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La Sicurezza nelle attività di Protezione Civile Corso di Formazione Base per Volontari di Protezione Civile Gennaio – Marzo 2016 Relatori: geom. Andrea.

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1 La Sicurezza nelle attività di Protezione Civile Corso di Formazione Base per Volontari di Protezione Civile Gennaio – Marzo 2016 Relatori: geom. Andrea Fanelli e geom. Ferdinando Ferrigno per L’Associazione Geometri Volontari per la Sicurezza e la Protezione Civile

2 ARGOMENTI TRATTATI  Riferimenti normativi  Scenari di rischio e compiti dei volontari  Comportamenti di autotutela  Dispositivi di protezione individuale (D.P.I.) 2

3 RIFERIMENTI NORMATIVI  Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008  Decreto 13 aprile 2011  Decreto 12 gennaio 2012  Decreto 25 novembre 2013 3

4 Decreto n. 81 del 9 aprile 2008 Nello specifico art 3 – Campo di applicazione - comma 3 e 3bis come modificato dal Decreto Legislativo n. 106 del 3 agosto 2009. Da questo decreto i volontari di protezione civile vengono per la prima volta equiparati ai lavoratori, e per tale motivo devono rispondere alle norme di cui al D.Lgs. n. 81/08 insieme ai responsabili delle associazioni di protezione civile. 4

5 Decreto 13 aprile 2011 Decreto attuativo del comma 3bis del Decreto Legislativo n. 106 del 3 agosto 2009, ove il DIRETTORE GENERALE del Ministero del lavoro e delle politiche e il CAPO DIPARTIMENTO della prevenzione e della comunicazione del Ministero della salute di concerto con IL CAPO DIPARTIMENTO della Protezione Civile prende atto delle norme da rispettare nell’ambito della sicurezza e definisce i criteri di:  Organizzazione,  Formazione,  Addestramento,  Controllo Sanitario. Ed emana un dovere cardine del volontario: «il dovere di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone» 5

6 Decreto 25 novembre 2013 Il Decreto indica gli indirizzi minimi per il controllo sanitario dei Volontari di Protezione Civile in relazione ai compiti che svolgono (Protocolli operativi in via di definizione ad eccezione per le attività AIB già normata per le visite mediche, questi ultimi devono essere inseriti nella «sorveglianza» sanitaria art. 41) 6

7 Decreto 12 gennaio 2012 Individua vari aspetti della Protezione Civile tra cui:  Scenari di rischio nell’ambito dell’attività;  Principali compiti svolti dai Volontari;  Criteri per l’attività di formazione, informazione e addestramento tra cui l’uso dei dispositivi di protezione individuale;  Disposizioni specifiche per l’attività AIB. 7

8 SCENARI DI RISCHIO Eventi atmosferici avversi 8

9 SCENARI DI RISCHIO Rischio idrogeologico:  Frane  Alluvione 9

10 SCENARI DI RISCHIO Rischio sismico Rischio vulcanico Rischio incendi boschivi 10

11 SCENARI DI RISCHIO Rischio chimico, nucleare ed industriale Rischio trasporti 11

12 SCENARI DI RISCHIO Caratterizzati da assenza di specifici rischi:  Operatività ordinaria  Attività addestrativa, formativa o di informazione alla popolazione  Attività in occasione di brillamenti di ordigni bellici  Attività ricerca persone disperse/scomparse 12

13 Criticità degli scenari Qualunque sia lo scenario in cui il volontario si trovi ad operare è bene che il volontario valuti sempre la situazione in cui si trova ed i comportamenti di autotutela da adottare. Usare sempre il buon senso 13

14 PRINCIPALI COMPITI  Assistenza alla popolazione  Logistica, uso mezzi e attrezzature, comunicazione radio 14

15 PRINCIPALI COMPITI  Preparazione e somministrazione pasti  Prevenzione e lotta attiva contro gli incendi 15

16 PRINCIPALI COMPITI  Attività amministrativa di segreteria  Attività formativa 16

17 PRINCIPALI COMPITI  Attività subacquea  Attività cinofila 17

18 PERICOLI Si distinguono in:  ORDINARI – Nell’uso di attrezzature  SPECIFICI – Nell’uso di prodotti  ERGONOMICI – Nella postura o movimentazione  DI PROCESSO – Nell’operatività dell’azione  ORGANIZZATIVI – Nel luogo in cui si opera 18

19 DANNI Si distinguono in:  Infortunio - che si manifesta nell’immediato a causa di eventi improvvisi e accidentali;  Malattie - che si manifestano col tempo, solo dopo esposizione prolungata al rischio. 19

