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LA CULTURA DELLA LEGALITÀ

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Presentazione sul tema: "LA CULTURA DELLA LEGALITÀ"— Transcript della presentazione:

1 LA CULTURA DELLA LEGALITÀ
scuola secondaria di primo grado di Oriolo Romano classi I A – I B

2 Questo lavoro è il prodotto finale di un progetto didattico che, partendo dalla lettura del romanzo “La scelta” di Luisa Mattia, si è sviluppato in fasi progressive, ponendosi l’obiettivo di educare alla legalità. La giustizia, infatti, è una cosa seria perché solo in una società giusta noi possiamo far valere i nostri diritti e sentirci liberi Perché la cultura della legalità si diffonda e diventi patrimonio comune, è necessario che le leggi dello Stato siano espressione di valori condivisi, che diventino pratica comune dei cittadini, bisogna tenerle in vita con l’impegno, la volontà, la propria responsabilità. L’indifferentismo, pensare “ la cosa non mi riguarda” è il peggior male che il cittadino possa fare. La domanda che si pone il costituzionalista Zagrebelsky è “se si possa insegnare non che cosa è la democrazia, ma a essere democratici, cioè ad assumere nella propria condotta la democrazia come ideale, come virtù da onorare e tradurre in pratica” Noi crediamo di sì. Allo stesso modo siamo convinti che la lotta per la legalità sia lotta per la democrazia e debba iniziare tra i banchi di scuola.

3 l’origine leggendaria delle “mafie”
la voce della storia l’origine leggendaria delle “mafie” Una leggenda racconta che nel XV secolo vivevano in Spagna tre fratelli, tutti cavalieri e appartenenti a un’organizzazione caratterizzata da regole precise e complessi rituali religiosi. Un giorno i tre fratelli, che si chiamavano Osso, Mastrosso e Carcagnosso, si sentirono in dovere di vendicare l’onore della sorella uccidendo colui che l’aveva offesa. Per sfuggire al tribunale che avrebbe punito l’omicidio, fuggirono dalla Spagna e si nascosero nell’isoletta di Favignana, in Sicilia, che in quell’epoca era spagnola. L’isola riuscì a nasconderli per trent’anni. Un’altra versione della storia dice, invece, che essi furono in realtà catturati e relegati a Favignana in un carcere, dove restarono per trent’anni. In quella lunga permanenza elaborarono riti misteriosi e strategie con l’intenzione di applicarli una volta tornati liberi. E così fecero. Abbandonata l’isoletta si separarono: Osso si fermò in Sicilia, Mastrosso andò in Calabria, Carcagnosso in Campania e ciascuno fondò un’organizzazione segreta, rispettivamente la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra. Tutte e tre erano accomunate da alcune caratteristiche di base: onore, omertà, disciplina, violenza.

4 l’origine storica Storicamente le prime testimonianze certe risalgono al’Ottocento, quando il Meridione e la Sicilia appartenevano ai Borbone. Nel 1820 erano già presenti la camorra a Napoli e la mafia in Sicilia, seguite poco dopo dalla ‘ndrangheta in Calabria. Mentre la camorra nacque come fenomeno urbano, la mafia ebbe origine nelle campagne e precisamente nei latifondi intorno a Palermo. Nelle grandi tenute, ancora amministrate in modo feudale, infatti, i contadini erano costretti a prestare le corvées e a pagare tasse in natura. Il mantenimento dell’ordine era affidato a intendenti chiamati gabellotti (“gabella” vuol dire “tassa”). . Essi , a loro volta, si circondavano di picciotti armati, pronti a sedare le rivolte, intimorendo i contadini e dominandone l’intera vita. Essi alternavano violenza e protezione, punendo ferocemente chi sgarrava, ma aiutando chi mostrava un atteggiamento rispettoso e sottomesso I picciotti fecero la loro comparsa sulla scena politica nel 1848, infiltrandosi tra i rivoltosi insorti contro i Borbone e assumendone la guida. Si manifestò così la vocazione che la mafia ha continuato a perseguire fino ai giorni nostri: stringere un legame tra la criminalità armata e la fazione politica dominante in Sicilia, qualunque essa sia.

