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FILOSOFIA MORALE 2014-15 Modulo IV Responsabilità per lo sviluppo sostenibile Cfr.: A.Sen, Etica ed economia, Laterza, Roma-Bari 2002; F. Totaro, a cura.

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1 FILOSOFIA MORALE 2014-15 Modulo IV Responsabilità per lo sviluppo sostenibile Cfr.: A.Sen, Etica ed economia, Laterza, Roma-Bari 2002; F. Totaro, a cura di, Lo sviluppo in questione, «Etica ed economia»- Semestrale di Nemetria, 1, 2007.

2 Ristrettezza storico-disciplinare della nozione di sviluppo corrente Come la parola “sviluppo” compare solo nelle lingue moderne (développement, Entwicklung, development,desarrollo) al pari delle parole “lavoro” e “formazione”, relative ai principali fattori di sviluppo, così il tema dello “sviluppo” è oggi considerato di appannaggio prevalente dell’economia, che non di rado tenta anche di requisirlo nel proprio ambito disciplinare.

3 Origine moderna dell’idea di sviluppo Va riconosciuto, d’altro canto, che l’idea di sviluppo, come oggi noi la utilizziamo, affonda le sue radici proprio nella riflessione economica. Fu a partire da essa che tale idea divenne socio-politicamente rilevante, nel XVIII sec., quando si cominciò a pensare all’arricchimento delle nazioni in termini di dinamiche lavorative e di scambio, attuabili in vista di una «crescita» (growth), di un «perfezionamento» (improvement), di un «progresso» (progress). Ovvero: quando si cominciò a pensare che sullo sviluppo “naturale”, l’azione dell’uomo poteva produrre incremento e potenziamento “artificiali” (=dovuti all’arte e all’opera dell’uomo e non alla spontaneità della natura)

4 Archeologia dell’idea di sviluppo (1) Sia pure ripresa nel solo senso dello sviluppo economico, rientrava così nella cultura dell’Occidente, ancora tutta improntata al meccanicismo* della fisica dei grandi corpi celesti inanimati, appena un secolo prima costituitasi come sapere-guida (cfr.: H. Jonas), l’idea antica che intendeva lo sviluppo cosmico come genesi, cioè come maturazione evolutiva dei viventi, governata, nel passaggio dallo stadio iniziale a quelli successivi fino all’ultimo, da una entelechia (=finalità intrinseca e propria), che garantisce la permanenza dell’identità per tutto il processo (p. es.: la genesi del seme di frumento conduce immancabilmente alla spiga di frumento e mai alla pannocchia). * Cercare su Wikipedia o simili!H. Jonas

5 Archeologia dello sviluppo (2) Gli Antichi avevano osservato, infatti, che nella natura si attuavano spontaneamente mutamenti qualitativi e processuali di tipo organico. Gli Antichi avevano perciò acquisito che nelle trasformazioni evolutive dei viventi è l’identità della forma germinale iniziale a mantenersi immutata dallo stadio iniziale a quello finale, garantendo la continuità identitaria dell’organismo in tutte le sue fasi evolutive come è esemplificato dalla sequenza naturale attraverso la quale dal seme di una pianta determinata si passa al fiore e poi al frutto, che contiene i semi per la nuova germinazione (cfr.: G. F. W. Hegel).G. F. W. Hegel Né era per gli Antichi pensabile di valicare tali limiti nella genesi dei viventi.

6 Archeologia dell’idea di sviluppo (3) Questa fu l’idea di sviluppo di Aristotele, filosofo del IV sec. a. C., come ha sottolineato lo storico della filosofia ottocentesco,Wilhelm Windelband, il quale ha intitolato: «Sistema dello sviluppo», il capitolo dedicato ad Aristotele della sua Storia della filosofia. In Metaphysica, IX, 8, Aristotele ha offerto una rappresentazione finalistico-genetica del movimento evolutivo naturale, sintetizzabile nella dottrina della superiorità dell’essere in atto sull’essere in potenza.Aristotele Secondo tale dottrina, ogni movimento di genesi naturale va inteso come di “attuazione”, cioè passaggio dallo stadio potenziale a quello attuale. Tale passaggio nei viventi è causato dall’atto generativo dei genitori, è condotto nell’attuazione dalla finalità interna o entelechia, di cui è dotato lo stadio iniziale e tende al compimento attuativo nello stadio maturo o finale delle potenzialità presenti nello stadio iniziale, in cui consistono anche i limiti dello sviluppo attuativo.

