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L'uso di droghe nelle società contemporanee

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Presentazione sul tema: "L'uso di droghe nelle società contemporanee"— Transcript della presentazione:

1 L'uso di droghe nelle società contemporanee

2 Caratteristiche del consumo di sostanze psicoattive : set e setting del consumo
Rispetto a diffusione e consumo delle sostanze psicoattive Cfr. Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia ricerca/relazioni-al-parlamento.aspx

3 Il consumo nel mondo Trend del consumo di sostanze illegali nel mondo, periodo (anno-base 1992=100)‏

4 ALCOL Al momento convivono due culture del bere: una di tipo “tradizionale” o mediterraneo e una di tipo “nordico” Secondo i dati Istat (2005), i soggetti bevitori di almeno una bevanda alcolica sono il 70% della popolazione I bevitori a rischio (secondo l’OMS, le donne che assumono più di 20 gr. di alcol al giorno e gli uomini più di 40 gr.) rappresentano il 10% sulla popolazione generale, mentre superano il 20% tra i ventenni e i trentenni.

5 L’alcol e le diseguaglianze di salute: sulla base di rielaborazioni di dati Istat, emerge che esiste una forte associazione tra classe sociale bassa e consumo a rischio Nelle classi sociali con bassi livelli di istruzione e di profili professionali, si verifica un’associazione tra sovraconsumo di alcol, consumo di tabacco, minore propensione all’attività fisica e a stili alimentari corretti. Per il consumo a rischio, non si verifica una differenza tra i sessi.

6 Tabacco

7 In Italia, rispetto al genere, i fumatori maschi sono diminuiti negli ultimi venti anni, mentre sono aumentate le donne. Rispetto alla classe d’età, si nota come la percentuale di fumatori tra i 14 e i 24 anni è andata decisamente aumentando (dal 21,7% nel 1993, al 31,4% nel 2005). Rispetto alla classe sociale e al titolo di studio, si verificano comportamenti molto diversi tra uomini e donne. Le donne con livello d’istruzione e classe sociale più elevati hanno una probabilità maggiore di essere fumatrici. Per g i maschi è il contrario.

8 Cocaina

9 Prevalenza annua del consumo di cocaina nella popolazione generale (15-64 a.), nei giovani adulti (15-34 a.) e nei giovani (15-24 a.) in alcuni stati europei

10 Cocaina e servizi: La cocaina è divenuta la seconda sostanza d’abuso che determina il trattamento nei Ser.T dopo l’eroina. Si è passati da utenti con la cocaina come sostanza primaria nel 2002, a nel 2005, con un incremento del 98,5% in soli quattro anni.

11 L’assunzione una tantum si riferisce al 20% circa come media della popolazione europea (15-64 a.), ben al di sotto di quella americana (40,2% sulla tutta la popolazione con più di 12 anni) [EMCDDA 2006: 40]. Come nel contesto statunitense, invece, l’uso si prolunga nel tempo, oltre la classe dei giovani adulti: i dati provenienti da Spagna e Regno Unito sembrano suggerire che la gente continui a farne uso anche dopo i trenta o i quarant’anni. Se osserviamo poi le percentuali di continuità, noteremo che si sta allargando lo spettro dei consumatori abituali: un soggetto ogni tre che dichiara di aver fumato cannabis almeno una volta nella vita l’ha fumata anche nell’ultimo anno, e di questi il 16% anche nell’ultimo mese Cannabis

12 Eroina Nuove modalità di consumo emergenti: eroina fumata o inalata
Si passa da un utilizzo subculturale, ad uno normalizzato Pur restando alta la percezione del rischio rispetto alla sostanza iniettata, le altre modalità di assunzione sembrano garantire il consumatore dagli stessi rischi che ha interiorizzato.

13 Funzioni attribuibili all’uso di droghe (Goode, 2001)
Legali Illegali Strumentali/ Terapeutiche Sostanze prescritte dai medici (tranquillanti, psicofarmaci in genere) Sostanze “dopanti” Ricreative Alcol/Tabacco “Droghe” nel significato comune (cannabis, cocaina, eroina, ecstasy, ecc.)

14 Approcci teorici: Normalizzazione Parker et al. [1998; 2002]
La diffusione di un uso responsabile (sensible) e ricreazionale delle droghe l’accresciuta disponibilità di sostanze e la contiguità con il mondo giovanile; l’aumento del numero degli sperimentatori e degli utilizzatori; Il riscontro di un atteggiamento di tolleranza verso uno stile di consumo responsabile sia presso i consumatori, sia tra coloro che non assumono droghe; il mutato clima culturale che si rileva globalmente nella società, orientato in senso accomodante verso un uso responsabile

15 Approcci teorici: Normalizzazione Parker et al. [1998; 2002]
L’approccio normalizzante lascia implicito il presupposto che «per molti giovani la decisione di usare una sostanza è basata su un processo valutativo razionale piuttosto che su una reazione passiva al contesto nel quale la sostanza è utilizzabile» [Boys et al. 2001: 291]

16 Uso di droghe controllato Zinberg [1984]
«è il setting sociale, attraverso lo svilupparsi di sanzioni e rituali, che mantiene sotto controllo l’uso di sostanze illegali» Drug, Set and Setting. The basis for controlled intoxicant use Zinberg [1984]

17 Zinberg individua 2 categorie analitiche:
Set: si intende una serie di variabili soggettive quali le aspettative circa gli effetti della sostanza; la disposizione interiore e l’umore; le funzioni attribuite al consumo Setting: è dato dal contesto in cui avviene l’uso di sostanze e la letteratura lo riferisce in prevalenza alle situazioni ambientali in cui si verifica l’assunzione (es. in gruppo o individuale; in casa o in luoghi pubblici).