5 le mafie dopo l’unità d’italia
Con l’unità d’Italia la situazione non subì sostanziali mutamenti. Il nuovo governo, distante geograficamente e sentito come estraneo e ostile, trovò più comodo lasciare che i vecchi gruppi di potere continuassero a gestire in proprio le loro faccende private. La mafia, la ‘ndrangheta e la camorra non fecero che rinforzarsi, arrivando a un ferreo controllo del territorio.

6 la testimonianza di alexander dumas
Lo scrittore francese Alexandre Dumas, arrivato a Napoli nel 1860, scrive: Cari lettori, Chi sono i camorristi? mi domanderete. I membri della camorra. Cos'è la camorra? Se foste a Napoli, vi risponderei semplicemente: la camorra è la camorra. Ma siete in Francia, e devo cercare di dirvi cosa essa sia.... La camorra è una specie di società segreta che, come tutte le società segrete, ha finito per diventare una società pubblica... La camorra è l'impunità del furto e dell'omicidio, l'organizzazione dell'ozio, la remunerazione del male, la glorificazione del crimine. La camorra è il solo potere reale al quale Napoli obbedisca …   Ogni prefetto di polizia che cerchi di agire a Napoli senza la camorra è condannato in anticipo a cadere nell'arco di quindici [...] Ma quanti camorristi ci sono a Napoli? mi domanderete. È come chiedere quanti ciottoli ci sono sulla spiaggia di Dieppe. Dire da quindici a trentamila non è dir troppo. Da quali segni visibili li si riconosce? Dai loro abiti di velluto a colori sgargianti, dalla loro cravatta chiara, dalle catene degli orologi incrociate in tutti i sensi sul panciotto cangiante, dalle loro dita cariche di anelli fino all'ultima falange, e dai lunghi bastoni di rattan. Il camorrista un po' agiato presta su pegno alla giornata. Tutte quelle catene, quegli anelli, quei gioielli che gli brillano addosso, sono pegni che restituisce lealmente se il prestito gli viene puntualmente restituito nel giorno stabilito, ma che trattiene se il debitore ritarda. Il camorrista è un monte di pietà vivente. [...]

7 emigrazione e mafia negli stati uniti
Nello steso periodo l’emigrazione verso gli Stati Uniti ricreò il fenomeno mafioso nel ghetto di Little Italy, il quartiere italiano di New York. A rafforzare la nascente mafia d’oltreoceano fu anche l’azione condotta in Italia dal prefetto Mori che inferse duri colpi all’organizzazione prima di essere fermato da Mussolini in persona, che lo rimosse dall’incarico non appena le indagini sfiorarono alcuni gerarchi fascisti. Molti mafiosi si trasferirono in America, dove negli anni Venti e Trenta, il proibizionismo (cioè le leggi che rendevano illegale il commercio dei liquori) offriva nuove possibilità di arricchirsi. In quel periodo, cinque famiglie, riunite in un’organizzazione detta Cosa nostra, si spartivano gli affari provenienti dal contrabbando di whisky, dal gioco d’azzardo e dalle scommesse clandestine, prostituzione etc.

8 cosa nostra e lo sbarco in sicilia
Cosa nostra non interruppe mai i rapporti con la mafia siciliana e, nel corso dello sbarco degli alleati in Sicilia, durante la Seconda guerra mondiale, garantì alle truppe statunitensi un’occupazione priva di problemi. I servizi segreti degli USA incaricarono il boss italo - americano Lucky Luciano di utilizzare i mafiosi locali per tenere a bada la popolazione.

