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La genesi del sistema sociale razzializzato Per divenire una pratica istituzionalizzata per definirsi come un sapere che ordina e distingue, il razzismo.

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Presentazione sul tema: "La genesi del sistema sociale razzializzato Per divenire una pratica istituzionalizzata per definirsi come un sapere che ordina e distingue, il razzismo."— Transcript della presentazione:

1 La genesi del sistema sociale razzializzato Per divenire una pratica istituzionalizzata per definirsi come un sapere che ordina e distingue, il razzismo necessita di proposizioni semplici e logicamente connesse. Il discorso razzializzato si forgia sulle seguenti proposizioni L’esistenza delle razze La continuità tra il fisico e il morale L’azione del gruppo sull’individuo Una gerarchia unica dei valori Una politica fondata sul sapere razziologico, che mette il mondo in armonia con la sua descrizione

2 Autorazzizzazione ed eterorazzizzazione Esistono storicamente due logiche di razzizzazione: la prima si esplicita attraverso la serie autorazzizzazione-differenza- purificazione/epurazione-sterminio; la seconda attraverso la serie eterorazzizzazione-diseguaglianza- dominazione-sfruttamento.

3 Autorazzizzazione ed eterorazzizzazione Questi due sequenze producono due tipi differenti di razzismo. Il primo è centrato sull’autorazzizzazione, ossia sull’affermazione della propria identità razziale in quanto gruppo, che solo secondariamente porta ad affermare la propria superiorità sugli altri gruppi razziali. Il secondo meccanismo è centrato sull’eterorazzizzazione, ossia sull’affermazione della differenza razziale basata sulla inferiorità dell’altro.

4 Autorazzizzazione ed eterorazzizzazione Il meccanismo di autorazzizzazione è finalizzato alla costituzione di relazioni di esclusione, che raggiunge il paradosso nello sterminio dell’altro e nella distruzione della relazione di differenza. Il meccanismo di eterorazzizzazione è finalizzato alla costituzione di relazioni di dominio, oppressione e sfruttamento – normalmente di tipo economico e orientate all’interesse e al profitto. L’autorazzizzazione genera l’antisemitismo L’eterorazzizzazione genera il razzismo della schiavitù, coloniale e quello rivolto agli immigrati.

5 Il razzismo fascista: la reciprocità storica di nazionalismo e razzismo Il razzismo fascista è l’esito di un processo di autorazzizzazione che è storicamente associabile all’origine etnica biologica e razziale delle nazioni europee. I fascismi perseguirono la creazione di una “comunità genetica” fondata sul perfezionamento del patrimonio ereditario, la purezza biologica della razza e la distruzione di ogni altro “sangue allogeno”. Il nazionalismo italiano, con la sua socio-biologia razziale, pose le basi per lo sviluppo del razzismo e dell’antisemitismo fascista tra le due guerre.

6 Razzismo italiano 1 Il razzismo italiano è stato un lungo processo di autorazzizzazione, per dare alla nazione italiana una forte identità razziale tra le altre identità razziali delle nazioni europee, per costruire una “razza italiana” distinta dalle altre razze, ariane, alpine, slave. Alle origini del discorso razziologico vi era il desiderio di interpretare e affrontare il disordine e il conflitto che segnava l’organismo sociale con concetti utili a perseguire l’integrazione e la gerarchizzazione della società.

7 Razzismo italiano 2 L’eugenetica e il popolazionismo volevano bonificare e migliorare la razza escludendo e segregando i degenerati, i deboli, gli inadatti. Le misure razziste di segregazione delle popolazioni africane dell’Impero furono varate più nella logica della difesa dalla contaminazione e corruzione della razza italica che nella prospettiva di sfruttarle economicamente. Le leggi razziali contro gli ebrei rafforzarono il meccanismo di autorazzizzazione espellendo dal corpo razziale i nemici e gli estranei.

8 Differenze somatiche Il colore della pelle, che potrebbe sembrare un carattere del tutto superficiale, è l’espressione di una intima differenza strutturale di alcuni strati della pelle stessa. [...] Come il colore della pelle, così pure quello degli occhi e dei capelli costituiscono importanti criteri diagnostici per la discriminazione delle razze (Landra, 1938). Altri elementi di diversità erano la forma del naso, l’apertura palpebrale, la statura, il cranio cerebrale e facciale, suddiviso nei tipi dolicocefalo, brachicefalo, e mesocefalo.

