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Breve storia della lingua italiana

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Presentazione sul tema: "Breve storia della lingua italiana"— Transcript della presentazione:

1 Breve storia della lingua italiana
Lezione 2 L’italiano medievale Raffaele De Rosa Unitre Soletta

2 Temi della lezione L’italiano nell’Alto Medioevo (5°-10° secolo)
La scuola siciliana (12°-13° secolo) Le Tre Corone della lingua italiana (14° secolo) Dante Alighieri Francesco Petrarca Giovanni Boccaccio Raffaele De Rosa Unitre Soletta

3 L’italiano nell’Alto Medioevo
Opera naturale è ch'uom favella; ma così o così, natura lascia poi fare a voi secondo che v'abbella. (Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXVI, vv ) Raffaele De Rosa Unitre Soletta

4 L’italiano nell’Alto Medioevo
L’impero romano cadde ufficialmente nel 476 quando Odoacre, capo della tribù germanica degli Sciri, divenne Re d’Italia spodestando l’ultimo imperatore romano Romolo Augustolo. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

5 L’italiano nell’Alto Medioevo
albergo da gotico heribergo “luogo dove alloggia l’esercito” (Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, 1, pag. 34); elmo da gotico hilms “elmo” (Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, 2, pag. 379); guardare da francone wardōn “osservare, stare in guardia” (Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, 2, pag ); guerra da francone werra “mischia” (Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, 2, pag ). Raffaele De Rosa Unitre Soletta

6 L’italiano nell’Alto Medioevo
Il latino, nei territori conquistati, finisce per essere sempre meno conosciuto. Il trapasso del latino nei diversi volgari si accelera. Si afferma una scripta latina rustica (per certi versi simile al cosiddetto “latino maccheronico” usato scherzosamente a partire dal basso medioevale), sistema scrittorio misto a prevalenza latina, e una scriptae volgari, scritti ormai di base volgare con residue forme latine dalla grafia instabile. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

7 L’italiano nell’Alto Medioevo
Le scriptae volgari sono fortemente caratterizzate come prodotti locali e si diffondono prima in Umbria, nel Veneto, in Campania, nel Lazio (secoli VIII-X), poi via via nelle altre aree. In Toscana troviamo testi mercantili scritti in volgare nei secoli XII-XIII. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

8 L’italiano nell’Alto Medioevo
La più antica testimonianza di un testo in una varietà italiana è l’Indovinello veronese (fine del secolo VIII inizio deI IX): Se pareba boves, alba pratalia araba, alba versorio teneba, et negro semen seminaba. “Teneva davanti a sé i buoi, arava bianchi prati, teneva un bianco aratro, e seminava nero seme.” È una testimonianza autoreferenziale, vale a dire la descrizione dell'atto dello scrivere da parte dello stesso amanuense. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

9 L’italiano nell’Alto Medioevo
L’Iscrizione della Catacomba di Commodilla appartiene all’Italia centrale (inizi del secolo IX) Non dicere ille secrita a bboce “Non dire le (preghiere) segrete ad alta voce”  Raffaele De Rosa Unitre Soletta

10 L’italiano nell’Alto Medioevo
I Placiti Campani (anche capuani, cassinesi) sono i documenti più importanti perché attestano, per la prima volta, l’uso consapevole del volgare in documenti ufficiali. Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti. "So che quelle terre, per quei confini di cui qui [= in questo documento] si parla, trent’anni le possedette la parte [= il Monastero] di San Benedetto." Raffaele De Rosa Unitre Soletta

11 La scuola siciliana Fra il 1220 e il 1250 nasce in Sicilia presso la corte dell’imperatore e re d’Italia Federico II di Svevia ( ) di una vera e propria scuola poetica che si rifà ai Minnesänger tedeschi e ai trovatori provenzali (Dolce stilnovo). Tra i poeti più importanti sono da ricordare Giacomo da Lentini ( ), considerato anche il caposcuola e largamente noto perché a lui è attribuita l'invenzione della forma metrica del sonetto, Pier della Vigna (nato a Capua nel 1190 e morto in Toscana nel 1249), Stefano Protonotaro e lo stesso Federico II. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

12 La scuola siciliana I poeti “siciliani” usarono, per i loro versi, un siciliano illustre e raffinato, impreziosito da: latinismi (parole dotte, recuperate direttamente dai libri latini) provenzalismi (termini presi in prestito dai testi dei poeti provenzali come per esempio molte parole che terminano in -anza come ricordanza, rimembranza, speranza e così via. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

