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Biodiversità e Biotecnologie

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Presentazione sul tema: "Biodiversità e Biotecnologie"— Transcript della presentazione:

1 Biodiversità e Biotecnologie
Natura Vivente. Biodiversità e Biotecnologie M. Letizia Vittorelli LA BIODIVERSITÀ: UNA RISORSA ESSENZIALE DELLA NATURA. CICLO DI SEMINARI PER la CONOSCENZA E VALORIZZAZIONE DELLA BIODIVERSITA’ ATTRAVERSO LA SCUOLA Palermo, 18 Febbraio 2011

2 Non ci dovrebbe essere perché:
C’è un conflitto tra coloro che sottolineano l’importanza della salvaguardia della biodiversità e coloro che propugnano l’utilità delle biotecnologie per lo sviluppo economico della società? Non ci dovrebbe essere perché: le biotecnologie possono portare allo sviluppo di tecnologie industriali più rispettose della natura e possono contribuire al recupero ambientale. Non sono quindi tecnologie “nemiche” della biodiversità ma possono contribuire alla sua protezione. Solo tutelando la biodiversità è possibile incentivare l’innovazione, altrimenti impossibile, nel campo cruciale delle biotecnologie.

3 Biotecnologie e tutela dell’ambiente
La diversità biologica è lo strumento principe che permette alla natura di adeguarsi ai cambiamenti ambientali e ne garantisce la sopravvivenza Il futuro della Terra e quello della nostra specie sono strettamente dipendenti dalla conservazione dell'ambiente e della sua biodiversità. Le biotecnologie possono dare un contributo importante in questo contesto, fornendo gli strumenti innovativi per affrontare e risolvere la complessa problematica della tutela della biodiversità.

4 le biotecnologie possono favorire il mantenimento della biodiversità ?
Biotecnologie Industriali “biotecnologie bianche”, offrono un potenziale immenso per lo sviluppo ecosostenibile della società. Hanno permesso la produzione di Bioplastica: plastica biodegradabile. Portano alla diminuzione di prodotti di scarto tossici. Vengono già usate e saranno sempre più utilizzate per la depurazione di ambienti contaminati

5 Bioplastica La produzione di Bioplastica da amido di mais permette una riduzione del 25-50% nell’utilizzazione di materiali fossili, produce emissioni di biossido di carbonio nettamente inferiori a quelle necessarie per la produzione di plastica con metodi tradizionali, diminuisce sensibilmente la produzione di materiali tossici di scarico durante la lavorazione

6 Biotecnologie nella produzione del cotone
Le piantagioni di cotone sono molto vulnerabili per l’attacco di parassiti di vario genere, La produzione del cotone con tecniche tradizionali richiede un impiego pari a circa il 25% della quantità totale di insetticidi impiegata nel mondo e circa il 10% della quantità totale di pesticidi. Circa il 50% delle spese necessarie alla produzione del cotone è utilizzato per l’acquisto di pesticidi. I pesticidi hanno effetti altamente dannosi sugli ecosistemi e sulla biodiversità, sono anche velenosi per i contadini e contaminano acqua e suolo; uccidono indiscriminatamente gli insetti ed avvelenano altri animali. L’impiego di varietà geneticamente modificate, riducendo l’uso dei pesticidi non solo diminuisce le spese di produzione, ma diminuiscono anche gli inquinamenti ed i loro effetti dannosi sugli ecosistemi. Le nuove tecnologie inoltre permettono di produrre una quantità doppia di cotone usando la stessa area di coltivazione. L’uso delle biotecnologie aumenta la qualità e la quantità del prodotto. Nella lavorazione del cotone per uso tessile l’utilizzazione di enzimi in sostituzione di tecniche chimiche, iniziata fin dal 1917 ma poi via via migliorata, ha ridotto del 60% l’emissione di rifiuti nell’acqua, del 25 % il consumo di energia e del 20 % i costi.

7 Nel 2010 il bisogno di prodotti ittici nel mondo ha raggiunto i 30 milioni di tonnellate annue; contemporaneamente si osserva un impoverimento dei mari. Sarà quindi indispensabile facilitare in ogni modo la crescita degli organismi marini Bisognerà prevenire gli inquinamenti industriali sviluppando strategie che rendano i processi industriali sostenibili. Si dovranno usare le biotecnologie per migliorare la salute, degli organismi acquatici in coltura. Biotecnologie Marine, una promessa per la protezione dell’ambiente marino e della sua biodiversità Bisognerà sviluppare tecniche di risanamento e di protezione dei mari da inquinamenti prodotti da smaltimento di rifiuti urbani ed industriali, contaminazioni con petrolio o altre merci trasportate, stabilimenti estivi ed attività ricreative, pesca ed acquacoltura.