18 L’orientamento prevalente riscontrato nei soggetti intervistati dall’Autore è quello di “localizzare” il consumo di sostanze stupefacenti in situazioni particolari o motivarlo con ragioni specifiche. Ciò costituirebbe il meccanismo più convincente di sanzione (e quindi di controllo)

19 Le sanzioni si attualizzano in quattro modalità
Primo: definiscono un uso moderato e condannano l’uso compulsivo della sostanza; secondo: limitano il consumo a setting ambientali e sociali che garantiscono un’esperienza di utilizzo sicura; terzo: le sanzioni individuano gli effetti spiacevoli correlati alla sostanza e mettono in guardia i novizi; quarto: sanzioni e rituali agiscono per “compartimentalizzare” il consumo e lo vincolano a relazioni e restrizioni [Zinberg 1984: 17-18].

20 Il consumatore si autocontrolla [Cohen 1999, 2001]
«perché la grande maggioranza dei consumatori di droghe e di alcol non diventano consumatori compulsivi come gli alcolisti? La risposta è il controllo. La nozione di controllo può apparire strana a coloro che vedono nel consumo di droghe un segno di perdita di controllo “per definizione”. Ma per la verità si può scoprire che la maggior parte dei consumatori di droghe si auto-impongono controlli di tutti i tipi. Questi controlli sono molto simili per tutte le droghe che si analizzano. Si apprendono nell'ambito di stili di vita e di ambienti nei quali la proibizione delle droghe, e le relative coercizioni legali, sono diventate completamente irrilevanti. Nell’ambito di questi stili di vita, il consumo di droghe è funzionale e svolge un ruolo nella elaborazione e nel mantenimento delle norme collettive (controllo sociale), dei piaceri e delle identità»

21 Il policonsumo: simultaneo
Due o più sostanze vengono assunte contemporaneamente, mescolate o in successione rapida, secondo tre modalità. uso simultaneo quando l’associazione di due o più sostanze è frutto della ricerca di un bilanciamento, amplificazione o contrasto tra di esse (es. lo speedballing, l’uso intravenoso di un mix di eroina e cocaina, in cui gli effetti si bilanciano). garbage head syndrome (letteralmente “sindrome della testa a spazzatura”) un uso simultaneo e indiscriminato di sostanze alla ricerca dello “sballo”, privo di una ricerca intenzionale di uno specifico effetto, o di uno stato edonico. Gli Autori riconducono questa condotta in prevalenza a situazioni di comorbilità psichiatrica. Infine, con uso normativo si intende un pattern conformistico di associazione di sostanze, generalmente contemporaneo, che persegue le tendenze e le consuetudini prevalenti in un determinato setting sociale e periodo storico [Janiri, Hadjichristos 2000].

22 Il policonsumo: nel breve periodo
Le sostanze vengono assunte a distanza breve (ad es. nell’arco di una serata), ma separatamente. uso concomitante, quando due o più sostanze vengono assunte per aumento o contrasto degli effetti ricevuti: si pensi all’uso della cannabis al termine di una serata a base di sostanze stimolanti, come pratica adottata da molti consumatori per placare l’effetto eccitante. uso facilitante ad alcune sostanze (prevalentemente legali), che porterebbero verso una progressione ad altre sostanze (illegali), «grazie alla diminuzione del peso delle norme interne dovuto all’effetto della prima sostanza» Gli autori riportano come esemplificazioni l’abuso di alcol e cannabinoidi come facilitanti l’utilizzo di cocaina ed eroina. [Pinamonti e Rossin 2004: 35].

23 Il policonsumo: nel lungo periodo
Si riprende la classificazione di Clayton, che distingue tre tipologie: uso sequenziale: il modello degli stadi prevede una progressione da una sostanza all’altra nel corso della vita (ad es. frequentemente chi fuma cannabinoidi ha già sperimentato il fumo di tabacco); uso alternato: la progressione nel periodo lifetime nell’uso di sostanze appare più spesso discontinua, per cui il consumatore multiplo utilizza una o più sostanze per un certo periodo, per poi passare ad una sostanza “nuova” e magari interromperla e tornare alle precedenti, tracciando così traiettorie di consumo intermittenti; uso sostitutivo: si verifica quando a causa della indisponibilità della sostanza d’elezione, il consumatore assume una sostanza secondaria: l’abuso di alcol talvolta è comune nella fase di disassuefazione da eroina attraverso farmaci sostitutivi e spesso aiuta a controllare le crisi di astinenza