9 la “vecchia mafia” degli appalti
Nel Primo dopoguerra Cosa nostra era divisa in “famiglie”. I loro capi formavano una Cupola, la quale si riuniva all’occorrenza per ridistribuire gli affari e risolvere eventuali conflitti tra una “famiglia” e l’altra. Negli anni Cinquanta, la Cupola decise di impadronirsi degli appalti edilizi per i quali era necessario l’appoggio della classe politica. La Cupola elaborò a questo scopo una vera e propria strategia di “avvicinamento”. Quando un uomo politico iniziava la sua campagna elettorale, veniva “avvicinato” con metodi blandi, non ancora espliciti: di gentilezza in gentilezza, di regalo in regalo, veniva attirato nella rete. In cambio di voti si legava alla mafia e poi era costretto a garantirgli la totale impunità nel campo degli abusi edilizi Grazie a questa connivenza, il piano regolatore di Palermo subì 600 varianti che ne stravolsero la natura e la mafia ottenne che venissero rase al suolo una serie di ville storiche a ridosso del centro.

10 la “nuova mafia”: una multinazionale del crimine
Negli anni Sessanta, Cosa nostra mandò per la seconda volta emissari in Sicilia e affiancò la “vecchia mafia” dell’isola nella gestione del nuovo affare del secolo, la droga. . Poco dopo, la “nuova mafia” siculo-americana cominciò a dominare tutti gli affari illeciti: droga, vendita di armi, riciclaggio di “denaro sporco” (che proviene da attività illegali), “pizzo”, usura, prostituzione, appalti pubblici. A ciò si aggiungono due attività più recenti e assai lucrose: l’industria dei falsi (abbigliamento e prodotti tecnologici) e lo smaltimento abusivo dei rifiuti che sta provocando danni ambientali irreversibili.

11 il pool antimafia la riscossa dello stato: la legge la torre .
Pochi giorni dopo l’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto antimafia di Palermo, il Parlamento approvò la Legge La Torre, cioè la legge che un’altra vittima della mafia, il deputato comunista Pio La Torre, aveva inutilmente presentato anni prima in Parlamento. La Legge La Torre introdusse per la prima volta nel Codice penale il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e concesse ai giudici il “segreto bancario” per indagare sui conti correnti delle persone sospette e, quindi, sulle origini dei loro guadagni. . il pool antimafia A Palermo il procuratore capo Antonino Caponnetto istituì un pool antimafia, costituito da quattro magistrati, tra i quali vi erano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nel 1984 Falcone riuscì a indurre un potente boss mafioso, Tommaso Buscetta, a diventare “collaboratore di giustizia”. Il risultato fu il maxiprocesso contro la mafia, tenutosi nel , che mise alla sbarra 456 imputati.

12 l’assassinio di falcone e borsellino
Nel 1992 la mafia rivolse la propria violenza contro i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e le loro scorte. La macchina che trasportava Falcone e sua moglie fu fatta esplodere sull’autostrada tra l’aeroporto di Punta Raisi e Palermo, all’altezza di Capaci; poche settimane dopo, un’altra carica di tritolo devastò il cortile della casa di Borsellino, mentre questi vi stava entrando. la risposta dello stato La prima risposta dello Stato alle due stragi fu il cosiddetto articolo 41 bis del Codice penale, noto anche come “carcere duro”,. Vedendosi limitati o impediti del tutto i privilegi a cui erano abituati in carcere, i mafiosi scatenarono una nuova stagione di attentati: bombe esplosero a Firenze, a Milano e a Roma, colpendo non solo le persone, ma anche alcuni monumenti. Dopo anni di indecisione lo Stato reagì: l’operazione militare “Vespri siciliani” portò nell’isola soldati; inoltre vennero arrestati Totò Riina, Giovanni Brusca e, successivamente, Bernardo Provenzano.

13 mafie contro lo sviluppo democratico ed economico
La mafia non è un fenomeno solo italiano, ma nel nostro paese la criminalità organizzata permea la vita dello Stato in modo così profondo da diventare un ostacolo allo sviluppo democratico ed economico.