9 Differenze biologiche Di straordinaria importanza erano le differenze nella composizione bio-chimica del sangue e le variazioni dei solchi e dei giri del cervello, dai quali dipendevano le differenze di corteccia cerebrale. Recavano, infine, un non modesto contributo alla definizione delle eterogeneità razziali la differente prolificità, il diverso ciclo vitale, le differenze patologiche e quelle della intima struttura fisio- psichica, dalla quale dipendevano le differenze psicologiche

10 Differenze politiche Gli uomini possono essere uguali avanti a dio, ma sono irriducibilmente disuguali nella società umana. “Dalla disuguaglianza nasce lo Stato, come necessità di riconoscere e di consolidare, con un sistema normativo, quella gerarchia di valori che pone ineliminabili distanze fra un essere e l’altro, fra gruppi, classi e razze diverse. Dalla disuguaglianza fra gli stati nasce infine la società internazionale che suppone l’impossibilità delle varie comunità politiche di essere una cosa sola” (Maggiore, 1938)

11 Differenze culturali L’antropologia razziale distingueva l’umanità in tre differenti categorie: «Uomini appartenenti a razze capaci di creare la civiltà; o viceversa appena suscettibili di riceverla; o peggio ancora ad essa refrattarie, vi si aggiunge poi in Germania una quarta categoria di razza con tendenza al parassitismo sociale» (Cipriani, 1938). Cipriani recuperava abilmente la categoria di ineguale “perfettibilità” razziale come un indicatore per valutare il grado di incivilimento delle diverse razze

12 Differenze bio-psichiche «Tra le razze le differenze psichiche differiscono tanto quanto quelle somatiche; a questo va aggiunto l’indissolubile legame, governato dalle leggi dell’eredità biologica, tra natura razziale ed elevatezza di spirito, tra razza e civiltà. L’idea madre del razzismo, sulla differenza di mentalità tra razza e razza è alla base stessa dell’antropologia. L’idea di razza fondata sui dati psichici e di mentalità, deve tornare centrale nell’antropologia, proclamando l’eredità dei valori spirituali della razza, ma di un’eredità biologica e non genericamente culturale» (Cipriani, 1938).

13 Razza e lavoro Il razzismo indicò una presunta diretta relazione tra razza e capacità lavorative, caratteri biologici e produttività lavorativa. La stretta e costante relazione tra razza e lavoro è dimostrata dalla differente adattabilità delle razze ai diversi tipi di lavoro. Gli ariani, concludeva Landra, più degli africani hanno una spiccata attitudine ai lavori di pazienza e di resistenza, ovvero alle mansioni ripetitive (Landra, 1939).

14 Super-razza Il mito della razza diventa un collante per la “produzione del popolo”, per la produzione di un’“etnicità fittizia” che spinge la società civile a identificarsi da un lato con la nazionalità dello stato e dall’altro con l’unità razziale della comunità. Il fascismo è stato segnato dalla razzizzazione del corpo sociale, dalla volontà di bonificare l’organismo purificandolo dagli agenti degenerogeni, dal desiderio di produrre una razza pura, liberata dalla malattia, una super-razza.

15 Il razzismo dell’ineguaglianza Il razzismo dell’ineguaglianza, come quello contro gli immigrati, i neri o altre minoranze, presenta una differente natura. Esso si radica nella struttura sociale con l’obiettivo di dominare, subordinare, schiavizzare popolazioni-razze ritenute inferiori. Il processo di “eterorazzizzazione” persegue la cristallizzazione dei rapporti sociali di produzione, affermando l’interesse, razionale, di un gruppo dominante a detrimento degli interessi degli altri gruppi etnici. Tale processo, definito di “incorporazione differenziale”, mira a una sistemazione razionale delle strutture di oppressione e sfruttamento (Rex, 1993, 327-331),

16 Il razzismo dell’ineguaglianza Per quanto questi due razzismi siano a volte difficilmente districabili, la loro diversa influenza sui meccanismi di genesi delle società razzializzate è tuttavia abbastanza visibile, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale.