7 Archeologia dell’idea di sviluppo (4) E’ nel XVIII sec. che, complici la crisi della metafisica e dell’atteggiamento contemplativo antico e medievale, ad essa proprio, e il diffondersi della sensibilità naturalistico- evoluzionistica, si assiste a una curiosa integrazione della rappresentazione antica dello sviluppo, che lo intendeva come semplice genesi, ovvero maturazione di ciò che c’era nello stato germinale e nulla più. Ora, infatti, sullo sviluppo come genesi naturale, codificato da Aristotele, si applica, a potenziarlo illimitatamente e ad orientarlo in senso antropologicamente positivo, l’attività “morale” dell’uomo.

8 L’economia politica al posto della metafisica (1) Già in Jean Bodin e negli economisti del mercantilismo* si poteva trovare una valorizzazione dell’azione economica umana per lo sviluppo. Solo nel XVIII sec. però i Fisiocratici,* raccolti intorno al Quesnay,* espliciteranno l’idea secondo la quale nei fenomeni economici viene in luce un “ordine naturale” non deterministico, ma anzi affidato nel suo compimento all’umana iniziativa: esso può infatti essere conosciuto e perseguito con efficacia dagli uomini, che possono istituire appropriate regole per il comportamento delle società umane e instaurarvi un adeguato ordre positif.** **P. P. Mercier De La Riviere, L’ordre naturel et essentiel des sociétés politiques, P. Genthner, Paris 1910, p. 355. * Cercare su Wikipedia!

9 L’economia politica al posto della metafisica (2) Si può perciò elaborare, secondo Dupont De Nemours* una “scienza dell’ordine naturale” come quella illustrata dal Tableau Economique di Quesnay (1758) o recepita dalle Refléxions sur la formation et la distribution des richesses di Turgot (1776).* Se è vero, infatti, che gli uomini non possono penetrare nei disegni dell’Essere Supremo né comprendere per quali fini Egli ha istituito le regole immutabili che presiedono alla formazione e conservazione della sua opera, è nondimeno verificabile che: * Cercare su Wikipedia!

10 L’economia politica al posto della metafisica (3) “se esaminiamo queste regole con attenzione si nota almeno che le cause fisiche degli svantaggi fisici sono esse stesse le cause dei vantaggi fisici, che la pioggia che disturba il viaggiatore, rende fertile le terre; e se si procede ad un calcolo, liberi da ogni prevenzione, si vedrà che queste cause producono infinitamente più bene che male, e che esse sono istituite per il bene; che il male che esse causano incidentalmente risulta necessariamente dall’essenza stessa delle proprietà mediante le quali operano il bene […] Il bene fisico e il male fisico, il bene morale e il male morale hanno dunque evidentemente la loro origine nelle leggi naturali […] L’uomo dotato di intelligenza ha la prerogativa di poterle contemplare e conoscere per trarne il più grande vantaggio possibile, senza essere refrattario a queste leggi e a queste regole sovrane”. (F. Quesnay, Le droit naturel, in: François Quesnais et la physiocratie, INED, Paris 1958, p. 729 e ss.).

11 L’economia politica al posto della metafisica (4) Dunque, pur rimanendo nell’ignoranza dei fini ultimi verso i quali la divina sapienza orienta il corso cosmico e storico, gli uomini possono elaborare ed esprimere una logica di ottimalità da imprimere alla vita, una volta che i comportamenti rivolti a procurarsi i beni per la sussistenza si sviluppano in conformità alle leggi naturali e morali volute da Dio e a partire da esse. E’ chiaro che la concezione naturalistico-genetica antica dello sviluppo è considerata ormai vetusta e obsoleta, oltre che superata in quanto inadeguata a rispondere alle nuove esigenze socio- politiche di arricchimento degli stati nazionali, appena consolidati.

12 L’economia politica al posto della metafisica (5) Tuttavia, si ritiene inutile e superfluo applicarsi a re-impostare il quadro metafisico o di senso, a fronte dei successi pratici di sviluppo che si conseguono, semplicemente promuovendo la cultura e l’azione economica. Nella vita – sembrano ragionare i Fisiocratici e gli uomini del XVIII sec. - bisogna operare come nel caso di un terreno incolto: esso è di per sé privo di valore, ed è quindi inutile soffermarvisi con il pensiero. Opportunamente trattato, invece, il terreno agricolo sviluppa valore e diventa interessante per il pensiero economico, che studia come esso possa sempre più consentire al proprietario terriero di guadagnare un utile netto, formarsi un capitale e produrre investimenti finanziari, trainanti per l’intera comunità produttiva, che non a caso per i Fisiocratici si regge sulla classe dei proprietari terrieri.