13 La scuola siciliana Pir meu cori alligrari di Stefano Protonotaro
chi multu longiamenti senza alligranza e joi d'amuri è statu, mi ritornu in cantari, ca forsi levimenti da dimuranza turnirìa in usatu di lu troppu taciri; e quandu l'omu à rasuni di diri, ben di’ cantari e mustrari alligranza, ca, senza dimustranza, joi sirìa sempri di pocu valuri; dunca ben di’ cantari onni amaduri. Per rallegrare il mio cuore, rimasto molto a lungo senz'allegria e senza gioia d'amore, torno a cantare, perché forse, a poco a poco, l'indugio di tacere troppo si trasformerebbe in abitudine; e quando uno ha un motivo di parlare, deve cantare e mostrare allegria, perché, senza una manifestazione esterna, la gioia sarebbe di poco peso; sicché ogni amatore che si rispetti deve certamente cantare. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

14 La scuola siciliana Io m’aggio posto in core a Dio servire di Stefano Protonotaro
com'io potesse gire in paradiso, al santo loco, c’aggio audito dire, o’ si mantien sollazzo, gioco e riso. Sanza mia donna non vi voria gire, quella c’a blonda testa e claro viso, che sanza lei non poteria gaudere, restando da la mia donna diviso. Ma no lo dico a tale intendimento, perch’io pecato ci volesse fare; se non veder lo suo bel portamento e lo bel viso e 'l morbido sguardare: che 'l mi teria in gran consolamento, veggendo la mia donna in ghiora stare. Io mi sono ripromesso di servire Dio, in modo da poter andare in paradiso, nel luogo santo che ho sentito nominare, dove ci sono gioia, allegria e riso. Non vorrei andarci senza la mia signora, colei che ha i capelli biondi e il viso luminoso, perché senza di lei non potrei essere felice, restando lontano dalla mia signora. Ma non lo dico con una simile intenzione, cioè perché voglia peccare con lei, ma solo per ammirare la sua bella figura, e il bel viso e il tenero sguardo, che mi sarebbe di molto conforto vedendo io che la mia signora è in gloria. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

15 La scuola siciliana In Toscana diversi «professionisti della scrittura» copiarono e „tradussero“ in italiano le poesie dei siciliani. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

16 Le Tre corone della lingua italiana
Dante Alighieri (Firenze 1265 – Ravenna 1321) Francesco Petrarca (Arezzo 1304 – Arqua Petrarca 1374) Giovanni Boccaccio (Firenze 1321 – Firenze 1375) Raffaele De Rosa Unitre Soletta

17 Dante Alighieri Il cosiddetto “padre della lingua italiana”.
Sul piano teorico: verso la fine del 1302 e l’inizio del 1305, scrive un trattato (in latino!) interamente dedicato all’uso del volgare italiano, intitolato De vulgari eloquentia “L'arte di esprimersi in volgare”. Sul piano pratico: scrive tra il 1307 e il 1321 la sua maggiore opera, la Divina Commedia, in fiorentino. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

18 Dante Alighieri Il poema è diviso in tre parti, chiamate cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti (tranne l'Inferno, che contiene un ulteriore canto introduttivo). Il poeta narra di un viaggio immaginario attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione della Trinità. La sua rappresentazione immaginaria e allegorica dell'oltretomba cristiano è un culmine della visione medievale del mondo sviluppatasi nella Chiesa cattolica. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

19 Dante Alighieri Raffaele De Rosa Unitre Soletta

20 Dante Alighieri « Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura, esta selva selvaggia e aspra e forte, che nel pensier rinova la paura! Tant'è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch'i' vi trovai, dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte. Io non so ben ridir com'i' v'intrai, tant'era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai. Dante Alighieri, Inferno I, vv. 1-12 » Raffaele De Rosa Unitre Soletta

21 Dante Alighieri La Divina Commedia è un’opera caratterizzata da una straordinaria molteplicità di contenuti e da una grande varietà di lingua e di stile. Con la Divina Commedia infonde dignità al volgare (il latino non è la sola lingua di valore). Dante Alighieri utilizza per la sua opera il volgare fiorentino. Pur essendo scritta in una lingua colta, l’opera di Dante Alighieri ebbe successo in tutta la Penisola. Alla fine del Trecento essa era conosciuta pressoché ovunque, anche nei ceti popolari più bassi. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

