggiungere ogni altro individuo in tutti gli angoli del pianeta con non più di sei passaggi intermedi (“sei gradi di separazione”). L’impatto dei modelli della complessità sulle scienze sociali e umane va tuttavia ancora più in là. A esse, oggi, ci si ispira di frequente quando si va in cerca di “strumenti per pensare” i processi cruciali del mondo contemporaneo: la globalizzazione, l’esplosione dei mezzi di comunicazione, la trasformazione degli spazi e dei tempi della vita quotidiana. Così lo studio delle valenze sociali e culturali di Internet e delle altre reti di comunicazione ha largamente approfittato dai nuovi strumenti di pensiero forniti dalla prospettiva dell’emergenza e dell’intelligenza diffusa. In particolare, la stessa topologia di Internet è apparsa inquadrabile entro il modello degli small worlds: non tutti i nodi di Internet hanno lo stesso peso, e vi sono alcuni nodi critici nel stabilire connessioni a lungo raggio che garantiscono il funzionamento della rete a livello globale.

101 IL CERVELLO FUNZIONA COME UNA RETE
È interessante anche ricordare l’incidenza che il modello di rete casuale proposto da Watts e Strogatz ha sugli studi riguardanti il linguaggio. Se si considerano le due tipologie di reti a cui si è a fatto riferimento si noterà che esse rispondono solo in parte alle condizioni del linguaggio: la rete casuale poco connessa non tiene conto del fatto che mentre parliamo ci relazioniamo con un’altra persona o con un piccolo gruppo attraverso una lingua – italiano, spagnolo, inglese – usando un sistema teoricamente condiviso da milioni di persone. Però, partendo da questo punto, così come viene rappresentato dalla rete regolare, daremo alla stesso modo importanza al fatto che i legami delle conversazioni si riproducano in doppia, in tripla copia. Ed è qui che assume particolare interesse l’effetto piccolo-mondo, o dei "6 gradi di separazione", secondo cui due nodi qualsiasi sono in media collegate da sei passaggi, con la connettività del sistema che rimane alta, descritto appunto da Watts e Strogarz.

102 IL CERVELLO FUNZIONA COME UNA RETE
Questo infatti è esattamente quello che accade nel linguaggio. Una lingua non è una rete regolare (statica) come vorrebbero farci credere le elaborazioni metalinguistiche, tecniche o informali con le quali solitamente ci confrontiamo. È invece una rete interamente casuale. Grazie ad alcune riconnessioni possiamo tranquillamente passare da un sentimento a un altro e da un utente all’altro. Per questo comprendiamo quello che ci si sta dicendo, anche se prestiamo attenzione a pochi elementi del discorso completo, e per questo le lingue sono gli elementi fondamentali della coesione sociale, che consentono di condividere credo religiosi e informazioni attraverso un numero minimo di intermediari.

103 IL CERVELLO FUNZIONA COME UNA RETE
Sia che le reti siano regolari, casuali o caratterizzate dall’effetto del piccolo-mondo, si definiscono attraverso tre concetti statistici: L: lunghezza del discorso tipo; C: coefficiente di raggruppamento; <k>: grado medio. In generale i reticoli regolari esibiscono un raggruppamento, però manifestano pochissimo l’effetto del piccolo-mondo mentre la L è alta. Al contrario, le reti casuali presentano l’effetto del piccolo-mondo, la L è bassa e hanno uno scarso indice di raggruppamento. Questo è dovuto al fatto che C e L sono alti nella prima e bassi nelle seconde mentre le reti del piccolo-mondo hanno un alto coefficiente di raggruppamento più elevato di quello che ci si aspetterebbe da una rete casuale.

104 IL CERVELLO FUNZIONA COME UNA RETE
Un altro parametro che caratterizza queste reti è <k>. Nei reticoli regolari tutti i nodi hanno la stessa probabilità di essere connessi, il che conduce alla distribuzione Delta di Dirac. Nelle reti aleatorie, sia in quelle aleatorie pure sia in quelle con presenza dell’effetto del piccolo-mondo, appare la distribuzione di Poisson, con pochi nodi con la probabilità media <k> e tutti gli altri che si muovono rapidamente da una parte all’altra del punto di singolarità. Si tratta di una rete esponenziale.

105 IL CERVELLO FUNZIONA COME UNA RETE
In queste reti la distribuzione della connettività reticolare è omogenea, con un massimo del valore medio. È qui che interviene l’apporto che ha fornito Barabasi, in collaborazione con Albert. Essi hanno scoperto che alcune reti complesse tanto biologiche (processi metabolici) quanto tecnologiche (Internet) sono a invarianza di scala (scale-free) e la distribuzione della connettività obbedisce alla legge di potenza (power law-form). Questo vuole dire che ci sono scaling (cambi di scale) e che, insieme a nodi che si adattano ad una certa legge della connettività, ci sono altri pochi nodi con una connettività molto alta, come si può ben comprendere quando si raffronta una cartina stradale (senza scaling) con la mappa dei collegamenti aerei di un paese nel quale ci sono pochi aeroporti che fungono da hub centralizzato di quasi tutti i voli.

106 IL CERVELLO FUNZIONA COME UNA RETE
Il Nobel per la medicina 2014 è stato assegnato a John O'Keefe e ai coniugi May Britt ed Edvard Moser per la scoperta del sistema di cellule nervose che costituisce una rete, grazie alla quale il cervello dispone costantemente delle corrdinate spaziali del luogo in cui si trova e si può quindi orientare. La struttura di riferimento di questa rete è l’ippocampo, che nel ratto ha la grandezza di un piccolo pisello che srotola oltre 40 KM di connessioni con una potenza di 10 miliardi di contatti. È proprio grazie a questi contatti che la memoria diventa "nostra" (Io sono quello che sono) e che i significati neutri sono personalizzati ed orientati dentro la nostra “forma di vita” e il nostro mondo.

107 IL CERVELLO FUNZIONA COME UNA RETE
La fessura d’ippocampo, che connette le due omonime formazioni dei due lati del cervello, è molto sviluppata nell’encefalo dei Mammiferi ove è posteriore e ventrale rispetto all’altra commissura, anteriore e dorsale (il corpo calloso). Essa si approfonda nei ventricoli laterali, estendendosi intorno al talamo che ne viene circondato dorsalmente in direzione caudale fino a raggiungere la parte ventrale nel lobo piriforme dell’emisfero o lobo d’ippocampo. I neuroni dell’ippocampo caratteristicamente tendono a reagire con un’attivazione intensa anche a stimolazioni minime e hanno una scarica postuma protratta. Particolarmente importante è l’intervento dell’ippocampo nell’attenzione, nell’apprendimento, nel condizionamento e nei processi mnesici.

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109 IL CERVELLO FUNZIONA COME UNA RETE
L’aspetto interessante è che il linguaggio si trova tra questi due ultimi fenomeni, cosa che conosciamo da quando Zipf formulò la legge che prende il suo nome che però, ultimamente, è caratterizzata da un approccio particolare quando la mettiamo in relazione con altre reti complesse che obbediscono ugualmente alla legge di potenza e presentano cambi di scala (Xiao e Guanrong, 2003).

110 IL CERVELLO FUNZIONA COME UNA RETE
Il linguaggio (o altre relazioni umane che lo presuppongono, come il fatto di essere coautori di un articolo) si allontana da tutte le altre reti per il suo alto coefficiente di raggruppamento, mentre rimangono entro i valori medi sia la lunghezza (L) delle connessioni, sia il grado esponenziale. In ogni caso l’occorrenza concomitante di parole nei discorsi si basa nel fatto che il lessico presenta una struttura reticolare sostenuta dalle sinapsi neuronali del cervello, come hanno evidenziato Edelman e Tononi. Le reti di parole sono caratterizzate dall’effetto del piccolo mondo. Questo facilita enormemente la comunicazione, e pensando alla grande quantità di parole che memorizziamo, qualsiasi destinatario finale può essere raggiunto con pochi stadi intermedi. In più il linguaggio è una rete a invarianza di scala, per questo ci sono certi termini frequenti che tendono a collegare tutti e la perdita di uno solo di questi nodi può danneggiare il sistema, mentre la perdita degli altri lo lascia inalterato (è quello che si definisce solidità).

111 IL CERVELLO FUNZIONA COME UNA RETE
Tutti questi studi sono di grande interesse ai fini dello studio dell’organizzazione interna e del funzionamento del cervello in quanto mostrano come sia possibile costruire una rete dove esistono, al contrario dei primi modelli di reti democratiche, pochi nodi che hanno un numero altissimo di connessioni, diventando così il “cuore” della rete. Poiché il cervello lavora in modo distribuito e massicciamente parallelo, ecco che anche settori un tempo ritenuti nel confine strettamente motorio diventano sorprendentemente parti di attività “superiori” e di strategie che, nate per la sopravvivenza, si sono poi sviluppate in altro modo o mostrano un aspetto “dormiente”.

112 IL CERVELLO FUNZIONA COME UNA RETE
Spesso la fMRI (Risonanza Magnetica Funzionale) ha permesso di svelare certi aspetti di queste strutture. Un esempio: il cervelletto sarebbe un organo che raffina la precisione del gesto (una disfunzione porta a tremore rapido, incoordinazione, ecc.). Questa funzione non può che essere parte della mente “incarnata”, dato che il gesto raffinato dalla goffaggine motoria che altrimenti ne deriverebbe ci connota nel mondo esterno. Si è inoltre visto che funzioni neglette, come odori e sapori, pervadono le attività cerebrali in un modo viscerale, a volte come e più della vista (Proust e il sapore della madeleine, riassaporato dopo anni, che ricorda al protagonista le giornate d'infanzia passate a casa della zia malata a Combray).

113 MARCEL PROUST: LA RECHERCHE
Quando un rumore, un odore già ascoltati o respirati prima, lo sono di nuovo a un tempo nel presente e nel passato, veri senza essere attuali, ideali senza essere astratti, ecco che viene liberata l’essenza permanente e solitamente nascosta delle cose, e il nostro vero io, che talvolta da lungo tempo sembrava morto ma non lo era del tutto, si sveglia e si anima ricevendo il “nutrimento celeste che gli viene apportato”. Secondo lo stesso procedimento si recuperano, ex post, anche emozioni di cui si scopre la portata anche molto dopo che i fatti cui esse sono legate sono in realtà avvenuti, come nella scena degli stivali in cui il narratore scopre, a un anno di distanza, che cosa la morte della nonna abbia rappresentato per lui.

114 MARCEL PROUST: DU CÔTÉ DE CHEZ SWANN
Coesistenza di finito e infinito nel tempo: “Un homme qui dort tient en cercle autour de lui le fil des heures, l’ordre des années et des mondes”. L’io proustiano, al di là della sua molteplicità letteraria, è anche un io psicologico multiplo, per il quale coesistono plurimi io coscienti, alterati incessantemente dallo scorrere del tempo, e un “io vero», quello inossidabile, “eterno”, dice Proust, recuperato dalla memoria.

115 EVOLUZIONE NATURALE E EVOLUZIONE CULTURALE
Le recenti scoperte nel campo della paleoantropologia e dell’archeologia corroborano inoltre la tesi che il pensiero simbolico non sia emerso all’improvviso, attraverso un processo di sola acquisizione culturale, ma si sia invece evoluto gradualmente, in relazione diretta all’evoluzione anatomica di Homo sapiens, nel corso di un lungo arco temporale in cui è risultata determinante anche l’evoluzione biologica. “L’esistenza di forme primitive di comportamenti simbolici nei sapiens africani mostra che è possibile retrodatare a un periodo precedente a anni fa l’avvento del simbolo e della modernità comportamentale e che, dunque, il presunto scarto temporale tra evoluzione anatomica ed evoluzione comportamentale non ha più ragione d’essere sostenuto. Nella filogenesi della nostra specie evoluzione biologica ed evoluzione comportamentale-culturale sono tratti convergenti e strettamente interconnessi: l’avvento del pensiero simbolico dipende (anche) dai processi dell’evoluzione biologica e non (esclusivamente) da quelli dell’evoluzione culturale.

116 EVOLUZIONE NATURALE E EVOLUZIONE CULTURALE
Questo nesso tra evoluzione naturale ed evoluzione culturale, tra materia e pensiero, tra «res extensa» e «res cogitans», tra gesti manuali e suoni vocali, tra pianificazione gerarchica delle azioni e produzione linguistica, tra costruzione di strumenti ed elaborazione del linguaggio umano, tra attuazione di piani gerarchici di comportamenti e sintassi del linguaggio è la chiave per la comprensione del simbolo. Questo significa che per poterne cogliere la natura e il significato occorre, prima di tutto, abbandonare ogni tentazione di ridurlo al solo simbolo linguistico, facendo partire la sua storia da ciò che avviene dopo la disponibilità del linguaggio.

117 EVOLUZIONE NATURALE E EVOLUZIONE CULTURALE
Alla base del passaggio dai segnali determinati al sistema simbolico propriamente detto vi sono presupposti che possiamo così schematizzare: la duplice capacità degli organismi viventi di garantirsi l’appropriatezza alla situazione nella quale vivono ancorandosi al contesto spaziale in cui sono «gettati» e, nello stesso tempo, di «sganciarsi» da esso, proiettandosi in un altrove immaginato e desiderato; la duplice capacità di ancorarsi all’«ora», a quel presente che costituisce la base imprescindibile del tempo e, nello stesso tempo, di proiettarsi nel futuro, anticipandone in qualche modo gli sviluppi; la duplice capacità (che è alla base delle due precedenti) di prestare la massima attenzione alla situazione stimolo di fronte alla quale ci si trova senza tuttavia esserne condizionati al punto da non riuscire a sganciarsi da essa facendone emergere entità arbitrarie e astratte.