14 il valore dell’esempio
Per combattere le mafie, l’intervento dello Stato non basta, occorre la ribellione dell’intera società civile. I cittadini non devono rassegnarsi all’illegalità diffusa come se fosse un destino naturale, ma avere la forza di denunciare. Tanti uomini e donne hanno pagato con la vita il loro impegno nella lotta contro la mafia: magistrati, sindaci, assessori, sindacalisti, giornalisti, carabinieri, poliziotti, imprenditori, commercianti, sacerdoti e perfino mogli e figli di mafiosi. Alcuni di essi sono famosissimi, come il giovane giornalista Peppino Impastato, che dalla sua piccola radio di paese denunciava i crimini del boss mafioso Gaetano Badalamenti che abitava a “cento passi” dalla sua casa; il deputato Pio La Torre, autore della prima decisiva legge antimafia varata dal Parlamento; il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa; il giudice “ragazzino” Rosario Livatino; i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il giovane prete Don Peppino Diana. Altri sono ormai solo nomi di un lunghissimo elenco di vittime. Tutti, però, hanno lasciato un segno.

15 l’impegno Al funerale di Giovanni Falcone i cittadini di Palermo lessero questo testo che è diventato il simbolo della lotta contro la mafia: Ci impegniamo a educare i nostri figli nel rispetto degli altri, al senso del dovere e al senso di giustizia. Ci impegniamo a non adeguarci al malcostume corrente, prestandovi tacito consenso perché “così fan tutti”. Ci impegniamo a rinunziare ai privilegi che ci possono derivare da conoscenze e aiuti “qualificati”. Ci impegniamo a riconoscere il valore della giustizia “per tutti”, superiore al nostro interesse particolare. Ci impegniamo a non chiedere come favore ciò che ci è dovuto per diritto. Ci impegniamo a non vendere il nostro voto elettorale per nessun compenso. Ci impegniamo a resistere, ponendo fiducia nella giustizia, alle sopraffazioni mafiose. Ci impegniamo a non dimenticare Giovanni Falcone e tutti i morti nella lotta contro la mafia e a ricordarli come nostri familiari per noi caduti.

16 un lenzuolo bianco contro la mafia
I lenzuoli bianchi sono comparsi più e più volte per non dimenticare le vittime della mafia, come simbolo di ribellione civile, per dire no alla violenza e all’omertà. Il male sta nel non prendere posizione contro di lui, sta nell’indifferenza

17 la cultura della legalità
La difesa della legalità non si costruisce soltanto con gli atti di eroismo, ma altresì con atteggiamenti e gesti quotidiani: rispettando le regole, facendo prevalere l’empatia e la solidarietà sull’egoismo, isolando razzisti, bulli e bugiardi, premiando il merito e non la sopraffazione E bisogna combattere per la legalità non solo perché è un dovere, ma anche, e soprattutto, perché solo in una società giusta noi possiamo far valere i nostri diritti e sentirci liberi. La mafia finisce per far apparire come un favore quello che è il diritto di ogni cittadino. (G. Falcone) […] Servono volontà politica e riforme normative. Ma è necessaria anche la totalità della società civile […]. Ognuno è chiamato a scegliere da che parte stare […]. L’esercito degli onesti deve capire che solo unendo le forze si può sperare di difendere una società che vuole vivere nel rispetto dei principi di giustizia e legalità. Il silenzio è nemico della verità […] . La mafia non è solo dei mafiosi. C’è un abito mentale diffuso che andrebbe modificato. Per comprenderlo basta andare in banca o in un ufficio pubblico: c’è sempre qualcuno che evita la fila, che ricorre alle scorciatoie, alle amicizie per fare prima È un modo per dimostrare agli altri di essere più furbo. Succede così anche con le assunzioni nei luoghi di lavoro e con gli appalti. È un circolo vizioso che ammorba la società, la convivenza civile, il rispetto reciproco. (N. Gratteri) La lotta alla mafia è la lotta per la democrazia. Il primo testo antimafia è la Costituzione italiana: contiene i nostri diritti ma anche i nostri doveri, mette dei paletti perché ciascuno deve prendersi le proprie responsabilità davanti all’impoverimento morale del nostro Paese, perché è proprio qui che le mafie trovano un varco. (Don Ciotti)