22 Dante Alighieri Inferno, Canto 28, versi 22-35:
Seminatori di discordie (Mamometto). Chi poria mai pur con parole sciolte dicer del sangue e de le piaghe a pieno ch'i' ora vidi, per narrar più volte? Ogne lingua per certo verria meno per lo nostro sermone e per la mente c'hanno a tante comprender poco seno. Chi potrebbe mai, in prosa, vale a dire con parole sciolte da obblighi metrici, raccontare bene del sangue e delle ferite che io vidi in questa circostanza, pur tentando a più riprese di arricchire e rendere sempre più efficace la sua narrazione? Ogni lingua verrebbe certamente meno, perché sia la nostra lingua sia la nostra mente non hanno abbastanza capacità per poter concepire ed esprimere tanto. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

23 Dante Alighieri Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
com'io vidi un, così non si pertugia, rotto dal mento infin dove si trulla. Tra le gambe pendevan le minugia; la corata pareva e ‘l tristo sacco che merda fa di quel che si trangugia. Già una botte, per aver perduto un mezzullo o una lulla (due pezzi che ne formano il fondo), non appare così rotta e sfasciata, come io vidi rotto e sfasciato un tale dal mento fino all’ano, il posto dove si scoreggia. Tra le gambe gli pendevano le budella; si mostravano all'esterno le interiora e lo stomaco, quel sacco lurido che trasforma in merda quello che si butta giù. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

24 Dante Alighieri Paradiso, Canto XXXI, versi 1-12, Il volo degli angeli
In forma dunque di candida rosa mi si mostrava la milizia santa che nel suo sangue Cristo fece sposa; ma l’altra, che volando vede e canta la gloria di colui che la 'nnamora e la bonta che la fece cotanta, si come schiera d'ape che s'infiora una fiata e una si ritorna là dove suo laboro s’insapora, nel gran fior discendeva che s’addorna di tante foglie, e quindi risaliva là dove 'l süo amor sempre soggioma.” L’esercito dei santi che Gesù sposò con il suo sacrificio mi si mostrava nella forma di una candida rosa; invece l’altro esercito, quello degli angeli (che volando vedono e cantano la gloria di colui per il quale provano amore, cioè Dio, la cui bontà rese la loro natura tanto grande), scendeva nella rosa, il grande fiore che si orna di tante foglie, e da li risaliva verso la dimora di Dio, proprio come fa uno sciame d’api, che una volta si immerge nel fiore e un'altra ritorna nell'alveare, là dove il frutto della sua fatica si insaporisce, trasformandosi in dolce miele. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

25 Dante Alighieri Inferno Paradiso Raffaele De Rosa
Unitre Soletta

26 Francesco Petrarca Francesco Petrarca persegue l'ideale di una lingua 'alta', raffinata, elitaria ed è alla ricerca della lingua 'illustre', sia essa latino o volgare. Anche egli, come Dante Alighieri, utilizza il fiorentino eliminandone ogni elemento che ritiene 'basso'. È uno dei primi sostenitori due movimenti linguistici: la riscoperta della classicità latina la valorizzazione della lingua vernacolare poetica italiana Raffaele De Rosa Unitre Soletta

27 Francesco Petrarca L’opera principale di Francesco Petrarca è sicuramente il Canzoniere (in latino Rerum vulgarium fragmenta «Frammenti di cose volgari»). composto tra il 1366 e il 1374. Si tratta di una raccolta che comprende 366 (365, come i giorni dell'anno, più uno introduttivo intitolato "Voi ch'ascoltate") componimenti: 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali. L’opera è dedicata a Laura di Noves, una nobildonna italiana della quale il poeta si è innamorato vanamente. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

28 Francesco Petrarca Nel Canzoniere viene raccontato in versi questo amore platonico. Si tratta quasi di un diario amoroso, che va dal sonetto iniziale, nel quale si dichiara la vanità e l’inutilità delle passioni, che procurano solo pentimento e vergogna, fino alla canzone finale alla Vergine, in cui tutti i sentimenti umani e terreni si placano per sempre. Il lessico utilizzato nel Canzoniere è piuttosto ridotto rispetto alla Divina Commedia, ca parole in tutto. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