118 EVOLUZIONE NATURALE E EVOLUZIONE CULTURALE
Questi presupposti sono alla base di un’ipotesi, quella del STRP (Sistema Triadico di Radicamento e proiezione), che è di particolare importanza e interesse ai fini del nostro discorso, in quanto sembra accreditare l’idea che in questo sistema convergano dispositivi cognitivi accomunati da un intento funzionale comune. Come sottolineano Buckner e Carroll “il pensiero sul futuro, il ricordo degli eventi del passato, la possibilità di concepire la prospettiva altrui (la teoria della mente) e la navigazione nello spazio impiegano questo network, e ciò indica che tali capacità dipendono da modalità di elaborazione simili e da sistemi cerebrali in grado di sorreggere la percezione di punti di vista alternativi. Forse queste capacità, tradizionalmente considerate distinte, vengono comprese meglio se considerate come parti di una più ampia funzione in grado di gestire forme flessibili di auto-proiezione”. R.L. Buckner, D.C. Carroll, Self-projection and the brain, ‘Trends in Cognitive Science’, 11, 2007, p, 55.

119 EVOLUZIONE NATURALE E EVOLUZIONE CULTURALE
Per quanto elaborino tipi di informazione molto diversi, i tre sistemi cognitivi trovano un punto di convergenza nella capacità di sganciare l’organismo dalla situazione attuale per proiettarlo in situazioni alternative nello spazio, nel tempo e nell’ambiente sociale. Tale convergenza è testimoniata dall’operare congiunto dei sottocomponenti implicati in vari compiti cognitivi: la capacità di rappresentare lo spazio è molto spesso collegata alla capacità di rappresentare il tempo; la capacità di attribuire stati intenzionali guardando il mondo con gli occhi degli altri, come vuole la teoria simulazioni sta, comporta anche necessariamente una dislocazione spaziale. Sul piano anatomico, le comunanze funzionali di tali sistemi di elaborazione poggiano su aree cerebrali comuni (nello specifico, i lobi frontali e il lobo mediale temporale-parietale). L’ipotesi della convergenza funzionale e strutturale di un macrosistema di questo tipo è stata confermata empiricamente anche da Spreng e collaboratori.

120 EVOLUZIONE NATURALE E EVOLUZIONE CULTURALE
Questa concezione del simbolo sembra essere la chiave per impostare in maniera aderente alle risultanze convergenti delle ricerche delle diverse discipline che abbiamo ricordato la questione, cruciale, del rapporto tra l’immagine, la parola e il gesto. La prospettiva diacronica sulla quale essa si regge e che la supporta pone in primo piano, come fattore decisivo per la nascita del linguaggio, quella predisposizione a esso sviluppatasi nell’Homo sapiens grazie all’«integrazione multimodale» di azioni manuali, facciali e vocali e quella sorta di “spirale in espansione“ (expanding spiral ) che si è avviata proprio in virtù dell’interazione tra il protosegno e il protolinguaggio e del ponte, che ha così cominciato a prender forma e consistenza, tra il sistema motorio, il linguaggio e il ragionamento, tra il corpo, le parole e i concetti. Secondo questo approccio a fornire l’impalcatura per il protolinguaggio vocale è stato il protolinguaggio manuale, che ha permesso lo sviluppo della massa critica neurale necessaria ai sapiens per l’origine del linguaggio (della sintassi e della semantica composizionale) come risultato di un’innovazione culturale e non biologica.

121 EVOLUZIONE NATURALE E EVOLUZIONE CULTURALE
È per questo che, oltre a Dehaene, molti altri autori, come ad esempio Lakoff e Núñez, Giuseppe Longo e tanti matematici e logici, anche immersi o prossimi al formalismo, ammettono i limiti di un approccio che, per essere perfettamente, meccanicamente rigoroso, ritiene di poter evitare ogni riferimento all’azione nello spazio e nel tempo e invitano di conseguenza a guardare al senso come atto radicato in gesti antichissimi, e per questo solidissimi, quali il contare qualcosa, l’ordinare, l’orientazione della linea numerica mentale e la pluralità di pratiche a essi collegate, che non sembrano dipendere né dal sistema di scrittura, né dall’educazione matematica. A questi gesti il linguaggio e la scrittura hanno dato l’«oggettività dell’intersoggettività», la stabilità della notazione comune, fornendo le strutture portanti del ponte di cui si parlava.

122 4 QUARTA LEGGENDA:  LA «CABINA DI REGIA»

123 IL «FRAMING» COME BASE DEL FUNZIONAMENTO DEL CERVELLO
Il funzionamento del cervello si basa sui «frame», che sono reti neurali associative. Il «framing» è il processo con cui si selezionano e sottolineano alcuni aspetti di eventi o temi, e si stabiliscono fra loro connessioni in modo tale da promuovere una particolare interpretazione, valutazione e/o soluzione.

124 La perdita del concetto di spazio e localizzazione
Damasio - Edelman e Changeux: selezionisti Idea di finestra temporale Spazio e localizzazione aree memoria parola colore Cervello oggi : sincronizzazione temporale Cervello nell’ ‘800 : spazialità delle funzioni

125 La sostituzione del concetto di spazio con il tempo
Concetto di tempo e di sincronizzazione temporale Finestra temporale (illusione di una finestra spaziale)

126 Rappresentazione della palla colorata
Queste mappe si attivano all’interno di una finestra temporale movimento colore forma tempo illusione di una finestra spaziale

127 Processo di multipli - Mappe neuroniche Sistemi sovraordinati di mappe
Multipli che si organizzano in modo unitario Sistemi sovraordinati di mappe Mappe rientranti Sistemi neuronici Mappe neuroniche

128 Coesistenza di voci differenti
Damasio Sistema polifonico Coesistenza di voci differenti Selezione

129 Coesistenza di voci differenti
Damasio Sistema polifonico Coesistenza di voci differenti

130 Assenza centro di comando Ipotesi Zona di Convergenza
Assenza di un centro di comando Damasio: Teatro cartesiano Ipotesi Zona di Convergenza IZC Sinapsi Mappe di Neuroni 10 Mld di neuroni Mld di sinapsi

131 COME AFFRONTARE L’OGGETTO DI STUDIO:
DECOSTRUZIONE. Frammentazione dei «formati linguistici» tradizionali (testi, suoni, immagini) e loro trascrizione in un codice di base fatto di lunghe catene di stringhe binarie (gli 0 e 1 dell’informazione digitalizzata) gestite non più attraverso apparati e strumenti diversi, ma con lo stesso apparecchio (il cellulare, ad esempio).  RICOSTRUZIONE. Reinserimento degli item e degli atomi della conoscenza così ottenuti in un «tessuto relazionale» e in un contesto, disciplinare o tematico, per evitare ogni rischio di dispersione e di mancanza di sistematicità

132 ANCHE LA TECNOLOGIA FUNZIONA COSÌ
Gli artefatti sono stratificazioni più o meno complesse in cui il sistema finale è composto da sottosistemi, ciascuno dei quali è a sua volta composto da sottosistemi di livello più basso e così via fino ai componenti di base. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione realizzano questo modello nel modo più compiuto e complesso. Dal silicio in su, fino alle applicazioni (Word, Excell, Facebook, suoni e immagini) ci sono parecchi strati. Ad ogni strato si aggiungono non solo nuovi oggetti (Hardware), ma anche nuovi programmi (Software) per gestirli e renderli “intelligenti”. Così l’informatica è il più complesso e flessibile sistema tecnologico mai esistito. Solo i componenti di base (ad esempio i circuiti logici) sono inventati, progettati e prodotti sulla base di principi fisici. Ma nella creazione di sistemi il progettista e l’inventore debbono operare una sorta di «assemblaggio» e, a partire dalle funzioni dei dispositivi di livello inferiore, che sono più o meno gli stessi a disposizione di tutti, debbono creare un oggetto di cui essi definiscono il significato, cioè l’uso e l’utente. LE metafore del LEGO o del Meccano aiutano a capire quello che succede.

133 La perdita del concetto di spazio e localizzazione
Damasio - Edelman e Changeux: selezionisti Idea di finestra temporale Spazio e localizzazione aree memoria parola colore Cervello oggi : sincronizzazione temporale Cervello nell’ ‘800 : spazialità delle funzioni

134 La sostituzione del concetto di spazio con il tempo
Concetto di tempo e di sincronizzazione temporale Finestra temporale (illusione di una finestra spaziale)

135 Rappresentazione della palla colorata
Queste mappe si attivano all’interno di una finestra temporale movimento colore forma tempo illusione di una finestra spaziale

136 Assenza centro di comando Ipotesi Zona di Convergenza
Assenza di un centro di comando Damasio: Teatro cartesiano Ipotesi Zona di Convergenza IZC Sinapsi Mappe di Neuroni 10 Mld di neuroni Mld di sinapsi

137 5  QUINTA LEGGENDA: L’INFORMAZIONE SENZA SUPPORTO

138 IL RACCORDO TRA PROCESSI COGNITIVI E ARTEFATTI COGNITIVI
Stabilire un raccordo tra naturale e artificiale, tra cervello e computer significa, concretamente, elaborare un progetto didattico che specifichi quale deve essere l’apporto dei device utilizzati nelle aule scolastiche alla crescita di quello che possiamo definire il «supporto materiale» dell’informazione e della conoscenza. Va a questo proposito rilevato che perché ci si possa riferire all’informazione e, a maggior ragione, alla conoscenza, e le si possa utilizzare, gestire convenientemente e trasmettere, è necessario disporre di un supporto materiale adatto. L’informazione, infatti, è sempre «portata da» o «trasmessa su», o «memorizzata in» o «contenuta in» qualcosa, che non coincide con l’informazione stessa, come si può facilmente evincere dal fatto che la stessa informazione può essere scritta su supporti differenti o che lo stesso supporto può portare informazioni diverse. Alcuni supporti, come ad esempio l’aria, risultano particolarmente adatti alla trasmissione dell’informazione, ma non alla sua conservazione e memorizzazione. Per poter parlare di informazione in questi casi e con queste finalità (registrazione, assimilazione e durata) è pertanto decisiva la stabilità e l’efficacia del supporto materiale in cui l’informazione è contenuta.

139 INFORMAZIONE e COMUNICAZIONE
Per informazione intendiamo la pura e semplice trasmissione dei dati e della conoscenza, logicamente rigorosa e che nulla concede all'enfasi della espressività, della retorica, tutti fattori che giocano un ruolo importante ai fini del coinvolgimento dell'interlocutore. Per comunicazione intendiamo, invece, l'informazione quando è caricata di tratti non essenziali e spesso contraddittori dal punto di vista logico, ma che vogliono intenzionalmente interessare, coinvolgere, a volte anche condizionare l'interlocutore.

140 INFORMAZIONE e COMUNICAZIONE
Si può parlare di informazione contenuta in un sistema di qualsiasi tipo quando l’azione di questo su altri sistemi è determinata in maniera essenziale non dalla mera quantità o natura dei suoi elementi, ma dalla loro disposizione, cioè dall’insieme delle operazioni e relazioni interne, vale a dire da quello che, tecnicamente, si chiama “struttura”. Si parla poi di trasmissione di informazione quando la riproduzione di una struttura dà luogo a repliche contenenti la stessa informazione. Entrambi i fenomeni, com’è noto, sono essenziali per la conoscenza ma anche per la vita.

141 INFORMAZIONE e COMUNICAZIONE
Detto diversamente e in modo più informale e accessibile: si parla di informazione se in macrostrutture simili sono riconoscibili microstrutture differenti. La chiave della mia automobile è tanto simile alla tua che potremmo facilmente confonderle. La mia, però, apre la portiera della mia vettura, la tua no. Non è quindi fuori luogo dire che nella microstruttura di questa chiave è contenuta un’informazione che non c’è nella tua e che viene trasmessa alla serratura, consentendoci di aprirla.

142 INFORMAZIONE e SUPPORTO
Non esiste informazione senza supporto: l’informazione è sempre “portata da”, o “trasmessa su” o “memorizzata in” o “contenuta in” qualcosa; Questo qualcosa non è l’informazione stessa; Alcuni supporti sono particolarmente adatti alla trasmissione dell’informazione, ma non alla sua memorizzazione (aria); Per poter parlare di informazione è decisiva la stabilità del supporto materiale in cui l’informazione è contenuta;

143 INFORMAZIONE e SUPPORTO
Si può parlare di informazione contenuta in una struttura quando l’azione di questa su altre strutture è determinata in maniera essenziale non dalla mera quantità dei suoi elementi, ma dalla loro disposizione 143 143

144 INFORMAZIONE E SUPPORTO
La stessa informazione può essere scritta su supporti differenti ….. 5 Lo stesso supporto può portare informazioni differenti ITALIANO: TO DO, TO MAKE, TO BUILD “fare” INGLESE: TARIFFA, PREZZO DI UNA CORSA

145 CONTENUTI ORDINATI MA PRIVI DI…

146 …L’IMPORTANZA DEL SOSTEGNO MATERIALE

147 INFORMAZIONE e SUPPORTO
Questo riferimento al «supporto materiale» riguarda e coinvolge, ovviamente, sia i processi percettivi sia quelli cognitivi. 147 147

148 IL COMPLESSO PROCESSO DELL’ELABORAZIONE VISIVA
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149 I TRE LIVELLI DELL’ELABORAZIONE VISIVA
Per quel che concerne i processi percettivi, e in particolare la visione, i neuroscienziati contemporanei hanno sviluppato un modello di elaborazione dell’informazione in tre stadi: Il primo stadio è l’elaborazione visiva di basso livello, che stabilisce le caratteristiche di una particolare scena visiva individuando la posizione di un oggetto nello spazio e identificandone il colore; Il secondo stadio, che inizia nella corteccia primaria, è l’elaborazione visiva di livello intermedio, che assembla semplici segmenti lineari, ciascuno con uno specifico asse di orientamento, ottenendo contorni che definiscono i confini di un’immagine, e costruisce una percezione unitaria della forma di un oggetto. Questo processo è detto integrazione del contorno. Al tempo stesso il livello intermedio della visione separa l’oggetto dallo sfondo in un processo chiamato segmentazione della superficie; Il terzo stadio, l’elaborazione visiva di alto livello, che si dipana lungo la via dalla corteccia visiva primaria ala corteccia temporale inferiore, stabilisce categorie e significati. Qui il cervello integra l’informazione visiva con l’informazione pertinente proveniente da una varietà di altre fonti, e ci permette di riconoscere oggetti specifici, volti e scene.