18 La lotta alla criminalità non riguarda solo coloro che sono chiamati a combatterla in prima linea (forze dell’ordine e magistrati), ma coinvolge tutti i cittadini. Il grande crimine trova infatti alleati, a volte inconsapevoli e incoscienti, in moltissime persone che dimostrano indifferenza, tolleranza e talvolta perfino ammirazione nei confronti di chi assume comportamenti illegali[…]. Le organizzazioni criminali prosperano soprattutto laddove possono contare su una complicità diffusa, su una società in cui i piccoli comportamenti illeciti sono una regola di vita. […]. Ciò che rende forti le associazioni mafiose è spesso il silenzioso consenso della massa, che porta all’isolamento di chi combatte il crimine […]. Quando a vincere è la cultura dell’illegalità […] è tutta la società a risultare gravemente danneggiata.[…]. È una società non libera, in cui dominano l’arbitrio e le prevaricazioni di chi gestisce il potere . Perché la cultura della legalità si diffonda e diventi un patrimonio comune, è necessario che la società si riconosca nelle leggi che è chiamata a rispettare. Serve perciò che le leggi di uno Stato siano espressione di valori condivisi, fatti propri da ciascuno e non imposti dall’alto. (Cristiano Abbadessa) […]. Come abbiamo fatto a divenire così ciechi? Così asserviti e rassegnati? […]. La paura.. L’alibi maggiore. Fa sentire tutti a posto perché in suo nome si tutelano la famiglia, gli affetti, la propria vita innocente, il proprio sacrosanto diritto a viverla e costruirla. Non avere più paura non sarebbe difficile. Basterebbe agire, ma non da soli. La paura va a braccetto con l’isolamento. […]. cosa ancora più triste è l’abitudine. Abituarsi che non ci sia null’altro da fare che rassegnarsi […]. Chiedo alla mia terra se riesca ancora a immaginare di poter scegliere. Le chiedo se è in grado di compiere almeno quel primo gesto di libertà che sta nel riuscire a pensarsi diversa, pensarsi libera. Non rassegnarsi ad accettare come un destino naturale quel che è invece opera degli uomini […] . (Roberto Saviano) La lotta alla mafia […] non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolga tutti, che tutti abitui a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità. (Paolo Borsellino) Giovanni Falcone

19 un libro per riflettere: “la scelta” di luisa mattia”
Ognuno di noi ha una personale responsabilità nello “scegliere” di stare da una parte contro l’altra parte; e senza la responsabilità personale non può esserci morale, non possono esserci valori, tutto è uguale, non ci sono alternative (Tano Grasso) “La scelta” di Luisa Mattia è un romanzo breve che parla di giovani in una periferia povera e malfamata di Palermo, una periferia apparentemente senza speranza, dove la legalità non trova posto, dove il lavoro e l’istruzione non sono diritti. I personaggi sono due fratelli, Antonio e Pietro, il puparo Michele e sua figlia Angelica. Ogni tanto fa capolino la figura di Simone, un giovane che lavora con i bambini e che compare come un raggio di sole e di salvezza nel suo essere fuori dal gruppo di quelli che comandano. Totò e Pedro vivono in una famiglia in cui i genitori sono assenti: il padre è disoccupato e sempre ubriaco, la madre non ha alcun peso nell’educazione dei figli. Anche la scuola latita. L’idolo di Totò è suo fratello Pedro, capo di una banda che traffica droga per conto del boss locale, Don Salvo. Anche Pedro ha un ideale: diventare uomo d'onore, rispettato e temuto da tutti. Quando il fratello entra nella “famiglia" di don Salvo, Totò si sente fiero della "promozione”, ma l’incontro con il puparo Michele e con sua figlia Angelica, sconvolge i suoi progetti futuri. Per dimostrare al “grande capo” la sua fedeltà al clan e alle regole della malavita, Pedro deve eseguire un "regolamento di conti" e, per beffa del destino, il "traditore" da punire è proprio il suo migliore amico, Ninuzzu. All'omicidio assiste involontariamente Michele. Il puparo, incapace di mettere a tacere la sua coscienza, decide di confessare tutto alla polizia, diventando in questo modo un testimone oculare troppo scomodo per don Salvo, che ordina a Pedro di eliminarlo. Totò viene a conoscenza del pericolo che corre il papà di Angelica e decide di impedire il delitto e di denunciare Pedro, il fratello nella cui aggressività egli non riconosce più l’idolo di un tempo.