13 L’economia politica al posto della metafisica (6) Ciò che venne del tutto sottostimato in tale apertura di entusiasmanti scenari di trasformazione, dai quali gli uomini concreti potevano ragionevolmente attendersi effettivi e generalizzati miglioramenti della vita, è il fatto che, alla loro origine, c’era comunque un nuovo modo di essere che si faceva strada nell’essere, guadagnando un primo piano che fino ad allora non aveva mai avuto. La nuova scienza economico-politica e la conseguente promozione dello sviluppo in termini di delineazione delle vie di incremento della ricchezza delle nazioni, che essa comportava, presupponeva, infatti, l’avvenimento di una vera e propria innovazione metafisica.

14 L’evento metafisico all’origine dello sviluppo moderno L’evento metafisico che ha spianato la via ad un’idea profondamente rinnovata di sviluppo e che resta misterioso quanto alla sua causa, è stato, secondo Max Scheler,* l’emergere di una “nuova volontà di potenza e di lavoro, rivolta alla natura, di una nuova società nascente” (Conoscenza e lavoro, tr. it. di L. Allodi, Angeli, Milano 1997, p. 101). In altre parole, dal seno della totalità ontologica che fino ad allora l’aveva ospitato e che egli si era limitato a “teorizzare”/contemplare, l’uomo si fa ora avanti quale essere che non solo vuole conoscere ciò che è, come l’antico sapiente metafisico, ma che vuole anche produrre ciò che desidera, piegando la conoscenza all’intento pratico di operare trasformazioni del reale che incrementino lo sviluppo naturale in senso antropologicamente soddisfacente. * Cercare su Wikipedia!

15 L’economia politica al posto della metafisica (7) Degli effetti positivi del nuovo corso spirituale si ebbe ampia consapevolezza nel XVIII sec. e di essi si volle godere pienamente. Sul principio che vi avrebbe sovrainteso, invece, si preferì non indagare, forse per evitare di sottrarre energie alla pratica stessa dello sviluppo, così brillantemente avviatasi, una volta abbandonata la priorità metafisica. Solo molto più tardi, nel XX sec., e per causa di forza maggiore, con l’affermarsi del pensiero della crisi e poi di quello post-metafisico, anche la novità metafisica all’origine dell’economicismo moderno comincerà ad essere posta a tema.

16 L’economia politica al posto della metafisica (8) Proprio un atteggiamento tutto teso alla pratica dello sviluppo e ultimamente incurante di come mai tale pratica sia “improvvisamente” divenuta agibile, sembra segnalare il ricorso da parte di Adam Smith alla metafora della “mano invisibile”.mano invisibile In tale metafora si esprime una sorta di “newtonianesimo* morale”** che, semplicemente dichiarando conforme alla natura, ovvero razionale e morale, l’esigenza di conseguire l’utilità economica, conferiva legittimità alle imprese e alle riflessioni più ardite volte a moltiplicare e diffondere la ricchezza. ** U. Meoli, Lineamenti di storia delle idee economiche, UTET, Torino 1991, p. 162. * Cercare su Wikipedia!

17 L’economia politica al posto della metafisica (9) Si prospetta così, in Adam Smith, una situazione paradossale: da un lato, egli attribuisce la formazione e l’incremento della ricchezza delle nazioni al fattore umano, in particolare al lavoro e all’avvento della sua configurazione industriale di divisione, più produttiva ma anche più disumanizzante;configurazione industriale di divisione dall’altro, egli confida per il successo ultimo dello sviluppo, così indotto, nell’opera armonizzatrice di una “mano invisibile” e ignota (mercato e organizzazione del lavoro), che fa provvidenzialmente volgere a vantaggio di tutti quanto è mera espressione dell’interesse individuale.

18 L’economia politica al posto della metafisica (10) Fin dall’origine smithiana emerge, dunque, nella concezione moderna dello sviluppo, una frizione irrisolta tra il fattore umano, industrioso e creativo ma ultimamente inadeguato a padroneggiare l’essere, e un fattore extra-umano, come il mercato o l’organizzazione del lavoro, su cui, nello stesso tempo, appoggiarsi. l’organizzazione del lavoro

19 Thomas Robert Malthus (1766-1834)* Tale frizione tra fattore umano (soggettivo) e fattore naturale (oggettivo) è segnalata anche da T. R. Malthus nel suo saggio: An Essay on the Principle of Population (1798) CHAPTER XVI. Probable error of Dr. Adam Smith in representing every increase of the revenue Probabile errore di Dr. Adam Smith nel rappresentare ogni aumento delle entrate or stock of a society as an increase in the funds for the maintenance o delle azioni di una società come un aumento dei fondi per il mantenimento of labour - instances where an increase of wealth can have no tendency di manodopera - caso in cui l'aumento della ricchezza non può avere la tendenza to better the condition of the labouring poor - England has increased in riches a migliorare la condizione dei lavoratore povero; l'Inghilterra ha aumentato la without a proportional increase in the funds for the maintenance of labour ricchezza, senza un aumento proporzionale dei fondi per il mantenimento della manodopera * Cercare su Wikipedia!