150 IL LIVELLO INTERMEDIO NELL’ELABORAZIONE VISIVA
I processi visivi di basso livello e intermedio vengono eseguiti insieme, per lo più mediante un’elaborazione bottom-up. Operando congiuntamente essi identificano come figure le aree dell’immagine che sono collegate a un oggetto e come sfondo le aree che non lo sono. Di queste due fasi, quella dell’elaborazione visiva di livello intermedio è ritenuta particolarmente impegnativa perché richiede alla corteccia visiva primaria di determinare quali segmenti appartengano a un unico oggetto e quali siano componenti di altri oggetti nel contesto di una scena visiva complessa, composta da centinaia o addirittura migliaia di segmenti di linea.

151 L’ELABORAZIONE VISIVA DI ALTO LIVELLO
Semir Zeki e David Van Essen hanno scoperto una trentina di centri che, oltre alla corteccia visiva primaria, continuano il compito di analizzare e isolare, o segregare, informazione sulla forma, il colore, il movimento e la profondità. L’informazione proveniente da tutte queste aree specializzate è segregata e viene convogliata separatamente alle regioni cognitive superiori del cervello. Tra cui la corteccia prefrontale, dove infine è coordinata in un’unica, identificabile percezione. L’elaborazione visiva di alto livello è top-down. Essa produce inferenze, controlla ipotesi confrontandole con le immagini visive ricordate di cui ha avuto precedentemente esperienza e conduce in tal modo alla percezione visiva consapevole e all’interpretazione del significato, che non è tuttavia perfetta e può indurre errori.

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153 L’ELABORAZIONE VISIVA DI ALTO LIVELLO
La rivalutazione top-down opera su quattro principi: Trascurare i dettagli che non sono comportamentalmente rilevanti in un dato contesto; Cercarne la costanza Tentare di astrarre le caratteristiche essenziali, costanti di oggetti, persone e paesaggi; E, infine, cosa particolarmente importante, confrontare l’immagine presente con immagini incontrate nel passato. Questi risultati biologici confermano che la visione non è semplicemente una finestra sul mondo, ma davvero una creazione del cervello.

154 L’ELABORAZIONE VISIVA DI ALTO LIVELLO
Come scrive lo psicologo cognitivo Chris Frith: “Ciò che percepisco non sono gli indizi grezzi e ambigui che dal mondo esterno arrivano ai miei occhi, alle mie orecchie e alla mie dita: Percepisco qualcosa di assai più ricco, un’immagine che combina tutti questi segnali grezzi con un’enorme quantità di esperienze passate. La nostra percezione del mondo è una fantasia che coincide con la realtà. C. Frith, Inventare la mente. Come il cervello crea la nostra vita mentale, Raffaello Cortina, Milano, 2009, p. 167.

155 LEOPARDI LO ZIBALDONE LA «VISIONE DOPPIA»
"All'uomo sensibile e immaginoso, che viva, come io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo ed immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà cogli occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi un suono d'una campana; e nel tempo stesso coll'immaginazione vedrà un'altra torre, un'altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obbietti sta tutto il bello e il piacevole delle cose. Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione" ( ).

156 LA PRIORITÀ FONDAMENTALE
Bruno Munari ” Tutti sono in grado di complicare, pochi sono in grado di semplificare. Per semplificare bisogna saper togliere e per togliere bisogna sapere cosa c’è da togliere”. E’ molto più difficile semplificare che complicare. E’ molto più difficile togliere che aggiungere. E’ molto più difficile procedere per intersezioni e per incastro che per sommatoria. Per sapere cosa togliere e perché bisogna disporre di un PROGETTO ben definito e dagli obiettivi chiari.

157 Henri Matisse Uno splendido esempio di questa capacità di togliere, che non è comunque d’ostacolo al riconoscimento (tutt’altro) è la face de femme del 1935 di Matisse. Pochi tratti essenziali sono sufficienti per far scattare la nostra capacità di classificare correttamente questa figura e di interpretarla come faremmo con una fotografia ben più ricca di dettagli. La percezione è selettiva Anche l’apprendimento lo è.

158 PICASSO LE TAUREAU - DICEMBRE 1945

159 PICASSO LE TAUREAU DICEMBRE 1945

160 PICASSO GUERNICA 1937

161 NEUROSCIENZE E ARTE Gli studi neurobiologici sull’elaborazione visiva cominciano a spiegare perché le strategie di un artista per evocare su una superficie bidimensionale oggetti e figure umane tridimensionali abbiano tanto successo. Nel mondo naturale i bordi che separano una superficie da un’altra o dallo sfondo sono onnipresenti. Gli artisti hanno compreso che gli oggetti sono definiti dalle loro forme, che a loro volta derivano dai loro bordi, Nella pittura l’artista può rappresentare un bordo mediante un cambiamento di colore o di luminosità da una regione all’altra o con una linea implicita. I bordi di un oggetto separano una superficie di colore, luminosità o tessitura generalmente uniforme da un’altra. Nella pittura i contorni sono importanti solo per dare una maggiore definizione a una forma.

162 FIGURA E SFONDO Gli studi sulle modalità di organizzazione del mondo visivo di tutte le specie che possono focalizzare la luce per formare immagini evidenziano che queste modalità devono essere comunque caratterizzato dalla presenza di figure segregate e ben distinte rispetto allo sfondo. Date le proprietà della luce, ci sono pochi modi per ottenere ciò. Un modo, generalissimo, è di ricavare margini o bordi laddove la stimolazione fisica rileva delle differenze. Il problema naturalmente è che in molte circostanze tali variazioni fisiche possono essere assai poco nette, per non dire indistinte, oppure possono essere presenti solo a tratti (pensate a un animale che si muove nel fitto del fogliame). Ecco allora che per mezzo della selezione naturale sono stati messi a punto dei meccanismi di interpolazione che, usando regole piuttosto semplici basate sulle regolarità statistiche dell’ambiente (similarità di colore, chiarezza e tessitura, continuità di direzione, movimento comune delle parti ecc.) estraggono, a uso e consumo dell’animale che ne ha bisogno, margini e linee di demarcazione.

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169 FIGURA E SFONDO La tendenza a estrarre margini e linee di demarcazione è così forte che gli organismi viventi tendono a vederli anche laddove fisicamente non ci sono, come nelle famose figure di Kanizsa. Si tratta di situazioni nelle quali ci troviamo di fronte a una figura anomala che, di fatto, non c’è, anche se viene vista: e questo «vedere l’invisibile» è la concreta espressione e testimonianza del fatto che abbiamo bisogno di un confine che separi e distingua la figura e lo sfondo: ne abbiamo bisogno al punto che, anche se questo confine fisicamente non c’è, siamo orientati a percepirlo ugualmente.

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173 7  PROCESSI COGNITIVI E ARTEFATTI COGNITIVI

174 Come scriveva due anni prima della sua improvvisa scomparsa Marco Mondadori, iniziando il suo manuale di “Logica” del 1997, al quale per circa un decennio aveva dedicato buona parte delle sue energie, “Ragionare dobbiamo, e spesso. Di ragionamenti facciamo un uso essenziale ed esplicito quando dobbiamo risolvere problemi importanti, si tratti di problemi pratici relativi a decisioni che influenzano significativamente la nostra vita oppure di problemi teorici che hanno a che vedere con la nostra conoscenza del mondo fisico e sociale”. In queste parole è racchiusa una elevata concezione non solo della logica e, più in generale, della filosofia, ma anche dell’insegnamento e della missione della scuola. Coltivare le capacità intellettuali richieste per inquadrare correttamente e risolvere un problema non è una virtù per una ristretta élite di pensatori, bensì una necessità per tutti coloro che non vogliano rinunciare a esercitare un controllo critico sulle decisioni importanti che li riguardano. Si tratta, inoltre, di un imperativo morale per quanti – giudici, politici, amministratori, manager – si trovino nella scomoda posizione di dover prendere decisioni importanti che riguardano “gli altri”.

175 Competenze e capacità necessarie per
inquadrare un problema e risolverlo Le possiamo così schematizzare: Analisi Analogia Astrazione Deduzione Induzione Abduzione

176 Analisi Scomposizione di un problema complesso nelle sue parti;
Può essere concepita in due modi differenti: Scomposizione di un problema complesso nelle sue parti; Riduzione di un problema a un altro

177 Astrazione Per estrazione Per soppressione Per ibridazione
Si presenta sotto diverse forme e tipologie: Per estrazione Per soppressione Per ibridazione Per spostamento dell’attenzione

178 Ibridazione Nella Géométrie Descartes tratta le curve come ibridi geometrici-algebrici-numerici che sono simultaneamente configurazioni formate spazialmente, equazioni algebriche con due incognite e una serie infinita di coppie di numeri. Y = 0,5x+3 P (0, 3) P (1, 3,5) P(2, 4) P 3, 4,5 ) P ….. (P ( x, y) Ne consegue un’instabilità, perché questi tre diversi modi di trattare le curve non sono equivalenti: ma questa instabilità conferisce alle curve una multivalenza che è la chiave per la loro indagine e per il loro impiego nella fisica della seconda metà del XVIII secolo.

179 Spostamento dell’attenzione
A = A1 - A2 = …. Prima della creazione del calcolo infinitesimale, ci si concentrava solo sugli aspetti geometrici del problema di calcolare l’area di una curva, e di conseguenza si riusciva a risolverlo solo a costo di una notevole ingegnosità. Dopo l’invenzione del calcolo, spostando l’attenzione sugli aspetti algebrici del problema, la curva venne considerata un’equazione e si poté risolvere un problema con un procedimento di routine e quasi meccanico.

180 Deduzione Premesse Assiomi E’ l’inferenza in cui un parlante sostiene che la conclusione segue necessariamente dalle premesse. Detto in termini più precisi,“per un qualsiasi enunciato S, rispetto a un insieme di enunciati K, la deduzione è una successione finita di enunciati il cui ultimo elemento è S (quello di cui diciamo, appunto, che è dedotto), e tale che ogni suo elemento è un assioma o un elemento di K, oppure segue da enunciati che lo precedono nella successione grazie a una regola d’inferenza. Un termine sinonimo è ‘derivazione’. Enunciati K Ipotesi Regole di inferenza Conclusione intermedia Premessa  Tesi: Conclusione ultima Enunciato S

181 Deduzione e sistema correlato
Premesse Premesse La deduzione è un concetto relativo a un sistema. Ha senso dire che qualcosa è una deduzione solo in relazione a un particolare sistema di assiomi e regole d’inferenza. La stessa esatta successione di enunciati può essere una deduzione in un sistema, ma non in un altro”. Sistema B Sistema A Enunciati Enunciati Regole di inferenza Regole di inferenza Conclusione intermedia Conclusione intermedia Premessa Premessa Conclusione intermedia Conclusione intermedia Tesi: Conclusione S Tesi: Conclusione S Enunciato S

182 Deduzione vs dimostrazione
Premesse Dimostrazione Il concetto di deduzione è una generalizzazione del concetto di dimostrazione. Una dimostrazione è una successione finita di enunciati, ciascuno dei quali è un assioma o segue da enunciati che lo precedono nella successione tramite una regola inferenziale. L'ultimo enunciato della successione è un teorema. La deduzione e la dimostrazione sono gli strumenti più efficaci di cui possiamo disporre per cercare di controllare la validità del ragionamento di un agente qualsiasi e i risultati da lui ottenuti, anche se i fondamentali risultati conseguiti a partire dal 1930 da Gödel, Church e Turing hanno posto limiti ben precisi a questa possibilità. Assiomi Enunciati Ipotesi Regole di inferenza Conclusione intermedia Premessa Conclusione intermedia Tesi: Conclusione ultima Enunciato S

183 Abduzione E’ il processo che, dato un certo dominio, mira alla generazione di spiegazioni di un insieme di eventi a partire da una data teoria, o legge, o ipotesi esplicativa, relativa a quel dominio. Esempio: Premessa (causa)  Conclusione (effetto) A  B Se la batteria è scarica  la macchina non parte La macchina non parte ? La batteria è scarica ? B È plausibile ? A ? Conclusione (causa)  ? Premessa? (effetto)

184 Abduzione Ecco un esempio di abduzione rispetto a una spiegazione:
A B (Spiegazione) ragionamento causale B , ?? A ?? (Abduzione) A= Batteria scarica B = La Macchina non va Premessa Conclusione Premessa Conclusione B =Macchina non va A = Batteria è scarica ?? È plausibile che la batteria sia scarica

185 Abduzione A B (Spiegazione) B , ?? A ?? (Abduzione)
In questo caso la funzione dell’abduzione è la conservazione degli schemi esplicativi. In passato si è riscontrato che un processo di inferenza da un determinato effetto B a una causa A si è dimostrato efficace. Pur non potendo escludere che, in circostanze diverse, B possa essere dovuto a una causa differente, appare ragionevole partire anche in questo caso dalla causa A per spiegare l’effetto B e saggiare la plausibilità di questa ipotesi esplicativa. A B (Spiegazione) ragionamento causale B , ?? A ?? (Abduzione) A= Batteria scarica B = La Macchina non va Premessa Conclusione Premessa Conclusione B =Macchina non va A = Batteria è scarica ?? È plausibile che la batteria sia scarica

186 Abduzione Ma è anche il processo che ci consente di sostenere che una certa congettura (o ipotesi), cioè che A sia vero, vale la pena di essere presa in considerazione in quanto, grazie a essa, siamo in grado di spiegare un fatto B del tutto inatteso e sorprendente. B , ?? A ?? (Abduzione) A= Ipotesi esplicativa B = Fatto sorprendente Premessa Conclusione Premessa Conclusione B = Fatto sorprendente A = Ipotesi esplicativa di B È plausibile che A sia vera.

