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I maestri di Blondel L’Apologetica di Léon Ollé-Laprune (1830-1899) consiste nella scelta di evidenziare e approfondire la continuità tra indagine filosofica.

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Presentazione sul tema: "I maestri di Blondel L’Apologetica di Léon Ollé-Laprune (1830-1899) consiste nella scelta di evidenziare e approfondire la continuità tra indagine filosofica."— Transcript della presentazione:

1 I maestri di Blondel L’Apologetica di Léon Ollé-Laprune (1830-1899) consiste nella scelta di evidenziare e approfondire la continuità tra indagine filosofica e la fede religiosa cristiana. L’ispirazione agostiniana di questo modo di filo- sofare si riconosce dal radicamento della ricerca e della riflessione nel fecondo terreno dell’interiorità come teatro del dramma morale, dove si esplica l’azione libera dell’essere umano. Autore di molte opere, di cui ricordiamo La certezza morale (1880-considerato il suo capolavoro), La filosofia e il tempo presente (1890), Il valore della vita (1894). Per il maestro di Blondel la morale è legata all’autorità di una norma che il soggetto vive e rispetta, ma non crea. La norma si coglie e si mette in opera grazie ad un procedimento che nulla ha a che fare né con la pura ragione scientifica, né con la sola legge del dovere ( → Kant). L’assenso della morale è simile all’assenso della fede: la certezza morale della libertà si ottiene conoscendo l’iniziativa umana e insieme intuendo che qualcosa di non pienamente esprimibile, ma sperimentabile, la trascende, rendendola sempre imprevedibile e mai compiuta ed esauribile. Egli distingue tra "certezza astratta" (nozionale) e "certezza concreta" (in relazione a cose), traendo inedite conseguenze e dando un decisivo contributo alla formulazione di una vera e propria "filosofia dell'azione". L'area della certezza astratta, egli dice, è ben più ristretta di quella supposta da Newman; tale certezza può sussistere solo nel campo delle matematiche. In tutti gli altri casi si ha sempre una certezza reale e pratica; fatta eccezione, appunto, per le matematiche, anche in campo puramente conoscitivo la volontà viene sempre coinvolta, almeno con un atto di "preferenza" e di "scelta". È la volontà che determina l'oggetto di conoscenza e l'attenzione per esso; è la volontà che stimola l'intelligenza e la tiene applicata al suo contenuto. Insomma, "la volontà ha dappertutto, anche nel puro ordine scientifico, un'influenza che niente può sostituire". Persino l'espressione di un giudizio scientifico è un atto di volontà, è un atto di "consenso", consapevole e libero, ad una verità. Nettamente avverso al positivismo, Ollé-Laprune asseriva che la conoscenza procede dai fatti ai principi, cioè verso un sapere metafisico il quale non è in conflitto con le certezze conseguite dalle diverse branche della scienza. La filosofia permette al sapere di cogliere le nature: innanzitutto la natura dell’io pensante e volente, poi la natura delle realtà che si oppongono e urtano la coscienza. Egli riteneva di poter abbozzare una metafisica dell’atto spirituale e propose, nella direzione di un’apologetica filosofico-religiosa, alcune tesi che divennero poi portanti in Blondel. Scriveva nel 1870 (in La philosophie de Malebranche, Paris, vol. II, pp.327-328): «Dio non è l’oggetto di una percezione, perché non è possibile rappresentarcelo. Dio non è in questo mondo l’oggetto di una intuizione: il nostro spirito, nelle condizioni attuali, non può vedere Dio. Ma Dio agisce e noi risentiamo la sua azione: e là, ci spinge a lavorare…»