20 T. R. Malthus (1) Thomas Robert Malthus vedeva il conseguimento della ricchezza delle nazioni non come una marcia inarrestabile dal meno al più, ma come una marcia di avvicinamento all’inevitabile catastrofe, determinata dal principio di popolazione, in base al quale ogni aumento del salario reale si traduceva in un aumento di popolazione. Ralph Waldo Emerson lo criticò così: “Malthus, affermando che le bocche si moltiplicano geometricamente e il cibo solo aritmeticamente, dimenticò che la mente umana è anch’essa un fattore nell’economia politica e che i crescenti bisogni della società sarebbero stati soddisfatti da un crescente potere d’invenzione”

21 Crisi della soggettività e crisi dello sviluppo E’ Max Weber* tra i primi a notare le conseguenze per lo sviluppo di quella frizione irrisolta, presente in A. Smith, tra il fattore umano e il fattore extra-umano, che consegnava la dimensione soggettiva alle sue oggettivazioni, fino a renderla immemore della loro origine e dispersa in esse. In ciò Weber era certo stato influenzato dalla profezia di F. Nietzsche, che prevedeva, per il XX e il XXI secolo, l’avvento del nichilismo, cioè di quella patologia antropologica che, attaccando l’istanza di trascendenza dell’uomo, radice della soggettività, volge al nulla ogni possibile sviluppo. * Cercare su Wikipedia!

22 Origine soggettiva del Capitalismo Weber, riflettendo sul poderoso fenomeno del Capitalismo, ne rinveniva l’origine soggettiva, risalente all’iniziativa di «un giovane di una delle famiglie di imprenditori» tradizionali: «ad un certo momento» si era ridestato in lui un nuovo spirito, che «improvvisamente» aveva cominciato a disturbare la vita tradizionale e «assai comoda» dei padri, «senza che fosse intervenuto alcun mutamento fondamentale nella forma dell’organizzazione – passaggio all’impianto industriale chiuso o al telaio meccanico o simili».* *M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, tr. it. di P. Burresi, Sansoni, Firenze 1965, pp. 124-125.

23 Dinamiche oggettivanti del Capitalismo Il nuovo spirito capitalistico comportò l’avvio, in Occidente, di uno sviluppo incredibile, supportato da dinamiche di “razionalizzazione” (EPSC, pp. 76-77) parcellizzante e calcolante dei processi naturali, che non avevano uguali altrove. Del resto, lo spirito del capitalismo proprio in Occidente si era risvegliato e, cercando di realizzarsi, si era procurato i capitali come mezzi della sua azione - e non viceversa – (EPSC, p. 126), perché qui da tempo immemorabile si era avviato quel processo, preparatorio di esso e divenuto ora invincibilmente ineluttabile, che Weber denomina della “separazione delle sfere” (economica, politica, estetica, erotica, intellettuale).* * M. Weber, Considerazione intermedia, tr. it. di A. Ferrara, Armando, Roma 1995, pp. 41-104

24 Il disincanto del mondo Ma, dopo secoli di impetuoso sviluppo socio-economico- culturale, dello slancio di quell’iniziativa individuale, resta ormai solo – osserva Weber nel 1920 - il “disincanto del mondo” (Entzauberung der Welt). Si tratta di una condizione, socialmente diffusa e condivisa, che ci segnala la fine irrevocabile di quel passato, che era scaturito in modo “magico” - quando la nostra creatività era ancora in grado di avvertire l’incantesimo del mondo e farsene sollecitare - e perciò non è riproducibile con i poveri strumenti della razionalità calcolante, di cui ora disponiamo, dopo la devastazione antropologica che ci siamo inferti, consegnandoci all’esecuzione di dinamiche oggettive e oggettivanti, senza curarci del loro senso per noi.

25 L’allarme sviluppo di Max Weber Della ricca e viva razionalità con cui l’uomo animava, nel passato remoto, il suo rapporto con il mondo, traendone insieme l’incremento del proprio essere e l’ edificazione del mondo stesso, non resta nel XX secolo altro che la capacità di calcolare «che cosa dobbiamo fare se vogliamo padroneggiare la vita con la tecnica»*. Per soddisfare le esigenze spirituali Weber consiglia, infatti, di rifugiarsi nell’ambito dell’irrazionale e attingere da religioni e filosofie il dio cui, senza ragione ma per un irrefrenabile quanto inspiegabile necessità interiore, vogliamo assoggettarci per dare un senso almeno alla nostra esistenza individuale, mentre continuiamo ad attendere all’opera razionalizzatrice del nostro lavoro intellettuale e materiale, che spoglia sempre più il mondo del suo mistero e produce nelle persone scetticismo e disincanto. *M. Weber, La scienza come professione, tr. it. di L. Volontè, Rusconi, Milano 1997, p. 103.

