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IMMANUEL KANT PER LA PACE PERPETUA.

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Presentazione sul tema: "IMMANUEL KANT PER LA PACE PERPETUA."— Transcript della presentazione:

1 IMMANUEL KANT PER LA PACE PERPETUA

2 1795 PACE DI BASILEA: FRANCIA HA RAGGIUNTO LA PACE CON PRUSSIA SPAGNA E OLANDA PRUSSIA RICONOSCE LA FRANCIA RIVOLUZIONARIA

3 IMPRONTA ILLUMINISTICA
CONCEZIONE OTTIMISTICA DELLA STORIA DELL’UOMO

4 NEL DISEGNO DELLA NATURA È ISCRITTO UN ALTRO GRANDE OBIETTIVO, CHE PRIMA O POI VERRÀ REALIZZATO: LA PACE FRA I POPOLI E GLI STATI, CIOÈ LA PACE UNIVERSALE

5 COME NELLA NATURA È ISCRITTO IL DISEGNO DELLO SVILUPPO DELLE FACOLTÀ PIÙ ALTE DELL’UOMO E DEL LORO CONTINUO PERFEZIONAMENTO, COSÌ È ISCRITTO IN ESSA UN ALTRO GRANDE OBIETTIVO CHE PRIMA O POI VERRÀ REALIZZATO: LA PACE FRA I POPOLI E GLI STATI, CIOÈ LA PACE UNIVERSALE.

6 ESTENDE IL MODELLO GIUSNATURALISTICO DEI RAPPORTI FRA GLI INDIVIDUI NELLO STATO NATURALE AI RAPPORTI FRA GLI STATI

7 «Alla pace perpetua.» Non vogliamo indagare se una simile scritta satirica, messa da un trattore olandese a un’insegna su cui era dipinto un cimitero, si applichi agli uomini in generale, o ai capi di uno Stato in particolare, che non sono mai sazii di guerre, oppure solamente ai filosofi che vagheggiano quel dolce sogno. Giacché però i politici della pratica disdegnano quello teorico e, guardandolo d’alto in basso, lo sentenziano con manifesta compiacenza quel sapiente da scuola che, colle sue idee prive di sostanza, a nessun pericolo espone lo Stato – cui son da applicare unicamente massime tratte dall’esperienza – sapiente al quale si può lasciar vuotare il sacco anche d’un tratto, senza che l’uomo di Stato, esperto del mondo, deva punto curarsene, così l’autore del presente chiede soltanto che, in caso di conflitto, si debba essere almeno sì conseguenti da non voler fiutare un pericolo pel governo in uno scritto lanciato in balìa della propria fortuna, e contenente opinioni pubblicamente professate. Colla quale clausula salvatoria egli si ritiene espressamente, e in debita forma, al coperto da ogni interpretazione maligna.

8 STRUTTURA 6 articoli preliminari 3 articoli definitivi 2 supplementi
2 appendice

9 «Lo stato di pace tra gli uomini, che vivono gli uni a fianco degli altri, non è uno stato naturale è piuttosto uno stato di guerra, ossia anche se non sempre si ha uno scoppio delle ostilità, c’è però la loro costante minaccia»

10 «Esso [lo stato di pace] deve dunque venire istituito; poiché l’assenza di ostilità non rappresenta alcuna garanzia di pace, e se questa garanzia non viene fornita a un vicino dall’altro (la qual cosa può avvenire solo in uno stato di legalità), il primo può trattare il secondo a cui abbia richiesto questa garanzia come un nemico»

11 FEDERAZIONE DI POPOLI L’OBIETTIVO CHE SI PUÒ RAGGIUNGERE È QUELLO DI UNA FEDERAZIONE DI POPOLI NON UNO STATO DI POPOLI, CIOÈ “DEVONO ASPIRARE , NELLA LORO AUTONOMIA, A COSTITUIRE UNA CONFEDERAZIONE, CAPACE DI BANDIRE LA GUERRA, MA NON UNO STATO FEDERALE, DOTATO DI UN POTERE COATTIVO SULLE SUE SINGOLE PARTI. E CIÒ IN PRIMO LUOGO, PERCHÉ UNO STATO FEDERALE, SOTTO UN UNICO SOVRANO, DOTATO DI FORMIDABILI STRUMENTI DI ACCENTRAMENTO, POTREBBE SOPPRIMERE LA LIBERTÀ E REALIZZARE UN ORRIBILE DISPOTISMO. IN SECONDO LUOGO, PERCHÉ”

