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Storia dei giochi e storia della lingua italiana

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Presentazione sul tema: "Storia dei giochi e storia della lingua italiana"— Transcript della presentazione:

1 Storia dei giochi e storia della lingua italiana
Massimo Arcangeli Storia dei giochi e storia della lingua italiana

2 1. Per una storia sociale dell’italiano

3 in un corale miniato del primo ’500 conservato troviamo annotate, in successione: le “note di canto fermo” sol e la; una “sfera armillare” (spera) sotto cui è stato scritto anza; altre due note (mi e fa), che sormontano la porzione di parola trion, e ancora due note (fa e re): Sol la speranza mi fa trionfare.

4 Una delle più antiche iscrizioni geroglifiche a noi note, una tavoletta per il trucco (3000 a. C. circa), ci ha tramandato il nome del re Narmer in forma di disegno composto da un pesce gatto (n‘r) e uno scalpello (mr).

5 2. Italianismi “ludici” nelle quattro maggiori lingue europee

6 Sport e giochi “dinamici” (o “fisici”) (inglese)
Il periodo di più consistente importazione di parole dall’italiano fu l’età elisabettiana, in cui la nostra lingua divenne tanto di moda da suscitare forti dissensi verso chi ne era stato sedotto. Roger Ashman (precettore di Elisabetta I), andava sostenendo, con motto che sarebbe poi divenuto proverbiale: An Englishman Italianate is a devil incarnate. Arte del cavalcare. Fondamentale, per l’arte del cavalcare, un trattato del nobile napoletano primo-cinquecentesco Federico Grisone (Degli ordini di cavalcare), un caposaldo nella tradizione manualistica in materia: esso apparve per la prima volta nel 1550 nella Napoli aragonese (sede della prima alta scuola di equitazione sorta in Italia, fondata ufficialmente dallo stesso Grisone ma di precedente tradizione) e conobbe tra il 1559 e il 1615 una decina di traduzioni in francese, e diverse altre in spagnolo e in tedesco e nello stesso inglese, abbondanti di italianismi. Tra gli esempi: pallio; via (da pronunciarsi fia) nel Mercante di Venezia di Shakespeare. Scherma. La gran parte dei termini schermistici di origine italiana arriva in Inghilterra, durante il periodo elisabettiano, grazie soprattutto all’opera di Vincenzo Saviolo, giunto a Londra nel 1590, cui era riuscito di diffondere lì il suo caratteristico stile nonostante i tentativi di ostacolarlo di George Silver, caposcuola dello stile inglese. Nella stessa Londra un connazionale del Saviolo (Rocco Bonetti) aveva fondato nel 1576 una scuola d’armi divenuta presto molto popolare.

7 Sport e giochi “dinamici” (o “fisici”) (inglese)
Altri sport e giochi. Pall-mall (l’antica pall le ‘pallamaglio’) è, attraverso il fr. pal(l) le, di origine italiana (come lo sp. pala mallo). Il gioco della pallamaglio, che nel ’500 il Lasca (Antonfrancesco Grazzini) giudicava di origine napoletana, era tra i più diffusi nel Vecchio Continente tra il ’400 e il ’600 praticata con un maglio e una palla di legno di bosso, del diametro di 30 cm., doveva probabilmente consistere in un incrocio tra il golf e il croquet. Giocata inizialmente, tra Cinque e Seicento, in un viale londinese, è diventata oggi una strada che, per questa ragione, si è vista attribuire il nome di Pall Mall Street. Rifatto semanticamente sull’italiano picchiatore sembrerebbe bomber (‘pugile dallo stile incalzante’) dell’inglese d’Australia: sconosciuta all’inglese standard, presso il quale bomber è ‘bombardiere’ (che spara ben altri “proiettili”) o ‘dinamitardo’, l’accezione pugilistica si diffuse negli anni Trenta del secolo scorso nell’inglese americano (1937) con riferimento al pugile Joe Louis, soprannominato Brown Bomber.