26 Riattivare lo sviluppo Ipotizza Nietzsche che per riattivare lo sviluppo: «Ogni caratteristica fondamentale, che è alla base di ogni avvenimento, e che in ogni accadimento si esprime, dovrebbe, se fosse sentita da un individuo come propria caratteristica fondamentale, spingere questo individuo ad approvare trionfalmente ogni attimo dell’esistenza in generale. L’importante sarebbe appunto sentire con piacere dentro di sé questa caratteristica fondamentalmente come buona e pregevole».* * F. Nietzsche, Il nichilismo europeo. Frammento di Lenzerheide, Adelphi, Milano 2006, § 8, p. 15

27 L’uomo come fattore di sviluppo Siamo così risospinti al punto dal quale la ricerca dello sviluppo economico si era avviata: all’individuo umano vivente e alla inevasa domanda di senso circa le sue produzioni! Ora però, nel XX sec., gli studi antropologici possono offrire alla questione quel supporto teoretico che essa non aveva trovato nella metafisica tradizionale di stampo aristotelico in fase di dissoluzione. L’antropologia filosofica può infatti documentare la fecondità evolutiva dell’essere nell’opera dell’essere umano, il quale “fa essere” in proporzione del grado di umanità conseguito.

28 Natura e natura umana Dal paesaggio concettuale dell’antropologia filosofica l’uomo emerge come un vivente che oltrepassa i limiti della diretta derivazione dall’animale, per esprimersi quale «progetto globale della natura», unico nel suo genere (A. Gehlen)*. Max Scheler* rappresenta così la condizione umana, rapportata alla condizione animale: A  A (A=animale; A=ambiente;  = metabolismo) U  M  (U=uomo; M=mondo;  =trascendenza) * Cercare su Wikipedia!

29 Natura e natura umana (1) Si riprende in ciò l’idea aristotelico-tomistica della natura umana, “estatica”, come la definisce R. Spaemann,* idea non più compresa dal tardo Medioevo in avanti. Secondo tale concezione la natura produce nell’uomo qualcosa che è “di più” (nobilior) della natura stessa e tale potenziamento avviene grazie all’amicizia, che consente di condividere e moltiplicare ciò che fa bene (Aristotele, Etica a Nicomaco; Tommaso, Summa theologiae). L’uomo non è questo “di più”, ma è colui in cui la natura ha la possibilità di trascendere se stessa per arrivare a questo “di più”, che per S. Tommaso è la beatitudine (Summa theologiae, I-II, q. 5, a. 5, ad 1) e per Aristotele (De Anima, II, 4, 415a 29-b 1) la metèxis/partecipazione “all’eterno e al divino” * R. Spaemann, Natura e ragione. Saggi di antropologia, Università della Santa Croce, Roma 2006, p. 32.

30 Auto-trascendimento della natura nell’uomo Ovvero: l’uomo, compiendo atti di trascendimento della natura sua e dell’intero cosmo, la conduce per la prima volta a se stessa e rende visibile quello che la natura è davvero, nella sua integralità potenziale e attuale. Infatti, soltanto nell’uomo la struttura tendenziale propria della natura si presenta come libero volere e riconoscimento di un motivo e di un fine oggettivi.

31 Natura e natura umana (2) Affermare che l’uomo per natura trascende la natura sua e del cosmo significa definire l’uomo non tanto in base a ciò che egli è effettivamente, come facciamo per tutti gli altri enti, quanto attraverso ciò che egli non è ancora, ma può divenire per mezzo dei suoi atti. Così facendo, emerge la qualità specifica dell’uomo che, a differenza di tutti gli altri enti-oggetto, è “soggetto” i cui atti “fanno essere”, slatentizzando anche le potenzialità inespresse sue e del mondo, in forza del suo essere-oltre-sé sorprendentemente corrispondente all’essere naturale e incidente su di esso. Qui si esprime il paradosso dell’umano! Infatti, mentre ogni essere vivente è “centrato” sul proprio ambiente, con il quale è determinato a “metabolizzare” (A↔A), l’essere umano risulta “eccentrico” (U  M  ), in quanto non fissato ad un unico centro ma libera controparte di una molteplicità di ambienti=l’intero mondo e come trascendente anche rispetto a quest’ultimo, perché in rapporto con l’infinito e l’assoluto, attraverso le sue idee. Di qui la responsabilità del vivente umano per il futuro dell’intero universo!