2 Ollé-Laprune distingue tra: certezza astratta nozionale concreta (in relazione a cose)

3 I maestri di Blondel Il carattere contingente delle leggi di natura è il tema centrale dell’opera di Emile Boutroux intitolata La contingenza delle leggi di natura e pubblicata nel 1874. Boutroux si impegna in un confronto diretto con l’indagine scientifica, senza rinunciare alla difesa della libertà del volere umano, volere di un soggetto individuale e autocosciente. Egli sostenne con efficacia che le leggi naturali sono “contingenti”, nel senso che la necessità espressa dalle leggi di natura è solo una necessità ipotetica: è la necessità di rapporti tra fatti posto che i fatti ci siano; ma che i fatti siano quelli che sono è solo un dato di esperienza. L’esperienza attesta poi, secondo Boutroux, che ci sono differenze specifiche tra i fatti (tra il mondo della materia e il mondo della vita, tra questo e la coscienza) e che i fatti più complessi, più ricchi, sono irriducibili a quelli inferiori. Quindi tra i fenomeni e le leggi alle quali questi sono sottoposti c’è sempre uno scarto, una differenza di cui la ricerca scientifica deve tener conto e da cui deve nello stesso tempo astrarre allorché formula le relative leggi. Boutroux arriva al punto da non escludere che le leggi stesse possano subire un mutamento: è impensabile che, ai fini della verifica di un esperimento, sia possibile ricreare un quadro di condizioni identico (principio d’identità → modello di ogni rapporto necessario) a quello di una precedente costellazione di eventi. La possibilità di riprodurre tali condizioni è realizzabile solo in termini di astrazione. Le successioni e concatenazioni tra i fenomeni di qualsiasi ordine rivelano margini di irriducibilità, e quindi equivalgono ad altrettante violazioni del principio d’identità. E proprio sul piano del vivente la spontaneità che sembra dominare il divenire della natura, si dispiega operando la creazione di nuove forme, non riducibili a una semplice accumulazione di elementi: queste nuove forme non sono identiche a questi ultimi,ma sono, rispetto ad essi, contingenti. Dinanzi al continuo trasformarsi della realtà siamo condotti a elaborare schematizzazioni, a istituire rapporti formali e costanti tra entità in mutamento. Ciò avviene attraverso un processo di generalizzazione e di idealizzazione che ha il suo esempio canonico nel modo in cui si è venuto costituendo l’edificio delle matematiche, la cui costruzione Boutroux considera. guidata in misura essenziale da esigenze pratico-applicative. Boutroux enuncia così una tesi tipica del realismo spiritualistico: già nel primo dispiegarsi della nostra spontaneità motoria agisce una forza dello spirito in grado di trascendere quella dell’intelligenza, condannata alla ricerca e alla definizione di rapporti necessari. Questa forza si afferma come libertà: è una forza morale che solo a una visione delle cose che si arresti all’esterno può presentarsi come accidentale rispetto alle leggi eterne del determinismo. La vera contingenza è quella delle leggi di natura, allorché sono assunte come formulazioni certe e ipostatizzate nella loro presunta necessità. Le leggi di natura assolvono di fatto solo a una funzione utilitaria. Lo stesso fatto che esse “funzionino” va fatto risalire nient’altro che a una costanza del succedersi dei fenomeni che nasce dalla tendenza della spontaneità dei processi naturali a ripercorrere strade già battute, a subire una sorta di vero e proprio irrigidimento che è l’esatto opposto della libertà come tensione continua alla realizzazione del dover essere, e dunque all’affermazione del bene e del bello come essenza della vita spirituale. La relativizzazione del modello fisico-matematico.

4 Analisi dei contenuti dell’Action L’Action è l’opera più importante di Blondel e suscitò un acceso dibattito. Analisi del sottotitolo: saggio di una critica della vita e di una scienza della prassi* (agire, operare, modo di agire, condotta). *da πρασσω, diverso da ποιέω che significa fare, fabbricare materialmente. La parte che ho scelto è composta da: L’introduzione, suddivisa in 5 paragrafi. Parte prima, intitolata: “Esiste un problema dell’azione?” (da notare l’analogia con Kant che si interrogava sulle condizioni di possibilità della conoscenza umana; Blondel indaga sulle condizioni di possibilità del problema dell’azione) e suddivisa in 2 capitoli. Parte seconda, intitolata: “La soluzione del problema dell’azione è forse negativa?” e suddivisa in altri 2 capitoli. Si parte dalla ricerca di un senso all’agire. Interessante, che il punto di partenza della ricerca filosofica non sia il “cogito” cartesiano ma l’io agisco come evidenza immediata ed esistenziale (vedi prime battute del 1 paragrafo). Da sottolineare, a proposito del rapporto dialettico di Blondel con il positivismo, l’uso del termine fatto in riferimento all’azione.