17 Il razzismo dell’ineguaglianza Il razzismo dell’ineguaglianza è oggi quasi certamente il più diffuso, quel modello al quale sono orientati tutti i sistemi sociali occidentali, e non solo. Esso è ovviamente caratteristico dei paesi d’immigrazione e perciò si presenta come quel razzismo che, in forme mutevoli e cangianti, segna i paesi europei e soprattutto gli Stati Uniti, come mostra la seguente figura che stilizza il modello di Lloyd Warner.

18 Il razzismo dell’ineguaglianza I-A R-A Ir-A P-A O E-A NAZIONE AMERICANA Razza bianca Razza Nera Wasp Negroes

19 Mettendo in rilievo l’egemonia Wasp, Warner aveva forse in mente le teorie del razzismo imperialista statunitense che tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento aveva fatto della mistica anglo-saxon la sua bandiera. Secondo gli anglo-saxons, era inevitabile che le istituzioni, la lingua, il pensiero anglosassone diventassero la principale caratteristica della vita politica, intellettuale e sociale della razza umana, esportata ovviamente dagli Stati Uniti. Anche l’Africa e l’Asia, la Russia e il Giappone, seppur riluttanti, avrebbero alla fine riconosciuto che la democrazia americana era l’unica soluzione ai problemi politici. Non c’era da preoccuparsi, con o senza guerra, il mondo avrebbe prima o poi accettato la leadership statunitense, che rappresentava il culmine dell’espansione storica della razza bianca anglosassone

20 Modelli di distanza sociale Il modello paura-odio è peculiare delle minoranze oppresse da razze dominanti, come nel caso degli armeni perseguitati dai turchi, o degli ebrei polacchi oppressi dai polacchi. Tali atteggiamenti sono ovviamente tenaci e persistenti. Il modello della repulsione dipende da sentimenti di disgusto provati verso gruppi che vivono in modo animalesco, brutale, insano, come nel caso degli immigrati portoghesi illetterati ritenuti “sporchi”, che “vivono come porci”, che si “accoppiano come ratti”. Il modello lealista deriva da un forte senso di lealtà verso la propria comunità “razziale” che spesso nasconde ai propri occhi i vizi e i difetti dei membri del nostro stesso gruppo, e crea un’immutabile distanza sociale. Un complesso di superiorità sovrastimata porta molte persone verso atteggiamenti di superiorità nei confronti delle razze meno fortunate. Comportamenti di pietà, di benevolenza, di paternalismo caratterizzano questo tipo di distanza sociale, soprattutto se lo status sociale di questi soggetti non viene minacciato dalle “razze inferiori”.

21 Modelli di distanza sociale Il modello dell’indifferenza dipende dall’assenza di contatti sociali e di relazioni con membri di altri gruppi. Esso fornisce a molti attori un permanente distacco da quelle razze che essi non capiscono. Nessuna nuova esperienza può cambiare la loro asserita neutralità e indifferenza verso gli altri gruppi razziali. Il modello neutrale costituisce una forma di distanza sociale basata su una conoscenza generica degli altri gruppi, su attitudini di neutralità e prive di reazioni emotive. Questo tipo di esperienza cognitiva è di tipo non competitivo e non personale, e qualunque giudizio su persone appartenenti ad altri gruppi viene rinviato al momento in cui il soggetto ne sa di più.

22 Modelli di distanza sociale Il modello cosmopolita fonda spesso una stabile benevolenza razziale. In questo caso, alla base di questi sentimenti di amicizia, interculturali si direbbe ora, c’è una lunga serie di positive esperienze con certe razze che si cristallizza in atteggiamenti permanenti di simpatia e apertura. Spesso alla base di tali atteggiamenti c’è anche un idealismo religioso che favorisce il contatto interculturale. Il modello razionale dipende da una razionale filosofia della vita che giudica le persone sulla base del valore personale piuttosto che sulla base di inferenze razziali e garantisce stabili e positive attitudini razziali. Questa tendenza comporta la comprensione degli altri gruppi attraverso lo studio dei fatti e del loro profondo significato umano. Un soggetto dotato di esperienza antropologica ed etnologica, che lo ha portato a vivere con molte razze differenti e a comprendere la loro storia, le loro insufficienze, le loro lotte, sviluppa un importante senso di apertura e simpatia interculturale.