20 il mio personaggio preferito …
simone Il personaggio del libro che ho amato di più è Simone perché è una figura positiva e crede in valori diversi rispetto a quelli dell’ambiente in cui è nato e cresciuto Antonio: lui è un animatore e fa giocare i bambini per tenerli lontano dalla strada. Per questo fa ridere Pedro, ma per Antonio è un “raggio di luce”, un amico: Simone lo ascolta, non lo giudica, gli permette di essere se stesso e lo aiuta a riflettere. Prima della spedizione punitiva che distruggerà i pupi di Michele, colpevole di occupare la piazza dove Pedro e i suoi amici spacciano droga, Antonio va da Simone e lo prende a pugni. Simone non reagisce, capisce che Antonio è diverso da come vuol far credere, che ha bisogno di sfogarsi. Dopo aver scaricato la sua rabbia, Antonio lo abbraccia e pensa: Mi sento protetto se Simone mi abbraccia. Mi piace. È forte, è sicuro. Ha un buon odore. Sì, Simone mi piace. Lo guardo quando gioca con i bambini, quando fa il trampoliere, quando racconta le storie. Lo guardo anche quando s’abbraccia alla sua ragazza. È delicato, grande e grosso com’è. Mio padre non l’ha mai abbracciata così a mia madre […] . Vorrei somigliare a Simone.

21 michele Il mio personaggio preferito è Michele. Trovandosi per caso ad assistere a un omicidio, all’uccisione di Nino da parte di Pedro, che deve così dimostrare la sua fedeltà alla famiglia e alle regole della mafia, Michele compie una scelta coraggiosa e denuncia il delitto. Sa che, in questo modo, mette in pericolo la sua vita, condanna se stesso e sua figlia a vivere sotto scorta, ma non può tacere, continuando a far morire la sua amata Sicilia del male di sempre, l’omertà. Glielo impediscono la sua coscienza e i suoi pupi che parlano dell’amore, della guerra, della morte. Della paura e del coraggio. Michele ha un po’ il ruolo di maestro nei confronti di Antonio: narrandogli la vicenda di Ruggiero e Bradamante lo aiuta a scegliere da che parte stare. Michele rappresenta, secondo me, tutti coloro che non si rassegnano all’illegalità, che scelgono di denunciare perché “il silenzio è nemico della giustizia.”

22 antonio Per il coraggio dimostrato Antonio è il mio personaggio preferito. All’inizio del romanzo lui dipende troppo dal fratello, che considera il suo idolo: fa quello che gli dice Pedro, vorrebbe assomigliargli e, come lui, desidera un futuro “rispettabile” nella mafia. Ma, quando scopre la verità, si allontana da Pedro. A quel punto è libero di scegliere la cosa giusta:denunciare il fratello per salvare il puparo Michele e sua figlia Angelica, di cui è innamorato. Quanti avrebbero il coraggio di farlo? angelica Leggendo il romanzo, mi sono sentita vicino ad Angelica, la figlia adolescente e un po’ ribelle del puparo Michele, una bella ragazza dai capelli rossi. Forse anch’io, come lei, avrei faticato a comprendere la decisione di Michele di denunciare il delitto di cui è stato testimone oculare, anch’io avrei considerato quella di Michele una scelta egoistica. Forse anch’io sarei fuggita di nascosto per concedermi qualche ora di libertà e di “normalità”, per poi tornare a casa, da Michele e da quei pupi, odiati e amati al tempo stesso.