24 Il policonsumo: aspetti fenomenologici
Uno studio condotto sulla città di Vienna ha portato ad individuare cinque profili di poliassuntori:[Eisenbach- Stangl 2007: 90]: il poliassuntore “marginalizzato”: associa morfina e benzodiazepine, nonché altri psicofarmaci a cannabis e occasionalmente a cocaina ed eroina; è immerso in attività illegali (spaccio), che gli permettono di procurarsi le sostanze. L’età varia per la metà del campione tra 20 e 30 anni, per un terzo supera i 30; il poliassuntore di cocaina ed eroina (speedball): utilizza in prevalenza le due sostanze, più spesso combinate; ciò anche in ragione di cambiamenti avvenuti nel mercato di strada, dove eroina e cocaina sono vendute assieme in un’unica dose; siamo ancora in una situazione di marginalità e di devianza: lo spaccio è la fonte di guadagno principale;

25 lo sniffatore di cocaina: il circuito non è più illegale, anzi, ci proietta in un contesto di elevato status socio- economico; la sostanza dominante è la cocaina, occasionalmente associata ad eroina o ad altre sostanze, e consumata in scenari privati o in locali particolari. L’età è mediamente più elevata di 10 o 20 anni rispetto al poliassuntore ricreazionale, categoria che segue; il poliassuntore ricreazionale: collocato ad un livello socio- economico medio, è un soggetto socialmente ben integrato, che consuma principalmente cannabis, cui vengono associate occasionalmente ecstasy, anfetamine, cocaina, LSD, funghi allucinogeni. Il setting di utilizzo è pubblico (locali notturni), ma anche privato (privat “event”) e l’età media è intorno ai anni; il fumatore di cannabis: definito nella ricerca che stiamo illustrando l’“individuo normale”, egli fa uso quasi esclusivo di cannabis, con frequenza eterogenea, ma a dosaggi elevati (mediamente 2,5 gr. per volta) ed in contesti privati. L’età spazia dai 15 ai 30 anni e lo status socio-economico è molto variabile.

26 Cosa ne deduciamo? un primo modello di normalizzazione del policonsumo, che contempla alcune categorie di sostanze e un certo pattern d’uso in prevalenza ricreazionale; un secondo modello che invece si colloca al confine con un uso problematico di sostanze e risponde a funzionalità eterogenee rispetto al primo. Il secondo modello lascia intravedere significati e prassi che mantengono un valore subculturale

27 In uno studio qualitativo, Parker riporta che «quasi tutti i partecipanti allo studio sul profilo comportamentale hanno provato per la prima volta l’eroina in un setting sociale in cui era normalmente assunta con alcol o cannabis – uno scenario davvero simile a quello che si ritrova nel contesto ricreazionale» [Parker 1998].  È il segnale che esiste una minacciosa aderenza o, sarebbe meglio dire, una sovrapposizione fra normalizzazione e subcultura.

28 Incrociamo posizioni divergenti:
Per alcuni autori (Cohen in primis) i consumatori riescono a percepire gli eventuali effetti negativi derivati da un consumo sregolato e ne disciplinano pertanto il pattern d’uso [Cohen e Kaal 2001].

29 Altre ricerche spostano l’attenzione sulla teoria di “negazione del rischio”.
L’autore Peretti-Watel [2003] trae spunto dalla teoria della neutralizzazione elaborata da Matza e Sykes in riferimento ai meccanismi psicologici che chi delinque mette in atto per allentare i controlli sociali e i conseguenti sensi di colpa derivanti dalla trasgressione

30 I fumatori esperti di cannabis adotterebbero una serie di tecniche di neutralizzazione per giustificare a se stessi e agli altri significativi la propria condotta. In particolare, essi marcherebbero: - la distanza dai consumatori problematici di sostanze diverse dalla cannabis indicandoli come “capri espiatori” enfatizzerebbero la loro capacità di auto- controllo della sostanza comparerebbero i rischi associati al consumo della sostanza illegale con una legale, l’alcol

31 Risulta opportuna una distinzione concettuale proposta da Goffman [1963] tra normalizzazione e normificazione rivolta ai significati sociali applicati alle disabilità. Se con il primo concetto, l’Autore considera i tentativi di normalizzazione come le azioni condotte dai “normali” per trattare le persone stigmatizzate al loro pari, con normificazione si intendono gli sforzi delle persone stigmatizzate ad apparire come “normali”.

32 Questo è quanto sembra avvenire nell’intersezione tra normalizzazione e uso irriflessivo, laddove la prima si tramuta in stato di diniego. Un eventuale uso problematico risulta nella percezione cognitiva del soggetto come normificato e neutralizzato così dalle valenze negative che può comportare

33 NEGAZIONE DEL RISCHIO (Peretti-Watel, 2003)‏
il capro espiatorio: si traccia un confine simbolico tra un “noi” (persone sicure) e un “loro” stereotipato (persone a rischio). Il consumatore abituale di sostanze (ad es. il fumatore di cannabis) nega la sua eventuale problematicità, aderendo a stereotipi sociali su categorie di consumatori più a rischio (l’eroinomane, il cocainomane…) come giustificazione per la propria condotta NEGAZIONE DEL RISCHIO (Peretti-Watel, 2003)‏