187 Abduzione In questo caso lo schema del ragionamento per abduzione è il seguente: 1. Si osserva B, un fatto sorprendente. 2. Ma se A fosse vero, allora B sarebbe naturale. 3. C’è, dunque, ragione di sospettare che A sia vero. B , ?? A ?? (Abduzione) A= Ipotesi esplicativa B = Fatto sorprendente Premessa Conclusione Premessa Conclusione B = Fatto sorprendente A = Ipotesi esplicativa di B È plausibile che A sia vera.

188 Abduzione B , ?? A ?? (Abduzione)
Considerata da questo secondo punto di vista l’abduzione è il frutto del momento inventivo, creativo dello scienziato, dell’attimo fortunato dell’immaginazione scientifica che formula ipotesi esplicative generalizzate, le quali, se confermate, diventano leggi scientifiche (pur sempre correggibili e sostituibili) e, se falsificate, vengono scartate. Ed è proprio l’abduzione a far progredire la scienza, che avanza da una parte sulla direttrice dell’inglobamento progressivo di fatti nuovi e insospettati che spingono per questo a escogitare nuove ipotesi capaci di spiegarli, e dall’altra su quella di una unificazione assiomatica delle leggi, attuata da quelle che si dicono le grandi idee semplici. B , ?? A ?? (Abduzione) A= Ipotesi esplicativa B = Fatto sorprendente Premessa Conclusione Premessa Conclusione B = Fatto sorprendente A = Ipotesi esplicativa di B È plausibile che A sia vera.

189 Induzione E’ il processo in base a cui s’inferisce dal particolare all’universale secondo il principio della generalizzazione. Alla conclusione generale si può arrivare: a partire da parecchi casi a partire da un singolo caso (Se un certo membro a di una classe Q ha una data proprietà P, allora per un qualsiasi nuovo membro b della stessa classe Q si ipotizza il possesso della medesima proprietà P). Ogni corvo che ho osservato è nero  Ogni corvo è nero

190 Analogia Per eguaglianza della forma Per eguaglianza della proporzione
Varie nozioni di similarità: Per eguaglianza della forma Per eguaglianza della proporzione Per analogia di attributi essenziali Per possesso di alcuni attributi in comune Per possesso di alcuni attributi in comune pur in presenza di tratti non in comune (analogia positiva-negativa-neutra)

191 Argomento analogico x x
Premessa analogica: il caso A e il caso B hanno in comune le caratteristiche c1,…,cn Premessa attributiva: il caso A presenta l’ulteriore caratteristica x Conclusione: anche il caso B presenta la caratteristica x A B c1,…,cn c1,…,cn x x

192 Inferenza induttiva e inferenza analogica
Sono connesse tra loro se si considera solo l’analogia positiva, ma sono irriducibili l’una all’altra se si considera anche l’analogia negativa. In quest’ultimo caso questi due tipi di inferenza risultano essere complementari tra loro e utili in situazioni differenti.

193 Inferenza induttiva e inferenza analogica
L’inferenza induttiva è utile quando non sappiamo con precisione come i casi osservati differiscano tra loro, e quindi non ne conosciamo esattamente l’analogia negativa, per cui un aumento del numero dei casi può aiutarci a trarre qualche conclusione su di essi. L’inferenza analogica è utile quando non abbiamo osservato un numero elevato di casi, ma conosciamo con sufficiente precisione tanto l’analogia positiva quanto l’analogia negativa dei relativamente pochi casi osservati per cui l’analogia osservata può aiutarci a trarre qualche conclusione su di essi.

194 Induzione e analogia Sono processi fallibili: procedere sulla base di essi comporta la rinuncia alla certezza propria della deduzione. Quella che possiamo chiamare la logica della scoperta ammette dunque il carattere strutturale e ineliminabile della incertezza e cerca di costruire su di esso. Questa logica, pertanto, riconosce l’illusorietà dell’obiettivo di acquisire una certezza assoluta e lo sostituisce con quello di disporre di strumenti per l’estensione della nostra conoscenza fallibili ma corredati di procedure di controllo che consentano di riconoscere le anomalie e di correggerle.

195 8  COMPETENZE E CONOSCENZE

196 Più che dalla predisposizione di metodi astratti e generali, la realizzazione dell’integrazione fra le scienze dipenderà dalla capacità delle scuole di trasferire saperi e competenze prima di tutto in un progetto didattico che ne consenta una trattazione organica, forte di legami tra concetti, modelli, procedure e teorie, e in secondo luogo da un contesto artificiale e semplificato, quale quello in cui vengono proposti i concetti e le teorie scientifiche in ambito scolastico, al mondo dell’esperienza quotidiana in tutta la sua complessità. Per ogni singola disciplina non solo bisogna superare la tentazione dell’enciclopedismo, ma si deve anche evitare la gabbia disciplinare, cogliendo i nessi che collegano le discipline e permettono di interpretare la realtà in maniera più generale.

197 I CARDINI DEL CONCETTO DI «COMPETENZA»
Riassumendo, i cardini del concetto di competenza sono dunque i seguenti: Conoscere Capire Sentire Decidere Agire Trasferire il sapere da un modello (rappresentazione artificiale semplificata di un contesto reale) al mondo della esperienza quotidiana.   

198 BORGES: LA MAPPA E IL TERRITORIO DELL’IMPERO
Il notissimo paradosso di Jorge Luis Borges relativo alla Mappa dell’Impero in scala 1:1 è contenuto nel frammento Del rigore della scienza, l’ultimo di Storia universale dell’infamia (Il Saggiatore, 1961 traduzione di Mario Pasi), pubblicato per la prima volta nel 1935 e poi riveduto e corretto nel Come sua abitudine, l’autore argentino attribuisce la citazione a un libro che in realtà non esiste:   “… In quell'Impero, l'Arte della Cartografia giunse a una tal Perfezione che la Mappa di una sola Provincia occupava tutta una Città, e la mappa dell'impero tutta una Provincia. Col tempo, queste Mappe smisurate non bastarono più. I Collegi dei Cartografi fecero una Mappa dell'Impero che aveva l’Immensità dell'Impero e coincideva perfettamente con esso. Ma le Generazioni Seguenti, meno portate allo Studio della cartografia, pensarono che questa Mappa enorme era inutile e non senza Empietà la abbandonarono all'Inclemenze del Sole e degl'Inverni. Nei deserti dell'Ovest rimangono lacerate Rovine della Mappa, abitate da Animali e Mendichi; in tutto il Paese non c’è altra reliquia delle Discipline Geografiche. (Suárez Miranda, Viajes de varones prudentes, libro IV, cap. XIV, Lérida, 1658)”. 

199 ECO: LA MAPPA E IL TERRITORIO DELL’IMPERO
In molti si sono occupati di questo frammento, tra i quali Umberto Eco, che gli ha dedicato un godibilissimo capitoletto del Secondo diario minimo (Bompiani, 1992), che si conclude con la “dimostrazione” dei seguenti corollari: Ogni mappa uno a uno riproduce il territorio sempre infedelmente; Nel momento in cui realizza la mappa, l’impero diventa irrappresentabile. Si potrebbe osservare che con il corollario secondo l’impero corona i propri sogni più segreti, rendendosi impercepibile agli imperi nemici, ma in forza del corollario primo esso diverrebbe impercepibile anche a se stesso. Occorrerebbe postulare un impero che acquista coscienza di sé in una sorta di appercezione trascendentale del proprio apparato categoriale in azione: ma ciò impone l’esistenza di una mappa dotata di autocoscienza la quale (se mai fosse concepibile) diverrebbe a quel punto l’impero stesso, così che l’impero cederebbe il proprio potere alla mappa; Ogni mappa uno a uno dell’impero sancisce la fine dell’impero in quanto tale e quindi è mappa di un territorio che non è un impero.

200 CARROLL: LA MAPPA E IL TERRITORIO DELL’IMPERO
C’è tuttavia un precedente ancora più antico, contenuto nel secondo volume di Sylvie e Bruno (Garzanti, 1978), l’ultimo romanzo di Lewis Carroll, pubblicato per la prima volta nel 1893, nel capitolo in cui il protagonista incontra l’eccentrico tedesco fatato Mein Herr: “Mein Herr sembrava così meravigliato che pensai bene di cambiare discorso. “Che cosa utile, una mappa tascabile!” osservai. “È un’altra delle cose che abbiamo imparato dal vostro paese,” disse Mein Herr; “stendere le mappe; ma noi siamo andati oltre. “Secondo lei quale sarebbe la massima scala utile per le mappe?” “Cento su mille, un centimetro per chilometro.” “Solo un centimetro!” Esclamò Mein Herr. “L’abbiamo fatto subito, poi siamo arrivati a dieci metri per chilometro. Poi abbiamo provato cento metri per chilometro. E finalmente abbiamo avuto l’idea grandiosa! Abbiamo realizzato una mappa del paese alla scala di un chilometro per un chilometro!” “L’avete utilizzata?” “Non è stata ancora dispiegata,” disse Mein Herr. “I contadini hanno fatto obiezione. Hanno detto che avrebbe coperto tutta la campagna e offuscato la luce del sole. Così adesso usiamo la campagna vera e propria come mappa di se stessa e vi assicuro che funziona ottimamente”.

201 GIACOMO LEOPARDI: ZIBALDONE
La materia pensante si considera come un paradosso. Si parte dalla persuasione della sua impossibilità, e per questo molti grandi spiriti, come Bayle, nella considerazione di questo problema, non hanno saputo determinar la loro mente a quello che si chiama, e che per lo innanzi era lor sempre paruto, un'assurdità enorme. Diversamente andrebbe la cosa, se il filosofo considerasse come un paradosso, che la materia non pensi; se partisse dal principio, che il negare alla materia la facoltà di pensare, è una sottigliezza della filosofia. Or così appunto dovrebbe esser disposto l'animo degli uomini verso questo problema. Che la materia pensi, è un fatto. Un fatto, perché noi pensiamo; e noi non sappiamo, non conosciamo di essere, non possiamo conoscere, concepire, altro che materia. Un fatto perché noi veggiamo che le modificazioni del pensiero dipendono totalmente dalle sensazioni, dallo stato del nostro fisico; che l'animo nostro corrisponde in tutto alle varietà ed alle variazioni del nostro corpo. Un fatto, perché noi sentiamo corporalmente il pensiero: ciascun di noi sente che il pensiero non è nel suo braccio, nella sua gamba; sente che egli pensa con una parte materiale di sé, cioè col suo cervello, come egli sente di vedere co' suoi occhi, di toccare colle sue mani. Se la questione dunque si riguardasse, come si dovrebbe, da questo lato; cioè che chi nega il pensiero alla materia nega un fatto, contrasta all'evidenza, sostiene per lo meno uno stravagante paradosso; che chi crede la materia pensante, non solo non avanza nulla di strano, di ricercato, di recondito, ma avanza una cosa ovvia, avanza quello che è dettato dalla natura, la proposizione più naturale e più ovvia che possa esservi in questa materia; forse le conclusioni degli uomini su tal punto sarebbero diverse da quel che sono, e i profondi filosofi spiritualisti di questo e de' passati tempi, avrebbero ritrovato e ritroverebbero assai minor difficoltà ed assurdità nel materialismo. (Firenze 18 Sett. 1827)

202 Giacomo Rizzolatti: «Quando ci troviamo di fronte a un oggetto qualunque, ad esempio una comune tazzina da caffé, da parte dell’uomo che si pone di fronte a essa si ha un vedere che non è fine a se stesso, indiscriminato e incondizionato, ma è piuttosto orientato a guidare la mano: Per questo esso si presenta anche, se non soprattutto, un vedere con la mano, rispetto al quale l’oggetto percepito appare immediatamente codificato come un insieme determinato di ipotesi d’azione. La percezione, dunque, funge da implicita preparazione dell’organismo a rispondere e ad agire: da essa scaturisce, di conseguenza, un tipo di comprensione che ha una natura eminentemente pragmatica, che non determina di per sé alcuna rappresentazione “semantica” dell’oggetto, in base alla quale esso verrebbe, per esempio, identificato e riconosciuto come una tazzina da caffé, e non semplicemente come qualcosa di afferrabile con la mano».

203 Come si è visto, i più recenti in campo scientifico hanno quindi evidenziato i limiti e i rischi di un insegnamento incardinato sulla sola dimensione cognitiva, e mostrato quanto la mente sia profondamente «incorporata», incardinata nel nostro corpo. Ne scaturisce un sincronismo tra agire, pensare e parlare che mette in crisi l’idea classica di un processo di elaborazione delle informazioni sensoriali in entrata che, sviluppandosi in modo lineare, si conclude con la produzione di un’uscita motoria, di un’azione. Quest’ultima, invece, non è l’esito finale e la meccanica dell’esecuzione del processo percettivo, ma è parte integrante di questo processo e inscindibile dallo stimolo sensoriale, in quanto contenuta in esso. Su questi risultati si fonda una fisiologia dell’azione che conferisce inedita dignità teorica alle operazioni concrete, alla manipolazione, a tutto ciò in virtù del quale, come appunto scriveva già Leopardi, “sentiamo corporalmente il pensiero”.

204 La competenza non è dunque la somma di un prima, che è il sapere, e di un poi, che è il saper fare, della conoscenza a cui si aggiungono in seguito le abilità. Siamo invece di fronte a un «vedere con la mano» che considera la percezione un’implicita preparazione dell’organismo a rispondere e ad agire, che le conferisce, di conseguenza, il compito di selezionare le informazioni pertinenti ai fini del corretto inquadramento e della soluzione di un problema, e che attribuisce al sistema motorio un ruolo attivo anche nella costituzione del significato degli oggetti. Da questo punto di vista l’obiettivo della formazione integrale della persona in quanto unità di corpo e mente, di cognizioni ed emozioni, di saperi e decisioni acquista uno spessore per corrispondere al quale l’insegnamento, tutto l’insegnamento, delle scienze umane, delle scienze della natura, come pure della matematica dovrebbe preoccuparsi di costruire un ponte tra il sistema motorio, il linguaggio e il ragionamento, tra il corpo, le parole e i concetti.

