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La comunicazione interpersonale Ogni malattia provoca nel malato una crisi della comunicazione che possiamo distinguere nelle seguenti fasi: crisi della.

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Presentazione sul tema: "La comunicazione interpersonale Ogni malattia provoca nel malato una crisi della comunicazione che possiamo distinguere nelle seguenti fasi: crisi della."— Transcript della presentazione:

1 La comunicazione interpersonale Ogni malattia provoca nel malato una crisi della comunicazione che possiamo distinguere nelle seguenti fasi: crisi della comunicazione con sé, con gli altri, con il mondo, con la comunità ecclesiale, con Dio. Eppure «essere malato» vuol dire aver bisogno degli altri, dei loro servizi, delle loro parole, delle loro persone, ed è, ancora, lo stesso stato di malattia che fa emergere nella persona malata un bisogno profondo di esprimersi. In questo ambito risulta così l'importanza fondamentale di un rapporto di comunicazione interpersonale, nell'ambito di una relazione di aiuto tesa alla soddisfazione di bisogni superiori (stima e realizzazione personale), al raggiungimento di un certo benessere psicologico, al fornire un supporto per affrontare difficoltà esistenziali. Entrare in comunicazione con «l'altro» significa entrare in rapporto con un altro sistema bio-psico-sociale che chiamiamo persona.

2 Quasi a sottolineare la grandezza di ogni essere umano, ne elenchiamo alcune variabili costitutive:

3 BIOLOGICHE Età Struttura genetica Sesso Razza Ritmi biologici Bisogni fondamentali Crescita Equilibrio acido-basico Circolazione Digestione Equilibrio elettrolitico Risposta immunitaria Motilità Riproduzione Respirazione Regolazione della temperatura Salute fisica Malattie pregresse

4 SOCIOLOGICHE Bisogni fondamentali Cultura Famiglia Linguaggio Stile di vita Relazioni con gli altri Ruoli Sistemi scolastici

5 PSICOLOGICHE Atteggiamento Bisogni fondamentali Immagine del corpo Comunicazione Risorse o forze Meccanismi di difesa Stati d'animo Percezione Concetto di sé Valori Consapevolezza Conoscenza Memoria Processo del pensiero

6 SPIRITUALI Credenze Filosofia di vita Religione Valori

7 Questo schema delle variabili costitutive della persona umana, che entrano in gioco nella relazione interpersonale, fa emergere visivamente la complessità di un rapporto di comunicazione, cioè di quello scambio di informazioni, emozioni, sentimenti tra almeno due persone, che avviene tramite i cinque sensi dell'udito, della vista, del tatto, del gusto e dell'olfatto.

8 La comunicazione, qui intesa come strumento di relazione interpersonale, non è soltanto trasmissione di un messaggio, poiché questo messaggio suscita una reazione mentale ed emotiva che fa concretizzare una risposta, che fa sorgere un legame. É solo però quando si comunica se stessi e non ci si na­sconde dietro un ruolo, né dietro una divisa o una maschera, che si realizza una vera comunicazione di vita e non solo una comunicazione di informazioni. Soltanto a questo livello comunicativo può avvenire un incontro pienamente umano che colma la solitudine. La solitudine peggiore infatti non sta nel non avere nessuno vicino, ma nel non poter comunicare se stessi a qualcuno.

9 Presupposto di un rapporto di comunicazione è L'accettazione del prossimo, cioè il credere nel valore dell'altro e nella sua dignità, senza esprimere giudizi morali sul suo comportamento, senza pretendere che soddisfi le nostre aspettative. Un'autentica relazione di aiuto ha bisogno che la parola dell'altro sia rispettosamente ascoltata e adeguatamente capita; ma ha bisogno anche che l'altro sia ritenuto «soggetto capace» di accogliere a sua volta la nostra parola. Aiutare il malato, rispettando la sua soggettività, vuol dire accettare che la parola sia veramente «scambiata».

10 Questo bisogno di scambio di pensieri e di stati affettivi è inerente all'uomo, nasce dalla consapevolezza dei propri limiti e dal bisogno di cercare negli altri il completamento di se stessi. Infatti rivolgersi a qualcuno significa: - progredire nella conoscenza reciproca attraverso cui si definisce e si rende possibile una migliore conoscenza di sé; - cercare di comprendere la visione che l'altro ha di noi, sia che la si ritenga obiettiva o no; - instaurare un dialogo tra persone che hanno ciascuna una propria storia, che vengono da itinerari differenti, e si sforzano di attuare uno scambio in una stessa prospettiva di verità.

11 Nel dialogo interpersonale l'uomo fa esperienza dei propri limiti, ma anche della possibilità di superarli; scopre di non possedere tutta la verità e tutta la bontà, ma che può camminare verso di esse. Vediamo ora la situazione, nel rapporto di comunicazione, che contraddistingue l'operatore sanitario, il volontario e il malato. Quest'ultimo è un uomo «talmente diverso da quando era sano, che spesso gli stessi parenti sopportano male la vista del loro caro, della sua trasformazione e della sua sofferenza. Nelle unità di Terapia Intensiva, i parenti spesso guardano più i monitor e le altre apparecchiature che il loro caro ammalato».

