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1 Il ruolo del sindacato in Italia. 2 La crisi sindacale ILSOLE24ORE.COM Cgil contro il Governo: sciopero il 12 dicembre. Università, la Cisl si sfila.

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1 1 Il ruolo del sindacato in Italia

2 2 La crisi sindacale ILSOLE24ORE.COM Cgil contro il Governo: sciopero il 12 dicembre. Università, la Cisl si sfila dalla protesta ILSOLE24ORE.COM Corriere della Sera.it: Università, è rottura tra i sindacati la Cisl si sfila dalla protesta di venerdì La Repubblica.it: Il sindacato si divide su tutto Epifani infuriato col governo: "Il 12 dicembre sciopero generale“. La Cisl non partecipa alla protesta dell'Università. Il leader Cgil escluso da un vertice con Confindustria. Il Giornale.it: Epifani contro tutti La Cisl: niente sciopero sull'università.

3 3 Un po’ di storia 1946 licenziamenti 1947 ottenimento della scala mobile: La scala mobile è un meccanismo di indicizzazione, ovvero di adeguamento automatico delle retribuzioni al costo della vita; tale meccanismo avviene attraverso la corresponsione di una indennità di contingenza che varia al variare dell'inflazione.

4 4 …ma non è un fatto isolato nell’esperienza italiana subito dopo la seconda guerra mondiale “Lo sblocco dei licenziamenti trovò attuazione in concomitanza con la stretta creditizia attuata alla fine del 1947; il tasso di disoccupazione, l'anno successivo, crebbe fino a sfiorare il 20 per cento. Con il consolidamento della linea politica moderata frutto della vittoria della Democrazia Cristiana nel 1948, l’azione sindacale venne confinata entro un ambito sempre più ristretto. Nel 1948 le correnti democristiana e socialdemocratica uscirono dalla CGL e diedero vita nel 1950 alla CISL e alla UIL. La rottura dell’unità sindacale fu determinata dallo sciopero della componente comunista per l’attentato in cui venne gravemente ferito il segretario del Partito Comunista Palmiro Togliatti, scelta non condivisa dalle componenti democristiana e socialdemocratica, ma certamente esistevano cause più profonde di dissenso fra le varie componenti sindacali.” (Graziani, 2006)

5 5 Dal 1961 al 1963 la quota di reddito nazionale spettante a lavoratori dipendenti riprese a salire, recuperando in parte il terreno perso nel decennio precedente. La reazione imprenditoriale fu un aumento generale dei prezzi, a cui seguì una stretta creditizia, volta a contenere l’inflazione e il disavanzo commerciale. Si determinò così una caduta degli investimenti che portò con sé una notevole contrazione dell’occupazione. Ne seguì un forte indebolimento dei sindacati che ottenne miglioramenti salariali molto contenuti nei rinnovi dei contratti che seguirono la crisi del 1964-65.

6 6 … situazione molto simile all’attuale Nel corso della depressione (1964-65) avvenne una razionalizzazione produttiva, che implicò cambiamenti organizzativi, aumento dei ritmi lavorativi, uso degli straordinari e degli incentivi individuali. Ciò comportò un aumento della produttività in un situazione in cui gli investimenti erano modesti. I profitti ripresero a crescere più dei salari, per cui la redistribuzione del reddito a favore delle classi lavoratrici ottenuta con le lotte sindacali degli anni 1961-63 venne annullata. 1969: “autunno caldo”

7 7 Anni ’70: la storia si ripete La reazione imprenditoriale all’autunno caldo fu un processo di ristrutturazione attuato non solo all’interno delle fabbriche, ma soprattutto attraverso una strategia di decentramento produttivo. Nei casi in cui era tecnicamente possibile, la produzione delle grandi imprese venne esternalizzata e furono mantenuti all’interno solo i processi produttivi fondamentali; il peso relativo delle grandi unità produttive cominciava così a diminuire, mentre cresceva il peso delle piccole e piccolissime imprese e del lavoro a domicilio. Si riduceva così il costo del lavoro, perché nelle piccole imprese era, ed è ancor oggi, più facile sfuggire alle norme sul lavoro, comprese quelle relative agli orari, era più facile servirsi della manodopera in modo flessibile, licenziando e assumendo (o allungando e riducendo gli orari) a seconda delle esigenze del momento. Inoltre si indebolivano i sindacati, perché per il sindacato era più difficile organizzare i lavoratori nelle piccole imprese, anche in considerazione del fatto che i lavoratori delle piccole imprese sono più ricattabili.