20 RISCHI Elenco non esaustivo nell’ambito delle attività:  Investimento;  Cadute di materiali dall’alto;  Cadute dall’alto; 20

21 AMBIENTI DI RISCHIO  Ambiente di attività;  Aree di transito;  Spazio di lavoro;  Scale e aperture;  Macchine;  Mezzi di trasporto;  Attrezzature e utensili manuali;  Movimentazione manuale dei carichi;  Apparecchi di sollevamento;  Magazzino;  Impianti. 21

22 COME RIDURRE I RISCHI  Eliminare o limitare il pericolo alla fonte con comportamento di autotutela (prudenza);  Operare in squadre ben organizzate;  Rispettare i turni di riposo;  Usare i dispositivi di prevenzione individuale. 22

23 D.P.I. - DEFINIZIONE Per Dispositivo di Protezione Individuale (DPI) si intende qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal volontario allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciare la sicurezza o la saluta durante le attività. 23

24 UTILIZZO I DPI, secondo dettato normativa, devono essere utilizzati solo quando l’adozione delle misure tecniche preventive e/o organizzative di protezione collettiva non risulti sufficiente all’eliminazione di tutti i fattori di rischio. Pertanto i DPI devono essere utilizzati quando non è stato possibile eliminare totalmente in altro modo il rischio e servono come misura aggiuntiva per ridurre il rischi residuo. 24

25 UTILIZZO I DPI, devono: essere adeguati alle condizioni presenti sul luogo dell’intervento; essere adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare un rischio maggiore per l’operatore; devono tenere conto delle esigenze ergonomiche e della salute dell’operatore; poter essere adattati all’utilizzatore secondo le sue necessità; 25

26 REQUISITI D’USO I DPI, devono: essere forniti al volontario in funzione dello scenario d’intervento e del compito assegnato; riportare il marchio CE il quale indica la conformità ai requisiti essenziali di salute e sicurezza; avere istruzioni per il corretto uso, conservazione e manutenzione; avere data di scadenza e limiti d’uso. 26

27 CATEGORIE I DPI, secondo dettato normativo, si dividono in tre categorie a secondo della gravità dei rischi dai quali sono destinati a proteggere: Prima Categoria: di progettazione semplice destinati a salvaguardare la persona da rischi di danni fisici di lieve entità; Seconda Categoria: che possono proteggere dall’insorgere di patologie mediche; Terza Categoria: di progettazione complessa destinati a salvaguardare da rischi di morte o di lesioni gravi e di carattere permanente. 27

28 CATEGORIE 28 DPI di I Categoria Rischi di danni fisici di lievi entità di cui la persona che usa i DPI abbia la possibilità di percepire il progressivo verificarsi degli effetti Azioni lesive di lieve entità prodotte da strumenti metallici. Azioni lesive di lieve entità causate da prodotti detergenti. Contatto o urti con oggetti caldi ce non espongano ad una temperatura superiore ai 50°C. Ordinari fenomeni atmosferici nel corso di attività professionali. Urti lievi e vibrazioni inidonei a raggiungere gli organi vitali ed a provocare lesioni di carattere permanente. Azione lesiva dei raggi solari Simbolo CE - con Dichiarazione di Conformità del fabbricante.

29 ESEMPIO DI D.P.I. 1° CAT. 29

30 CATEGORIE 30 DPI di III Categoria Rischi di morte o di lesioni gravi e di carattere permanente di cui la persona che usa i DPI non abbia la possibilità di percepire tempestivamente la verificazione istantanea degli effetti lesivi Inquinamento dell’atmosfera respirabile o deficienza di ossigeno nella stessa. Aggressioni chimiche e radiazioni ionizzanti. Temperatura d’aria non inferiore a 100°C o non superiore a -50°C. Cadute dall’alto. Tensioni elettriche pericolose Simbolo CE - con numero di riconoscimento dell’organismo notificato che ha rilasciato la certificazione o ha effettuato le verifiche annuale del sistema di qualità del fabbricante (Attestato di Certificazione).

31 ESEMPIO DI D.P.I. 3° CAT. 31

32 CATEGORIE 32 DPI di II Categoria Tutti i rischi non coperti dalle altre categorie Simbolo CE - con Attestato di Certificazione rilasciato da organismo notificato previa verifica del prototipo.