34 la fiducia in sé: al fine di negare il rischio, le persone tendono a sovrastimare la loro capacità di evitare o saper controllare situazioni rischiose (“smetto quando voglio”)‏ la comparazione fra rischi: consiste nel comparare la propria condotta rischiosa con altre già accettate dalla maggioranza delle persone e rivela spesso nelle persone un atteggiamento fatalistico

35 Teoria della dissonanza cognitiva
Festinger sostiene che, per il raggiungimento di un buon equilibrio emotivo ciascun soggetto deve cercare di ridurre le dissonanze, ossia le incoerenze di due cognizioni: «Ogni incoerenza percepita instaura uno stato interiore di disagio che la gente cerca di ridurre tutte le volte che gli è possibile» [1957: 23]. La dissonanza cognitiva, in altri termini, è una teoria che parte dall’assunto che «l’individuo mira alla coerenza con se stesso. Le sue opinioni e i suoi comportamenti, per esempio, tendono a comporsi in complessi intimamente coerenti» [27].

36 Per ridurre le incoerenze il soggetto può adottare tre strategie:
modificare il comportamento; giustificare la condotta mutando la cognizione; giustificare la cognizione aggiungendo nuove cognizioni.

37 Teoria della scelta razionale
Elster [2001] sottolinea come le emozioni siano in grado di distorcere le elaborazioni cognitive innescando meccanismi di autoinganno con ripercussioni significative nel campo dell’uso di sostanze psicoattive: «Alcune persone dipendenti usano, come scusa per non smettere, la loro credenza (usualmente frutto di autoinganno) di poter smettere in ogni momento. Altre usano la loro credenza (parimenti frutto di autoinganno) di non poter smettere come scusa per non smettere. Credere di essere dipendenti può rafforzare la dipendenza attraverso il meccanismo della riduzione della dissonanza cognitiva. Spesso questo meccanismo conduce le persone dipendenti a negare di essere dipendenti o a negare che la dipendenza sia dannosa»

38 Secondo l’Autore, allora, il consumo di sostanze psicoattive si collega ad un deficit motivazionale, cioè una tendenza a sottovalutare il futuro, e rientra fra i tentativi di automedicazione razionale nel quale i costi futuri di una dipendenza acquisiscono meno peso del piacere attuale del consumo. Con le parole di Elster: «La riduzione a breve termine della sofferenza è più che sufficiente a compensare la sofferenza attesa come risultato dell’uso di droga» [ivi: 178].

39 Esemplifichiamo utilizzando il caso del fumo di sigarette. Eiser et al
Esemplifichiamo utilizzando il caso del fumo di sigarette. Eiser et al. hanno condotto numerosi studi su fumatori di tabacco, indagando soprattutto sulla categoria dei dissonanti. Giungono alla conclusione che al fine di ridurre la dissonanza cognitiva derivata dal perpetrare una pratica nociva per la propria salute nella consapevolezza dei rischi, i soggetti si auto- attribuivano una condizione di dipendenza [Eiser et al. 1978]. Detto altrimenti, giustificavano “tautologicamente” il fatto di non poter smettere di fumare perché ne erano dipendenti. Da un punto di vista individuale, la razionalizzazione applicata al proprio comportamento e a quello altrui può costituire un vero e proprio freno alla possibilità di cambiare condotta.

40 Riportiamo uno studio per chiarire la questione: si presero in esame 2
Riportiamo uno studio per chiarire la questione: si presero in esame fumatori che avevano contattato un’azienda televisiva per essere aiutati a smettere di fumare. Di questi, il 78,9% partecipò ad una valutazione di follow up a distanza di un anno attraverso un questionario postale: emerse che 797 avevano provato a smettere, 709 avevano provato a ridurre il numero di sigarette, mentre soltanto 164 erano diventati astinenti.

41 Le analisi condotte rivelarono che ad influire nella scelta di coloro che erano riusciti a smettere non c’era soltanto la percezione di ricevere benefici per la propria salute, ma anche la fiducia che i soggetti nutrivano verso se stessi e gli altri circa la possibilità di riuscire con successo nel tentativo [Eiser et al. 1985]. Secondo il modello del “raggiungimento della motivazione”, sembrerebbe che coloro che attribuiscono agli altri fumatori l’incapacità di smettere nutrano meno aspettative di successo, al pari di coloro che si considerano più dipendenti [Weiner, cit. in Eiser 1985]. Difatti, l’analisi di follow up mise in evidenza che l’esito positivo del tentativo di smettere di fumare era fortemente correlato alle aspettative di successo e alla percezione della propria dipendenza da parte dei soggetti [ivi].

42 Ciò vale altresì per quanto riguarda le tassonomie a cui la società può ricondurre i soggetti: esse possono tramutarsi in profezie autoavverantesi. L’attribuire uno status di dipendente all’alcolista o all’assuntore problematico di sostanze anziché agire da elemento deterrente può impoverire la sua capacità di risoluzione del problema. I tradizionali programmi che diffondono il concetto di dipendenza come disease, come disturbo fisico, e promuovono l’astinenza come cura, invece che rafforzare la volontà del soggetto nell’uscire dalla situazione, instillano più spesso in lui un senso di impotenza [Newham, Davies 2007].