12 L’IDEA DI UNO STATO FEDERALE CHE UNISCA I MOLTI STATI…
L’IDEA DI UNO STATO FEDERALE CHE UNISCA I MOLTI STATI….SAREBBE CONTRADDITTORIA, IN QUANTO…OGNI STATO IMPLICA IL RAPPORTO DI UN SUPERIORE (LEGISLATORE) CON UN INFERIORE (COLUI CHE UBBIDISCE CIOÈ IL POPOLO, MENTRE….LO STATO DI POPOLI NEGHEREBBE QUEL RAPPORTO DI SUPERIORE A INFERIORE CHE È INTRINSECO IN OGNI STATO

13 PARTE PRIMA CLAUSOLE PRELIMINARI
Un trattato di pace non può valere come tale se viene fatto con la segreta riserva di materia per una futura guerra

14 Nessuno Stato indipendente può venire acquisito da un altro stato tramite eredità, scambio, vendita o dono. UNO STATO NON È UN BENE BENSÌ UNA SOCIETÀ DI UOMINI, SULLA QUALE NESSUN ALTRO FUORI DI ESSA PUÒ COMANDARE E DISPORRE, E INCORPORARE UNO STATO IN UN ALTRO STATO SIGNIFICA SOPPRIMERE LA SUA ESISTENZA COME PERSONA MORALE, FARE DI QUESTA UNA COSA, E CONTRADDIRE COSÌ L’IDEA DEL PATTO ORIGINARIO SENZA IL QUALE NON PUÒ CONCEPIRSI DIRITTO SOPRA UN POPOLO

15 Gli eserciti permanenti devono con il tempo scomparire del tutto
ASSOLDARE UOMINI PER UCCIDERE O PER FARLI UCCIDERE, È FARE USO DI ESSI COME SEMPLICI MACCHINE GLI ESERCITI PERMANENTI MINACCIANO INCESSANTEMENTE GLI ALTRI STATI, E LI ECCITANO A GAREGGIARE CON LORO IN QUANTITÀ DI ARMAMENTI IN UNA CORSA SENZA FINE, CHE HA COME SBOCCO INEVITABILE LA GUERRA

16 4. Non devono essere fatti debiti pubblici in vista di conflitti esterni dello Stato
5. Nessuno Stato può intromettersi con la violenza nella costituzione e nel governo di un altro Stato 6. Nessuno Stato in guerra con un altro si può permettere ostilità tali da rendere necessariamente impossibile la reciproca fiducia in una pace futura: per esempio, l’impiego di assassini, di avvelenatori, la violazione di una capitolazione, l’organizzazione del tradimento.

17 SONO STRATAGEMMI CHE DISONORANO
RENDONO IMPOSSIBILE QUEL MINIMO DI FIDUCIA CHE IN GUERRA DEVE ESSERCI ANCHE FRA NEMICI, SENZA LA QUALE NESSUNA PACE POTREBBE MAI ESSERE CONCLUSA IL CONFLITTO SI TRASFORMEREBBE IN UNA GUERRA DI STERMINIO

18 “LA VERA POLITICA NON PUÒ FARE ALCUN PROGRESSO, SE PRIMA NON HA RESO OMAGGIO ALLA MORALE; E QUANTUNQUE LA POLITICA PER SE STESSA SIA UNA DIFFICILE ARTE, L’UNIONE PERÒ DI ESSA CON LA MORALE NON È AFFATTO UN’ARTE, POICHÉ QUESTA TAGLIA I NODI CHE QUELLA NON PUÒ SCIOGLIERE NON APPENA UN CONTRASTO SORGE TRA LORO…..OGNI POLITICA DEVE PIEGARE LE GINOCCHIA DAVANTI ALLA MORALE E SOLO COSÌ SPERARE CHE ESSA PERVENGA, SIA PURE LENTAMENTE, A UN GRADO IN CUI POTRÀ BRILLARE DI DUREVOLE SPLENDORE”