8 8 Gli effetti dell’indebolimento economico Nel 1974 il tasso di inflazione sfiorò il 20% e ciò provocò un’azione sindacale volta ad una revisione del meccanismo della scala mobile. Venne introdotto il punto unico di contingenza, per cui l’indennità di contingenza venne pagata in uguale misura a tutti i lavoratori dell’industria. Gli imprenditori accettarono l’accordo, perché in una fase di cambi flessibili potevano aumentare i prezzi senza perdere quote di mercato all’estero; l’aumento del tasso di inflazione si traduceva infatti in un deprezzamento della lira e ciò manteneva inalterata la competitività internazionale. Peraltro l’accordo sul punto unico di contingenza riduceva la conflittualità inevitabilmente legata alla necessità di adeguare il salario al costo della vita in regime di inflazione elevata, soprattutto fra i lavoratori a basso reddito.

9 9 Politica e relazioni industriali: la svolta dell’EUR Nel 1977, in occasione dell’assemblea dei quadri dei sindacati confederali Cgil-Cisl-Uil tenutasi all’Eur a Roma, prevalse una linea di moderazione: i sindacati si dichiararono disposti ad accettare la moderazione salariale e un aumento della mobilità operaia per far fronte alla grave crisi dell’economia italiana e favorire la crescita dell’occupazione. Pochi giorni dopo, Luciano Lama, leader della Cgil, in un’intervista al quotidiano “Repubblica” divenuta famosa, affermò che la linea aggressiva che il sindacato aveva sostenuto in passato doveva considerarsi errata non solo nella pratica ma anche da un punto di vista teorico, che il salario non poteva considerarsi una “variabile indipendente”, in quanto variazioni del salario producono effetti sull’equilibrio economico generale. Lo schema interpretativo su cui si basava la “svolta dell’Eur” era basato sull’idea che la moderazione salariale avrebbe favorito l’aumento dei profitti, influenzando positivamente gli investimenti, che a loro volta avrebbero generato crescita e occupazione.

10 10 … un’altra frattura sindacale Nel 1979, con l’adesione dell’Italia al Sistema Monetario Europeo (= cambi quasi fissi), l’atteggiamento degli imprenditori rispetto al meccanismo della scala mobile cambiò, dato che in cambi fissi un aumento dei prezzi avrebbe comportato una diminuzione della competitività. Nel 1982 il presidente della Confindustria Merloni diede disdetta dell’accordo sul punto unico di contingenza e, nel gennaio del 1983, venne raggiunto un nuovo accordo sul costo del lavoro che segnò un significativo cambiamento nelle relazioni industriali in Italia. Il 14 febbraio 1984 il governo Craxi, in accordo con Cisl e Uil e con l’opposizione della Cgil promulgò il cosiddetto decreto di San Valentino, con cui si introduceva la predeterminazione del tasso di inflazione, che comportò il mancato pagamento di 4 punti di contingenza. Il decreto di San Valentino rappresentò un grave momento di rottura nei rapporti fra i maggiori sindacati, che si protrasse fino al 1988

11 11 Nuove intese: il Protocollo del 1993 Con intese successive nel luglio 1993 si giunse a un nuovo accordo sul costo del lavoro, che segnò l’inizio di una strategia di concertazione che ha caratterizzato il sistema di relazioni industriali per quasi un decennio. Venne siglato con un patto fra Stato, organizzazioni di datori di lavoro e sindacati, il Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno produttivo. Va sottolineato che il prezzo di questi risultati è stato ampiamente pagato dai lavoratori; dal 1993 non solo si è verificata una caduta della quota dei redditi da lavoro dipendente, ma sono diminuite anche le retribuzioni reali. In Italia dal 1993 al 2001 il reddito reale da lavoro dipendente pro capite si è ridotto del 3,4%, mentre in Gran Bretagna cresceva del 17,8%, in Francia del 7,4%, in Germania e in Spagna dello 0,9%.

12 12 1997-2003: un’altra crisi sindacale… Le indicazioni contenute nel Libro Bianco sono state recepite dal “Patto per l’Italia”, siglato nel luglio 2002 da associazioni imprenditoriali e sindacali comprese Cisl e Uil, ma non dalla Cgil, che non ne condivise il contenuto. Si verificava così un'altra grave fase di rottura fra i maggiori sindacati.