32 La funzione finalizzante Rispetto alla sicurezza istintuale dell’animale, fornito di un ambiente specifico e di una modalità di vita rigidamente determinata (J. Uexkühll)*, nell’uomo compare infatti una sorta di «manchevolezza», che lo costringe ad elaborare la sua stessa singola natura come «opera propria» (G. Herder)*. Proprio a causa di tale suo specifico biologico, segnato da una inadeguatezza alla vita, che esula dalle spiegazioni fornite dalle leggi evolutive della selezione e dell’adattamento (cfr.: teoria del ritardamento morfologico)*, l’uomo è dotato dalla natura della qualità speciale di porre fini a se stesso (L. Bolk)*. * cercare su Wikipedia!

33 Natura e creatività nell’uomo Si delinea in queste acquisizioni della ricerca antropologica recente, filosofica e scientifica, una specifica concezione della vita dell’uomo nel mondo: essa non è soltanto un processo secondo natura, che si possa cogliere per via di analisi oggettiva, in quanto il costruttivismo della vita umana è veicolato dall’atto creativo, che la caratterizza.

34 Natura e creatività nell’uomo «Per trovare l’indizio del vasto, apparentemente disperso eppure cogente macrocosmo dell’universo umano in mutamento», bisogna «colpire al cuore della datità-in-divenire, dove tutto si differenzia a partire dai poteri virtuali», cioè occorre sapersi attestare sul punto sintetico rappresentato dall’atto creativo dell’uomo –che è anche ciò che lo rende “umano” – perchè è quello il luogo in cui «i fattori differenziali del macrocosmo della vita si differenziano».* *A.-T. Tymieniecka, Creative Experience and the Critique of Reason, “Logos and Life”, Book 1, Kluwer Dordrecht 1988, p. 6. *Cfr. Allegato: D. Verducci, La questione dello sviluppo in prospettiva ontopoietica, in “Etica ed economia”, 1 (2007), pp. 45- 58. + Allegato: SCHEDA-TYMIE

35 Natura e creatività nell’uomo (1) Raggiungendo il livello della condizione umana, la vita consegue un grado di individualizzazione per cui prende coscienza di sé e si esplica come capacità di etero-auto- plasmazione, conferendo al vivente uomo la capacità di riconoscere, selezionare, portare a realizzazione le proprie virtualità ontologiche e di gestire in modo creativo le funzioni e gli automatismi psico-fisici, suoi e dell’ambiente che lo circonda, sia animato e inanimato che umano.

36 Natura e creatività nell’uomo (2) Il costruttivismo che promana dalla condizione umana della vita non consiste, infatti, né nel semplice «sviluppo del corso di vita [dell’uomo]» (development of his life-course), secondo il naturalismo antico, né si esaurisce nell’aggiunta del fatto che l’uomo è «un agente che conferisce significato, l’autore del suo mondo-di-vita», come il moderno cartesianesimo ha affermato. Ciò che si mostra, a ben guardare il fenomeno della comparsa della condizione umana nel corso dell’evoluzione dei viventi, è che «la vita propria [dell’uomo] è in se stessa l’effetto della sua autoindividualizzazione nell’esistenza per autointerpretazione inventiva della sua più intima movenza di vita» (Tymieniecka, op. cit., p. 5).* * Cfr.: Allegato PDF, “Etica ed Economia”, D. Verducci, cit., p. 53.

37 Natura e creatività nell’uomo (3) Se dunque ci poniamo nella prospettiva della creatività umana come fattore originale e specifico di sviluppo, guadagniamo il nuovo punto archimedeo che ci consente di cogliere l’essere nella sua evolutività non solo autopoietica (=riproduttrice di essere, cfr.: F. Varela*) ma anche ontopoietica (=produttrice di essere): l’evolutività dell’essere risulta infatti marcata da un logos che procede auto-individualizzandosi e che, senza cambiare natura, ma passando dallo statuto deterministico della natura a quello libero dell’uomo, percorre l’intero universo inorganico, organico, umano e abilita l’uomo ad operare per uno sviluppo ecologico (= armonicamente suo e di tutto il cosmo).** * Cercare su Wikipedia! ** Cfr.: Allegato PDF, “Etica ed Economia”, D. Verducci, cit., p. 51-57.