33 ESEMPIO DI D.P.I. 2° CAT. 33

34 TIPOLOGIA I DPI, devono: essere adeguati alle condizioni presenti sul luogo dell’intervento; essere adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare un rischio maggiore per l’operatore; devono tenere conto delle esigenze ergonomiche e della salute dell’operatore; poter essere adattati all’utilizzatore secondo le sue necessità; 34

35 Tipologia DPI 35 Protezione della Testa Protezione delle Mani e delle Braccia Protezione delle Gambe e dei Piedi Protezione del tronco e dell’addome Protezione dell’Udito Protezione degli Occhi e del Viso Protezione delle Vie Respiratorie Protezione delle Pelle Protezione dell’intero Corpo

36 DPI PER LA PROTEZIONE DELLA TESTA - Caschi di protezione per l’industria (caschi per miniere, cantieri edili, ecc.); - Copricapo leggero per proteggere il cuoio capelluto (berretti); 36 -Norma EN 397 – Elmetto di protezione per le industrie. -Norma EN 812 – Casco antiurto. -Norma EN 443 – Caschi per pompieri

37 DPI PER LA PROTEZIONE DELL’UDITO - Palline e tappi per orecchie; - Archetti auricolari; - Cuffie. 37 - EN 352/1 – Cuffie. - EN 352/2 – Inserti auricolari. - EN 352/3 – Cuffie per elmetto.

38 DPI PER LA PROTEZIONE DEGLI OCCHI E DEL VISO - Occhiali a stanghette; - Occhiali a maschera; - Schermi facciali; - Maschere per saldature. 38

39 DPI PER LA PROTEZIONE DEGLI VIE RESPIRATORIE - Mascherine; - Maschere a filtri; - Maschere facciali; 39 EN 149/2001 – Facciale filtrante monouso suddivise in tre classi: Per gas/vapori - Classe 1 – per un tenore di gas inferiore allo 0,1% in volume - Classe 2 – per un tenore di gas compreso tra lo 0,1% e lo 0,5% di volume - Classe 3 – per un tenore di gas compreso tra lo 0,5% e l’1% in volume Per polveri ed aerosol - Classe 1 – per proteggere dalle particelle solide grossolane senza tossicità specifica (P1 o FFP1) – carbonato di calcio - Classe 2 – contro gli aerosol solidi e/o liquidi indicati come pericolosi o irritanti (P» o FFP2) silice – carbonato di sodio - Classe 3 – contro gli aerosol solidi e/o liquidi tossici – piombo – amianto

40 MASCHERA ANTIGAS Utili per la protezione degli organi della respirazione in ambienti contaminati da gas o vapori nocivi. Provvedono, a mezzo di filtri di tipo adatto al tossico o gruppo di tossici presenti, a depurare l'aria inspirata trattenendo gli agenti nocivi o trasformandoli in sostanze non dannose all'organismo umano. È costituita di 2 parti collegabili fra loro: - Maschera che copre tutto il viso; - Filtro, contenente le sostanze atte alla depurazione dell'aria. 40

41 Limitazioni nell’impiego della maschera antigas L’aria purificata attraverso il filtro deve essere respirabile, ossia contenere non meno del 17% di ossigeno. La concentrazione dell'agente inquinante non deve essere superiore al 2% in quanto i filtri non sono idonei a neutralizzare tale quantità. Ogni filtro è specifico per un solo agente (ad es. ossido di carbonio) o per una classe di agenti (ad es. vapori organici). La maschera antigas non è un dispositivo di protezione universale che possa essere usato indiscriminatamente per la difesa da qualsiasi agente inquinante. 41

42 AUTORESPIRATORI Apparecchi di respirazione costituiti da un’unità funzionale autonoma, portata dall'operatore che può quindi muoversi con completa libertà di movimenti. È un mezzo protettivo più sicuro: isola completamente dall'esterno. Necessità di impiego: Ambiente povero o privo di ossigeno; Tasso d'inquinamento atmosferico elevato; Non si conosce la natura dell'inquinante; In tutti i casi in cui è dubbia l'efficacia dei dispositivi filtranti. 42

43 Modalità di funzionamento: A domanda: l'afflusso d'aria sarà proporzionale alla richiesta, permettendo di risparmiare aria e quindi di aver maggior autonomia; In sovrapressione: l'aria affluirà in quantità maggiore, creando nel vano maschera una sovvrapressione di circa 2,5 mbar che provvede ad un’ulteriore protezione da eventuali infiltrazioni di tossico dalla maschera, possibili per una non perfetta aderenza al viso della stessa. 43