205 Se ne ricava pertanto l’invito, che ci viene rivolto da esempio da Dehaene, Lakoff e Nunez, Giuseppe Longo e tanti altri, a partire dal senso come atto radicato in gesti antichissimi, e per questo solidissimi, quali il contare qualcosa, l’ordinare, l’orientazione della linea numerica mentale e la pluralità di pratiche a essi collegate, che non sembrano dipendere né dal sistema di scrittura, né dall’educazione matematica. A questi gesti il linguaggio e la scrittura hanno dato l’«oggettività dell’intersoggettività», la stabilità della notazione comune, fornendo le strutture portanti del ponte di cui si parlava, la cui importanza comincia a essere riconosciuta da tanti matematici, anche immersi o prossimi al formalismo, i quali, non a caso, ammettono i limiti di un approccio che, per essere perfettamente, meccanicamente rigoroso, ritiene di poter evitare ogni riferimento all’azione nello spazio e nel tempo.

206 Scoprire e Inventare la matematica Da dove viene la matematica.
Come la mente embodied dà origine alla matematica G. Lakoff e R. E. Nunez, 2005 Metafore, schemi-immagine forniscono un ponte tra il linguaggio e il ragionamento, tra il corpo e i concetti 206

207

208 SAPERE, CAPIRE E FARE Il nucleo concettuale del concetto di «competenza» è l’integrazione tra il sapere, il capire e il riuscire, nella consapevolezza che Il capire presuppone, certamente, il sapere e quest’ultimo è indubbiamente condizione necessaria perché si possa arrivare allo scopo indicato. Se però ci chiediamo se esso sia anche condizione sufficiente, le cose si complicano. Senza sapere non si può arrivare a capire, ma non è affatto detto che basti sapere per poter capire. Quanto alla relazione tra sapere e riuscire, se è vero che si può sapere senza fare e si può fare senza sapere e capire, è certamente meno scontato ritenere che si possa davvero «riuscire» senza sapere e capire.

209 Altro problema è costituito dal caso di cui parla Damasio ne L’errore di Cartesio.
Operato al cervello per rimuovere un tumore che aveva costretto a intervenire anche sul tessuto dei lobi frontali che era stato danneggiato dal male dopo l’intervento mantenne integre la solidità dell’intelletto, la capacità percettiva, la memoria del passato, la memoria a breve termine, l’apprendimento di nuovi contenuti, il linguaggio e la capacità aritmetica. In breve dal punto di vista della conoscenza e delle capacità a essa legate era tutto a posto. Non altrettanto si poteva dire a proposito della sua personalità, che risultò totalmente alterata: “avvertiva come argomenti che prima avevano suscitato in lui una forte emozione ora non provocavano più alcuna reazione, né positiva, né negativa”.

210 Provate a immaginare quel che era accaduto: provate a immaginare di non sentire piacere quando contemplate una pittura che vi piace, o quando ascoltate uno dei vostri brani musicali preferiti. Provate a immaginarvi completamente privati di tale possibilità, e tuttavia ancora consapevoli dei contenuto intellettuale dello stimolo visivo o sonoro, e consapevoli anche del fatto che una volta vi dava piacere: Sapere ma non sentire, così potremmo riassumere la sua infelice condizione” (p. 85). Inoltre egli “era incapace di scegliere in modo efficace, o poteva non scegliere affatto, o scegliere malamente”. “Cominciai a pensare”, conclude Damasio, “che la sua freddezza del ragionamento gli impedisse di assegnare valori differenti a opzioni differenti, rendendo il paesaggio del suo pensiero decisionale irrimediabilmente piatto” (pp ). Dunque sapere e sviluppare la conoscenza è condizione necessaria, ma non sufficiente, per gestire le emozioni e assumere decisioni.

211 C’è poi il fatto, attestato ormai, come si è visto, da tutte le ricerche nel campo delle neuroscienze, di quanto astratta e distorta sia la descrizione abituale dei nostri comportamenti che tende a separare i puri movimenti fisici dagli atti che tramite questi verrebbero eseguiti. In realtà il cervello che comprende e il cervello che agisce sono tutt’uno, per cui il rigido confine tra processi percettivi, cognitivi e motori finisce per rivelarsi in gran parte artificioso: la percezione risulta immersa nella dinamica dell’azione e ciò comporta l’esigenza di prestare la debita attenzione a una componente pragmatica, sulla quale poggiano molte delle nostre tanto celebrate capacità cognitive.

212 È questo il nucleo non esoterico del concetto di competenza, che mette in crisi l’idea che la conoscenza si acquisisca mediante la pura e semplice trasmissione di strutture già definite e di significati già codificati nello spazio esterno e ci obbliga, per contro, a prestare la debita attenzione alle modalità di organizzazione del campo ricettivo interno. Il riferimento a questo quadro generale consente, oltretutto, di avviare finalmente una seria riflessione sulle tecnologie, sul loro rapporto con il pensiero scientifico, sulle profonde trasformazioni che esse stanno portando, oltre che al nostro modo di comunicare, anche a quello di organizzare la conoscenza e di concepire i processi di apprendimento e gli ambienti in cui essi andrebbero collocati.

213 LE «SCIENZE INTEGRATE»
9  LE «SCIENZE INTEGRATE» NELL’ESPERIENZA INTERNAZIONALE

214 Il National Science Education Standard propone come nessi i “concetti e processi unificanti”, atti a stabilire più solide connessioni tra le discipline scientifiche in quanto riconosciuti fondamentali e ampi, comprensibili e utilizzabili durante l’intero percorso di studi. Esempi di concetti e processi unificanti sono: sistemi, ordine e organizzazione; evidenza, modelli e spiegazione; costanza, cambiamento e misurazione; evoluzione ed equilibrio; forma e funzione. I concetti e processi unificanti, intesi come organizzatori concettuali, possono essere utilizzati quali collanti culturali ideali per l’integrazione didattica delle discipline scientifiche, con un riferimento continuo agli interrogativi e ai problemi della vita di tutti i giorni.

215 L’operazione «La main à la pâte»
Principi molto simili a quelli che ispirano il progetto «Scienze Integrate» sono, non a caso, alla base dell’operazione «La main à la pâte», avviata in Francia nel 1996, per iniziativa di Georges Charpak, premio Noble per la fisica del 1992, e dell’Accadémie des sciences, e fatta propria dal ministero dell’istruzione francese. Questa operazione mira a promuovere e a diffondere nei bambini che frequentano la scuola primaria lo spirito della ricerca scientifica. Per raggiungere questo obiettivo viene raccomandato che gli allievi s’interroghino, agiscano in modo ragionevole e comunichino tra loro e, soprattutto, costruiscano il loro processo di apprendimento, trasformandosi in attori delle attività scientifiche. I maestri, a loro volta, devono inscrivere l’attività scientifica entro un percorso coerente che privilegi il senso e che favorisca i legami interdisciplinari. L’operazione «La main à la pâte»

216 È importante, in questa prospettiva, che venga evitata la deriva del «tutto metodologico», cioè un approccio, nell’ambito del quale l’acquisizione delle conoscenze divenga un obiettivo minore rispetto alle procedure utilizzate. L’obiettivo da raggiungere è un intreccio costante tra conoscenze e competenze e una loro crescita in parallelo. Un’altra finalità che l’insegnante deve impegnarsi a raggiungere è quella di favorire le condizioni migliori per il confronto delle opinioni dei bambini tra loro e in rapporto alla conoscenza scientifica.

217 Il processo di apprendimento si articola nelle fasi seguenti:
I bambini osservano un oggetto o un fenomeno del mondo reale, vicino e sensibile, ed esperimentano su di esso; Nel corso delle loro ricerche, essi argomentano e ragionano, mettono in comune e discutono le loro idee e i loro risultati, costruiscono le loro conoscenze, dal momento che un’attività puramente manuale non sarebbe sufficiente; Le attività proposte agli allievi dal maestro sono organizzate in sequenze in vista d’uno sviluppo degli apprendimenti. Esse lasciano un’ampia autonomia agli allievi medesimi; Un minimo di due ore settimanali è dedicato allo stesso tema per diverse settimane, in modo da assicurare una continuità delle attività e dei metodi pedagogici sull’insieme della scolarità; Ciascun allievo tiene un proprio «quaderno delle esperienze e degli esperimenti» fatti, compilato con le sue parole; L’obiettivo principale che ci pone è un’appropriazione progressiva, da parte degli allievi, dei concetti scientifici e delle tecniche operative, accompagnata e sorretta da un costante consolidamento dell’espressione scritta e orale.

218 Il principio base dell’intera operazione è dunque molto chiaro e viene affermato in modo esplicito: “si apprende attraverso l’azione, mettendosi in gioco e coinvolgendosi; si apprende in modo progressivo, sbagliando, cioè per conoscenza ed errore; si apprende interagendo con i propri pari e con i più esperti, esponendo il proprio punto di vista, confrontandolo con quello degli altri e con i risultati sperimentali per saggiarne e controllarne la pertinenza e la validità”.

219 Oltre che alla manipolazione e alla pratica grande attenzione è riservata al linguaggio, sia orale che scritto, e a tutte le operazioni e alle attività che ne consolidino e arricchiscano la padronanza. A tal fine il progetto stimola lo scambio orale attorno alle osservazioni, alle ipotesi formulate, alle esperienze fatte e alle spiegazioni fornite. Molti allievi che mostrano difficoltà linguistiche anche serie in diverse discipline, mostrano di esprimersi volentieri, e di saperlo fare, quando si tratta di dar conto di attività nelle quali la manipolazione li ha coinvolti in un lavoro comune e li ha posti a confronto con fenomeni universali.

220 Il rigore del discorso scientifico, l’esigenza d’«oggettivazione», di validazione, possono contribuire in modo significativo alla formazione d’uno spirito scientifico: il bambino impara ad argomentare il proprio punto di vista, ad ascoltare gli altri, ad anticipare sulla base d’un ragionamento, a lavorare per uno scopo comune in un quadro di vincoli. In questo contesto la scrittura è una modalità per esteriorizzare, dunque per lavorare sul proprio pensiero. Essa consente di individuare le zone d’ombra, di mettere a nudo tutto ciò che è sfuocato ed evanescente. Essa permette altresì di conservare traccia delle informazioni raccolte, di sintetizzare, di formalizzarle al fine di fare sgorgare nuove idee. Essa favorisce la comunicazione, in forma grafica, d’informazioni talvolta difficili da enunciare e di consegnare e trasmettere i risultati d’un dibattito.

221 Il passaggio da una modalità di comunicazione a un’altra è una fase importante. In questo quadro il passaggio dall’oralità alla scrittura è fondamentale. Il progetto propone di dedicare tutto il tempo necessario a verbalizzare uno scritto personale, a discutere per costruire collettivamente le frasi più adatte a render conto delle conoscenze condivise e ad apprendere l’utilizzazione dei diversi supporti di scrittura. L’intera operazione e le esperienze nelle quali si articola sono descritte nel sito

222 Richard Feynman: The Character of Physical Law (1965)
«Possiamo considerarci molto fortunati di vivere nell’età in cui si stanno ancora facendo scoperte. È un po’ come la scoperta dell’America, che si scopre una volta sola. L’epoca in cui viviamo è quella in cui stiamo scoprendo le leggi fondamentali della natura, e questa non ritornerà mai più. È molto emozionante, è meraviglioso, ma l’emozione è destinata a passare. Che cosa succederà dopo? Anche ammesso che si possa arrivare al termine di questa avventura, con la scoperta di tutte quelle leggi fondamentali, ciò non segnerà, comunque, la fine del libro della scienza. Da quel momento in poi prevarranno altri interessi. “Ci sarà l’interesse di studiare la connessione di un livello di fenomeni all’altro, per esempio dei fenomeni biologici e così via, o se si parla dell’esplorazione, ci sarà l’esplorazione dei pianeti, ma non ci saranno più le cose che stiamo facendo adesso».

223 Richard Feynman: The Character of Physical Law
Man mano che saliamo in questa integrazione di livelli arriviamo prima a concetti come “uomo” e “storia”, poi ad altri, ancora più astratti, come “male”, “bellezza” e “speranza”. Quello cui la scienza deve cominciare a guardare è proprio l’interconnessione strutturale di questi concetti. Lo sforzo intellettuale dell’uomo deve orientarsi a studiare i nessi fra le gerarchie, cioè a connettere la storia alla psicologia, questa a sua volta al funzionamento del cervello, il cervello all’impulso nervoso, l’impulso nervoso alla chimica, e così via, in su e in giù in ambedue i sensi. In questa ricerca che, come dice Popper, non ha mai fine, proprio per la sua complessità, occupa un posto centrale l’analisi della bellezza.

224 Richard Feynman: The Character of Physical Law
«In questa epoca gli uomini stanno provando l’esperienza emozionante che si ha quando si cerca di indovinare il modo in cui la natura si comporterà in una nuova situazione mai vista prima. Da esperimenti e informazioni in un certo campo si può indovinare quello che accadrà in una regione che nessuno ha ancora esplorato. È un po’ diverso dalla esplorazione normale per il fatto che sulla terra esplorata ci sono già abbastanza indizi per indovinare come sarà quella non ancora scoperta. Queste ipotesi, invece, sono spesso molto diverse da quello che si è già visto,e richiedono un grande sforzo di pensiero. Che cosa c’è nella natura che permette che questo accada, rendendo possibile indovinare, conoscendo una parte, come si comporterà il resto? Questa è una domanda non scientifica, cui non so come rispondere, e perciò darò una risposta non scientifica: io credo che è perché la natura ha in sé una grande semplicità e perciò una grande bellezza».