19 PARTE II ARTICOLI DEFINITIVI
«In ogni Stato la costituzione civile deve essere repubblicana» «Il diritto internazionale deve fondarsi su un federalismo di liberi Stati» «Il diritto cosmopolitico deve essere limitato alle condizioni dell’ospitalità universale»

20 FORME DI STATO Forma imperii (forma del dominio)
secondo la differenza delle persone che rivestono il potere supremo AUTOCRAZIA ARISTOCRAZIA DEMOCRAZIA

21 FORME DI STATO Forma regiminis (forma del governo)
secondo il modo di governare il popolo da parte del sovrano REPUBBLICANO DISPOTICO

22 REPUBBLICA LIBERTA’ DIPENDENZA EGUAGLIANZA IN QUANTO CITTADINI
DIVISIONE DEI POTERI

23 «Perché questo sistema di governo sia conforme al concetto di diritto, bisogna che sia rappresentativo; solo in questo sistema è possibile un tipo di governo repubblicano, e senza questa condizione esso è dispotico e violento (qualunque sia la costituzione). Nessuno degli antichi governi cosiddetti repubblicani ha conosciuto questo sistema [cioè non furono articolati bene i meccanismi rappresentativi], ed essi non potevano fare altro che degenerare nel dispotismo»

24 «Questa costituzione dunque, per quanto riguarda il diritto, è in se stessa quella che sta originariamente alla base di ogni tipo di costituzione civile; e ora l’unica cosa da chiedersi è se sia anche l’unica che possa portare alla pace perpetua. Ora, la costituzione repubblicana, oltre alla limpidezza della sua origine, il suo essere scaturita dalla pura sorgente dell’idea di diritto, ha anche la prospettiva di quell’esito desiderato, la pace perpetua. E la ragione è la seguente. Se (come deve per forza accadere in questa costituzione) per decidere “se debba esserci o no la guerra” viene richiesto il consenso dei cittadini, allora la cosa più naturale è che, dovendo decidere di subire loro stessi tutte le calamità della guerra (il combattere di persona; il pagare di tasca propria i costi della guerra; il riparare con grande fatica le rovine che lascia dietro di sé e, per colmo delle sciagure – ancora un’altra che rende amara la pace – il caricarsi di debiti che, a causa delle prossime nuove guerre, non si estingueranno mai) rifletteranno molto prima di iniziare un gioco così brutto.

25 Al contrario, invece, in una costituzione in cui il suddito non sia cittadino, quindi una costituzione non repubblicana, decidere la guerra è la cosa sulla quale si riflette di meno al mondo, poiché il sovrano non è il concittadino, ma il proprietario dello Stato, e la guerra non toccherà minimamente i suoi banchetti, le sue battute di caccia, i suoi castelli in campagna, le sue feste di corte e così via, e può allora dichiarare la guerra come una specie di gara di piacere per futili motivi e, per rispetto delle forme, affidare con indifferenza al corpo diplomatico, sempre pronto a questa bisogna, il compito di giustificarla».

26 «Ora, così come noi consideriamo con profondo disprezzo l’attaccamento dei selvaggi alla loro sfrenata libertà, che consiste nell’essere continuamente in lotta tra loro invece che sottoporsi a una costrizione legale stabilita da loro stessi, e a preferire quindi una libertà folle a una libertà ragionevole, e la giudichiamo come una rozzezza, una brutalità e una degradazione animalesca dell’umanità, verrebbe spontaneo di pensare che i popoli civili (ognuno dei quali riunito a sé in uno Stato) dovrebbero affrettarsi per uscire al più presto possibile da una condizione così abbietta, al contrario invece ogni Stato ripone la sua maestà (infatti la maestà popolare è un’espressione senza senso) proprio nel fatto di non essere soggetto a nessuna costrizione legale, e lo splendore del suo capo supremo sta nel fatto che, senza che egli si esponga a nessun pericolo, sotto il suo comando stanno molte migliaia di uomini che sono costretti a sacrificare la loro vita per una cosa che non li riguarda»

