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1 Sociologia economica del welfare Piera Rella -16 marzo  corso di laurea in Programmazione Gestione e Valutazione dei Servizi Sociali PROSS- I anno 

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Presentazione sul tema: "1 Sociologia economica del welfare Piera Rella -16 marzo  corso di laurea in Programmazione Gestione e Valutazione dei Servizi Sociali PROSS- I anno "— Transcript della presentazione:

1 1 Sociologia economica del welfare Piera Rella -16 marzo  corso di laurea in Programmazione Gestione e Valutazione dei Servizi Sociali PROSS- I anno  12 crediti formativi (inclusi 6 Accorinti sul welfare locale) – gruppo disciplinare SPS/09  Dal 2 marzo al 26 maggio Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche E-mail: piera.rella@uniroma1.itpiera.rella@uniroma1.it Ricevimento stanza B12 dopo la lezione di giovedì

2 settimana scorsa  Il lavoro in crisi che impressione vi ha fatto il dibattito?  Definizione di welfare e di regimi di protezione sociale, che oggi riprendiamo facendo corrispondere ai diversi sistemi di welfare tipi di capitalismo  Quindi vedremo il primo capitolo del testo a cura di Ascoli, Il welfare in Italia

3 Burroni L., Capitalismi a confronto. Istituzioni e regolazione dell’economia nei paesi europei, il Mulino 2016  Ai 4 modelli di welfare corrispondono 4 modelli di capitalismo, diversi per ruolo dello stato e tipo di crescita e coesione sociale, oltre che per caratteristiche ed eredità storiche  Dunque il welfare viene analizzato tenendo conto anche di diversi modelli di sviluppo del capitalismo

4 Tipi di paese in base al Pil, rischi sociali e tipo di welfare tipo di welfare → Pil ↓ universaleoccupazionale Alto (e bassi rischi sociali) E alti rischi Paesi scandinavi anglosassoni Paesi continentali Basso (e alti rischi) (solo la sanità)mediterranei

5 Modello nordico: crescita inclusione e nuove sfide portate dall’immigrazione Obiettivi proposti dal I ministro svedese Hansson negli anni ’30: rimuovere le differenze di classe, sviluppare l’assistenza sociale, e ridurre le disparità economiche  Ruolo proattivo dello stato nella crescita della innovazione e nella riduzione delle disuguaglianze  Si spende di più in istruzione, formazione e servizi, ma meglio che in altri paesi  Universalismo e servizi per promuovere inclusione attiva.  La flessibilità del mdl è subordinata alla sicurezza

6 Modello continentale  chiunque abbia a cuore il benessere degli individui, non può non promuovere l’economia sociale di mercato (Erhard, cancelliere tedesco dal 1963 AL 1966)  Lo stato sostiene le grandi imprese, la produttività e l’export e un sistema scolastico duale  L’elevata partecipazione al mercato del lavoro si basa sul dualismo tra dipendenti da grandi imprese (f l protetta con sindacati forti e cogestione) e occupazioni modeste, part time e atipiche poco retribuite → frammentazione del mdl)

7 Il capitalismo anglosassone: adattabilità, individualizzazione e disuguaglianza  La società non esiste (Thatcher, I ministro dal 1979 al 1990)  Ruolo finanziario spinto e rischio crisi finanziarie  Settore terziario dinamico ma duale  Welfare in contrazione e sempre più selettivo  Capacità di creare occupazione ma sempre più vulnerabile  Capacità di contrastare la povertà, ma non la disuguaglianza

8 Modello mediterraneo: dell’insicurezza senza la competitività  Riforme del mdl per la flessibilità, ma non per migliorare la qualità  Riforme del welfare che puntano a contenere i costi, ma non tengono conto dei nuovi rischi.  Macchina burocratica dello stato è un vincolo per le imprese  Si spende poco e male per sviluppo e innovazione  L’economia sommersa ha un peso maggiore del 18%  L’Italia ha un’industria manifatturiera più importante di quella spagnola, portoghese e greca, ma differenze territoriali più ampie

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10 Obiettivo e Metodologia del libro  Rileggere l’evoluzione del nostro welfare comparandola con quella Ue e tenendo conto delle sue peculiarità: alta disoccupazione e forte precariato, basso riconoscimento lavoro di cura, invecchiamento popolazione, scarsi servizi per l’infanzia, mancanza Rmi- max disuguaglianze territoriali  La crisi dell’universalismo dipende dall’egemonia neo-liberista?  Ogni capitolo scritto da esperti di quel settore di politiche sociali.  Si tenta di comprendere non solo le politiche di spesa, ma anche quelle fiscali e occupazionali

11 Trasformazione e dei rischi sociali e persistenza del welfare di Costanzo Ranci e Mauro Migliavacca Cap1 del testo a cura di Ascoli, Il welfare in Italia