8 Sport e giochi “dinamici” (o “fisici”) (francese)
Per il francese qualche accenno di migrazione lessicale dall’italiano si ha anteriormente al fecondissimo periodo rinascimentale. I settori di massima diffusione sono gli stessi che abbiamo visto entrare in gioco per l’inglese: equitazione e scherma. Arte del cavalcare. Carrouselle f. ‘torneo equestre’ (1596; dal 1620 carrousel m.) risale al gioco napoletano del carusello (sec. XVI), introdotto nella città partenopea dagli spagnoli tra la fine del ’400 e l’inizio del ‘500, che vedeva gareggiare schiere di cavalieri che si lanciavano addosso palle di creta (quasi carusi, teste rapate) riempite di cenere. “Passando all’estero, come spesso accade”, ha osservato Bruno Migliorini (1968, p. 42),”la parola aveva perduto il suo significato specifico, rimanendo come designazione generica di ‘torneo di cavalieri in costume’, viva finché ci furono veri e propri cavalieri (ricordiamo il famoso torneo tenuto da Luigi XIV nel 1662, da cui prese nome a Parigi la Place du Carrousel), e mantenuta ancora un po’ artificialmente nell’Ottocento e nel Novecento per indicare rievocazioni più o meno scrupolosamente storiche. Ma il nome era venuto a designare, in francese e in tedesco, una specie di divertimento molto meno importante e solenne per il popolino e non più per i cavalieri. Il Nicolai descrivendo nel 1825 i passatempi del Prater di Vienna, ci dice cos’era allora il Karussel, un palco gigante che portava una dozzina di persone, le quali dovevano sforzarsi di infilare un bastone in un anello: una specie di “saracino” für den gemeinen Mann. Ma c’era chi non si preoccupava affatto del gioco dell’anello, accontentandosi di girare, magari mangiando. Poi il gioco scese ancora di livello, riducendosi a un passatempo per bambini”.

9 Sport e giochi “dinamici” (o “fisici”) (francese)
Altri sport e giochi. Se fronton (1897), dal frontone come termine architettonico, è la parte superiore del muro contro il quale si scaglia la palla nel gioco della pelota, da un altro gioco sferistico a mezzo tra il tennis e lo squash (per la presenza di un muro laterale d’appoggio contro il quale scagliare eventualmente la sfera), quello del pallone col bracciale, è giunto in terra francese (ma anche inglese e tedesca) il bracciale (fr. brassard, 1680), una specie di manicotto di legno, dotato di spunzoni e scavato internamente, con cui i singoli giocatori colpivano (al volo o dopo il primo rimbalzo) una sfera di cuoio gonfiato; il gioco, già conosciuto nella nostra penisola a partire dal ‘400, conobbe una straordinaria fortuna nell’Italia centrale e settentrionale (soprattutto in Toscana e in Piemonte), dove toccò l’apice del suo successo durante il XIX secolo e dove, in alcune località, si pratica ancora in occasione di particolari ricorrenze: assai nota la disfida del bracciale che si svolge ogni anno in agosto nella marchigiana Treia, la cittadina, non lontana da Recanati, dove ebbe i natali Carlo Didimi, uno dei più famosi giocatori del tempo (a lui Giacomo Leopardi dedicò la canzone A un vincitore nel pallone, composta nel 1821).

10 Sport e giochi “dinamici” (o “fisici”) (tedesco)
Una prima serie di voci sportive giunge in terra tedesca attraverso la traduzione in tedesco di opere italiane; si tratta di una trentina di termini provenienti dal produttivo settore dell’equitazione, ricavati quasi interamente dal trattato di Federico Grisone. Consistente anche la serie dei termini schermistici tedeschi di origine italiana.

11 3. Giocare con la lingua

12 La tua vita in numeri Chi fa da sé fa per tre. Se intendi perseguire al meglio i tuoi obiettivi, se vuoi aspirare a diventare un pezzo da novanta, è meglio però che tu ti faccia in quattro, anzi che tu vada a mille. Stai attento a non tenere i due piedi in una scarpa (o in una staffa), può essere una mossa molto pericolosa. Non spaccare il capello in quattro (spendi solo inutili energie) e non partire in quarta; conta fino a dieci prima di dire o fare qualcosa di cui potresti pentirti: una parola fors’è poco, ma due sono troppe. I tuoi nemici? Tutti e nessuno: stai dunque bene in guardia. Colpiscine uno (per educarne cento); le chiacchiere stanno a zero, mentre le azioni a scopo dimostrativo sortiscono sempre i loro effetti. Alla fine, se avrai fatto il diavolo a quattro (più che aver dimostrato di avere i numeri), dovresti farcela. In ogni modo avrai tentato; e comunque, se sei partito da zero, se eri l’ultima ruota del carro, qualcosa si sarà pur mosso. Se va male, ma proprio male, prenditi almeno una bella soddisfazione: in quattro e quattr’otto, senza pensarci troppo, dagliene (o digliene) quattro ai tuoi avversari e ai tuoi nemici, o a chi ti mette i bastoni fra le ruote. All’inizio contavi come il due di briscola o di picche, o il due di bastoni quando regna denari? Ora non sarai magari al settimo cielo, non potrai vantarti di essere arrivato uno, ma potrai dire di aver barattato la nullità di partenza con un gesto di ribellione. Non sarai più un eroe della sesta giornata, non dovrai più raccontare balle. Cento di questi giorni, Ultimo. Dammi il cinque.