8 Biotecnologie e risanamento ambientale
I batteri secernono enzimi Gli enzimi degradano l’amido, gli zuccheri, i grassi, il petrolio ecc. amido Zucchero Grassi Petrolio Questo permette ai batteri di nutrirsi dei prodotti di degradazione I batteri secernono C02 ed H20 I batteri si riproducono I batteri sono gli organismi più attivi nella degradazione di rifiuti ed inquinanti. Per ottenere una efficace risanamento ambientale è necessario creare una comunità di batteri appartenenti a ceppi compatibili e che nel loro insieme riescono a degradare i composti di diverso tipo che sono presenti assieme nelle zone inquinate. Inoltre questi batteri devono trovare tutte le sostanze nutrienti di cui hanno bisogno per crescere.

9 La biodiversità contribuisce allo sviluppo delle biotecnologie?
Proteine ritrovate in organismi molto particolari, e fino ad allora non considerati di utilità per l’uomo, hanno rivoluzionato le biotecnologie, e alcune nuovi percorsi della ricerca ci fanno prevedere ulteriori rivoluzioni.

10 L’identificazione della proteina fluorescente verde (GFP)ha aperto una nuova era nella biologia cellulare L’identificazione della così detta Green Fluorescent protein (GFP) nella medusa, Aequorea victoria, ha permesso e permette agli scienziati di analizzare la localizzazione intracellulare o di studiare la funzione biologica delle proteine, applicando metodi di clonaggio molecolare.

11 La proteina fluorescente verde
Il Fluoroforo della GFP L’identificazione della proteina è stata effettuata da Osamu Shimomura negli anni ’60. In seguito si è stabilito che la proteina ha la forma di un barile con un bulbo luminescente al suo interno, il fluoroforo. Uno degli aspetti più intriganti di questa proteina è che il fluoroforo è una parte integrale della proteina: è formato dagli amino-acidi (ser-dehydrotyr-gly) che subiscono una ciclizzazione relativamente lenta non appena la proteina viene sintetizzata. Questa trasformazione chimica spontanea porta alla formazione del fluoroforo

12 Come viene utilizzata la GFP ?
Il gene per la GFP viene fuso con il gene che codifica per la proteina che si vuole studiare Il “costrutto” ottenuto viene utilizzato per esperimenti di “trasfezione”. In altre parole il frammento di DNA ottenuto viene inserito nella cellula nella quale si vuole studiare la localizzazione o la funzione della proteina. Verrà allora sintetizzata una “proteina di fusione” che, dal momento che è fluorescente, permetterà al ricercatore di osservare al microscopio la posizione della molecola. Inoltre, la possibilità di stabilire se la cellula trasfettata esprime la proteina, permetterà di verificare se l’espressione della proteina è accompagnata dall’acquisizione di una specifica funzione.

13 Distribuzione intracellulare della GFP trasfettata da sola (in alto) e della proteina di fusione mSlo-GFP (in basso). La proteina mSlo forma un canale per il potassio che viene attivato dagli ioni Calcio. L’espressione della proteina di fusione in cellule in coltura porta ad una ben visibile fluorescenza localizzata nella membrana cellulare.

14 Negli anni succesivi, provocando delle mutazioni particolari nella molecola, vennero prodotte delle varianti genetiche della GFP più efficienti nell’emissione della luce e con spettri di emissione fluorescente che andavano dal blu al giallo. Nel 2008, i tre scienziati che avevano contribuito maggiormente allo studio della GFP (Osamu Shimomura che aveva identificato la proteina, Martin Chalfie che aveva dimostrato che questa proteina può essere utilizzata come una bandiera per segnalare la posizione nella cellula di proteine di fusione e Roger Tsien che aveva ottenuto la varianti più luminose e di diverso colore ottennero il premio Nobel per la Chimica.

15 Uno degli sviluppi più significativi che sono seguiti al clonaggio ed ai primi esperimenti di mutagenesi sulla proteina fluorescente verde di Aequorea victoria, è stata la scoperta che altri animali non bioluminescenti (gli anemoni di mare ed i coralli) producono proteine simili. L’anemone di mare Discosoma striata Confronto tra la proteina fluorescente rossa (DsRed), e la proteina fluorescente verde (GFP). Un esempio è dato dalla proteina fluorescente rossa (GFP) espressa dall’Anemone di mare Discosoma Striata. Queste proteine hanno fornito un ampio spettro di molecole capaci di emettere luce di altri colori ed hanno dimostrato che proteine della stessa famglia vengono espresse da molti organismi marini.