225 La «lezione» di Feynman
Lo sforzo intellettuale dell’uomo, ci dice quindi Feynman, deve orientarsi a studiare i nessi fra le gerarchie, cioè a connettere la storia alla psicologia, questa a sua volta al funzionamento del cervello, il cervello all’impulso nervoso, l’impulso nervoso alla chimica, e così via, in su e in giù in ambedue i sensi.

226 La «lezione» di Feynman
A questo approccio generale e a questi concetti Feynman si ispirò anche nel suo approccio alla didattica della fisica (R. P. Feynman, R. B. Leighton, M. Sands, The Feynman Lectures on Physics, Addison_Wesley Publishing Company, London- Reading (Massachussets) - Menlo Park (California) - Don Mills (Ontario), 1968). Lo attestano in modo concreto,in particolare, le seguenti parti del I volume; cap. 3 (“La relazione della fisica con le altre scienze”), che fornisce un quadro sintetico e accurato dei rapporti tra la fisica, da una parte, e la chimica, la biologia, l’astronomia, la geologia e la psicologia, dall’altra; cap. 22 (“Algebra”, che contiene, tra l’altro, una preziosa analisi di «strumenti per pensare», quali l’astrazione e la generalizzazione, fondamentali per la fisica ma, ovviamente, anche per qualsiasi altra scienza); cap. 36 (“Meccanismo della visione”, che tratta la sensazione del colore, la fisiologia dell’occhio, le cellule a bastoncino, l’occhio composto dell’insetto, altri occhi e la neurologia della visione).

227 Il «KARLSRUHER PHYSIKKURS»
Un’altra esperienza importante, ormai classica anch’essa, è rappresentata dal Karlsruhe Physikkurs (KPK),(F. Herrmann, Der Karlsruhe Physikkurs, Aulis, Köln, 1995). Questo corso, sviluppato dal gruppo di didattica della fisica dell’università di Karlsruhe guidato da Friedrich Herrmann, è rivolto ai primi anni della scuola secondaria superiore, e utilizza un paradigma formale la cui specificità sta nella proposta di un approccio unificato all’insegnamento delle scienze: “The project was not just to write a new schoolbook. The objective was to develop a new way of teaching physics, indipendent of the target group of learners. … We have chosen a unified approach to sciente teaching”. Si tratta dunque di un approccio basato su una ristrutturazione disciplinare della fisica i cui cardini, esplicitati anche nel sito del dipartimento sono costituiti dall’abbattimento delle frontiere tra la fisica e le discipline scientifiche affini (chimica, biologia, informatica) e dal sistematico ricorso alle analogie tra le discipline medesime.

228 Il «KARLSRUHER PHYSIKKURS»
Il Corso si fonda su una ristrutturazione della fisica che tiene conto dei seguenti criteri: Eliminazione dei «fardelli storici»; Utilizzo delle analogie; Stretto legame con le discipline scientifiche affini (chimica, biologia, informatica). L’obiettivo prioritario è quello di ridurre il tempo impiegato per la presentazione dei tremi tradizionali allo scopo di far posto a temi della fisica del 20° secolo.

229 Il «KARLSRUHER PHYSIKKURS»
Eliminazione dei «fardelli storici» significa tenere adeguatamente conto del fatto che la forma attuale della fisica è il risultato di un processo di evoluzione. Simili processi seguono vie e percorsi particolari: è quindi normale che il risultato finale rifletta con grande fedeltà il corso del processo che l’ha generato. Chi oggi impara la scienza lo fa in larga misura lungo un cammino molto simile a quello dello sviluppo storico, compresi tutti gli errori, gli ostacoli e i travisamenti, Ripensare l’insieme della scienza alla luce delle conoscenze attuali dovrebbe far emergere un curricolo molto più semplice. Durante lo sviluppo di questo corso gli autori hanno perciò cercato di liberarsi di molti di quelli che ritengono «fardelli storici».

230 La dinamica delle teorie per T.S. Kuhn
Fase preparadigmatica Scienza normale Scienza rivoluzionaria

231 La dinamica delle teorie per T.S. Kuhn
Scienza rivoluzionaria Scienza normale Scienza normale Fase pre-paradigmatica 231 231

232 T.S. Kuhn: Come si articola una teoria scientifica
Le generalizzazioni simboliche Gli esemplari Esempi standard di problemi risolti (dimestichezza con il linguaggio e conoscenza della natura) Stimolo per la scoperta Forme schematiche la cui espressione simbolica cambia da applicazione ad applicazione Applicazione 3 Relazioni di somiglianza Applicazione 2 Applicazione 1

233 Come funziona il trasferimento analogico
Le generalizzazioni simboliche Gli esemplari Applicazione al sistema solare F = ma Applicazione al Sole e alla Terra Predicato: x è una meccanica classica  Applicazione alla Terra e alla Luna Un oggetto x sarà una meccanica classica delle particelle se esisteranno : 3 funzioni: f(forza) m(massa) p(posizione) 2 insiemi : p (insieme delle particelle) t (intervallo di tempo) e ovviamente la relazione f=ma Così che x è una struttura determinata Relazioni di somiglianza Applicazione Legge di Coulomb nel campo elettrico F=k q1 q2 r2 Legge di gravitazione universale F = G m1 m2 r2 Sneed 1971 The logical structure of Mathematical Phisics

234 Rappresentazione Artificiale e Semplificata
Definizione di Modello Il modello è una rappresentazione artificiale e semplificata del dominio che rappresenta

235 In un’accezione larga, il concetto di modello è sovente utilizzato nella vita quotidiana.
Ad esempio, quando diciamo che una persona o un animale appartiene a una determinata tipologia (la volpe è astuta, l’imprenditore deve avere attitudine al rischio) esprimiamo un modello del loro comportamento che è nella nostra mente e che consente di prevederne le mosse in una certa situazione.

236 Vi sono anche i modelli “materiali”.
Esempi sono i modelli in scala ridotta di un’opera artistica o architettonica, oppure un modello in scala ridotta, come quello in basso a sinistra, che replica con esattezza gli effetti dell'abbattimento degli alberi, o i prototipi che sono realizzati per effettuare dei test di resistenza meccanica o aerodinamica, come il provino di calcestruzzo cilindrico qui in basso sottoposto a una prova di compressione monoassiale.

237 IL MODELLO FISICO-MATEMATICO
Un modello di un sistema esprime la conoscenza di un fenomeno e come tale consente di rispondere a domande sul sistema senza la necessità di compiere un esperimento. Esso costituisce quindi un potente mezzo di previsione e descrizione del comportamento di un determinato sistema. Tipicamente il modello matematico di un sistema consiste in un’equazione differenziale che stabilisce una relazione tra le variabili d’ingresso e le variabili d’uscita del sistema medesimo. Questo tipo di descrizione è chiamata descrizione ingresso/uscita di un sistema dinamico. Il calcolo matematico consente di determinare le uscite a partire dagli ingressi e quindi di studiare la dinamica o il comportamento di un sistema in un certo ambiente. Le relazioni funzionali ingresso-uscita caratterizzano il sistema e ne definiscono il comportamento; esprimono l’uscita come funzione dell’ingresso. Equazione differenziale Variabile in ingresso Variabile in uscita Sistema

238 Esempio: Modello matematico di un sistema idraulico
Il serbatoio in figura è caratterizzato dalla portata d’ingresso qi e dall’altezza del battente idrico h che rappresenta la variabile d’uscita. Assumendo un serbatoio di sezione costante A, il volume di liquido risulta: V = Ah. Per la legge di conservazione della massa (legge di continuità) si ha che: qi(t) h

239 Problema reale La modellistica matematica Modello matematico Analisi
qualitativa Risoluzione al calcolatore Algoritmi Modellistica numerica

240 LA MODELLISTICA MATEMATICA
Con il termine modellistica matematica si intende dunque il processo che si sviluppa attraverso l'interpretazione di un determinato problema, la rappresentazione dello stesso problema mediante il linguaggio e le equazioni della matematica, l'analisi di tali equazioni, nonché l'individuazione di metodi di simulazione numerica idonei ad approssimarle, e infine, I'implementazione di tali metodi su calcolatore tramite opportuni algoritmi. Qualunque ne sia la motivazione, grazie alla modellistica matematica un problema del mondo reale viene trasferito dall'universo che gli è proprio in un altro habitat in cui può essere analizzato più convenientemente, risolto per via numerica, indi ricondotto al suo ambito originario previa visualizzazione e interpretazione dei risultati ottenuti. Fonte: A. Quarteroni, La modellistica matematica: una sintesi fra teoremi e mondo reale. Prolusione tenuta in occasione dell’inaugurazione del 136° anno accademico. Politecnico di Milano, 3 ottobre 1998

241 RAPPORTO TRA IL MODELLO MATEMATICO E LA REALTÀ
Il modello non esprime necessariamente l'intima e reale essenza del problema (la realtà è spesso così complessa da non lasciarsi rappresentare in modo esaustivo con formule matematiche), ma deve fornirne una SINTESI UTILE. La matematica aiuta a vedere e a capire la natura intrinseca di un problema, a determinare quali caratteristiche sono rilevanti e quali non lo sono, e, di conseguenza, a sviluppare una rappresentazione che contiene l'essenza del problema stesso.Una caratteristica della sfera d'indagine matematica presente in questo processo è l'ASTRAZIONE, ovvero la capacità di identificare caratteristiche comuni in campi differenti, così che idee generali possano essere elaborate a priori e applicate di conseguenza a situazioni fra loro assai diverse. Fonte: A. Quarteroni, La modellistica matematica: una sintesi fra teoremi e mondo reale.

242 CARATTERE INTERDISCIPLINARE DELLA MODELLISTICA MATEMATICA
La presenza di laboratori sperimentali e di gallerie del vento, di specialisti nell’analisi teorica, nell’informatica e nelle scienze fondamentali, quali la fisica e la chimica, e nei settori più spiccatamente tecnologici, e anche nell’architettura, nella grafica avanzata e nel design, è l’elemento distintivo di una CULTURA POLITECNICA e può fungere da elemento catalizzatore e propulsivo di una DISCIPLINA INTERSETTORIALE quale è la modellistica matematica. Fonte: A. Quarteroni, La modellistica matematica: una sintesi fra teoremi e mondo reale.

243 CHE COS’E’ UN «AMBIENTE DI APPRENDIMENTO» 10

244 la rivoluzione tipografica
Dalla bottega dell’artigiano alla scuola di Dickens percettivo-motoria simbolico-ricostruttiva la rivoluzione tipografica FONTE: ERNESTO HOFMANN- L’operativizzazione della conoscenza Cagliari 12 Dicembre 2007

245 Il modello dell’apprendistato cognitivo, sviluppato soprattutto da Allan Collins, da John Sedy Brown e da Susan Newman, tenta di realizzare un’integrazione tra i caratteri della scuola formale e le peculiarità dell’apprendistato, come si estrinsecava prima dell’avvento della scolarizzazione.

246 L’apprendistato tradizionale usa quattro strategie per promuovere la competenza esperta:
modelling (l’apprendista osserva ed imita il maestro che,                                      attraverso la dimostrazione, modella); coaching (il maestro guida e offre assistenza continua all’allievo, focalizza l’attenzione su un aspetto;                          dà feedback, agevola il lavoro); scaffolding (il maestro fornisce un appoggio, uno stimolo, preimposta il lavoro ecc.);       fading (il maestro elimina gradualmente il supporto, si            distanzia via via per dare maggiore responsabilità).

247 L’apprendistato cognitivo si differenzia dall’apprendistato tradizionale per la maggiore attenzione alla dimensione metacognitiva, agli aspetti del controllo, ed alla variazione dei contesti di applicazione. Si introducono allora altre strategie, quali: l’articolazione (si incoraggiano gli studenti a verbalizzare la loro esperienza);         la riflessione (si spingono a confrontare i propri problemi con quelli di un esperto);      l’esplorazione (si spingono a porre e risolvere problemi in forma nuova).    

248 La ricerca sugli ambienti di apprendimento generativo nasce dal presupposto che la conoscenza appresa nei curricoli scolastici deve essere:  situata: i problemi nascono da situazioni autentiche, significative, attinte dalla vita reale. Gli studenti sono introdotti nella situazione e  propongono, con la discussione di gruppo, vari modi di soluzione personale (per questo  gli ambienti sono definiti generativi), con la possibilità poi di esaminare le modalità proposte dagli esperti o le soluzioni in diversi contesti;  distribuita: nel senso che le competenze dovrebbero essere dislocate in forma differenziata tra gli studenti piuttosto che perseguire l’obiettivo che ciascun allievo sappia le stesse cose;  rappresentativa della complessità del mondo reale: quindi, capace di far apprendere in una varietà di modi differenti e per una diversità di scopi, favorendo così il prodursi di rappresentazioni multiple della conoscenza. I contenuti devono essere riusati più volte; è fondamentale per una reale padronanza rivisitare lo stesso materiale in tempi differenti, in contesti modificati.

249 Il costruttivismo sociale ha fatto proprio l’aspetto più interessante sotto il profilo pedagogico dell’approccio culturale situato: l’«atto di appartenenza» alla comunità. Tale prospettiva viene a coniugarsi con quella formulata da Vygotskij nel concetto di «zona di sviluppo prossimale»: zona cognitiva entro la quale uno studente riesce a svolgere con il sostegno (scaffolding) di un adulto o in collaborazione con un pari più capace, tramite gli scambi comunicativi,compiti che non sarebbe in grado di svolgere da solo. In una Comunità di apprendenti, viene enfatizzata la natura attiva dell’apprendimento e il ruolo strategico della metacognizione. L’apprendimento è contestualizzato, fondato su base dialogica e situato, nulla viene praticato senza uno scopo consapevole, dichiarato, condiviso; teoria e pratica sono sempre viste in azione.