23 L’omertà rende forte la mafia
dalla lettura di questo romanzo ho capito che … C’è sempre una possibilità di scelta, anche in terra di mafia. Le scelte richiedono sempre coraggio e devono essere fatte non per imitare qualcuno, ma nel rispetto di se stessi e degli altri. Tutti dovremmo avere il coraggio di denunciare chi sbaglia e non rispetta le regole, come fanno Michele e Antonio. La lotta alla mafia non riguarda solo magistrati e poliziotti, ma coinvolge tutti L’omertà rende forte la mafia Per combattere la mafia, occorre educare alla legalità, come fanno Michele e Simone con Antonio L’assenza di valori diversi da quelli mafiosi è una delle ragioni che porta tanti giovani a far parte della mafia.

24 … parla di mafia ai ragazzi attraverso gli occhi di un adolescente.
consiglio la lettura di questo libro perché … … i personaggi sono ragazzi più o meno della nostra età; quindi, leggendo le loro storie, ti senti coinvolto, partecipe delle loro vite e delle loro scelte. … per porsi delle domande sulle scelte che ognuno di noi compie ogni giorno … parla di mafia ai ragazzi attraverso gli occhi di un adolescente. … fa capire ai ragazzi che la legalità si può difendere nella vita di tutti giorni, per esempio combattendo il bullismo … racconta una storia realistica e affronta tematiche importanti: la scelta, la giustizia, l’omertà … … parla di amicizia, onestà e coraggio: l’amicizia che lega Antonio e Simone, l’onestà di Michele che, pur sapendo di mettere in pericolo la sua vita e di condannare se stesso e sua figlia a una vita sotto scorta, denuncia il delitto di cui è stato testimone oculare; il coraggio di Antonio che, come Michele, sceglie di stare dalla parte della giustizia.

25 … è un romanzo in cui vince l’onestà.
… è un romanzo avvincente, dal ritmo incalzante, che tiene viva l’attenzione del lettore e lo lascia spesso con il fiato sospeso. … perché i personaggi e il contesto sono descritti con precisione, anche grazie all’introduzione di breve parti in corsivo che raccontano i pensieri dei protagonisti. … è un romanzo in cui vince l’onestà. … vorrei che ci fossero tante persone capaci di scegliere la cosa giusta, come Michele e Antonio. … ci sono scene e parole che non posso dimenticare e ormai fanno parte di me. … durante la lettura, fatti personaggi hanno preso forma nella mia immaginazione e mi sono ritrovata a vivere le loro vite. … per la scelta del linguaggio: attraverso periodi brevi che si susseguono rapidamente ed espressioni dialettali, l’autrice riesce a coinvolge anche i lettori molto giovani.

26 le nostre scene preferite …
Simone e antonio si incontrano per la prima volta Diresse il motorino, con decisione, verso il Parco della Rimembranza. Riconobbe in lontananza i fichi secolari […]. Alberi magici, sui quali gli piaceva arrampicarsi, per starsene appollaiato come un rapace, che pensa e guarda il mondo in attesa della sua preda. Invece, una volta era stato predato. Un giorno che se stava lassù per i fatti suoi, gli era apparsa la faccia allegra di un giovanotto con i capelli corti, il viso bianco di farina […], che gli chiedeva : “Ci fai stare sull’albero pure a noi?”, indicando se stesso e un gruppetto di ragazzini e ragazzine, che stavano sotto, intorno al tronco. Lo aveva guardato attentamente e aveva notato l’abbigliamento strano, il cappello colorato da clown, gli abiti sgargianti e quelle gambe lunghissime da giraffa. Simone faceva l’animatore, un mestiere che pareva inventato per lui. Antonio l’aveva conosciuto così, a quattro metri di altezza: lui appollaiato su un ramo come un corvo e quello alto come un lampione e la faccia truccata da clown. Da allora, quando gli girava, Antonio Andava da Simone. Antonio si sfoga con simone e comincia a vedere il fratello con occhi diversi Strinse il pugno e colpì Simone sulla spalla. Si fece male alla mano. Gli veniva da piangere, ma non per il dolore; per l’emozione che gli faceva battere forte il cuore e non sapeva perché era perché non si scordava la faccia di Pedro, la ragazza sguaiata, il rosso dei capelli di Angelica, i pupi. Perché non si scordava che la sera stava per arrivare e Nino l’aspettava, con la tigre sulla moto e la mazza sotto la giacca […]. Lo colpì alle braccia, al torace e Simone incassava i pugni senza reagire.