43 Le credenze Zinberg riconduce la “flessibilità” dei rituali di consumo di cannabis ad alcuni elementi: la natura farmacologica della sostanza (l’effetto psicotropo è in media moderato e contenuto nel tempo); lo status della sostanza e del suo uso (le credenze)‏ è importante capire quale tipo di credenze il consumatore possiede sulle sostanze

44 G3 [Sta parlando di alcuni membri del gruppo che fumano in prevalenza da soli] Vedo che si isolano molto, magari passano tanto tempo soli. Quelli che ne fanno uso individualmente ne fanno uso in più parti della giornata, anche la mattina… il più delle volte sono quelli che gli prende male, vanno in paranoia, sono tristi… la consumano per dimenticare più che divertirsi. [Femmina, 21 anni]

45 Alcuni soggetti si impongono delle “regole”, adottano delle strategie; ad esempio, l’acquisizione di tutti gli aspetti della tecnica – imparare a fumare nel modo giusto, per un verso, e acquisire l’abilità nella preparazione del joint, per l’altro – può essere percepito come un rischio rispetto all’uso controllato e gestito in gruppo

46 F2 Non ne ho mai fatta una sinceramente [si riferisce al fatto di preparare uno spinello], perché non voglio imparare… preferisco usarla in compagnia, non voglio che diventi una dipendenza. Magari imparando, in un momento di stress vorrei farmela da sola, e non voglio. [Femmina, 22 anni] A1 Finché non impari a fartele da solo non c’è problema… ma quando impari a far su, allora le cose cambiano […]. Forse decidi di imparare perché dentro di te senti il bisogno di fumare da solo. Comunque se cominci a fumare per conto tuo… è come scoprire un’altra sostanza. [Maschio, 29 anni]

47 G3 [Sta parlando di alcuni membri del gruppo che fumano in prevalenza da soli] Vedo che si isolano molto, magari passano tanto tempo soli. Quelli che ne fanno uso individualmente ne fanno uso in più parti della giornata, anche la mattina… il più delle volte sono quelli che gli prende male, vanno in paranoia, sono tristi… la consumano per dimenticare più che divertirsi. [Femmina, 21 anni]

48 L’autoinganno D2 Poi ti crei anche la “canna della buonanotte”, come la sigaretta dopo il caffé. Non ha alcun valore scientifico… D3 Beh, è un rituale… D2 Sì… poi però ne senti psicologicamente il bisogno fisico. [Maschi, 26, 23 anni] L’affermazione conclusiva non può essere tralasciata, perchè instilla nuovamente l’incertezza sul confine tra rituale e mascheramento di situazioni problematiche

49 Si è giunti all’individuazione di almeno due pattern di consumo: il primo a dominanza del setting; il secondo a dominanza del set.

50 Che cosa comporta questo?
Il contesto originario del consumo (i gruppi informali e le relazioni amicali), oltre a costituire la situazione elettiva di iniziazione per tutti i soggetti interpellati, continua a rappresentare un luogo di produzione di regole, rituali, sanzioni e significati fondamentali per il controllo del modello di consumo. Quando il consumo si separa da tale contesto (come difatti avviene per una quota dell’universo dei fumatori), permangono soltanto le regole morali proprie del soggetto e quelle “interiorizzate” intersoggettivamente

51 D1 Magari c’è un gruppo di persone che sta fumando dell’erba
D1 Magari c’è un gruppo di persone che sta fumando dell’erba. Se loro ti chiedono di fumare, dici “sì va bene” ed entri nel circolo, conosci le altre persone che fumano. Ma se magari dici no, perché non ti piace l’erba o perché non fumi, ti alzi e ti allontani. D2 Ma no. Prima che fumassi non mi è mai capitato di essere discriminato. D1 Non dico discriminato, però magari non essere in grado di riuscire ad entrare in quel gruppo particolare di persone. D2 Non mi è successo… D1 Ma non dico discriminato, neanche a me è capitato. Però mi ha aiutato ad entrare in un gruppo di persone, ha fatto saltare molti preliminari… cioè dopo un giorno, sei già amico… I (rivolto a D1) Tu fumi anche individualmente? D1 No, bere sì, fumare raramente. Non me la godo da solo…cioè perché aiuta a socializzare, per cui è un modo anche per andare a trovare gli amici. I (rivolto a D2) E tu invece? D2 Io sì, lo faccio più spesso da solo. [Maschi, 26 anni]

52 C’è chi procede in salita verso l’abitualità e la quotidianità dell’uso e c’è chi avanza in direzione opposta. Una quota considerevole del gruppo di riferimento empirico, infatti, non avanzerà mai lungo questa scala. La onnicomprensiva categoria dei fumatori cosiddetti “situazionali” comprende un’ampia varietà di tipologie di consumatore. L’elemento che emerge dalle interviste svolte e che funge da comune denominatore per questo sub- campione è l’accento posto sul setting (e quindi sulle sanzioni sociali), al fine di circoscrivere la pratica entro termini definiti. Parimenti, scarso o nullo è il valore attribuito alle aspettative e all’intenzionalità individuale rispetto all’assunzione

53 I colloqui e le osservazioni condotte ci hanno convinto ad estrapolare almeno sette dimensioni: il tempo; la disponibilità della sostanza; la quantità assunta; la valenza intersoggettiva; la valenza soggettiva; l’accumulo di esperienza; i cambiamenti nello stile di vita.

