La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore

La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore

Capitolo 20 L’inflazione e le politiche anti-inflazionistiche

Presentazioni simili


Presentazione sul tema: "Capitolo 20 L’inflazione e le politiche anti-inflazionistiche"— Transcript della presentazione:

1 Capitolo 20 L’inflazione e le politiche anti-inflazionistiche

2 L’inflazione è una situazione caratterizzata da un aumento generale e continuo del livello dei prezzi. Più precisamente, l'inflazione misura il tasso percentuale di aumento dell'indice generale dei prezzi. Questo tasso presenta, storicamente, valori molto diversi Origini storiche della inflazione ed episodi storici noti Dalla notte dei tempi! Frequenti dall'Ottocento Solo nel Novecento si hanno episodi di iperinflazione

3 Perché può rappresentare un obiettivo di politica economica combattere l'inflazione?
L'inflazione comporta costi e quindi un'inefficienza Ma talvolta può essere utile Banale = in periodi di inflazione cambiano anche i prezzi relativi e quindi la distribuzione del reddito e della ricchezza.

4 COSTI DELL’INFLAZIONE
Inflazione prevista (menu-cost); (slot-machine cost); (shoe-leather cost) Inflazione imprevista (posizioni non ottimali degli operatori); (effetti redistributivi su classi socialiesettori);

5 Le politiche di controllo dell'inflazione
Seguiremo quindi un cammino "storico" ripercorrendo diverse spiegazioni dell'inflazione, e soffermandoci sulle indicazioni normative che da ciascuna di esse deriva. . Teoria quantitativa della moneta . Monetarismo . Scuola keynesiana [inflazione da domanda] . Teorie della spinta da costi

6 La scuola della della teoria quantitativa della moneta
Sino all'inizio del XX secolo, la spiegazione prevalente che veniva fornita dei fenomeni inflazionistici era derivata dalla teoria nota come teoria quantitativa della moneta. [Fischer, Pigou, scuola di Cambridge] Il punto di partenza di questa elaborazione teorica è una identità, nota come equazione degli scambi: (20.1) Mv=Py M = moneta V = velocita’ di circolazione della moneta P = livello generale dei prezzi Y = produzione reale La (20.1) e' una identita’ Valore degli acquisti UGUALE valore delle vendite

7 La (20.1), pur essendo un'identità, è stata successivamente interpretata (in particolare da Pigou) come un'equazione comportamentale: infatti, può essere letta come una funzione di domanda di moneta; a tal fine, basta scriverla come segue: (20.2) e interpretare M come la domanda di moneta, La (20.1) (o anche la (20.2)), può essere differenziata rispetto al tempo, ed espressa come relazione che lega i tassi di variazione percentualedelle variabili che vi compaiono. Ricordiamo che la variazione percentuale di un prodotto è pari alla somma delle variazioni percentuali dei fattori; inoltre, indichiamo col punto sopra-posto, il tasso di variazione percentuale della variabile; pertanto, avremo che: (20.3)

8 Se v parametro costante allora vale .
Questa assunzione sembra verosimile. Allora, (20.4) L'equazione (20.4) rappresenta il cuore della teoria dell'inflazione derivante dalla scuola della teoria quantitativa. Il tasso d'inflazione è necessariamente pari alla differenza tra il tasso di crescita della moneta e il tasso di crescita della produzione reale.

9 In particolare, le due implicazioni più rilevanti sono:
quando il reddito reale è costante, quindi nel breve periodo, o –più precisamente– quando l'economia è in condizioni di pieno impiego di breve periodo, e perciò vale , allora risulta ; questo vuol dire che vi può essere inflazione se e solo se vi è un aumento della moneta M; in particolare, il tasso d'inflazione è esattamente uguale al tasso percentuale di espansione monetaria. b. nel caso in cui la produzione reale varia nel tempo (lungo periodo), allora l'aumento della massa monetaria M può essere compatibile con l'assenza di inflazione se e soltanto se essa avviene allo stesso tasso in cui aumenta la produzione reale: implica e viene implicato da

10 Il monetarismo (Milton Friedman)
Il monetarismo sviluppa una organica visione del funzionamento dei sistemi economici e approda a conclusioni di non-intervento in relazione alla politica economica. L'aumento dell'offerta di moneta è l'unica vera causa dell'inflazione e la quantità di moneta in circolazione è il fattore principale di spiegazione degli andamenti economici.