27 Gli eventi che segnano la dolorosa presa di coscienza di Antonio:
il teatrino dei pupi di michele viene distrutto da antonio e dai suoi amici, per ordine di pedro: Le moto e gli scooter piombarono nel cerchio della piazza dove c’era il furgone e stavano pure Michele e Angelica. Cominciarono una gimcana intorno alle panche, al furgone, intorno a padre e figlia che, stupiti, restavano immobili come statue. Poi, armati di mazze di legno e di catene, travolsero tutto. Solo allora Michele gli corse incontro – sì, gli corse incontro a quei diavoli sugli scooter, con le braccia aperte, quasi a chiedere perché. E cercò di difendere, da quella furia, la scena, gli arredi del teatro. Nino viene ucciso dall’amico pedro, che deve dimostrare a don salvo la sua fedeltà alla “famiglia” e alle regole mafiose.

28 Antonio, per salvare il puparo michele e sua figlia angelica, si mette davanti a suo fratello che sta per sparare: Antonio non ci pensa a quello che fa, gli viene da farsi avanti, a riparare Michele e Angelica, di mettersi lui davanti a suo fratello. “Levati, Anto’, gli sibila Pedro, la fonte sudata, la mano stretta alla pistola. Antonio si sente come un polpo di mare che s’allunga, che s’abbranca agli scogli, che s’attacca a ventosa a quello che ha, per difendere anche la vita sua. “Levati, Anto’, sennò sparo pure a te. È la voce forte, cattiva, quella di Pedro, mentre punta la pistola contro il fratello. Antonio se la sente sul collo la paura e nelle gambe. Ma non si sposta. Le lacrime gli bagnano la faccia, non le può fermare. Pedro le vede, viene da piangere pure a lui e la bocca gli si piega in una smorfia. “Levati, Anto’”, ma stavolta è un lamento. “No. Devi ammazzare pure a me”. “Lo faccio, lo faccio!, gli strilla addosso, ma intanto abbassa la pistola e non spara.

29 lettera a pedro Caro Pedro,
ti scrivo con parole semplici, così forse puoi capire. Gli altri dicono che sei un delinquente, io credo che sei ignorante. Una persona ignorante, infatti, è una persona debole e una persona debole è una persona che ha paura, e una persona che ha paura è una persona che diventa cattiva e aggressiva e aspira a un futuro “rispettabile” nella mafia per sentirsi forte ed essere temuto dagli altri. Io voglio dirti questo: in questo modo tu dimostri non la tua forza, ma la tua debolezza e la tua stupidità. Se vuoi diventare forte, tu devi ribellarti alla tua debolezza, devi pensare, usare il cervello. Prova a chiederti perché vivi una brutta vita. questo è cultura. E la cultura è la sola forza per migliorare l’uomo. Lo so, non è facile. È molto più facile intimidire, esercitare il potere e la violenza che capire: Ma io voglio che tu rispetti te stesso e la tua dignità, così forse impari anche a rispettare gli altri. Se tu vuoi entrare in un clan mafioso, tu devi almeno sapere che cos’è la mafia. E se lo sai, prova a chiederti se non siano proprio la mafia e la mentalità mafiosa a toglierti quelle cose che tu dovresti avere per diritto. Se tu cominci a farti domande, cominci a vivere. Le domande sono come le chiavi di una macchina: ne basta una per accendere il motore e andare lontano. (sulla falsariga di Lettera a un naziskin di M. Serra)

30 i nostri slogan contro la mafia

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