250 Dal punto di vista didattico le parole chiave sono: verticalità, continuità dagli alfabeti ai codici, interazione dialettica tra disciplinarità e interdisciplinarità, tra specificità disciplinare e trasversalità, problematizzazione, metacognizione, laboratorio. Il modello teorico culturale è quello della complessità, il modello psicopedagogico è il costruttivismo. I files rouges che attraversano le aree disciplinari del curricolo sono: costruttivismo, didattica fondata sul «clima di laboratorio»,   nuovi ambienti d’apprendimento; complessità e competenze; trasversalità, problematizzazione, metacognizione; testualità, multimedialità e innovazione tecnologica.

251 Scelte incoerenti: framing effect
Problema 1 L’Italia è minacciata da una grave epidemia che mette in pericolo la vita di 600 persone – sono in fase di elaborazione due possibili tipi di interventi sanitari: X e Y. Se si adotta il programma X, si salvano certamente 200 persone se si adotta il programma Y, c’è una probabilità di 1/3 di salvare 600 persone e di 2/3 di non salvarne nessuna Quale programma raccomanderesti?

252 Scelte incoerenti: framing effect
Problema 1 L’Italia è minacciata da una grave epidemia che mette in pericolo la vita di 600 persone – sono in fase di elaborazione due possibili tipi di interventi sanitari: X e Y. se si adotta il programma X, si salvano certamente 200 persone se si adotta il programma Y, c’è una probabilità di 1/3 di salvare 600 persone e di 2/3 di non salvarne nessuna Quale programma raccomanderesti? 72% 28%

253 Scelte incoerenti: framing effect
Problema 2 L’Italia è minacciata da una grave epidemia che mette in pericolo la vita di 600 persone – sono in fase di elaborazione due possibili tipi di interventi sanitari: W e Z. Se si adotta il programma W, moriranno certamente 400 persone Se si adotta il programma Z, c’è una probabilità di 1/3 che nessuno muoia e di 2/3 che muoiano 600 persone Quale programma raccomanderesti?

254 Scelte incoerenti: framing effect
continua Problema 2 L’Italia è minacciata da una grave epidemia che mette in pericolo la vita di 600 persone – sono in fase di elaborazione due possibili tipi di interventi sanitari: W e Z. se si adotta il programma W, moriranno certamente 400 persone se si adotta il programma Z, c’è una probabilità di 1/3 che nessuno muoia e di 2/3 che muoiano 600 persone Quale programma raccomanderesti? 22% 78%

255 RISULTATI Scelte incoerenti: framing effect
X. (si salvano certamente 200 persone su 600) % Y. (1/3 di salvare 600 persone e 2/3 nessuna) % W. (moriranno certamente 400 persone su 600) % Z. (1/3 che nessuno muoia e di 2/3 che muoiano 600 persone) %

256 ESEMPIO DELL’INCIDENZA DEL CONTESTO

257 ESEMPIO DELL’INCIDENZA DEL CONTESTO

258 La ricerca sugli ambienti di apprendimento è strettamente correlata all’idea di un processo di apprendimento orientato anche verso l’acquisizione e il radicamento di competenze. Non a caso nei piani di studio provinciali del I ciclo di istruzione della provincia di Trento troviamo la seguente osservazione: “Lo stesso format delle prove PISA e INVALSI (dal 2009) evidenzia una struttura basata sulla proposta di CONTESTI e SITUAZIONI come punto di partenza per la messa in modo di azioni fisiche e mentali per la soluzione di problemi (cognitivi) che i saperi e le aree di apprendimento scolastico contribuiscono a sviluppare. Un format spesso adottato nelle buone pratiche e nei manuali d’insegnamento che non siano nozionistici ed esecutivi”. Il concetto di competenza non può dunque prescindere dal riferimento ad appositi contesti, ad AMBIENTI DI APPRENDIMENTO AD HOC, costruiti in modo da gestire le diverse componenti in cui si articola il processo conoscitivo.

259 LE CAPACITÀ DI BASE DA SVILUPPARE:
LEGGERE (OSSERVARE E PERCEPIRE); INTERPRETARE; CATALOGARE; SELEZIONARE; FORMULARE IPOTESI e CONTROLLARLE; RISOLVERE PROBLEMI; COMUNICARE

260 COME AFFRONTARE L’OGGETTO DI STUDIO:
DECOSTRUZIONE. Frammentazione dei «formati linguistici» tradizionali (testi, suoni, immagini) e loro trascrizione in un codice di base fatto di lunghe catene di stringhe binarie (gli 0 e 1 dell’informazione digitalizzata) gestite non più attraverso apparati e strumenti diversi, ma con lo stesso apparecchio (il cellulare, ad esempio).  RICOSTRUZIONE. Reinserimento degli item e degli atomi della conoscenza così ottenuti in un «tessuto relazionale» e in un contesto, disciplinare o tematico, per evitare ogni rischio di dispersione e di mancanza di sistematicità

261 Didattica con gli ambienti di apprendimento
Gli ambienti di apprendimento devono assicurare la convergenza e l’equilibrio tra le seguenti caratteristiche ed esigenze    Flessibilità Modularità Sistematicità Il testo deve essere scomponibile e riorganizzabile in base alle esigenze didattiche del docente e dello stesso studente, il quale deve poter costruire un proprio percorso individuale, disporre di materiali adatti al suo livello di apprendimento, tarati sul suo bisogno di personalizzazione ed, eventualmente, di recupero.

262

263 Dall’intersoggettività all’intelligenza connettiva
     La conoscenza è dinamica e incompleta Sviluppo delle alternative Accordarsi sulle premesse per la selezione Ragionamento distribuito e ruolo della comunicazione Il pensiero come forma di connessione tra persone e gruppi Sviluppo di teorie sistemiche per sistemi multiagente le quali prevedono la possibilità, da parte di ciascun agente, di ragionare sulle proprie conoscenze e su quelle altrui, e permettono l’identificazione di conoscenze distribuite (distribuited knowledge) o condivise da un gruppo di agenti (common knowledge)

264 Dall’intersoggettività all’intelligenza connettiva
Linguaggio B Approccio B Linguaggio unico Linguaggio A Linguaggio C Omogeneità di fondo di premesse valori e obiettivi Approccio A Approccio C Procedure e strumenti linguistici Creazione di uno sfondo condiviso Assenso

265 Dall’intersoggettività all’intelligenza connettiva
Cultura A Cultura B T.Winograd F. Flores Non esiste un punto di vista assoluto da cui effettuare osservazioni e descrizioni indipendenti dal linguaggio Il linguaggio NON è uno strumento neutro Cultura C Linguaggio B Linguaggio A Dominio cognitivo A Linguaggio C Dominio cognitivo B Dominio cognitivo C Dominio di condotta (consensuale) Il Linguaggio è una modellizzazione del comportamento di orientamento reciproco Cooperazione Interazione Rigenerazione

266 Dall’intersoggettività all’intelligenza connettiva
Heidegger Vedere Il mio mondo Dare senso alle cose Guardare Il mio vivere Il senso dipende in modo essenziale dal contesto

267 Dall’intersoggettività all’intelligenza connettiva
Cultura B Cultura A Contesto Sfondo di assunzioni Sfondo comune di comprensione Gli oggetti del discorso vengono disvelati, esibiti e mostrati e diventano comunicabili solo dopo essere divenuti parte di uno sfondo comune di comprensione

268 Dall’intersoggettività all’intelligenza connettiva
Un’espressione è un atto linguistico che ha conseguenze per i partecipanti, conduce ad azioni immediate e impegni per un’azione futura Rete di impegni reciproci Il Linguaggio come atti significativi : Atti direttivi (ordini) Atti commissivi (promesse) Atti dichiarativi (matrimonio) Atti espressivi (chiedere scusa) Né falsi né veri J.L. Austin J.R. Searle

269 Dall’intersoggettività all’intelligenza connettiva
Il ruolo chiave dei soggetti collettivi (comunità, organizzazioni, associazioni) Soggetti individuali Rete di impegni reciproci Presa delle decisioni Pre-orientamento di possibilità (azioni possibili e occultamento di altre) Derrik De Kerckhove: Intelligenza connettiva

270 Dall’intersoggettività all’intelligenza connettiva
Intelligenza collettiva Questa è la mente, questo è il mentale, un contesto e uno spazio condiviso Intelligenza connettiva I singoli partecipano con la loro identità individuale Conoscenza non come un fenomeno isolato ma distribuito Nuova disposizione (sintotica, solidaristica e relazionale) Nuovo modo di concepire, rappresentare e costruire la conoscenza

271 A.K. Apprendimento Connettivo
I contesti di apprendimento A.I. Apprendimento Individuale A.G. Apprendimento Gruppo A.K. Apprendimento Connettivo A.C. Apprendimento Collettivo

272 Fattori di successo dell’ apprendimento
A.I. Apprendimento Individuale 1-2 persone 3- 5 (max 7) persone A.G. Apprendimento Gruppo Riflessione, concentrazione, espressione rappresentazione, cognizione emozione A.A. Apprendimento Assistito Dialettica, condivisione, visione multipla, cognizione emozione, Capacità critica, argomentativa Libro – P.C - Multimedialità Verbalizzazione Amb collaborativi centinaia persone 20  centinaia persone A.K. Apprendimento Connettivo A.C. Apprendimento Collettivo Visione condivisa, New e Social media, artefatti digitali Ambienti in rete Content sharing - User Content Generation Aula –TV Conduttore - Docente

273 l’apprendimento efficace, critico e creativo
L’ambiente didattico e le modalità di apprendimento A.G. Apprendimento Gruppo A.I. Apprendimento Individuale A.C. Apprendimento Collettivo A.K. Apprendimento Connnettivo A.C. Apprendimento Collettivo A.G. Apprendimento Gruppo E’ la corretta articolazione dei diversi momenti ciò che determina l’apprendimento efficace, critico e creativo

274 L’IMPOSSIBILITA’ DI FAR FRONTE ALLO SVILUPPO
DELLA CONOSCENZA ATTAVERSO IL SOLO FORMALE Uno studio della Berkeley University ha rilevato che il volume di informazioni prodotte tra il 2001 e il 2004 è equivalente a quello prodotto tra il 1970 e il 2000 e che queste sono a loro volta equivalenti alla quantità di tutte le informazioni prodotte dall’umanità da quando è nata la scrittura fino al 1970. Un aggiornamento di questo studio ha rilevato che nei due anni dal 2004 al 2006 abbiamo prodotto l’identica quantità di informazioni nella metà del periodo. Se volessimo indicizzare solo l’informazione prodotta nei primi 6 anni di questo secolo staremmo dunque parlando del doppio di tutta l’informazione scritta di tutta la storia dell’umanità fino al 1970. Inizio della scrittura 1970 2000 2001 2004 2006

275 PERSONALIZZARE L’APPRENDIMENTO
Per “personalizzare l'apprendimento” occorre: Superare la standardizzazione dei percorsi, facendo coesistere, accanto a un nucleo comune ristretto di materie fondanti, differenziate ramificazioni dei percorsi; Tenere conto del fatto che le competenze si acquisiscono e si sviluppano in diversi contesti educativi, formali (la scuola), non formali (famiglia, luogo di lavoro, media, organizzazioni culturali e associative ecc..), informali (la vita sociale nel suo complesso)   In questa operazione si dovrà tenere in grande considerazione il principio di equità, facendosi in particolar modo carico degli svantaggiati, di quelli cioè che hanno minori opportunità di autonomo accesso al sapere.

276 GLI OBIETTIVI DELLA COLLABORAZIONE FORMALE, INFORMALE, NON FORMALE
Formare persone capaci di organizzare le loro conoscenze, piuttosto che immagazzinare un accumulo di saperi (“Una testa ben fatta, piuttosto che una testa piena” Montaigne); Insegnare la condizione umana “Il nostro autentico studio è quello della condizione umana” (Rousseau Emile); Apprendere a vivere “Vivere è il mestiere che gli voglio insegnare” (Rousseau Emile); Rifare una scuola di cittadinanza.

277 CARATTERE SELETTIVO DELLA PERCEZIONE
             Sullo statuto dell’osservazione: il rapporto tra sguardo e teoria “Venticinque anni or sono, cercai di far capire questo punto ad un gruppo di studenti di Fisica, a Vienna, incominciando la lezione con le seguenti istruzioni: ‘Prendete carta e matita; osservate attentamente e registrate quel che avete osservato!’. Essi chiesero cosa volessi che osservassero. E’ chiaro che il precetto “osservate!” è assurdo.” […] L’osservazione è sempre selettiva.” Karl Popper, 1963 La selezione avviene sulla base di un problema da inquadrare correttamente e risolvere e di uno specifico progetto d’azione.

278 Dimensione operativa della conoscenza
Popper: spostare l’attenzione dai dati e dai processi induttivi ai problemi Processo nella soluzione dei problemi P1 TT Tentativo teorico di soluzione Problema Procedura di individuazione ed eliminazione dell’errore EE Problema più avanzato P2 Concezione tradizionale Da dati certi e inoppugnabili  generalizzazione induttiva  esperienze sensate  … Karl Popper

279 Attività didattiche tradizionali
Processo nella soluzione dei problemi P1 Problema Livello di interesse Problema più avanzato P2 TT Tentativo teorico di soluzione Attività didattiche tradizionali EE Procedura di individuazione ed eliminazione dell’errore

280 Inquadrare e risolvere problemi
Centralità dell’ambiente didattico FATTORE INDISPENSABILE PER L’APPRENDIMENTO: L’AMBIENTE DIDATTICO Inquadrare e risolvere problemi Identificare e perseguire obiettivi e percorsi di soluzione Ricercare, selezionare informazioni Sapersi confrontare con gli altri Affermare o confutare tesi Saper lavorare in gruppo Saper comunicare, esprimersi, ascoltare Indirizzare creatività ed emozioni Operativizzare

281 PROBLEMI E PROGETTI Il cuore di un’ambiente di apprendimento costruttivista sono: i problemi e i progetti destrutturati non a soluzione unica autentici Arco non è altro che una fortezza causata da due debolezze, imperò che l’arco negli edifizi è composto di due parti di circulo, i quali quarti circoli ciascuno debolissimo per se desidera cadere, e opponendosi alla ruina dell’altro le due debolezze si convertono in unica fortezza. (LEONARDO DA VINCI:MSS, Institut de France, Paris, 50r, ‘Frammenti sulll’architettura’ (1490), Scritti rinascimentali di architettura, a cura di A. Bruschi, C. Maltese, M. Tafuri, R. Bonelli, Edizioni il Polifilo, Milano, 1978, p. 292).