23 Un ciclo delle relazioni razziali Curiosità. In una fase iniziale, i primi immigrati sono uniformemente guardati con curiosità, i loro strani tratti culturali producono insoliti commenti piuttosto che a meccanismi di difesa o di aggressione. Inclusione economica. Gli immigrati arrivavano negli Stati Uniti in virtù degli alti salari che il lavoro industriale offre. Il desiderio di “fare soldi” e di ritornare nei propri paesi da ricchi, induce gli immigrati a lavorare per lunghe ore e per un salario più basso di quello dei lavoratori autoctoni. Gli imprenditori iniziano a impiegare gli immigrati nelle loro fabbriche, offrendo salari alti e facilità d’impiego, così da attrarne molti altri.

24 Antagonismo sociale e occupazionale. Improvvisamente e inaspettatamente gli immigrati diventano oggetto di violente reazioni. Sono sovente i sindacati a iniziare le proteste contro la scorretta competizione sul mercato del lavoro degli immigrati. Pur volendo frenare la caduta dei salari e il peggioramento delle condizioni di lavoro, il “lavoro organizzato” permette a politicanti, sciovinisti, difensori dei costumi, di intraprendere delle vere e proprie campagne contro gli immigrati. All’antagonismo economico si aggiunge infine quello sociale. I quartieri abitati da immigrati sono abbandonati dai vecchi abitanti; se non possono permettersi questo spostamento, inscenano proteste minacciando i loro nuovi vicini. La difesa del loro status sociale induce gli “americani originari” a dotarsi di argomenti patriottici e sciovinisti per frenare ciò che loro definiscono l’“invasione razziale”.

25 Antagonismo legislativo. La fase successiva del ciclo si concretizza nell’introduzione di una serie di provvedimenti legislativi contro gli “indesiderabili”. I politici iniziano a usare l’idea della minaccia degli “invasori” per scopi elettorali, e si impegnano a varare leggi e provvedimenti contro gli immigrati per negare loro la cittadinanza e il diritto al voto. Tendenze al fair-play. Tardivamente ma invariabilmente si sviluppa un contro-movimento che si oppone alle ingiustizie patite dagli immigrati. Sebbene si tratti di un movimento debole, non ben organizzato e privo di risorse finanziarie, esso fornisce agli immigrati, aiuto, conforto e fiducia nei principi democratici dell’America. Ma soprattutto esso serve per prevenire le più aggressive manifestazioni razziali.

26 Quiescenza. Dopo che la richiesta di provvedimenti legislativi di contro gli immigrati viene esaudita, si nota un’improvvisa contrazione delle attività contro di loro. Dopo le leggi anti-immigrazione del 1924, si è notato che i gruppi che hanno combattuto gli immigrati modificano i loro atteggiamenti, assumendo posizioni leggermente meno antagoniste. I movimenti razzisti scoprono che le misure di esclusione sono troppo dure per i non-americani, e che si possono accontentare di provvedimenti solo restrittivi. Difficoltà di seconda generazione. Il problema della seconda generazione di immigrati si pone prontamente come l’ultimo stadio del ciclo delle relazioni razziali. I figli degli immigrati, che perdono i legami con la cultura del paese dei loro genitori, sono solo parzialmente accettati nel paese dove sono nati e del quale sono cittadini. È quindi inevitabile che essi siano segnati da un profondo disagio sociale e psicologico.

27 Razza, casta e classe Secondo Warner, la casta descrive una combinazione teorica di persone di un dato gruppo in un ordine nel quale i privilegi, i doveri, gli obblighi, le opportunità, sono inegualmente distribuite fra gruppi che sono considerati in alto e in basso [...] Una casta può essere inoltre definita come quel raggruppamento dove il matrimonio fra i membri di due o più gruppi non è autorizzato e dove non c’è l’opportunità per i membri dei gruppi più bassi di salire nei gruppi più alti o per i membri dei gruppi più alti di cadere in quelli più bassi.

28 Secondo Dollard, la casta aveva sostituito la schiavitù come un mezzo per mantenere l’essenza del vecchio ordine di status del Sud e tenere sotto controllo l’animosità razziale. La casta era vista come una barriera fra i contatti sociali, un modo per definire il gruppo superiore e quello inferiore, una regola per il comportamento dei membri di ogni gruppo. Nella sua essenza, la separazione di casta era una modalità di organizzazione sociale per legittimare la discendenza ereditaria (descent) dei privilegi sociali, e per escludere l’idea del consenso (consent), in quanto criterio di definizione della struttura della società negoziato fra tutti i gruppi.