13 13 … e il sindacato si indebolisce

14 14 … bilanciata da maggiore copertura

15 15 Le tipologie sindacali Possiamo distinguere fra due tipi di sindacalismo: il business unionism o sindacalismo negoziale il competitive unionism o sindacalismo competitivo. Il sindacalismo negoziale privilegia gli obiettivi economici, opera prevalentemente a livello aziendale e tende a non avere rapporti se non occasionali con le istituzioni politiche. Tale forma di sindacalismo è presente soprattutto nell’esperienza statunitense. Il sindacalismo competitivo si muove con obiettivi che vanno al di là del fine strettamente economico, si occupa di temi di carattere economico- sociale, ha spesso legami forti con i partiti politici, anche se tali legami non si concretizzano in rapporti di dipendenza. Una variante del sindacalismo competitivo è il sindacalismo partecipativo, che contraddistingue i sistemi neocorporativi, quei sistemi cioè in cui le relazioni industriali sono caratterizzate da relazioni partecipative e collaborative, e spesso sono di tipo tripartito, coinvolgono cioè governo, sindacato e imprese.

16 16 Il ruolo del sindacato nei modelli economici I sindacati non si limitano soltanto a svolgere la funzione del monopolista, “vendendo” la forza lavoro dei propri rappresentati al più alto prezzo possibile; in molti casi sono l’espressione collettiva delle preoccupazioni e dei desideri dei lavoratori i sindacati possono svolgere un’efficace funzione di comunicazione che difficilmente si ritroverebbe all’interno di un mondo teorico di mercati fatti di imprese e lavoratori atomizzati.

17 17 Retribuzioni e condizioni di lavoro: la funzione del sindacato Negoziare la retribuzione base è solo uno degli aspetti dell’attività del sindacato. Esistono anche altre forme di retribuzione monetaria che sono soggette alla sua influenza: i tassi di retribuzione delle ore straordinarie e prestate nel fine settimana, la retribuzione delle ferie e altri benefici accessori. I sindacati si sforzano di influenzare le condizioni medie di lavoro dei propri membri: dall’orario di lavoro standard (la settimana lavorativa) ai ritmi di lavoro, dalla sicurezza e qualità ambientale dei luoghi di lavoro ai sistemi di promozione e di gratifica, alle politiche di concessione dei congedi e permessi. Esercitano anche un controllo sulle condizioni che regolano la cessazione del rapporto di lavoro, una delle questioni più spinose in materia di rapporti di lavoro. I sindacati tendono a favorire una remunerazione unica e uguale per tutti piuttosto che un modello di retribuzione individualizzata, una retribuzione legata alla specifica mansione piuttosto che alla persona, e una contrattazione a livello di settore o addirittura nazionale piuttosto che a livello di singolo stabilimento.

18 18 Il nodo dell’uniformità Nell’operare per l’uniformità delle condizioni contrattuali, compresa la cessazione del contratto di lavoro, i sindacati diventano potenzialmente causa di forme di cattiva allocazione delle risorse. In particolari condizioni però, l’uniformità può contribuire ad aumentare l’efficienza (cioè elevare il livello di impegno e la produttività dei lavoratori se questi avvertissero una condizione di sicurezza e di assenza di sfruttamento). È difficile capire quando l’azione collettiva contribuisce all’efficienza e quando invece la ostacola. Lo è ancora di più se si vuole tener conto non solo del benessere degli occupati, ma anche di quello dei disoccupati.

19 19 I patti sociali Un tentativo di comporre questo dilemma è rappresentato dal coordinamento e dalla centralizzazione della contrattazione (i cosiddetti patti sociali). coordinamento e dalla centralizzazione della contrattazione Sono accordi generali tra i vertici sindacali e le associazioni industriali che si propongono di fissare linee guida per la crescita dei salari nominali. Talvolta, hanno coinvolto i governi come terza parte in causa. In molti Paesi, i patti sociali degli anni Novanta sono stati contraddistinti dal fatto che la moderazione salariale è stata inserita in un pacchetto che comprendeva anche elementi di riforma del welfare. Il ruolo di rappresentanza sindacale è qui centrale. Quando i sindacati vedono limitata la loro capacità di estendere l’ambito della propria azione a tutti i lavoratori, vengono indotti a sostenere interessi particolaristici e corporativi. Quando conseguono estensioni erga omnes dei frutti della loro azione, si enfatizza al massimo l’effetto di disincentivo individuale. La questione della legittimità della rappresentazione contrattuale rimane irrisolta anche nel caso italiano: l’effetto è quello di nuocere all’interesse collettivo.