11 La scuola keynesiana: l'inflazione da domanda
In linea generale, i keynesiani accolgono la spiegazione dell'inflazione come effetto dell'eccesso di domanda. In altre parole, l’inflazione ha luogo a causa di un eccesso di domanda aggregata. Ciò può essere dovuto o ad un shock che aumenta la domanda, o a uno shock che riduce l'offerta.

12 Figura 20.1 P P S S1 S0 D0 D1 D Q Q

13 I monetaristi contro la spiegazione dell'inflazione da domanda
I monetaristi hanno contestato l'idea che l'eccesso di domanda, quando non sia accompagnata da espansione monetaria, possa causare inflazione. L'argomentazione monetarista chiama in causa il fenomeno dello spiazzamento (crowding-out). L'argomentazione può essere illustrata come segue. Se ad esempio la spesa pubblica aumenta senza che aumenti la offerta di moneta, vi sara' un aumento del tasso di interesse, che provoca una riduzione degli investimenti privati L’aumento di una componente di domanda provoca la diminuzione di una altra componente. Questo non succede se vi è un aumento di offerta di moneta (che si associa ad una diminuzione del tasso d'interesse di equilibrio).

14 La scuola della spinta da costi
La scuola della spinta da costi parte da due ipotesi fondamentali: (1) I mercati dei beni sono non concorrenziali e il prezzo viene fissato dalle imprese, che sono price-maker (o price-setter), (2) Nel fissare i prezzi dei loro prodotti, le imprese non applicano criteri massimizzanti, ma seguono piuttosto regole soddisfacenti, (teorie della razionalità limitata alla Simon). (2bis) La regola che le imprese seguono nel fissare i prezzi dei propri prodotti è semplicemente quella di calcolare il costo medio di produzione di ogni unità del bene e di maggiorarlo con un margine di profitto (o mark-up); regola del costo pieno o regola del del mark-up.

15 Operativamente, ciascuna impresa, per decidere il prezzo del proprio prodotto, calcola il costo medio, CMe, e poi lo aumenta di una percentuale (margine di profitto unitario o margine di mark-up), m. In simboli: P=(1+m)CMe. Per puri scopi di semplicità di notazione, poniamo (1+m)=g, in modo da potere scrivere (20.5) P=gCMe

16 P = g CMe Se interpretiamo questa equazione in termini aggregati, possiamo dire che l'aumento dei prezzi può avere due cause: 1 . un aumento dei margini di profitto cercati dalle imprese, 2. un aumento dei costi medi di produzione. Queste sono infatti, le due cause principali dell'inflazione, secondo la scuola della spinta da costi.

17 L'aumento del margine di profitto è perseguito, dalle imprese, per cercare di accaparrarsi una maggiore quota distributiva del reddito, a danno degli altri partecipanti al processo produttivo.

18 Aumento del costo medio di produzione
dipende dal costo dei fattori produttivi, e anche dalla tecnologia utilizzata. Ci concentriamo, in particolare, su due fattori produttivi: (a) il costo delle materie prime; (b) il costo del lavoro.

19 (a) Se immaginiamo che tutto rimanga costante a parte il costo delle materie prime, l'aumento del prezzo di queste materie si scaricherà su un aumento dei prezzi. Deprezzamento della moneta domestica come causa di inflazione “inflazione importata”.

20 (b) Immaginiamo ora che il costo di tutti i fattori, a parte il lavoro, rimanga costante. Costo del lavoro per produrre un'unità del bene (detto anche "costo del lavoro per unità di prodotto", abbreviato dall'acronimo CLUP): esso sarà data dalla spesa per retribuire i lavoratori, WL diviso il volume di produzione, Y: (20.6) CLUP = [ W L ] / Y Si noti anche che il CLUP può essere espresso nel modo seguente: (20.7) CLUP : rapporto tra il salario nominale e la produttività media del lavoro.

21 CLUP = salario / produttivita media lavoro
E' banale osservare che il costo del lavoro per unità di prodotto aumenta se aumenta il salario nominale, mentre diminuisce quando si registrano incrementi della produttività media del lavoro. Pertanto la fissazione del prezzo, in questo caso, seguirà la regola: (20.7) dove altri indica gli altri costi medi, per ipotesi costanti.

22 Se la scriviamo in termini di tassi percentuali di variazione, avremo:
(20.8) ossia, il tasso di variazione percentuale dei prezzo è la somma * del tasso di variazione percentuale del fattore che contiene i margini di profitto, e * della variazione percentuale del salario nominale, meno il tasso di variazione della produttività media del lavoro.