29 Il sistema di classe e casta

30 Le differenze di casta non erano fissate ad aspetti culturali ma ad aspetti biologici: al colore della pelle, all’aspetto fisico, alla forma dei capelli, e così via. I caratteri somatici funzionavano come un marchio definitivo e categorico, senza riguardo al valore sociale dell’individuo. La casta era antidemocratica poiché accettava consapevolmente un’arbitrarietà biologica che era in realtà solo uno strumento per escludere i “neri” da eque opportunità sociali e da un’imparziale valutazione del merito sociale. La forma del “corpo negro” (negroid body) era al tempo della schiavitù un marchio della cultura negra, ed era ancora, al tempo della ricerca di Dollard, il segno di un’imperfetta assimilazione della cultura bianca, ritenuta l’unica cultura indispensabile per vivere in società.

31 Posizione socialeRisorse socialiRisorse economicheAtteggiamenti e pregiudizi Classe operaia bianca (lower class). Privi di capitale, di talento e di importanti discendenze familiari Scarse. In competizione con i “neri” della classe più bassa Risentimento contro la classe superiore bianca e contro la classe media “nera”. Classe media bianca (middle class). Energico spirito acquisitivo. Moralità rigorosa. Piccolo capitale economico. Qualità manageriali e professionali. Esercito disciplinato in marcia verso il successo. Previdenti, industriosi, vigilanti e determinati. Senso d’insicurezza che produce razzismo. Vigorosa ostilità contro i neri. Classe alta bianca (upper class). Occupa le più importanti posizioni sociali. Discendenza dalle antiche classi aristocratiche del Sud. Appartenenza di classe ereditata. Non vi si può accedere per meriti economici. Proprietari terrieri e industriali.Mantengono una certa tolleranza verso i “neri”. Assenza di competizione con i “neri”. Nostalgia per le relazioni padrone/schiavo. Cordialità e indulgenza verso i “neri”. Paternalismo. Classe alta nera (black upper class). Inesistente Classe media nera. Non molto ampia. Il sistema di casta limita il processo di mobilità. Talento e capacità individuali. Scarsi capitali economici familiari. Insegnanti e preti. Esclusione dalle professioni liberali. Pochissimi uomini d’affari. Nessun avvocato. Differenziazione dalla stigmatizzata classe inferiore. Fanno parte di questa classe numerosi “mulatti”, carattere che facilita il loro inserimento sociale. Conflitto con la classe media bianca. Classe bassa nera. Al fondo del sistema. Strato sociale sul quale poggia il resto della società. Alto tasso di mortalità, soprattutto infantile. Scarne professionalità lavorative, essenzialmente agricole. Ruolo subordinato nell’economia della piantagione. Lo stereotipo del “negro” è connesso a questo strato sociale.

32 Sistema dei vantaggi differenziali tra le diverse caste e classi Vantaggio economicoVantaggio sessualeVantaggio del prestigio Casta bianca Evitare i lavori manuali pesanti, monotoni e meno pagati (raccolta del cotone). Monopolio delle professioni di prestigio, meglio pagate, e del lavoro impiegatizio e intellettuale. Accesso a entrambe le classi di donne, sia bianche sia nere. Desiderio di avere contatti sessuali con donne nere per accedere a situazioni erotiche più libere di quelle permesse dalla morale bianca. Volontà di affermare la superiorità razziale anche in campo sessuale. Diritto automatico (solo perché bianco) di chiedere dai “neri” comportamenti che aumentano la sua autostima. Dolce devozione da parte degli altri, senso di supremazia e sicurezza. Deferenza fortemente voluta. Gratificazione del proprio potere sugli altri. Supremazia razziale bianca innata. Casta nera Il sistema sociale si fonda su queste differenze economiche. Esse ancorano i “neri” a una qualità di vita immutabile. Dipendenza dai bianchi. Mania per le cose di seconda mano (secondhandedness) Maschi neri e donne bianche sono limitate nelle scelte sessuali dall’appartenenza di casta. L’accesso privilegiato dei maschi bianchi alle donne nere è vissuto dai maschi “neri” come uno svantaggio: la barriera di casta proibisce i contatti sessuali fra donne bianche e maschi “neri”. Deferenza offerta prima che sia chiesta. Frustrazione e senso d’inferiorità. “Narcisismo primario”: poca autostima. Accettazione della superiorità dei bianchi e della loro inferiorità. Violenza usata dai bianchi per mantenere tale sistema

33 Mutamento sociale e pregiudizio La ricerca di Bettelheim e Janovitz, condotta su un gruppo di 150 veterani di guerra residenti a Chicago attraverso la tecnica dell’intervista semistrutturata i cui risultati furono sottoposti a un’analisi del contenuto, partiva da quattro ipotesi principali, tra loro logicamente correlate, sull’ostilità verso i gruppi etnici.