29 Francesco Petrarca Canzone 2 Erano i capei d’oro a l’aura sparsi,
che 'n mille dolci nodi gli avolgea, e 'l vago lume oltra misura ardea di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi; e ‘l viso di pietosi color' farsi, non so se vero o falso, mi parea: i’ che l’ésca amorosa al petto avea, qual meraviglia se di subito arsi? Non era l’andar suo cosa mortale, ma d'angelica forma; et le parole sonavan altro, che pur voce humana. Uno spirto celeste, un vivo sole fu quel ch’ i’ vidi; et se non fosse or tale, piagha per allentar d’arco non sana. I capelli biondi erano sparsi al vento, che li avvolgeva in mille nodi dolci e il seducente splendore di quegli occhi, che ora si è offuscato, brillava oltremisura; e mi sembrava che il viso di lei si tingesse di atteggiamenti comprensivi, ne so se questa mia impressione fosse vera o falsa: io che avevo nel petto l'esca che accende il fuoco della passione, c’è da meravigliarsi se subito m’infiammai d'amore? Il suo incedere non era quello delle persone mortali, ma quello degli spiriti angelici; e le sue parole avevano un suono diverso da quello che ha una voce soltanto umana: uno spirito celeste, un sole splendente fu quello che vidi; e se anche lei ora non fosse più come era allora, la ferita non guarisce solo perché l'arco s'allenta (dopo il lancio della freccia da cui la ferita stessa e stata provocata). Raffaele De Rosa Unitre Soletta

30 Francesco Petrarca La lingua poetica petrarchesca resterà, per più di cinque secoli, un modello imitato continuamente. Fino agli inizi del Novecento, con poche eccezioni, le parole scelte dai poeti italiani per i loro versi continueranno a essere, come quelle di Petrarca, vaghe, astratte, lontane dalla realtà concreta e quotidiana. Ecco alcuni esempi: Parole tipicamente poetiche: alma (anima), augello (uccello), core (cuore), laude (lode), move (muove), opra (opera), spirto (spirito) Scelte grammaticali: amaro (amarono), temero (temettero), avrìa (avrei), sarìa (sarei), quindi (di qui), fia (sarà), fora (sarebbe), giuso (giù), nosco (con noi), sentiro (sentirano) Arcaismi: affetto (sentimento), cura (preoccupazione, affanno), desio (desiderio), mirare (guardare), rimembranza (ricordo), speme (speranza). Raffaele De Rosa Unitre Soletta

31 Giovanni Boccaccio Giovanni Boccaccio è il principale creatore della lingua italiana in prosa usata in vari ambiti. La sua principale opera è il Decameron (greco antico δέκα, déka, "dieci", ed ἡμερών, hēmeròn "giorni", con il significato di "[opera] di dieci giorni") Si tratta di una raccolta di cento novelle scritta tra il 1351 e il 1354. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

32 Giovanni Boccaccio Il libro narra di un gruppo di giovani, sette donne e tre uomini, che per quattordici giorni si trattengono fuori da Firenze per sfuggire alla peste nera che in quel periodi imperversava nella città, e che a turno si raccontano delle novelle (Il deca nel titolo allude ai dieci giorni dedicati alle narrazioni, escludendo i quattro giorni dedicati al riposo) di taglio spesso umoristico e con frequenti richiami all'erotismo bucolico del tempo. Per quest'ultimo aspetto, il libro fu tacciato di immoralità o di scandalo, e fu in molte epoche censurato. Raffaele De Rosa Unitre Soletta

33 Giovanni Boccaccio Esempio di prosa/lingua ricercata: “Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza, oltre a ogn'altra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenza: la quale, per operazion de' corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d'inumerabile quantità de' viventi avendo private, senza ristare d'un luogo in uno altro continuandosi, verso l'Occidente miserabilmente s'era ampliata.”(Decameron, Introduzione alla prima giornata). Raffaele De Rosa Unitre Soletta

34 Giovanni Boccaccio Esempio di lingua poco ricercata che si avvicina molto al parlato (Chichibio e la Gru): «Signor mio, le gru non hanno se non una coscia e una gamba». Currado allora turbato disse: «Come diavol non hanno che una coscia e una gamba? Non vid'io mai più gru che questa?» «Assai bene potete, messer, vedere che ier sera vi dissi il vero, che le gru non hanno se non una coscia e un piè, se voi riguardate a quelle che colà stanno». (Decameron, VI, 4). Raffaele De Rosa Unitre Soletta


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