23 Se ipotizziamo Allora avremo Pertanto non ci sarà inflazione (né deflazione) se e solo se i salari nominali crescono allo stesso tasso al quale cresce la produttività media del lavoro. Questa constatazione rappresenta una sorta di "regola aurea" della politica economica applicata ai contratti di lavoro. Se i margini di profitto delle imprese non variano e se il salario nominale cresce allo stesso tasso della produttività media del lavoro, allora la quota di reddito che va al fattore lavoro rimane inalterata.

24 La dimostrazione è semplice: la quota distributiva che al lavoro (chiamiamola SL) è pari al monte salari rapportato al valore del PIL: (20.8) (20.9) Consideriamo –facendo riferimento alla (20.9)– la variazione percentuale della quota distributiva del reddito; essa risulta: (20.10)

25 INTERPRETAZIONI E IMPLICAZIONI DELLA FORMULA
Non a caso, alcuni economisti denotano la spiegazione dell'inflazione da spinta da costo salariale come "inflazione da conflitto sociale". La vera causa dell'inflazione non è l'aumento salariale, ma piuttosto l'aumento salariale in relazione alla dinamica della produttività e quindi, in ultima analisi, il conflitto per la distribuzione del reddito.

26 L'inflazione strutturale
Aumenti salariali che sarebbero giustificati in un settore (poiché in questo settore la dinamica della produttività è cresciuta altrettanto), quando sono applicati ad altri settori (nei quali la produttività del lavoro è cresciuta ad un tasso minore) sono causa di inflazione. La causa dell'inflazione sarebbe il fatto che pari aumenti salariali sono applicati a settori nei quali la dinamica della produttività è cresciuta in misura differente, e in particolare l'inflazione nascerebbe dall'esigenza -da parte delle imprese- di aumentare i prezzi dei propri beni in quei settori nei quali la produttività è cresciuta meno che il salario nominale, al fine di non vedere ridotti i propri margini di profitto.

27 Il morbo di Baumol Vi sono settori in cui la produttività non cresce per nulla, nei secoli. Baumol osserva che per suonare un quartetto di Mozart occorrono oggi gli stessi quattro musicisti che servivano quando Mozart lo ha composto. Quindi, la produttività del lavoro di musicisti non è per nulla cresciuta nel corso dei secoli. Tuttavia, nella realtà, i compensi dei lavoratori di questi settori sono cresciuti, in linea, grossomodo, con quanto è avvenuto negli altri settori. Questo però ha determinato un aumento continuo dei costi medi di produzione nel settore delle arti dal vivo. Questa tendenza all'aumento dei costi di produzione in settori nei quali la produttività del lavoro è costante nel tempo è noto come "morbo dei costi di Baumol" (Baumol's cost disease).

28 Conclusione che suggerisce Baumol:
l'aumento continuo dei costi di produzione, a causa di aumenti salariali non accompagnati da incrementi di produttività, si dovrebbe tradurre in un prezzo reale via via crescente del bene in questione, con l'ulteriore implicazione che la domanda per questi beni tende a diventare nulla, a causa dell'eccessivo prezzo reale.

29 La politica dei redditi
La politica dei redditi è un tentativo di influenzare –tramite un accordo fra le parti sociali- la dinamica delle variabili macroeconomiche, accompagnando l’accordo da specifici impegni da parte del Governo per ciò che concerne le variabili che rappresentano strumenti di politica economica (consumo pubblico e spesa pubblica, trasferimenti, variabili fiscali, tariffe di servizi pubblici, ecc.). La politica dei redditi si propone perciò di far raggiungere ai lavoratori e agli imprenditori accordi per concordare la dinamica di variabili generalmente stabilite in mercati più o meno concorrenziali. Gli impegni “politici” del Governo servono per facilitare il raggiungimento degli accordi tra le parti sociali.

30 politiche dei redditi “dirigiste”, nel caso che il policy maker intervenga con atti autoritativi
politiche dei redditi “istituzionali”, nel caso che il policy maker partecipi a incontri “triangolari”, assieme ai rappresentanti dei lavoratori e degli imprenditori, e le azioni intraprese dal Governo siano parte integrante dell’accordo raggiunto fra le parti sociali; politiche dei redditi “di mercato”, nel caso che il policy maker rimanga esterno alle trattative fra i rappresentanti dei lavoratori e delle imprese, e si limita a fissare schemi di sussidi e incentivi a quei soggetti che hanno raggiunto e applicano accordi coerenti con l’obiettivo di lotta (o controllo) dell’inflazione.