5 Analisi dei contenuti dell’Action Nel secondo e terzo paragrafo dell’introduzione, Blondel radica il suo metodo (quello dell’immanenza) nella critica della vita (approccio integrale o totalitario): commentare pp.69-70 (di nuovo in dialettica col positivismo) -71-73. Nel quarto e quinto paragrafo viene accentuato il carattere universalistico di questa perlustrazione filosofica: Blondel spiega (vedi la fine di p.74) che la scelta di sospendere l’uso di termini come bene e male rientra nel metodo dell’immanenza. Escludere pregiudizialmente la via dell’errore significa compromettere l’universalità dell’aspirazione primigenia dell’agire umano, negare implicitamente che esista un movimento comune ad ogni volontà (incluse quelle che perseguono scelte considerate “immorali”). Metodologicamente, dunque, non si deve accettare nessun postulato morale (vedi p.76). Blondel è consapevole della complessità di questo metodo (vedi p.77) ma crede che valga la pena esporsi al rischio di essere frainteso piuttosto che rinunciare a comprendere se il “dover agire” sia un denominatore comune degli esseri umani.

6 Analisi dei contenuti dell’Action Nel primo e secondo capitolo della prima parte Blondel analizza alcuni atteggiamenti filosofici come l’estetismo e il dilettantismo (da diletto=piacere) che si caratterizzano per la negazione della possibilità di teorizzare e di problematizzare la ricerca di senso (vedi prime battute di p.84). L’inutilità del problema teorico dell’azione, affermato dai seguaci di queste “scuole” si traduce anche in uno stile di vita e di comportamento dove l’agire bene o male diventa del tutto indifferente. Il perché dell’azione non si può sapere (o non vale la pena saperlo), dunque non solo il come dell’agire diventa indifferente, ma al fondo dell’agire c’è un volere fumoso, un non- volere. Nel corso del secondo capitolo Blondel smaschera la finzione del nolo velle: già a livello teorico si sceglie di non volere, dunque risorge il problema dell’azione; a livello pratico poi, l’esteta mostra di volere il piacere e il bello, dunque, nella quotidianità, fa continuamente i conti con volere e agire (vedi pp.104-105). Nel primo capitolo della seconda parte Blondel analizza a più riprese il termine azione (vedi p. 109 e p. 114): è una sottolineatura importante, la premessa per capire se l’azione può essere finalizzata al nulla, al non senso. Nel secondo capitolo (vedi p.121) viene approfondita la nozione del nulla come negazione di tutto. Blondel sostiene l’impossibilità di disgiungere il nulla dal suo correlato positivo, che è il complesso di fenomeni di cui facciamo quotidianamente esperienza. A maggior ragione, per Blondel, non si può volere il nulla. (Non si può sapere-volere-agire il nulla). Il secondo capitolo si conclude con la constatazione che la via del nulla è sbarrata e che lascia aperta la strada di una soluzione del problema dell’azione nel “mondo del divenire” (vedi p.128-129). Blondel è giunto all’evidenza che si agisce perché si vuole qualcosa. Si tratta ora di stabilire dove si debba cercare questo qualcosa e cosa di fatto esso sia.

7 Movimento dialettico tra volontà volente e volontà voluta Atto soggettivo oggetto voluto Del volere Essenza dell’uomo = volontà e non il cogito cartesiano Intenzionalità della volontà


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