34 Mutamento sociale e pregiudizio 1. L’ostilità verso l’outgroup è in funzione delle privazioni subite dall’individuo nel passato. 2. L’ansia provata dall’individuo “ostile” si manifesta nel momento in cui egli si prefigura delle azioni future definite da “aspettative di privazione”. 3. Quando l’individuo incolpa l’outgroup per il proprio fallimento, passato o futuro, ciò dipende da un ego debole e da un inadeguato controllo, il quale favorisce la fuga irrazionale e l’evasione piuttosto che un’azione razionale. 4. L’intolleranza etnica può essere analizzata in termini di “posizione dell’individuo entro la struttura sociale”. L’intolleranza si correla più alla mobilità sociale dell’individuo che alla sua situazione economica o ai suoi atteggiamenti politici e religiosi. L’intolleranza è causata da un rapido cambiamento, negativo o positivo, dello status sociale, provocando nelle persone dotate di un ego debole un diffuso sentimento di ostilità interetnica. Lo stress, l’ansia, l’incertezza sul futuro, la rottura con l’ambiente sociale circostante, sono condizioni che accompagnano la mobilità e che rendono vulnerabile l’ego. Il controllo personale riguarda la capacità del singolo di controllare ansie e tensioni provocate dall’incertezza del cambiamento. Il controllo sociale, esterno all’individuo, è la struttura normativa della società o del gruppo di appartenenza, che può favorire un certo atteggiamento piuttosto di un altro. L’ostilità che può emergere da una data situazione, è un sintomo dello sforzo dell’individuo di mantenersi in equilibrio, scaricando la tensione attraverso il canale dell’intolleranza etnica, la quale può essere sfogata quando sono disponibili canali socialmente accettati. Si rende perciò necessaria l’analisi dell’azione reciproca che si instaura fra il livello individuale di ostilità e gli effetti del controllo istituzionale.

35 Un dilemma morale americano Il “dilemma americano” si riferiva al conflitto interno alla maggioranza bianca tra una moralità di stampo cristiano, definito in termini generali il “credo americano”, e i comportamenti individuali e di gruppo improntati all’esclusione e al pregiudizio contro particolari gruppi o persone.

36 Un dilemma morale americano I principali obiettivi dell’inchiesta riguardavano i seguenti aspetti: la descrizione delle reali condizioni materiali che favoriscono la discriminazione la scoperta delle dottrine, delle ideologie e delle credenze che sono incorporate nelle menti del bianco e dell’afro-americano. Queste ultime erano interpretate alla luce della proposizione di William Thomas in base alla quale, quando gli attori definiscono delle situazioni come reali, esse saranno certamente reali nelle loro conseguenze.

37 Un dilemma morale americano La domanda cui doveva rispondere Myrdal era essenzialmente di natura morale: perché una società ancorata a principi di libertà individuali, eguaglianza delle opportunità, giustizia, coltiva nel suo seno una profonda discriminazione nei confronti della minoranza di colore?

38 Il concetto di razza veniva respinto in quanto non pertinente per la sua connotazione strettamente biologica e genetica Il concetto di classe, che si riferiva a una dimensione di mobilità sociale preclusa al nero, era altrettanto inutile. Il concetto di minoranza era poco utile perché impediva di distinguere fra le disabilities temporanee dei recenti immigrati bianchi e le disabilities permanenti dei neri e delle altre persone di colore. Il concetto che meglio rifletteva la situazione della società americana in rapporto alla popolazione nera era quello di “casta”. Il termine casta era il più adatto per descrivere una società chiusa e irrigidita secondo la linea del colore, nella quale era possibile che vi fossero cambiamenti nelle relazioni di casta, ma che rimaneva immutabile nella sua struttura di fondo.