38 Il logos della vita nella vita umana Seguendo il filo conduttore del costruttivismo della vita, ci si manifesta così una teleologia ontologica, per la quale il dispiegamento della vita naturale trova il suo telos (=fine) nella vita umana; di qui si avvia, infatti, una fase di sviluppo nuova, in quanto l’auto-individualizzazione non procede più deterministicamente, ma secondo una modalità immaginativamente creativa: «the creative function guided by its own telos generates Imaginatio Creatrix in man, as the means par excellence, of specific human freedom: that is freedom to go beyond the framework of the life-world, the freedom of man to surpass himself» (Tymieniecka, op. cit., pp. 25-26).

39 Il contributo della paleo-antropologia La paleoantropologia ci offre documentazione di ciò, allorchè ci indica la rivoluzione agricola del neolitico (10.000-3.500 a. C.) come il punto di avvio della culturalità umana o l’emergere del “secondo uomo”, come lo chiama A. Gehlen,* per il quale l'ambiente naturale diventa un ambiente culturale, influenzato e plasmato cioè non solo dalla semplice presenza umana, ma soprattutto dal fattore “creativo” propriamente umano, che si intreccia inestricabilmente con il puro dato biologico in una azione combinata tanto sui singoli individui che sulle pressioni selettive che ne plasmano le linee genetiche. * A. Gehlen, Le origini dell’uomo e la tarda cultura, Il Saggiatore, Milano 1996, p. 62.

40 L’agricoltore/allevatore del neolitico L’agricoltore/allevatore del neolitico scoprì, infatti, cioè sperimentò ed apprese che la natura, sottoposta alle sue cure di coltivazione, “fioriva”, fruttificando secondo una fecondità, impensabile nel suo stato selvaggio. A seguito dell’esperienza sorprendentemente positiva della coltivazione dei campi, quale potenziamento “artificiale” dello sviluppo naturale, gli uomini estesero la pratica della coltivazione o cura anche alla natura propria e dei propri simili (culto dei morti, educazione/formazione, lavoro).* *Cfr. slides sui Fisiocratici

41 Rimandi Le slides che seguono (24-30) rappresentano i termini dei rimandi contenuti nelle slides precedenti. Tali rimandi si raggiungono direttamente dalla forma

42 H. JonasH. Jonas: dal vivo al morto «…la riflessione primitiva […] la metafisica in forma di mito e di religione […] cerca di risolvere la contraddizione fondamentale, per cui tutto è vita e tutta la vita è mortale. Essa accetta la sfida radicale e per salvare la totalità delle cose nega la morte […] l’essere è solo comprensibile, solo reale in quanto vita; e la presagita costanza dell’essere può essere intesa unicamente come costanza della vita, oltre la morte. […] Il pensiero moderno, che inizia con il Rinascimento, si trova nella situazione teoretica esattamente opposta: ciò che è naturale e comprensibile è la morte, problematica è la vita. […] Quel che, allo stadio dell’animismo, non era stato nemmeno scoperto ha invaso nel frattempo la totalità della realtà. L’universo tremendamente ingrandito della moderna cosmologia è un campo di masse inanimate e di forze senza meta, i cui processi si svolgono a seconda della loro distribuzione quantitativa nello spazio in base a leggi di invarianza» (p. 17).* *H. Jonas, Organismo e libertà. Verso una biologia filosofica, tr. it. di A. Patrucco Becchi, Einaudi, Torino, 1999.

43 G. W. F. Hegel «Il fatto è che l’opinione (Meinung), scorgendo nella diversità unicamente la contraddizione, è incapace di concepire la diversità fra sistemi filosofici come sviluppo progressivo della verità (die fortschreitende Entwicklung der Wahrheit). La gemma scompare quando sboccia il fiore, e si potrebbe dire che ne viene confutata (widerlegt wird); allo stesso modo, quando sorge il frutto, il fiore viene per così dire, denunciato come una falsa esistenza (wird für eine falsche Dasein erklärt) della pianta, e il frutto subentra (tritt) al posto del fiore come sua verità. Ora queste forme non sono semplicemente differenti l’una dall’altra, ma l’una soppianta l’altra in quanto sono reciprocamente incompatibili. Nello stesso tempo però, la loro natura fluida le rende momenti dell’unità organica, in cui non solo non entrano in contrasto, ma sono necessarie l’una quanto l’altra; e soltanto questa pari necessità costituisce la vita del Tutto (macht erst das Leben des Ganzen aus)». *G.F.W. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, tr. it. di V. Cicero, Rusconi, Milano, 1995, pp. 50-51.

