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P. Freire lo scopo di un educatore non è quello di insegnare qualche cosa a chi gli sta di fronte, bensì quello di ricercare con lui i modi per trasformare.

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Presentazione sul tema: "P. Freire lo scopo di un educatore non è quello di insegnare qualche cosa a chi gli sta di fronte, bensì quello di ricercare con lui i modi per trasformare."— Transcript della presentazione:

1 P. Freire lo scopo di un educatore non è quello di insegnare qualche cosa a chi gli sta di fronte, bensì quello di ricercare con lui i modi per trasformare la realtà in cui entrambi vivono

2 L’utopia della comunità educativa oggi Saggi Sarracino - Schettini

3 Il fondamento della comunità educativa è dato dalla storia, dall’attualità e dalla prospettiva. I saperi delle città, così come quelli del territorio extraurbano, fanno parte del fondamento comunitario.

4 Una comunità, intesa come sistema integrato di soggetti e di contesti, non si realizza dalla sera al mattino quello di “comunità” è un concetto che si realizza “a posteriori”, che matura attraverso lo svolgimento e la maturazione di fasi logico- cronologiche, attraverso quella partecipazione che si traduce nel collegamento tra i soggetti, tra le istituzioni, tra le strutture, tra le possibilità operative offerte da mezzi e strumenti.

5 La deterritorializzazione è un fenomeno che determina situazioni alquanto nuove sul piano della formazione dell’ identitàe del riconoscimento di rapporti inediti tra i concetti di nazionalità, etnie, lingue, filosofie, religioni.

6 Il problema della costruzione di una comunità educativa, oggi, è determinato, d’altra parte, dal rapporto che non può non essere pensato e costruito come un curricolo costruito a cavallo tra il profilo di una cittadinanza locale e il profilo di una cittadinanza terrestre.

7 La comunità terrestre, globale, planetaria, va riconosciuta da tutti gli uomini consapevolmente attraverso una formazione che, partendo dalla qualifica di “umano” come tratto comune, spinga gli uomini, come singoli e come collettività, a riconoscere la complessità dei loro problemi sull’intero pianeta, a riconoscere l’emergenza di alcuni di essi che, se non risolti, minacciano la vita stessa e l’esistenza della razza umana.

8 Oggi le distanze si sono metaforicamente accorciate, da una parte, ed allungate, dall’altra: si sa tutto, infatti, nell’istante stesso in cui un avvenimento si compie, eppure non se ne conoscono le fasi evolutive, o meglio maturative, che oggi hanno determinato quel nuovo sfondo che, a sua volta, ridetermina trasformazioni e decisioni.

9 La costruzione della comunità educativa oggi non può non tener conto, innanzi tutto, del rafforzamento di una identità più ampia, globale, planetaria, terrestre, umana, di riconoscimento di un’appartenenza innanzi tutto al pianeta, da cui può discendere il necessario recupero e, se si vuole, il rafforzamento, di una nuova identità storica, valoriale, quindi nazionale, regionale, microterritoriale.

10 H. Gardner L’educazione delle intelligenze multiple tre “sfere” formative di base: a) La “sfera” dell’estetica, e quindi della maturazione del bello, attraverso il riconoscimento di canoni comuni e di autori comuni che hanno illustrato il bello nel mondo attraverso l’arte, la letteratura, la poesia, il teatro; b) quella dell’etica, che non potrà non stabilire che solo il riconoscimento di una giustizia di fondo tra gli uomini potrà salvare il mondo; c) quella della verità e della conoscenza, di una verità e di una conoscenza (soprattutto scientifica) che l’uomo non potrà mai disconoscere esaminando se stesso e la sua trasformazione evolutiva a partire dalle teorie di Darwin e dai darwinismi.

11 Morin un’etica del genere umano un’ecologia della civiltà planetaria; rafforzare un sentire comune circa la nostra ‘comunità di destino’; diffondere una coscienza planetaria (nel senso ampio del termine, che coinvolga l’immaginario e l’universo affettivo dei cittadini terrestri); configurare uno stile inedito di educazione e formazione alle interdipendenze culturali e materiali planetarie»

12 D. Dennett in L’evoluzione della libertà mette in guardia dal pericolo che i processi educativi si traducano in una “ingegneria dei valori” che “aggira la capacità della gente di controllare le proprie attività mentali. […] L’autocontrollo delle nostre attività mentali è limitato e problematico in ogni caso, così non ci dovrebbe sorprendere la nostra difficoltà nel distinguere tra un’ingegneria che aggira le nostre capacità e un’ingegneria che le sfrutta in modo tollerabile e auspicabile […] Fino a quando dite alla gente la verità (quella che viene considerata la verità nel momento in cui la comunicate), vi astenete da qualsiasi tentativo di ingannarla; fino a quando la lascerete in uno stato dal quale possa fare valutazioni della propria situazione quanto meno buone e indipendenti, come quelle che faceva prima del vostro intervento, la starete educando e non starete facendo nessun lavaggio del cervello.”

13 Schettini necessità di formare i giovani e le generazioni prossime a pratiche di cooperazione, di negoziazione e di mediazione ispirate a principi di equità e di inclusione piuttosto che alla competitività e all’antagonismo, pena il consegnare un mondo a 360° in conflitto permanente, senza insegnare loro a contenere l’aggressività, a mediare le controversie locali, regionali, nazionali e internazionali, a padroneggiare gli strumenti della comunicazione e della cooperazione, a guardare ai principi della democrazia sostanziale come alla proposta autenticamene alternativa

14 non è chiaro che cosa significhi realmente cortocircuitare identità locali, regionali e nazionali nella prospettiva di una cittadinanza planetaria o estesa, né è chiaro se l’educazione ad una cittadinanza attiva passi, necessariamente, attraverso un condizionamento educativo che porti ad integrare plurime identità in una molteplicità di appartenenze, come in molti sostengono.

15 la sfida della complessità comporterebbe la formazione ad una capacità di attraversamento permanente delle identità spaziali, quale condizione dell’esser-ci in senso culturalmente transattivo, non dello star-ci in modo psicologicamente residenziale.

16 L’educazione alla cittadinanza attiva è un lavoro di fine e non grossolana interculturalità, dinamico e sofferto, di memoria, di attraversamento delle identità, di arricchimento reciproco, di coesione, di riconoscimento delle storie, certamente non di sottrazione


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