54 Il gioco d’azzardo in Italia

55 Gambling in Italia «Source H2 Gambling Capital», che si discostano appena dalle stime dei Monopoli. E dicono che su un monte di 321 miliardi di euro spesi nel mondo nel nei giochi legali (ripetiamolo: 321 miliardi netti, rimasti agli organizzatori dopo aver pagato le vincite) circa il 25% dei denari buttati nell'azzardo era americano, il 15,6% cinese, il 9,7% giapponese e quasi il 6% italiano. Quarti al mondo.

56 Il gioco d’azzardo nel ventesimo secolo
Durante il ventesimo secolo, il gioco d’azzardo è stato collocato in una posizione ambivalente che l’ha visto, da un lato, condannato e regolato; dall’altro, tollerato e finanche incoraggiato [Reith 1999]. Da condotta distruttiva e dissipativa, quindi moralmente condannabile, il gambling diventa una pratica sociale accettabile

57 Il gioco d’azzardo nel ventesimo secolo
«la liberalizzazione del gioco d’azzardo può essere considerata come un’attività tra altre – pornografia, uso ricreazionale di droghe, relazioni e matrimoni tra persone dello stesso sesso – che stanno diventando più accettate, se non celebrate, come un’espressione dello stile di vita, attraverso processi sociali e politici di de-stigmatizzazione» [Cosgrave 2006: 12-13]

58 Il gioco d’azzardo nelle società contemporanee
La diffusione di giochi svolti in solitudine, quali le slot machine o i giochi online, ha fatto sì che si andasse perdendo la dimensione sociale del gioco si è assai ampliata l’offerta di giochi d’azzardo, abbassando la soglia di accesso ed allentando in modo significativo le forme di controllo Con l’emergere dei giochi d’azzardo online, i limiti territoriali o normativi diventano pressoché inesistenti o piuttosto laschi

59 Il gioco d’azzardo nelle società contemporanee
I giochi d’azzardo odierni risultano per lo più caratterizzati da velocità, immediatezza nella vincita e de-ritualizzazione Al crescere dell’offerta di giochi d’azzardo, è cresciuta anche la popolazione dei giocatori. In particolare, la diffusione del gioco d’azzardo ha riguardato nuove categorie sociali, in particolare i giovani e le donne [Casey 2008]

60 Il gioco d’azzardo: tra commercializzazione e medicalizzazione
Soffermandoci sulla storia recente del gioco d’azzardo, a partire dalla sua liberalizzazione, proponiamo una schematizzazione – evidentemente sintetica e imparziale – dei principali approcci teorici che sono emersi in diversi ambiti scientifici. Si possono individuare almeno due linee interpretative, complementari, ma al tempo stesso intrinsecamente opposte, attraverso cui il gioco d’azzardo viene categorizzato come pratica di consumo o come malattia

61 La commercializzazione del gioco d’azzardo (1)
Anche se il processo di globalizzazione del gambling non procede uniformemente, ma interagisce e si adatta alle culture locali [McMillen 2003], resta il fatto che il gioco d’azzardo si presenta oggi come un bene di consumo, che è parte integrante di un’economia globale del divertimento [Kingma 2010]

62 La commercializzazione del gioco d’azzardo (2)
La forte spinta alla McDonaldizzazione delle istituzioni del consumo [Ritzer 1993] – con cui si intende un processo di razionalizzazione delle imprese volto a produrre merci altamente standardizzate – si incrocia con un processo di incantamento. L’esigenza dell’incanto porta alla costruzione di vere e proprie “cattedrali del consumo”, quali ambienti spettacolari, immaginifici e seducenti che allontanano lo spettro di un consumo massificato [Ritzer 1999] (es. parchi divertimento a tema, centri commerciali, navi da crociera e casinò)

63 La commercializzazione del gioco d’azzardo (3)
i casinò di Las Vegas raffigurano il più paradigmatico tra i nuovi mezzi di consumo, essendo caratterizzati sia dagli aspetti di razionalizzazione tipici delle catene di fastfood, sia dall’incantamento; da un lato si accelera il consumo, dall’altro si irretisce il consumatore attraverso il fascino dell’illusione [Ritzer, Stillman 2001] Le dinamiche descritte non si limitano ai mega casinò di Las Vegas, ma stanno influenzando i modelli di organizzazione del gioco d’azzardo in molte parti del mondo, creando una sorta di Las Vegasizazzione (Las Vegasizing) dell’industria del gambling [Kingma 2010]

64 La commercializzazione del gioco d’azzardo (4)
La liberalizzazione del gioco d’azzardo, che diventa bene di consumo di massa e forma di business, affranca il medesimo da etichette moralistiche e legittima una nuova figura, il gamer, ovverosia il giocatore ricreazionale, «un consumatore in grado di prendere decisioni su come e dove giocare» [Castellani 2000: 34] al solo scopo di divertirsi