27 «Eppure questo omaggio che ogni Stato fa
(almeno a parole) al concetto di diritto dimostra che si può cogliere nell’uomo una più forte disposizione morale, anche se per ora sopita, che lo porterà un giorno a dominare il principio del male che è in lui (e che non può negare) e a sperare che questo avvenga anche negli altri; se non fosse così non verrebbe mai usata la parola diritto dagli Stati che si vogliono combattere, se non per farsene beffe come dichiarò quel principe dei Galli: “È il privilegio che la natura ha dato al più forte sul più debole quello di farsi obbedire”»

28 DIRITTO DI OSPITALITÀ «Qui, come negli articoli precedenti, non è in discussione la filantropia, ma il diritto, e allora ospitalità significa il diritto che uno straniero ha di non essere trattato come un nemico a causa del suo arrivo sulla terra di un altro. Questi può mandarlo via, se ciò non mette a repentaglio la sua vita, ma fino a quando sta pacificamente al suo posto non si deve agire verso di lui in senso ostile.

29 Non è un diritto di accoglienza a cui lo straniero possa appellarsi (per questo si richiederebbe un particolare e benevolo accordo per farlo diventare per un certo periodo un abitante della stessa casa), ma un diritto di visita, che spetta a tutti gli uomini, il diritto di entrare a far parte della società in virtù del diritto della proprietà comune della superficie terrestre, sulla quale, in quanto sferica, gli uomini non possono disperdersi all’infinito, ma alla fine devono sopportare di stare l’uno al fianco dell’altro; originariamente però nessuno ha più diritto di un altro ad abitare una località della Terra».

30 «Se a ciò [al diritto di ospitalità] si confronta la condotta inospitale degli Stati civili, soprattutto quelli commerciali, della nostra parte del mondo, l’ingiustizia, di cui essi danno prova visitando paesi e popoli stranieri (visite che essi immediatamente identificano con la conquista), è tale da rimanere inorriditi. L’America, i Paesi dei Negri, le Isole delle Spezie, il Capo di Buona Speranza, ecc., quando li scoprirono furono per loro terre che non appartenevano a nessuno; degli abitanti infatti non tennero assolutamente conto».

31 Primo supplemento «Sulla garanzia della pace perpetua» «Ciò che fornisce questa garanzia è niente di meno che la grande artefice natura (natura daedala rerum) dal cui corso meccanico si vede brillare la finalità che dalla discordia tra gli uomini fa sorgere la concordia anche contro la loro volontà; per questo viene chiamata destino»

32 «Qui bisogna allora dire che la natura vuole irresistibilmente che il diritto alla fine divenga il potere supremo. Ciò che si trascura di fare in questa direzione, alla fine è la natura a farlo da sola, anche se con grandi inconvenienti»

33 «È lo spirito del commercio che non può convivere con la guerra, e che prima o poi si impadronisce di ogni popolo. Infatti, dato che di tutte le forze (i mezzi) subordinate al potere dello Stato la potenza del denaro potrebbe essere quella più sicura, allora gli Stati (certo niente affatto spinti dalla moralità) si vedono costretti a lavorare in favore della nobile pace, e in qualsiasi luogo la guerra minacci di scoppiare nel mondo, a impedirla tramite mediazioni, proprio come se si trovassero in un’eterna alleanza per questo»

34 Secondo supplemento Articolo segreto per la pace perpetua
Le massime dei filosofi sulle condizioni che rendono possibile la pace pubblica devono essere tenute presenti dagli Stati armati per la guerra

35 I. Appendice SULLA DISCORDANZA TRA MORALE E POLITICA IN RELAZIONE ALLA PACE PERPETUA
SIATE PRUDENTI COME SERPENTI E CANDIDI COME COLOMBE

36 Divide et impera Fac et excusa Si fecisti nega

37 «Da tutte queste contorsioni di serpente, fatte da una teoria immorale della prudenza per cavare fuori lo stato di pace tra gli uomini da quello di guerra dello stato naturale, risulta chiaro almeno che gli uomini, tanto nei loro rapporti privati quanto nei loro rapporti pubblici, non riescono a sottrarsi al concetto di diritto e non osano fondare la politica pubblicamente solo sugli artifici della prudenza e rifiutare così ogni obbedienza al concetto di diritto pubblico (cosa sorprendente soprattutto nel concetto del diritto internazionale), ma al contrario gli rendono tutti gli onori che gli spettano, dovessero anche escogitare cento scappatoie e mascheramenti per sottrarsi a esso nella pratica, e per attribuire a torto alla violenza scaltrita l’autorità di essere l’origine e il vincolo di ogni diritto».