20 20 ACCORDO DI LUGLIO 1993 E STRUTTURA DEI SALARI (Rodano et al. 2004) La fase di politica dei redditi durata in Italia dal 1992 alla fine del decennio e conosciuta come “concertazione” ha determinato un significativo cambiamento nella dinamica delle retribuzioni e nella struttura della contrattazione. cambiamento nella dinamica delle retribuzioni Innanzitutto ha definitivamente sostituito il meccanismo di indicizzazione automatica dei salari che,  sul terreno macro, si era mostrato incapace a contenere la spirale prezzi-salari e aveva amplificato gli effetti degli shock rendendoli persistenti, mentre,  sul piano micro, aveva determinato una crescente compressione dei differenziali salariali e sottratto quasi tutto lo spazio alla contrattazione collettiva. Con l’accordo del luglio 1993 si sostituì il vecchio meccanismo backward looking con un’impostazione forward looking che dava ampio spazio alla contrattazione, con una virtuosa divisione di compiti tra livello nazionale e livello aziendale.  Al livello nazionale era affidato il compito (macro) di gestire la dinamica delle retribuzioni minime contrattuali, con l’obiettivo di difenderne il valore reale assumendo come riferimento il tasso di inflazione programmato in modo da minimizzare gli impulsi di amplificazione dell’inflazione.  Al livello aziendale erano affidati i compiti (micro) di accrescere il grado di flessibilità di retribuzioni e occupazione rispetto all’andamento economico delle imprese, a ridurre lo schiacciamento retributivo e ridistribuire parte degli incrementi di produttività.

21 21 Effetti successivi Per alcuni anni la concertazione ha funzionato in modo sostanzialmente corrispondente agli obiettivi per quanto riguarda la contrattazione nazionale. Per quanto riguarda invece la contrattazione aziendale va segnalata innanzitutto la sua scarsa diffusione (limitata alle imprese più grandi soprattutto nel Centro-Nord). Questo ha comportato che gran parte dei lavoratori sia stata esclusa dalla distribuzione dei guadagni di produttività, anche se ciò è stato parzialmente compensato dalla diffusione di aumenti retributivi concessi unilateralmente dalle imprese, anche in forme incentivanti.guadagni di produttivitàforme incentivanti Più positivo appare il giudizio per quanto riguarda i temi normativi: il nuovo clima di relazioni industriali ha favorito la diffusione di meccanismi capaci di generare una flessibilità "buona" (maggiore efficienza aziendale non associata a maggiore precarietà dei lavoratori) attraverso la sperimentazione di nuove forme dei rapporti di lavoro che hanno aperto la strada alle riforme legislative.

22 22 Successi e insuccessi della concertazione I principali motivi dell’iniziale successo della concertazione sono:  Il rallentamento ciclico dei primi anni novanta,rallentamento ciclico  l’impennata del debito pubblico e  l’irrigidimento del tasso di cambio nell’ultimo periodo dello Sme Quelli che ne hanno provocato, alla fine degli anni novanta, il rapido declino sono invece:  (i) il carattere fortemente dualistico e squilibrato (sotto il profilo territoriale e sotto quello della dimensione delle imprese) del mercato del lavoro italiano,profilo territoriale  (ii) l’incapacità della concertazione di garantire un adeguato equilibrio della distribuzione del reddito,  (iii) la mancanza di compensazioni sul terreno del welfare e  (iv) la recente incapacità di crescere dell’economia italiana. Questi elementi hanno fatto sì che una fase di riforma decisamente promettente, sotto il profilo della modernizzazione e del recupero di efficienza del mercato del lavoro italiano, si interrompesse e lasciasse il posto alla ripresa di un clima di divisione e di conflittualità latente tra le parti sociali e tra gli stessi sindacati. Forse solo adesso si sta assistendo a un’inversione di tendenza e al ritorno di un clima cooperativo tra le parti sociali.

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