65 La commercializzazione del gioco d’azzardo (5)
La commercializzazione e de-stigmatizzazione del gioco d’azzardo, allora, sottendono una visione normativa che vuole che «il consumatore sia alla ricerca di soddisfazione personale, ma non gli concede di cadere nell’eccesso e nella dipendenza» [Sassatelli 2004: 149]

66 La commercializzazione del gioco d’azzardo (6)
Tuttavia, è innegabile che l’industria del gioco persegua l’obiettivo di incrementare il proprio volume d’affari e, dunque, di stimolare ed indurre nelle persone il desiderio di giocare, innescando così una situazione quanto meno contraddittoria, se non paradossale, nel caso in cui il gioco d’azzardo sia gestito da un sistema di monopolio pubblico

67 Modelli teorici per comprendere il gambling
Modello dell’apprendimento sociale (social learning model) Tesi della medicalizzazione

68 Modello dell’apprendimento sociale (social learning model)
È un comportamento attivo, soggetto a rinforzi positivi e influenzato da una complessa interazione di fattori interni ed esterni Inizialmente, il denaro è stato considerato un rinforzo positivo, ma le teorie più recenti hanno portato in primo piano l’importanza delle proprietà rinforzanti dello stato di eccitazione fisiologica che il gamblig crea nei giocatori

69 Modello dell’apprendimento sociale (social learning model)
Il modello cerca di comprendere perché i giocatori problematici tendono a persistere nel loro comportamento, anche quando ricevono pochi rinforzi positivi, ad es. hanno più perdite che vincite

70 Modello dell’apprendimento sociale (social learning model)
2 spiegazioni rinforzo parziale per scomparsa dell’effetto: il rinforzo intermittente (nel gioco, si vince e si perde in continuazione) porta le persone a reiterare il comportamento più che un rinforzo continuo (Griffiths 1995) effetto dell’eccitazione: Brown (1987) considera l’eccitazione un aspetto chiave per il problema del gioco d’azzardo.

71 Modello dell’apprendimento sociale (social learning model)
2 spiegazioni effetto dell’eccitazione: Brown (1987) considera l’eccitazione un aspetto chiave per il problema del gioco d’azzardo. Le persone hanno un differente bisogno psico-fisiologico di eccitazione e alcune imparano ad usare il gambling per soddisfare i loro bisogni. Quindi, lo stato di eccitazione, più che le vincite, potrebbero essere il principale rinforzo nel gioco d’azzardo

72 Modello dell’apprendimento sociale (social learning model)
effetto dell’eccitazione: Brown (1987) individua anche sei meccanismi «attivanti», cioè coinvolti nello sviluppo del gioco problematico Alterazioni psico-fisiche, come ansia o depressione Percezioni cognitive distorte riguardo il gambling Rinforzi comportamentali Determinanti sociali e istituzionali, come l’offerta di gioco d’azzardo Condizioni subculturali, come gli atteggiamenti sociali verso il gioco e i valori dominanti del contesto sociale dell’individuo e dei gruppi di riferimento Definizione soggettiva del gambling e del proprio modo di giocare

73 La medicalizzazione del gioco d’azzardo (1)
Nel 1980, il gioco d’azzardo patologico viene inserito per la prima volta nel DSM-III, classificato come disturbo del controllo degli impulsi Gli strumenti ad oggi più utilizzati per formulare una diagnosi di gioco d’azzardo patologico sono il DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) e il SOGS (South Oaks Gambling Screen).

74 La medicalizzazione del gioco d’azzardo
Rosecrance ( ) describes the five major components of the disease model: There is a single phenomenon that can be labelled “compulsive gambling.” Compulsive gamblers are qualitatively different from other gamblers. Compulsive gamblers gradually lose control, and are eventually unable to stop gambling. Compulsive gambling is a progressive condition, and progresses inexorably through a number of stages, beginning with initial success at gambling; then experiencing less success; irrational optimism about winning; psychological distress; chasing losses and possibly engaging in illegal activities to get money to gamble; unsuccessful attempts to cut down or quit gambling; and eventually hitting bottom. Compulsive gambling is a permanent and irreversible condition. The only cure is total abstinence. If the gambler were to resume gambling, all of the symptoms described above would manifest again.