38 «Il male morale ha la proprietà, inseparabile dalla sua natura, di contrariarsi e di distruggersi da sé nelle sue intenzioni (soprattutto in rapporto con altri ugualmente cattivi), facendo così posto al principio (morale) del bene, seppure con un progresso lento. Dunque oggettivamente (nella teoria) non esiste affatto contrasto tra la morale e la politica. Soggettivamente invece (nella propensione egoistica degli uomini, la quale però, non essendo fondata su massime della ragione, non deve ancora venire chiamata pratica, praxis), questo contrasto esisterà e potrà sempre esistere, in quanto serve da incentivo alla virtù, il cui vero coraggio (secondo il principio: “tu ne cede malis, sed contra audentior ito”) [non venir meno di fronte al male ma, al contrario, trova l’energia per affrontarlo con maggiore forza], in questo caso, non consiste tanto nel resistere con saldo proposito ai mali e ai sacrifici, che qui si devono accettare, ma nel guardare negli occhi il principio del male dentro di noi, e nel vincere la sua perfidia, in quanto principio molto più pericoloso, ingannevole e traditore, eppure capace di ragionamenti sottili nella sua pretesa di giustificare con la debolezza della natura umana qualsiasi trasgressione»

39 «La vera politica quindi non può fare nessun passo avanti senza prima aver reso omaggio alla morale e benché la politica in se stessa sia una difficile arte, tuttavia non è certo una tecnica la sua unione con la morale, infatti è questa che taglia il nodo che quella non è capace di sciogliere appena l’una e l’altra entrano in conflitto. Il diritto degli uomini deve essere considerato sacro per quanto grande sia il sacrificio da pagare per il potere dominante. Quindi non si possono fare le cose a metà e inventare un termine intermedio di un diritto condizionato pragmaticamente (tra diritto e utile), ma ogni politica deve piegare le ginocchia davanti al diritto e può però in cambio sperare di raggiungere se pure lentamente quello stadio in cui splenderà senza posa

40 II. Appendice Dell’accordo della politica con la morale secondo il concetto trascendentale del diritto pubblico Se c’è un dovere e se insieme a esso esiste una fondata speranza di rendere reale lo Stato del diritto pubblico, pur solo in una progressiva approssimazione all’infinito, allora la pace perpetua, che segue quelli che finora falsamente sono stati chiamati trattati di pace (in realtà sono solo armistizi), non è un’idea vuota, ma un compito, un compito che, risolto a poco a poco, si fa sempre più vicino alla sua meta poiché i tempi in cui succedono progressi uguali diventano sperabilmente sempre più brevi».

41 “L’OTTIMISMO DI KANT È IN REALTÀ PIÙ UN ARTICOLO DI FEDE, CHE NON IL RISULTATO DI UN’ANALISI SPREGIUDICATA DELLA REALTÀ STORICA, E IL SUO DISCORSO SCONFINA NEL REGNO DELL’UTOPIA…..ARGOMENTAZIONE TANTO GENEROSA QUANTO DEBOLE, TUTTA INCENTRATA SULLA SPERANZA CHE UN GIORNO, NELL’UOMO, IL PRINCIPIO DEL BENE TRIONFI DEFINITIVAMENTE SUL PRINCIPIO DEL MALE (CHE PERALTRO È INELIMINABILE IN LUI)”

42 Riferimenti bibliografici
G. Bedeschi (a cura di), Kant, Bari/Roma, Laterza, 1994 M. D’Addio, Storia Delle Dottrine Politiche, vol. II, Genova, ECIG, 1996. C. Galli (a cura di), Manuale di storia del pensiero politico, Bologna, Il Mulino, 2001. J. J. Chevalier, Storia del pensiero politico, vol. II, Bologna, Il Mulino, 1989. I. Kant, Per la pace perpetua, Milano, Feltrinelli, 2003.


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