44 Aristotele Metaphysica, l. IX (Θ), 8, 1049b 4-12: «…risulta evidente che l’atto è anteriore alla potenza (πρότερον ενέργεια δυνάμεώς εστιν) […] non solamente della potenza nel significato, sopra precisato, di principio di mutamento (αρχή μεταβλήτική) in altro o nella cosa stessa in quanto altro, ma, in generale di ogni principio di movimento o di inerzia (πάσης αρχής κινητικής ή στατικής). Infatti anche la natura (φύσις ) appartiene allo stesso genere cui appartiene la potenza, perché anch’essa è principio di movimento, ma non in altro, bensì nella cosa stessa in quanto tale. Ora di ogni potenza intesa a questo modo l’atto è anteriore 1) secondo la nozione; 2) secondo la sostanza; 3)invece secondo il tempo l’atto a) in un senso è anteriore e b) in un altro senso non è anteriore».

45 La “mano invisibile” di Adam Smithmano invisibile «Il prodotto dell'attività produttiva è ciò che essa aggiunge alle cose o ai materiali su cui viene esercitata. A seconda che questo valore sia grande o piccolo, i profitti dell'imprenditore saranno grandi o piccoli in proporzione. Ma è solo per la ricerca del profitto che una persona impiega il suo capitale a sostegno dell'attività produttiva; ed egli, per questo, cercherà sempre di impiegarlo a sostegno di quella attività il cui prodotto abbia probabilmente il massimo valore, che si scambi cioè con la massima quantità di denaro e di altre merci […] In effetti un individuo non intende, in genere, perseguire l'interesse pubblico, né è consapevole della misura in cui lo sta perseguendo […]»

46 La “mano invisibile” di Adam Smith (2)mano invisibile «[…] Quando orienta la propria attività in modo tale che il suo prodotto sia il massimo possibile, egli mira solo al suo proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in altri casi, a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni. Né il fatto che tale fine non rientri sempre nelle sue intenzioni è sempre un danno per la società. Perseguendo il suo interesse, egli spesso persegue l'interesse della società in modo molto più efficace di quando intende effettivamente perseguirlo. Io non ho mai saputo che sia stato fatto molto bene da coloro che affettano di commerciare per il bene pubblico». [A. Smith, La ricchezza delle nazioni, Newton, 1995, p. 391]

47 La rivoluzione industriale Nelle vecchie corporazioni artigiane, l'unità occupazionale era il lavoratore individuale; il suo lavoro era essenzialmente fatto a mano ed egli, di solito, eseguiva tutte le operazioni necessarie per la produzione di un singolo oggetto. L'introduzione delle macchine determinò una situazione del tutto diversa. Il processo lavorativo veniva ora frantumato in una serie di operazioni divise, ciascuna delle quali era eseguita da individui che in essa si specializzavano. La descrizione classica della nuova tecnica fu data da Adam Smith* nel primo capitolo della sua opera Ricerca sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni (pubblicata il 9 marzo 1776), in cui descrive una fabbrica di spilli. *Per saperne di più cerca su Wikipedia!

48 Il lavoro nella fabbrica Il lavoro nella fabbrica (1) «Un operaio non addestrato a questa manifattura, che la divisione del lavoro ha reso un mestiere speciale e che non conosca l'uso delle macchine che vi si impiegano, l'invenzione delle quali è stata probabilmente originata dalla stessa divisione del lavoro, potrà a malapena, applicandosi al massimo, fabbricare un solo spillo al giorno, e certamente non ne potrà fabbricare venti. Ma, nel modo in cui si esegue ora tale fabbricazione, non soltanto essa è un mestiere speciale, ma si divide in molti rami, la maggior parte dei quali è analogamente un mestiere speciale. Un uomo tira il filo di metallo, un altro lo tende, un terzo lo taglia, un quarto lo appunta, un quinto lo arrotola alla estremità in cui deve farsi la testa; farne la testa richiede due o tre operazioni distinte, collocarla è un'operazione speciale, pulire gli spilli è un'altra e un'altra ancora è disporli dentro la carta;…………………………………………….

49 Il lavoro nella fabbrica Il lavoro nella fabbrica (2) ….e in tal modo l'importante mestiere di fare uno spillo si divide in circa 18 operazioni distinte, che in alcune fabbriche sono tutte eseguite da operai distinti, benchè in altre fabbriche lo stesso uomo ne eseguirà talvolta 2 o 3. Ho visto una piccola fabbrica di questo genere, che occupava soltanto 10 uomini e nella quale, di conseguenza, ciascuno di loro eseguiva 2 o 3 operazioni diverse. Ma sebbene essi fossero assai poveri, e perciò non disponessero di tutte le macchine necessarie, pure, quando si impegnavano potevano fabbricare complessivamente 12 libbre di spille al giorno. Una libbra contiene oltre 4.000 spilli di media grandezza. Quelle 10 persone potevano dunque fabbricare assieme oltre 48.000 spilli al giorno».


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