75 La medicalizzazione del gioco d’azzardo (2)
Molti studiosi, tuttavia, segnalano i limiti di tali sistemi diagnostici: I test sono compilati individualmente; il nucleo famigliare non viene coinvolto, nonostante sia comprovata la rilevanza del ruolo della famiglia nelle dinamiche del gioco d’azzardo [Suissa 2006]; la dipendenza dal gioco d’azzardo viene considerata come uno “stato”, anziché un “processo” - non si può identificare un’unica tipologia di giocatore d’azzardo – come previsto dagli strumenti diagnostici – ma occorre prendere atto di un’evidente differenziazione tra gruppi di giocatori patologici [Castellani 2000]

76 La medicalizzazione del gioco d’azzardo (3)
La medicalizzazione del gioco d’azzardo solleva una complessa questione relativa alla responsabilità pubblica ed individuale nel fronteggiare il fenomeno

77 La medicalizzazione del gioco d’azzardo (4)
Si scontrano due paradigmi: il modello di malattia cronica (chronic disease model), che interpreta il gioco patologico come una forma di dipendenza e rimanda ad una dimensione strettamente individuale della malattia; il modello di sanità pubblica (public health model), che invece interpreta il gioco patologico come “malattia sociale”, nella cui eziologia a componenti soggettive intervengono determinanti sociali (es. povertà) [Ferentzy P., Turner 2012]

78 La medicalizzazione del gioco d’azzardo (5)
Entrambi i modelli, tuttavia, attingono dal modello medico una definizione di gioco patologico come forma di dipendenza, concetto controverso e criticato Furedi definisce la dipendenza come un “feticcio culturale”, che si manifesta in un ethos terapeutico e che esprime la debolezza e la vulnerabilità delle persone: «la personalità dipendente rappresenta una cristallizzazione dell’impotenza: è una personalità che non può fare a meno di compiere certe azioni, sulle quali non ha controllo» [Furedi 2008: 149]

79 La medicalizzazione del gioco d’azzardo (6)
Così, le cosiddette “nuove dipendenze” (tra cui possiamo elencare il sesso, Internet, lo shopping compulsivo ed appunto il gambling) vengono considerate dipendenze di tipo emotivo e categorizzate come “disturbi del controllo degli impulsi” La conseguenza di questo presupposto culturale e terapeutico è una sorta di “medicalizzazione delle cattive abitudini” che mette in discussione l’etica delle responsabilità, laddove non si riconosce più al soggetto dipendente la capacità di risolvere autonomamente il proprio problema

80 Le politiche pubbliche sul gioco d’azzardo (1)
Tra le questioni emergenti, vi sono da un lato la maggiore ingerenza dell’industria privata del gioco d’azzardo nelle decisioni pubbliche, di cui la diffusione del gambling online rappresenta un caso emblematico, che solleva rilevanti problematiche sull’efficacia delle strategie di controllo entro i confini statuali [Room 2005]; dall’altro, il cortocircuito che si sta verificando tra gli interessi economici (di natura pubblica e privata), le esigenze di sicurezza pubblica e la necessità di tutela della salute pubblica

81 Le politiche pubbliche sul gioco d’azzardo (1)
Nel contesto dell’Unione Europea, si osserva che le forme di regolazione e le restrizioni nazionali sul gioco d’azzardo sono state criticate in quanto ostacolanti il libero mercato. In particolare, è l’espansione del gambling online che ha dato luogo a nuove opportunità di commercio transfrontaliero, in grado di generare un mercato globale del gioco d’azzardo sfuggente al controllo statale [Cisneros Örnberg 2006] La commistione tra governi e società private di gambling «attribuisce uno straordinario potere contrattuale agli interessi del gioco d’azzardo» [Room 2005: 1226]

82 Le politiche pubbliche sul gioco d’azzardo (1)
Tali questioni stanno sollevando dibattiti e riflessioni in molti stati europei sull’opportunità di ridefinire i modelli monopolistici adottati nell’UE Le strade intraprese appaiono in sostanza due: per un verso, alcuni paesi (come Spagna, Francia, Danimarca e Italia) stanno allentando il proprio ruolo monopolistico, in favore di una maggiore commercializzazione del gioco; all’opposto, altri paesi (ad es. Svezia e Finlandia) hanno riformato e rafforzato i loro sistemi di monopolio al fine di mantenere una regolamentazione interna dei loro mercati [Cisneros Örnberg, Tammi 2011]

83 L’Italia e il gioco d’azzardo (1)
Il nostro paese è partito da un modello pubblico rigidamente monopolistico, in cui lo stato ha imposto una regolamentazione volta a contenere un comportamento che si giudicava come “disvalore” [Fiasco 2009] A partire dall’inizio degli anni ’90, i profitti del gioco d’azzardo diventano interesse pubblico. Il gioco viene utilizzato come misura di politica fiscale, finalizzata ad aumentare i cespiti dello stato. Il processo di liberalizzazione del gioco si realizza in pieno nel corso del primo decennio degli anni Duemila

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94 L’Italia e il gioco d’azzardo (2)
Un recente studio italiano analizza i livelli di spesa privata per il gioco in base alla posizione socio- economica dei cittadini. È emerso che i nuclei familiari con redditi più bassi tendono ad investire nel gioco una percentuale del loro reddito più alta rispetto a quelli più benestanti. In tal modo, il gambling rappresenterebbe una sorta di “tassazione volontaria” di tipo regressivo e, dunque, un fattore di incremento delle disuguaglianze sociali ed economiche [Sarti, Triventi 2012]

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97 Per concludere Ad oggi, uno dei principali nodi problematici relativi alle politiche sul gambling, riguarda la commistione tra governi ed imprese private del gioco d’azzardo La dipendenza economica degli stati dai proventi del gambling accresce proporzionalmente il potere di influenza degli interessi privati


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