44 Autonomia L'autonomia è proporzionale al volume della riserva d'aria, e quindi alle dimensioni della bombola. Tenendo conto che per un lavoro medio un operatore addestrato consuma circa 30 litri d'aria al minuto, conoscendo il volume delle bombole è possibile valutarne l'autonomia dell’apparecchio. Esempio: Volume bombola=7 lt Pressione=200 atm Autonomia =7 x 200:30 ≈45 minuti Quando la pressione scende sotto 50 atm circa, un sistema d'allarme acustico avverte che la bombola è prossimo all’esaurimento 44

45 DPI PER LA PROTEZIONE DELLE MANI E DELLE BRACCIA - Guanti 45

46 DPI PER LA PROTEZIONE DEI PIEDI E DELLE GAMBE - Scarpe; - Stivali; - Ginocchiere e pantaloni; - Suole amovibili; - Ramponi amovibili. 46

47 DPI PER LA PROTEZIONE DELLA PELLE - Creme protettive; - Pomate. 47

48 DPI PER LA PROTEZIONE DEL TRONCO E DELL’ADDOME - Giubbotti, giacche e grembiuli protettivi contro aggressioni meccaniche; - Giubbotti, giacche e grembiuli protettivi contro aggressioni chimiche; - Giubbotti termici; - Giubbotti di salvataggio. 48 EN 342 – Abbigliamento di protezione contro il freddo EN 471 – Abbigliamento di segnaletica ad alta visibilità

49 DPI PER LA PROTEZIONE DELL’INTERO CORPO - Attrezzature anticaduta; - Imbracature. 49 EN 363 – Dispositivo di arresto caduta EN 354 – Corde EN 361 - Imbragatura

50 RACCOMANDAZIONI NELLA MANUTENZIONE DEI DPI Gli operatori che usano i DPI devono: - Usarli secondo le indicazioni del libretto d’uso; - Conservarli dopo l’uso secondo il libretto di manutenzione; - Attuare una manutenzione continua e minuziosa; - Evitare l’uso se danneggiati. 50

51 ESEMPIO DI VALUTAZIONE RISCHI PER INDIVIDUAZIONE DEI DPI DA USARE DURANTE LE LAVORAZIONI 51

52 52

53 53

54 I DPI DI PROTEZIONE CIVILE 54 Etichetta tipo a corredo dell’abbigliamento:

55 I DPI DI PROTEZIONE CIVILE 55 Gilet alta visibilità:  Altavisibilità classe 2 – II categoria

56 I DPI DI PROTEZIONE CIVILE 56 Scarpe di sicurezza:  Protezione para malleolo;  Plantare anatomico ad elevato assorbimento;  Suola ammortizzante con rilievi antiscivolo;  Elevata impermeabilità e resistenza all’usura;  Puntale;  Resistenza della suola agli idrocarburi;

57 I DPI DI PROTEZIONE CIVILE 57 Stivali di sicurezza:  Impermeabile;  Suola ammortizzante;  Battistrada antiscivolo e antifango;  Puntale;  Suola antiperforazione;  Resistente agli oli minerali e idrocarburi;  Struttura antistatica.

58 I DPI DI PROTEZIONE CIVILE 58 Giacca a vento e copri pantalone impermeabile:  Altavisibilità classe 3 – II categoria;  Impermeabilità classe 3;  Resistenza al vapore acqueo classe 3.

59 I DPI DI PROTEZIONE CIVILE 59 Giubbino e pantalone:  Altavisibilità classe 2 – II categoria;

60 I DPI DI PROTEZIONE CIVILE 60 Tuta da lavoro:  Altavisibilità classe 2 – II categoria;

61 RIFLESSIONE 61

62 TIPOLOGIA NORMATIVA DI «EMERGENZA» Quando un evento calamitoso si verifica, è fondamentale, al fine di garantire un efficace, efficiente e celere intervento di soccorso alle popolazioni colpite, classificare immediatamente la tipologia dell’evento. In conformità a quanto previsto dalla legge 225/92. 62

63 Ogni evento calamitoso può essere inquadrato, infatti, in uno dei tre moduli organizzativi previsti dalla legge n. 225/92: Tipo «A»: fronteggiato mediante interventi attuabili dai singoli enti ed amministrazioni competenti in via ordinaria. Tipo «B»: fronteggiato mediante intervento coordinato di più enti e amministrazioni competenti in via ordinaria. Tipo «C»: fronteggiato mediante intervento, per intensità ed estensione, con mezzi e poteri straordinari. 63