16 La DsRed (Discosoma striata’s Red Fluorescent Protein) di ha molte proprietà in comune con la GFP e può essere utilizzata in modo simile. Può essere utilizzata assieme alla GFP per osservare se due proteine colocalizzano o hanno destinazioni cellulari differenti.

17 Cellule di fibrosarcoma umano trasfettate con GFP o con RFP
Le cellule trasfettate sono state mescolate ed iniettate in topi immuno-deficienti per stabilire se la formazione delle metastasi dipendeva da caratteristiche specifiche di ogni cellula o da stimoli provenienti dall’ospite che agivano indistintamente su tutta la popolazione cellulare. I risultati dell’esperimento hanno dimostrato che nella maggior parte dei casi le metastasi mostravano una fluorescenza solo verde ovvero rossa, solo in pochi casi si osservava una fluorescenza gialla che indica che cellule marcate diversamente avevano partecipato alla formazione della metastasi. Secondo gli autori (Yamamoto et al. Cancer Research 2003) questo risultato significa che in genere le metastasi originano da cellule singole e quindi dipendono da caratteristiche specifiche della cellula tumorale che da loro origine.

18 Un’altra proteina che ha rivoluzionato le tecniche biotecnologiche: la Taq Polimerasi.
La DNA polimerasi del batterio termofilo Thermus aquaticus. Il batterio Thermus aquaticus Il batterio Thermus aquaticus fu fu identificato nel 1969 da Thomas D,Brock e Hudson Freeze ed è diventato famoso perchè produce numerosi enzimi che non si denaturano ad alte temperature. La DNA polimerasi di questo batterio (chiamata “Taq polymerase” o semplicemente Taq) fu isolata nel Si scoprì che l’enzima aveva un optimum di temperatura ad 80 °C.

19 Alcuni anni dopo Kary Mullis ed altri compresero che questo enzima poteva essere utilizzato per la P.C.R. (Polymerase Chain Reaction) eliminando la necessità di aggiungere l’enzima ad ogni ciclo dopo la denaturazione termica del DNA, che, quando si utilizzava una DNA polimerasi di altra fonte, denaturava anche l’enzima. Nel 1989 il giornale “Science” definì la Taq polimerasi “Molecola dell’anno”. Nel 1993 Mullis ottenne il premio Nobel per il suo lavoro con al Taq polimerasi

20 Solo l’1% di tutti i batteri può essere coltivato in laboratorio.
Quali altri contributi agli sviluppi biotecnologico dobbiamo aspettarci dallo studio della biodiversità ? Solo l’1% di tutti i batteri può essere coltivato in laboratorio. Ad esempio batteri che siamo riusciti a coltivare in laboratorio sono solo una piccola frazione dei batteri esistenti. ? Quali sorprese ci riserva il loro studio? …e lo studio di altri organismi viventi ? Se riuscissimo a coltivare gli altri cosa troveremmo?

21 Gli anfibi,in particolare le rane, sono capaci di sopravvivere in acque inquinate, nelle quali molti altri vertebrati morirebbero certamente. Come si proteggono? Si proteggono perché secernono delle sostanze chimiche che uccidono i batteri sulla loro pelle. Si pensa quindi che alcune di queste sostanze chimiche potrebbero essere impiegate come antibiotici. Si tratterebbe di antibiotici mai impiegati in precedenza per combattere le malattie umane e quindi probabilmente sarebbero efficaci anche contro batteri resistenti ai comuni antibiotici. Per stabilirlo alcuni ricercatori arabi hanno chiesto ai colleghi di tutto il mondo di raccogliere le secrezioni dalla pelle delle rane di qualsiasi specie presente nel loro territorio e di spedirle a loro. Hanno ricevuto le secrezioni di più di 6000 specie diverse di rane ed hanno identificato più di cento sostanze chimiche con azione antibaterica. Sfortunatamente molte di queste sostanze risultano tossiche per l’uomo, Quindi dovranno cercarne di nuove, o modificare quelle che hanno identificato per renderle meno tossiche. I ricercatori sottolineano il fatto che il loro lavoro dimostra l’importanza di preservare la biodiversità degli anfibi

22 Lo studio accurato di altri organismi viventi, specie quelli che vivono in condizioni estreme (temperature molto basse o molto alte, concentrazioni saline elevate, grande profondità), probabilmente porterà a delle nuove sorprese. Ad esempio, se studieremo la medicina dei popoli primitivi, o anche i rimedi tradizionali della medicina omeopatica, scopriremo che piante non officinali, come ad esempio l’Agave producono molecole con effetti antinfiammatori, antimicrobici o addirittura antitumorali che meritano uno studio approfondito. Sarebbe un grandissimo peccato che queste piante o questi animali scomparissero dalla faccia della terra prima che l’uomo abbia scoperto i loro segreti.


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