39 L’ordine graduato di discriminazione Barriera contro i matrimoni misti e i rapporti sessuali che coinvolgono donne bianche. Diverse “etichette” e discriminazioni, relative al comportamento in contesti di relazioni personali (la danza, il bagno, il mangiare, il bere insieme, darsi la mano, levarsi il capello, l’uso dei diritti, l’entrata nelle case e così via). Segregazioni e discriminazioni nelle strutture pubbliche (scuole, chiese e mezzi di trasporto). Privazione dei diritti politici. Discriminazioni nelle aule di tribunale, attraverso la polizia e altri funzionari pubblici. Discriminazioni nella concessione di crediti, nelle professioni, nell’assistenza pubblica e nelle altre attività di welfare.

40 Il circolo vizioso del razzismo Significativa a questo fine era l’ipotesi del “principio di accumulazione” o del “circolo vizioso” come “causazione dinamica” del razzismo. In sostanza, il circolo vizioso evidenziava come da un lato il bianco limitasse l’accesso della popolazione afro-americana a migliori standard di vita e a una migliore istruzione, e dall’altro, lo stesso, lo accusasse di essere inferiore proprio perché viveva in quelle condizioni. Il principio cumulativo che sottendeva questa ipotesi, faceva riferimento alla interdipendenza di tutti quei fattori che concorrono alla definizione sociale del “problema nero”, di conseguenza era pensabile che spostando uno dei fattori l’intero sistema si sarebbe mosso nella direzione del cambiamento iniziale.

41 La profezia che si autoadempie In questo conflitto tra “Credo Americano” e discriminazione razziale, è interessante la posizione assunta da Robert Merton. Nel 1948 egli sosteneva che l’intero sforzo di Myrdal era riconducibile a questa tesi per spiegare la dinamica dei conflitti razziali ed etnici negli Stati Uniti. La profezia che si autoadempie, scriveva Merton, «è all’inizio una definizione falsa della situazione che determina un nuovo comportamento che rende vera quella che originariamente era una concezione falsa» (Merton, 1992, p. 768). La conseguenza è un processo di alchimia morale del gruppo dominante che trasforma le proprie virtù nei vizi del gruppo esterno e viceversa i propri vizi in virtù, a seconda delle necessità di situazioni diverse. In altre parole, siamo di fronte a una diversa concettualizzazione della dinamica sociale del circolo vizioso.

42 La profezia che si autoadempie Il discorso di Merton trovava un altro punto di contatto con Myrdal, quando rifletteva sui possibili rimedi per contrastare l’azione della profezia che si autoadempie. Pur di fronte a un pessimismo di fondo, e partendo dalla critica contro gli psicologi dilettanti che vedono l’aggressività razziale come radicate nella natura dell’uomo, Merton sosteneva che tali modelli di comportamento erano in larga parte un prodotto della struttura modificabile della società. Le possibili modifiche della struttura potevano avvenire attraverso un mutamento istituzionale e amministrativo: «sotto appropriate condizioni istituzionali e amministrative, l’esperienza dell’amicizia interrazziale può abolire il timore del conflitto razziale».

43 La profezia che si autoadempie In un successivo lavoro, Merton individuava quattro categorie di persone (Merton, 1965): Le persone prive di pregiudizi non discriminanti, definite all- weather liberal, le quali credono implicitamente nel “Credo Americano” di giustizia, libertà, uguaglianza di opportunità e dignità dell’individuo. Per Merton i liberali di questo tipo sono i soli motivati a diffondere gli ideali e i valori del loro credo e a poter combattere forme di discriminazione, hanno comunque il difetto di parlare tra di loro, dandosi supporto psicologico l’un con l’altro confondendo la discussione con l’azione. Soccombono quindi all’illusione che il consenso che prevale all’interno del proprio gruppo sia sostenuto nella più vasta comunità.

44 La profezia che si autoadempie Le persone prive di pregiudizi discriminanti, fair-weather liberal, le quali, sebbene libere da pregiudizi razziali, tengono un comportamento opportunista, ad esempio non condannando atti di discriminazione per timore di perdere il proprio status. Le persone con pregiudizi non discriminanti, fair-weather illiberal, le quali non accettano i principi del “Credo Americano”, ma si conformano a esso solo a parole. Le persone con pregiudizi discriminati, all-weather illiberal, che non credono nel “Credo Americano” e non esitano a dare libera espressione alla loro intolleranza, sia nei discorsi che nelle azioni.


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