64 Pertanto se l’evento è di livello «A» e quindi fronteggiabile in sede locale, la competenza a disporre in prima persona gli interventi necessari al superamento di tale situazione è propria del Sindaco il quale opera mediante il coinvolgimento diretto dell’Ufficio comunale di protezione civile, qualora sia esistente, del Gruppo comunale dei volontari di protezione civile, nonché della Sala operativa regionale, che deve essere tempestivamente attivata al momento del verificarsi dell’evento al fine di ottenere il fondamentale supporto tecnico e di coordinamento atti al ripristino della situazione di normalità sul territorio interessato dall’evento. 64

65 Medesima situazione, ma con la collaborazione di più sindaci di paesi limitrofi, è la tipologia «B». In codesti scenari la professionalità del geometra può trovare spazi di applicazione delle proprie capacità tecniche, etiche e morali; che sono intrinseche dell’operativa propria del geometra. 65

66 Alcune professionalità da mettere in campo: - Compiti di organizzazione e vigilanza su interventi specifici in funzione della sicurezza. 66

67 - Compiti di vigilanza in merito ad eventi di tipo geologico 67

68 - Compiti di vigilanza su alluvioni 68

69 - Compiti di perimetrazione delle alluvioni 69

70 - Compiti di perizia su fabbricati per decretare l’agibilità e/o abitabilità 70

71 - Compiti di organizzazione dei campi base per l’accoglienza della popolazione colpita da eventi avversi. 71

72 - Compiti di verifica e controllo del territorio e delle infrastrutture in situazioni del tipo post-sisma, post-alluvione, post-incendio, post-dissesto idrogeologico 72

73 Per poter offrire al territorio un servizio competente e qualificato noi come associazione abbiamo bisogno di figure professionali preparate e distribuite sul territorio umbro a livello capillare. Per la competenza l’associazione ha in programma vari corsi specifici, che dovranno tendere a preparare i «volontari-tecnici», per poi farli intervenire negli scenari illustrati. 73

74 Principali obbiettivi dell’ associazione: - Creare quanti più «volontari-tecnici», al fine di poter servire in modo adeguato qualsiasi tipologia di emergenza sul territorio regionale e nazionale; - Curarsi della professionalità del singolo «volontario- tecnico» con percorsi programmatici finalizzati all’acquisizione delle competenze specifiche tramite corsi e simulazioni di emergenze; - Individuare le figure dei «volontari-tecnici» sull’intero territorio umbro. A tal fine l’associazione ha preso come riferimento la carta delle aree di coordinamento territoriale delle emergenze di tipo «A» e «B» 74

75 AREA 1A : referente geom. Ferdinando Ferrigno Comuni di San Giustino, Citerna, Città di Castello Monte Santa Maria Tiberina, Pietralunga, Montone, Umbertide referente associazione geom. Ferdinando Ferrigno AREA 1B : referente geom Lorenzo Matteacci Comuni di Gubbio, Scheggia e Pascelupo, Costacciano, Sigillo, Fossato di Vico, Gualdo Tadino. Area 1°: referente geom. Andrea Fanelli Comuni di Perugia, Torgiano, Corciano, Magione Castiglion del Lago, Tuoro sul Trasimeno, Lisciano Niccone, Passignano sul Trasimeno. Area 2B:referente geom. Alessandro Ercolanoni Comuni di Deruta, Marsciano, Piegaro, Città della Pieve, Paciano, Panicale. AREA 3A: referente geom. Paolo Morresoni Comuni di Valfabbrica, Nocera Umbre, Assisi, Bastia Umbra, Bettona, Cannara, Spello, Valtopina, Bevagna, Foligno, Sellano AREE 4, 5, 6, sono in procinto di assegnazione in funzione di accordi a divenire con interfacce di Protezione Civile quali associazioni simili alla nostra. 75

76 Nella speranza di aver creato interesse nelle vostre coscienze, siamo a vostra disposizione per informazioni in merito alla nostra attività ed approfondimenti in merito alla programmazione delle attività tecnico-professionali in essere. geom. Andrea Fanelli 3 4 7 3 7 2 0 4 0 1 geom. Ferdinando Ferrigno 3 3 9 2 2 5 0 5 3 0 76

77 GRAZIE PER L’ATTENZIONE Si fa notare che le presenti slide sono uno strumento di tipo didattico formativo ed informativo, pertanto sono da ritenersi parziali ed incomplete, assolutamente non sostitutive delle norme vigenti. 77 Associazione Geometri Volontari per la Sicurezza e la Protezione Civile Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia


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