12 I vettori del cambiamento: modelli familiari e mercato del lavoro  All’inizio anni ’90 c’era ancora stabilità occupazionale e relativa divisione per genere dei ruoli almeno nelle classi medie (donne lavoro di cura e uomini responsabilità capofamiglia)  In Francia questi 2 pilastri cominciano ad erodersi (Castel, 1997)  Il compromesso fordista fondato ½ secolo prima che ha garantito prosperità e pace sociale viene meno con il ristagno dei salari che crescono meno del Pil (Crouch, 1999)

13 A fine anni ’90 e primi anni 2000 la situazione è cambiata specie in Italia Il mercato del lavoro si terziarizza e precarizza con conseguenze diverse  al Nord + precari (salariati di livello basso e nuove professioni autonome)  Al Sud aumentano disoccupati permanenti, underclass e poveri, registrati da  I tassi di povertà (assoluta e relativa)  Indice Gini che misura la disuguale distribuzione dei redditi  Le famiglie e non il Welfare hanno cercato di tamponare la situazione con gli anziani che sostengono i giovani

14 Apparentemente cambia poco:  i redditi da lavoro rimangono stazionari nel decennio prima della crisi, specie al Nord  Ma le distanze tra il 3° quintile (ceto medio) e il 5°(ceto alto) aumentano  La quota di poveri diminuisce al crescere dell’età  La quota di ricchi tra i giovani ancora di più  Tutte queste differenze si sono aggravate con la crisi specie al Sud → divario Nord Sud aumenta

15 Di fatto molti gruppi sociali si rimescolano  I dirigenti hanno mediamente il reddito + elevato (> 40.000 euro nel 2008) simile a quello di imprenditori e liberi professionisti  Gli impiegati hanno un reddito stagnante (20.000 euro)  Gli operai sono stazionari e nel 2008 guadagnano meno dei pensionati

16 Le trasformazioni del lavoro  Continua negli anni ’90 e 2000 la crescita dei tassi di attività femminile, ma in Italia meno che altrove (anche la Spagna ci supera)  Poi con la crisi c’è il crollo del tasso di occupazione

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19 L’Italia ancora pecora nera in Europa (Balduzzi, 2015)

20 Dal Rapporto Svimez: al Sud l’occupazione giovanile Femminile metà che al Centro-Nord

21 Il lavoro flessibile si diffonde dal 1992 al 2009  In maniera più accelerata che in Germania,Spagna, Francia, R.U  Fino allo scoppio della crisi permette di contenere la disoccupazione  Con la crisi non è più utile a questo fine. La disoccupazione risale e produce uno slittamento nella transizione alla vita adulta  O peggio l’invischiamento nella trappola della precarietà

22 Dipendenza e attività di cura Nonostante in forte invecchiamento della popolazione, il numero di persone dipendenti si mantiene sui 2- 2,5 milioni perché  Nascono meno bambini con handicap  I grandi anziani >80 anni, pari al 40% degli anziani >65, stanno meglio  Le donne danno meno il loro sostegno, i servizi pubblici rimangono carenti → badanti anche irregolari

23 Il sistema pensionistico Metà della spesa va in pensioni, ma non perché si distribuiscono troppe pensioni e neppure perché esse sono di importo troppo elevato, ma perché si spende poco negli altri settori  Come nota F. R. Pizzuti (Rapporto sullo stato sociale) il sistema pensionistico è in equilibrio finanziario. L’Inps oltre a compiti previdenziali svolge assistenza: integrazioni al minimo e pensionamenti anticipati che dovrebbero essere a carico della fiscalità generale  Paga i trattamenti di TFR (salario differito)  Preleva tasse per lo stato sulle pensioni  L’incidenza sul Pil della spesa pensionistica è al di sotto della media UE  L’Inps dal 1998 non è più in passivo

24 Le politiche di welfare non hanno subito cambiamenti  Inerzia del nostro sistema di welfare:  in sanità si spende meno che negli altri grandi paesi Ue per la tutela della disabilità  e ancor meno in indennità di disoccupazione,  e spesa sociale in senso stretto  Spesa sociale per famiglie e infanzia più a rischio con la crisi non è aumentata  Manca un Rmi

25 conclusioni Le disuguaglianze tra i diversi gruppi sociali si sono approfondite in un gioco a somma 0, in cui  i perdenti sono i < 16 anni, i giovani, i lavoratori temporanei, le famiglie monoreddito, i non autosufficienti e coloro che li accudiscono, i ceti medi  I vincitori: ricchi, dirigenti, imprenditori professionisti,pensionati Il welfare non ha attenuato le sofferenze degli sconfitti per  Inerzia delle politiche pubbliche (visione benevola)  Propensione a rispondere agli interessi degli insiders (Ranci, Migliavacca)


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