282 Ambiente di apprendimento: il modello di D.H.
Jonassen rivisitato e integrato da Lepida Scuola Fattori socio ambientali Strumenti Collaborativi Cognitivi Risorse per la Informazione Casi Correlati Per la Valutazione Problemi Progetti Fonte: Enzo Zecchi, “Lepida scuola e il doppia ambiente di apprendimento” U.S.R. Emilia Romagna Rivista on line 2007

283 Ambiente di apprendimento: il modello di D.H.
Jonassen rivisitato e integrato da Lepida Scuola

284 LA VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE 11

285 EMPOWERMENT Si tratta di un concetto che fa riferimento all'accrescimento culturale e all’incremento della disponibilità di conoscenze e competenze di una persona, e proprio per questo è spesso associato allo sviluppo della fiducia nelle proprie capacità e dell’autostima, in quanto significa “sentire di avere potere” o “sentire di essere in grado di fare”. Applicato alla valutazione questo termine implica il ricorso ad alcuni indicatori ritenuti essenziali per misurare il miglioramento (o il peggioramento) della performance di uno studente rispetto a una o più competenze considerate cruciali nel processo di apprendimento. Ciascun insegnante può così esprimere - per ciascuno degli indicatori associati alla competenza analizzata - il miglioramento o il peggioramento rispetto alla valutazione precedente, su una scala che comprende per ciascun indicatore, ad esempio, un valore 0 (nessuna variazione), 3 valori negativi (peggioramento) e 3 valori positivi (miglioramento). L'attivazione di questo metodo presuppone l'assegnazione di un valore di default uguale a 0 agli indicatori predefiniti, sulla base del quale si indicheranno successivamente le variazioni riscontrate.

286 EMPOWERMENT Il primo principio è costantemente applicato nella sostanziale compenetrazione tra le caratteristiche di alcuni insiemi di asset di II livello e attività equiparabili a esercitazioni "situate": di fatto, la maggior parte degli asset di II livello programmabili dai docenti si configura come un set di input orientati al miglioramento dello studente, che rimandano a risorse materiali e digitali (asset di I livello) e sono corredati di meccanismi di valutazione e autovalutazione del margine di miglioramento in chiave formativa: gli asset di II livello di tipo "Lesson Plan”, ad esempio, sono attività basate su esercizi e verifiche autonomamente dotate di rubriche di valutazione formativa in grado di evidenziare gli indicatori da tenere sotto controllo in relazione agli obiettivi da raggiungere.

287 EMPOWERMENT Il secondo principio è applicato scorporando le singole procedure di valutazione, legate a specifiche attività, da alcuni strumenti più generali per la valutazione continua degli studenti, che il sistema mette a disposizione dei docenti attraverso l'ambiente di approfondimento e condivisione : in pratica, utilizzando complessivamente l'ambiente di apprendimento i docenti possono, oltre che impostare attività valutabili in sé, verificare globalmente il percorso di crescita di ogni studente attraverso due strumenti individuali specifici; schede per tracciare alcuni indicatori di performance rispetto a delle competenze-chiave; schede di monitoraggio di abilità e competenze rispetto a obiettivi specifici.

288 EMPOWERMENT Questo approccio esige:
l'integrazione delle procedure di valutazione all'interno delle strategie didattiche che si possono impostare attraverso il sistema, ovvero lo stretto collegamento che l'ambiente stesso suggerisce di mantenere tra determinate attività (e talora, anche determinate risorse) e specifiche azioni correlate, orientate alla valutazione dei risultati ottenuti dagli alunni; la collocazione delle singole procedure di esercitazione in un quadro più generale, orientato alla valutazione complessiva della crescita dello studente in termini di conoscenze, abilità e competenze.

289

290 IL QUADRO GENERALE DELLA SITUAZIONE
Due reparti: nel primo livello di mortalità fra le donne che avevano appena partorito molto superiore all’altro. Medici alla ricerca della cause: Alimentazione? Identica nei due reparti; Tipo di assistenza? Il medesimo nei due reparti; Influsso della terra o del cielo? I reparti erano contigui Imperizia delle ostetriche? Le loro visite vennero sottoposte a stretta sorveglianza da parte dei medici e successivamente ridotte senza alcun miglioramento; Visite del prete alle moribonde? Si prova a farle fare di nascosto senza il minimo beneficio.

291 IL TRASFERIMENTO ANALOGICO
Un giorno Jacob Kolletschka, un collega di Semmelweis si ferì con un bisturi mentre effettuava un’autopsia su un cadavere. Si ammalò in modo grave, manifestando gli stessi sintomi clinici delle puerpere decedute e morì in poche ore. Semmelweis ipotizzò che esistesse una analogia, evidenziata dalla somiglianza dei sintomi, tra i due casi clinici, in apparenza tanto diversi, e impose ai suoi colleghi di disinfettarsi le mani con una soluzione di cloruro di calcio prima di visitare le pazienti. In poco tempo la mortalità del I reparto diminuì e si stabilizzò sui livelli dell’altro: l’unica differenza significativa tra i due reparti era infatti che solo nel primo i medici effettuavano anche autopsie. Eppure, nonostante il miglioramento riscontrato, la comunità medica del tempo non prese sul serio questa spiegazione e anzi accusò Semmelweis di screditarne il prestigio, facendo passare i suoi colleghi per «untori». Lo sventurato scienziato venne ricoverato in un ospedale psichiatrico dove morì nel 1865 a causa delle percosse subìte nell’istituto.

292 IL RICONOSCIMENTO POSTUMO
Pasteur provò, diversi anni dopo, la correttezza dell’intuizione di Semmelweis, dimostrando l’esistenza di microorganismi patogeni, e con ciò diede inizio alla microbiologia. Lister aveva notato che la cancrena, molto diffusa in ambiente ospedaliero era piuttosto rara all'esterno. Ciò lo aveva indotto a ritenere che la malattia, caratterizzata dalla putrefazione dei tessuti, era dovuta non tanto a ipotetici "gas venefici" contenuti nell'aria (teoria del miasma), quanto al fatto che "qualcosa la trasmetteva" da un paziente all'altro. Qualcosa presente nell'aria, nelle fasciature che venivano utilizzate ancora sporche per più pazienti, nei ferri chirurgici sommariamente scrostati dal sudiciume prima dell'utilizzo, nelle mani o negli abiti del chirurgo? La lettura dell'opera di Pasteur che in quegli anni aveva dimostrato come la fermentazione di alcuni liquidi fosse legata a batteri in essi presenti e come la bollitura fosse capace di bloccarla, gli permisi di di intuire che nelle ferite avveniva qualcosa di simile alla fermentazione studiata da Pasteur. Arrivò così alla conclusione che bisognava cercare il modo di impedire la putrefazione delle ferite analogamente a quanto faceva il calore impedendo la fermentazione. Nel numero del 16 marzo 1867 della rivista ‘The Lancet’ Lister userà per la prima volta il termine «antisepsi» nel descrivere procedure di disinfezione simili a quelle già adottate da Semmelweis.

293 Al concetto di competenza qui delineato e alle modalità di valutazione e certificazione che ne scaturiscono si riferiscono, correttamente, i Piani di Studio della Provincia di Trento: “Una competenza si manifesta quando un soggetto riesce ad attivare e coordinare conoscenze, abilità e disposizioni interne (come atteggiamenti, valori, motivazioni, ecc.) per affrontare, valorizzando se necessario anche opportune risorse esterne, una tipologia di compiti o problemi” da inquadrare e risolvere”.

294 Questa definizione evidenzia una precisa differenza tra le conoscenze e le competenze.
Le competenze non possono prescindere dal riferimento a un soggetto, ai suoi stati mentali, alle sue disposizioni, motivazioni e inclinazioni, per cui sono qualcosa di radicato nell’universo interiore di una persona. Le cose stanno diversamente per quanto riguarda le conoscenze, almeno se ci riferiamo al rapporto tra queste ultime e la mente delineato da Popper nella sua teoria dei «tre mondi».

295                         I «tre mondi» di Popper Nei saggi raccolti in Conoscenza oggettiva, e in particolare in Epistemologia senza soggetto conoscente, Popper critica in modo deciso quello che egli chiama l' espressionismo epistemologico: “Il vecchio approccio soggettivo, consistente nell'interpretare la conoscenza come una relazione tra le mente del soggetto e l'oggetto conosciuto - relazione chiamata da Russell 'credenza' o 'giudizio’ - considerò quelle cose, che io guardo come conoscenza oggettiva, semplicemente quali dichiarazioni o espressioni di stati mentali (o come relativo comportamento)».

296                           I «tre mondi» di Popper Quale sia l'alternativa che Popper propone in sostituzione di questa concezione è ampiamente noto. Si tratta di una impostazione che prende le mosse da una chiara distinzione tra i cosiddetti "tre mondi", e cioè: 1. il mondo degli oggetti fisici o degli stati fisici; 2. Il mondo degli stati di coscienza o degli stati mentali; 3. Il mondo dei contenuti oggettivi di pensiero, specialmente dei pensieri scientifici e poetici e delle opere d'arte.         

297                      I «tre mondi» di Popper Una volta operata questa separazione di livelli, Popper così presenta il nucleo della sua posizione epistemologica: "La mia tesi centrale è che qualsiasi analisi intellettualmente significativa dell'attività del comprendere deve soprattutto, se non interamente, procedere con l'analisi del nostro uso delle unità strutturali e strumenti del terzo mondo". Ciò significa proporre un radicale spostamento di prospettiva per quanto riguarda i problemi di cui ci stiamo qui occupando, che non dovrebbero, a giudizio di Popper, confrontarsi tanto con le credenze oggettive e gli stati mentali, quanto piuttosto con le situazioni problematiche e con i sistemi teorici, cioè con la conoscenza in senso oggettivo e non nel senso soggettivo dell' "io so".

298                          I «tre mondi» di Popper Abbiamo, pertanto, a che fare con una "conoscenza senza un soggetto conoscente", che si occupa di "libri in sé", di "teorie in sé", di "problemi in sé" ecc. non riferiti a nessun uomo specifico, ma considerati come qualcosa di astratto da assumere e interpretare, semplicemente, nella loro possibilità o potenzialità di essere letti, interpretati, capiti, e che devono, di conseguenza, venire studiati in maniera oggettiva, indipendentemente dalla questione se queste potenzialità vengano o meno mai realizzate da qualche organismo vivente. «In questo modo può sorgere un intero nuovo universo di possibilità o potenzialità: un mondo che è in larga misura autonomo [...] L'idea di autonomia è centrale per la mia teoria del terzo mondo: sebbene il terzo mondo sia un prodotto umano, una creazione umana, esso a sua volta crea, al pari di altri prodotti animali, il suo proprio ambito di autonomia».

299                      I «tre mondi» di Popper E ciò nonostante sussiste un importantissimo effetto di feedback da questo mondo autonomo sui soggetti umani e sui loro stati mentali: «una epistemologia oggettivista che studia il terzo mondo può gettare una luce immensa sul secondo mondo, quello della coscienza soggettiva, specialmente sui processi di pensiero degli scienziati; ma non è vera l'affermazione reciproca». Questo significa che il «mondo 3» ha una struttura autonoma e una specifica organizzazione interna dipendenti, entrambe, dalle specifiche esigenze intrinseche della ricerca e dalla dinamica delle teorie scientifiche, e che poco o nulla hanno a che vedere con le questioni della ricezione e dell’assimilazione dei suoi contenuti da parte del «modo 2» degli stati e dei processi mentali dei soggetti che non fanno parte della comunità scientifica.

300 CONOSCENZE E COMPETENZE
E’ allora del tutto evidente che se si assumono le competenze come il risultato della capacità di un soggetto di “attivare e coordinare conoscenze, abilità e disposizioni interne”, occorre porre al centro dell’attenzione proprio questo «mondo 2» degli stati di coscienza o degli stati mentali, chiedendosi quali aspetti del «mondo 3» dei contenuti oggettivi di pensiero essi siano in condizione di recepire e assimilare nella fase che caratterizza il loro sviluppo. Questa seconda prospettiva, che è la sola funzionale alle finalità e agli obiettivi dei sistemi e delle organizzazioni che si occupano di istruzione e formazione, non può limitarsi a considerare i risultati dei processi conoscitivi nella loro “possibilità o potenzialità di essere letti, interpretati, capiti”, ma si deve necessariamente porre il problema del come lo possano essere effettivamente.

301 Vygotskij Mondo della soggettività SIGNIFICATO FATTO SENSO
Mondo dell’oggettività

302                             Vygotskij Anche qui siamo dunque in presenza di un «mondo dell’oggettività» distinto e in larga misura contrapposto al «mondo della soggettività». A differenza di quello che farà in seguito Popper, però, Vygotskij non si ferma a questa contrapposizione e non punta a rivendicare la totale autonomia del primo rispetto al secondo, ma si chiede invece come gettare un ponte fra questi due mondi e operare il collegamento dei sensi ai significati. La risposta a questo problema egli la trova nell’insegnamento, inteso come «costruzione formale» che ha funzione socializzante, in quanto è proprio grazie ad esso che i contenuti collettivi vengono acquisiti dall’individuo. Affinché i significati interagiscano con i sensi, in modo che questi ultimi riescano a «far presa» sui primi, «rispecchiandoli» in modo mai totale ed esaustivo, ma sempre parziale e approssimato, occorre però che i contenuti dell’insegnamento sappiano esprimere e rappresentare conoscenze oggettive collegabili ai sensi, ossia alle esperienze e alle motivazioni personali del singolo individuo.

303 ESEMPIO DI SCHEDA DI VALUTAZIONE

304   Alanis Morissette 1998


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