31 I vantaggi dell'inflazione
L’inflazione consente di raggiungere obiettivi altrimenti difficilmente raggiungibili. In particolare, l'inflazione consente di conseguire rilevanti ridistribuzioni di reddito. Tra le ridistribuzioni operate, vi è anche una ridistribuzione tra soggetti che si trovano in posizione creditoria (danneggiati da inflazione) e soggetti che sono in posizione debitoria (favoriti da inflazione).

32 La deflazione Storicamente, gli episodi di deflazione si sono avuti in momenti in cui la domanda aggregata è risultata "troppo bassa“. Sotto questo profilo, la deflazione non e’ semplicemente “il contrario dell’inflazione”: mentre all’origine di episodi di inflazione vi sono (o vi possono essere) cause di natura monetaria, raramente tali cause monetarie sono all’origine diretta di episodi di deflazione, e le cause all’origine della deflazione sono invece riconducibili sempre alla debolezza della domanda.

33 Dobbiamo preoccuparci della deflazione? 1. Boldrin M., G. Federico e G. Zanella, 2014, 24 giugno; 2. Casiraghi M. e G. Ferrero, 2015, “Is deflation good or bad? Just mind the inflation gap”, Questioni di Economia e Finanza, Banca d’Italia, n.268, aprile) Esistono deflazioni buone e cattive? Deflazione “buona” associata a crescita; deriva da shock dell’offerta aggregata; Deflazione “cattiva” associata a depressione economica; deriva da shock della domanda. Il legame tra deflazione e stagnazione economica osservato durante la Grande Depressione è un’eccezione rispetto alla regolarità empirica deducibile dalla storia economica dei paesi occidentali. Moltissimi casi di deflazione associata a forte crescita economica (ad esempio, seconda metà dell’800, Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania)

34 Oggi, in quale situazione ci troviamo?
Probabilmente un mix (shock sia di domanda sia di offerta) Dal lato dell’offerta: Dagli anni ‘90 la globalizzazione e il progresso tecnico esercitano una pressione al ribasso dei prezzi di molti beni (input e output dei processi produttivi) Dal lato della domanda : dagli anni ‘90 crescita domanda aggregata mondiale. Ma, se anche fosse deflazione da domanda avrebbe necessariamente conseguenze negative sulla crescita? Vediamo: La deflazione indurrebbe i consumatori a rimandare al futuro l’acquisto di beni e servizi (soprattutto beni durevoli, come auto, elettrodomestici, ecc.) E’ sempre vero?

35 E’ sempre vero? La riduzione generalizzata del tasso d’inflazione è pressoché omogenea settorialmente: non riguarda in modo specifico i beni durevoli. 2. L’effetto della deflazione sul peso del debito: la deflazione rende più gravoso il peso del debito. Ma…. Per ogni debito c’è un credito: l’effetto ricchezza per i creditori va nella direzione opposta: sarà in grado di compensare il maggior peso del debito? Se accettiamo l’ipoteso “kaldoriana” che i ricchi hanno una più bassa propensione al consumo dei poveri sì, altrimenti….non è detto. E poi… potremmo avere piuttosto un cambiamento nella composizione della domanda: beni di investimento. La deflazione, secondo la teoria “kaldoriana”, cambia la composizione del PIL ma non necessariamente il suo tasso di crescita.

36 3. Questione del debito pubblico
La deflazione aumenta il peso reale del debito pubblico. L’effetto dovrebbe passare attraverso il canale del tasso di interesse: se i tassi sono fissi, P , si riduce il PIL nominale e quindi  T (gettito fiscale)  il peso degli interessi . I tassi sono rigidi per il debito già emesso e di lunga durata e per quello che viene continuamente emesso? Impatto negativo solo di breve periodo? (anche i tassi d’interesse si abbasseranno). I maggiori tassi di interesse reali aumentano il reddito dei proprietari del debito pubblico. Effetto redistributivo simmetrico a quello dell’inflazione: dai debitori ai creditori. Tutto dipende però anche da aspetti istituzionali: Ad esempio, dalla flessibilità o rigidità dei salari nominali: essendo tipicamente i salari rigidi verso il basso, si genererà una spirale deflazionistica: P  ma non i W/P: effetti redistributivi a favore del lavoratore; la domanda reale .


Scaricare ppt "Capitolo 20 L’inflazione e le politiche anti-inflazionistiche"

Presentazioni simili


Annunci Google