12 Alle possibili cause di cambiamento comportamentale proprie della malattia, poi si può aggiungere la deprivazione sensoriale, che nasce da una stimolazione modesta e monotona o da una percezione di stimoli inferiori al necessario. È questo il rischio dei: - malati molto anziani, i sensi dei quali vanno pian piano diminuendo; - malati isolati fisicamente o socialmente; - malati immobilizzati a lungo (terapia intensiva, unità coronariche); - malati che fanno uso di apparecchiature per la respirazione e la dialisi.

13 Ancora, cosa può provare una persona che emana cattivo odore per il vomito e le feci, immersa nello sconvolgimento e nel disordine della sua malattia? Nel primo giorno dopo una mastectomia, è ragionevole che una malata metta in dubbio la sua autenticità che può essere influenzata anche dall'immagine del corpo? E per questa ragione che molte volte il malato non vuole visitatori che vedano in quali condizioni è ridotto; è anche per tutte queste ragioni che la malattia può menomare l'autostima della persona.

14 E’ questa persona che deve essere aiutata ad esprimere come vive la sua situazione, ed in particolare ad esprimere le emozioni che accompagnano gli eventi e il suo comportamen­to e la percezione globale che la persona possiede di se stessa. Una comunicazione di contenuti che potrà essere indiretta; occorrerà allora porre attenzione chiedendosi quali sono i temi ricorrenti nella conversazione e quali argomenti il malato cerca ad ogni costo di evitare. La parola-chiave è «ascoltare». Il processo comunicativo ha inizio quando una persona ne incontra un'altra: non ha importanza se la comunicazione è verbale (si esprime un commento all'altro) o non verbale (si rivolge uno sguardo all'altro): ambedue le modalità possono costituire l'occasione di un breve incontro o l'inizio di un rapporto di comunicazione nel tempo.

15 Emerge così la duplice tipologia di una comunicazione: verbale e non verbale. Infatti, oltre a comunicare un messaggio con parole, si può comunicare il «non detto», attraverso altre modalità, tenendo presente che, se il modo in cui ci si esprime a volte è più significativo delle parole stesse, ancora più importante può essere quello che non viene detto.

16 Le comunicazioni non verbali sono per lo più involontarie e quindi possono essere molto meno controllabili, rispetto a quelle verbali. Possono essere così mezzi di comunicazione: - la parola: testimonianza del costante bisogno dell'uomo di capire e di farsi capire, di ex-porsi e di pro-porsi all' «altro», di uscire cioè dal suo occultamento e di andare verso l' «altro»;

17 - il paralinguaggio: si parla lentamente, in modo incerto, irregolare, si ansima, si modula la voce, ecc.; «i confini dell'esistenza umana, le esperienze-limite dell' esistere sembrano coincidere con i confini o i limiti della parola; là la parola deve arrendersi e diventa silenzio o urlo o pianto o delirio». Sono queste le manifestazioni esteriori di quelle situazioni nelle quali l'uomo urta contro i propri confini e contro le barriere della propria capacità di dire; - il corpo: ha suoi propri atteggiamenti: tensione muscolare, accelerazione del respiro, ecc.;

18 - il volto: «è linguaggio che proviene dal profondo; in certe espressioni del volto affiora l'inconscio; si vede, si tocca l'inconscio», ma anche l'infinito di Dio; - la posizione: si è in piedi, seduti accanto, protesi, distanti, vicini all' «altro»; - l'udito: inteso qui come attenzione ai suoni non verbali, quali il sospiro, il silenzio, particolari inflessioni della voce, pause, espressioni inarticolate; - gli atteggiamenti: si comunica anche con il fumare senza interruzione, il mordersi le unghie, il muoversi in continuazione, ecc.;

19 - i gesti: si comunica anche con il linguaggio gestuale, e qui ricordiamo le modalità particolari che si dovranno adottare con malati con deficit visivi o uditivi o portatori di handicap; - il tatto: si comunica anche attraverso il «tocco», cioè «un intenzionale contatto fisico fra due o più persone» che, se può essere strumentale per il raggiungimento di un obiettivo, può però anche «costituire un contatto non necessario spontaneo ed affettivo». É quest'ultimo gesto che ora considereremo in alcune sue componenti, quali: - l'oggetto (conforto, amore, affetto, sicurezza, rabbia, frustrazione, eccitazione); - l'area del corpo (guancia, spalla, mano, ecc.);

20 -l-la risposta del ricevente: -1. silenzio, comunicazione verbale o non verbale; -2-2. la natura della risposta verbale (positiva, negativa, neutrale); -3-3. il tipo di comunicazione non verbale (pianto, contatto degli occhi, ecc.); - l'occasione (visita, aiuto, conforto spirituale, ecc.); - la posizione del malato (giacente, seduto, in piedi); - la posizione dell'operatore (seduto, in piedi).

21 Il processo di comunicazione, tuttavia, non è un processo lineare senza difficoltà e in comprensioni e, di conseguenza, non sempre ottiene uno scopo benefico. Anzi, una persona malata può divenire più ansiosa se non capisce il messaggio, se non riconosce il significato di un gesto o, più semplicemente, non apprezza di essere toccata. In conclusione, porre l'attenzione sull' «altro» significa anche comunicare con l' «altro» attraverso il suo codice interpretativo. Parole, gesti, atteggiamenti non hanno sempre un significato ed una importanza univoci; inoltre il malato vive in una sua realtà e su questa realtà ogni intervento va misurato. Di qui la necessità di una costante attenzione e riflessione. D'altra parte, comunicare significa parlare ma anche ascoltare: si tratta però dell'ascolto con la ragione e il cuore. Fine della 5 parte


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