13 a. Non contiamo tutti allo stesso modo
Chi fa da sé fa per tre Chi a travaja per sò cont a val per tre (piem.) Non dire quattro (variante: gatto) se non l’hai nel sacco Bisogna mai dì quatter fin che no l’è in del sacch (mil.) Bsogna mai dì quatr fin ch’a sia ant el sach (piem.) No stà a dì quattro se ti non æ in to sacco (gen.) Nun dì quattro sì nun ce l’hai ner sacco (rom.) (Abbiamo) fatto trenta, facciamo trentuno De già ch’èmm faa trenta, fèmm anca trentun (mil.) S’a s’è fat trenta, a s’ pœ fa trentœn (pav.) Chi ha fæto trenta, pœu fa trentun (gen.) S’è fac tranta, as peur fa trentuno (piem.) Vês fat trente, faseit trenteùn (friul.) Già ch’avemo (o amo) fatto trenta, famo trentuno (rom.) In for a penny, in for a pound; (ing.) In for a dime, in for a dollar (anglo-amer.) Wer A sagt muß auch B sagen (ted.) (Una vez) puesto en el burro, buen palo (friul.)

14 a. Non contiamo tutti allo stesso modo
In quattro e quattr’otto Quatto e quatto fann’otto (nap.) Nè unu nè-ddui (sic.) In un batter d’occhio o in fretta e furia Ê quattru ê cincu “ai quattro e ai cinque” (agrig.) Dirne quattro Diren sèt e quater “dirne sette e quattro” (bol.) Gridare ai quattro venti, Atachèr i manifèst “attaccare i manifesti” (bol.) Prendere fischi per fiaschi To l’òt pr al dsdòt “prendere l’otto per il diciotto” (bol.) Senza dire né a né ma (o senza dir né ai né bai) Senza dir né tre né quatro (venez.)

15 a. Non contiamo tutti allo stesso modo
Sudare sette camicie Chi lavora gh’ha ona camisa, e chi no lavora ghe n’ha dò (mil.) Chi fila ha una camicia, e chi non fila n’ha due

16 b. Come rimanere per sempre giovani? Rmnr x presem gio
Fans dei gd io proporrei 1tregua cs serve offenderci a vicenda?noi nn diciamo+cattiverie sui gd se voi ft la stessa cs cn i blue.Fatevi sentire se v va bn… X marshall di dv 6? Da quant’è ke t piace EMINEM?Io da slim!E’ trp figo!W EMINEMx tt la vita!e poi l altra cs:cm faccio a votarlo se nn poxo andare su internet? ciao Isa,sn Piccola Billie Joe,nn sapevo paxaxero i msg,m hai scritto clks?Cm è andata la gita?A me bn!Uffa ho acceso sl now la tv!Risp!!!

17 b. Come rimanere per sempre giovani? Rmnr x presem gio
m (= mi); t (= ti); v (= vi); bn (= bene); cm (= come); cn (= con); cs (= cosa); gd (= Green Day, una band punk-pop americana); nn (= non); sl (= solo); msg (= messaggi); trp (= troppo); etc.

18 b. Come rimanere per sempre giovani? Rmnr x presem gio
“1tregua”; “nn diciamo+cattiverie”; “W EMINEMx tt la vita!”; “l altra cs”; “X marshall di dv 6?” (‘per Marshall: di dove sei?’) ke, poxo, paxaxero

19 c. Tutto il mondo (giovanile) è paese
“Non mangio roast beef, / è l’anagramma di sbirro!” (Tanta roba, 2009). “Ti do questa notizia in conclusione: / notizia è l’anagramma del mio nome” (Indietro, 2008).

20 c. Tutto il mondo (giovanile) è paese
J: “Te devi presentarti col nogra, eh. Te devi guizzare il nogra. Tocapi? […] È un modo tosto per esprimersi”. D: “Cioè al contrario, praticamente”. J: “Eh, yes”. J: “Treno diventa notre. Casa, saca. Cinque, quinci. È un modo di parlare senza farsi capire, eh. È un gorge, un gergo”. D: “Cioè un specie di slang”. J: “Yes”. D: “Cioè, interessante come schema. Se tu volessi dire babbo dici bobolo”. J: “Eh no, no; no no. Solo le parole determinate per mescolar le carte”. D: “Carte, terca”. J: “Vobra”. D: “Allora bambino si dice nobambi”. J: “Yes”. D: “Bambina?”. J: “Nabambi. E sfiga?”. D: “Gasfi”. J: “Of course. Vedi che quando vuoi capisci”. D: “Eh per forza, quando voglio capisco. Of course, di corsa. Per esempio per dirti non ho i soldi da darti allora devo dire io non ho i dilso da dirta”. J: “CS, ci sei […]. Hai acchiappato il linguaggio” (dialogo tratto da un film di Carlo Vanzina: Il ras del quartiere, 1983).

21 7. Epilogo


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