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John RAWLS John Rawls (Baltimora, 21 febbraio 1922 – 24 novembre 2002) è stato un filosofo statunitense. Le sue idee hanno influenzato notevolmente il.

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1 John RAWLS John Rawls (Baltimora, 21 febbraio 1922 – 24 novembre 2002) è stato un filosofo statunitense. Le sue idee hanno influenzato notevolmente il pensiero liberal-democratico del XX secolo. Il suo libro più importante, A Theory of Justice del 1971 (tradotto in italiano con il titolo Una teoria della giustizia, Feltrinelli, 1982), rappresenta un'opera di filosofia politica fra le più studiate del Novecento. A Rawls si deve la rinascita del contrattualismo, cioè, la tecnica utilizzata da autori come Hobbes e Rousseau per sviluppare le loro idee. Con "Una teoria della giustizia" Rawls tenta di superare la dottrina filosofica dell'utilitarismo, cioè, l'idea secondo la quale una società giusta debba perseguire il maggior benessere possibile per il maggior numero di persone. Per Rawls la posizione utilitaristica tende a sacrificare gli interessi della minoranza. La concezione di giustizia rawlsiana si basa sull'idea che tutti i beni sociali principali devono essere distribuiti in modo eguale, una distribuzione eguale può esserci solo se avvantaggia i più svantaggiati. Rawls utilizza due argomenti a sostegno delle sue idee. Con il primo argomento contrappone la sua teoria alla teoria dell'uguaglianza delle opportunità; il secondo argomento è quello del contratto sociale. Secondo Rawls, in una società che si fonda sull'uguaglianza delle opportunità le disuguaglianze di reddito sono giuste perché legate alla bravura di ogni singolo individuo. Egli non critica queste disuguaglianze ma le disuguaglianze immeritate. Nascere ricchi o poveri non è un merito, nascere intelligenti o handicappati non è un merito, si tratta solo di essere più fortunati o meno. Rawls critica la teoria delle pari opportunità perché non tiene conto delle disuguaglianze legate ai talenti naturali di ogni uomo, disuguaglianze immeritate perché arbitrarie. Egli ritiene che una giustizia distributiva equa deve tener conto delle disuguaglianze immeritate e creare un sistema dove i meno avvantaggiati possano ottenere il massimo possibile. Per creare una giustizia distributiva equa, Rawls utilizza, reinterpretandolo, lo strumento del contratto sociale, già utilizzato dal giusnaturalismo seicentesco. Con il contratto sociale si ipotizza una situazione pre-sociale dove ogni individuo, chiamato a stabilire i principi di giustizia che dovranno governare la sua costituenda società, si trovi in una "posizione originaria", nell'incapacità cioè di conoscere e prevedere quale sarà il suo posto nella società (se sarà ricco o povero, se sarà intelligente o handicappato, eccetera) (c.d. "velo dell'ignoranza"). Rawls ritiene che trovandoci in questa situazione, e cioè non conoscendo in anticipo quali siano le nostre caratteristiche in termini di capacità, ricchezza, razza, genere, salute, ecc., sceglieremmo una società dove le ineguaglianze dovrebbero essere usate per migliorare la condizione dei più svantaggiati. Va notato che la "posizione originaria" non corrisponde allo "stato di natura" del contrattualismo moderno, immaginato come un ipotetico periodo storico precedente il patto sociale. Rawls si differenzia da questo espediente in quanto non "storicizza" la situazione degli individui al di fuori della società, ma opera un processo di "astrazione" nei confronti della società attuale, "spogliando" ogni individuo della propria identità economico-sociale. L’argomento intuitivo a favore della teoria della giustizia come equità viene presentato da Rawls nel secondo capitolo di Una teoria della Giustizia; l’argomento intuitivo riguarda sostanzialmente il secondo principio della teoria, quello di differenza, che mira a modellare una distribuzione giusta di risorse, una volta garantita con il primo principio l’ascrizione delle eguali libertà fondamentali a ciascuno. Libertà ed eguaglianza non sono valori configgenti, l’equità distributiva mira anzi a rendere eguale il diseguale valore delle eguali libertà. Il sistema della libertà naturale lascia che dotazioni moralmente arbitrarie trasferiscano o scarichino con i loro effetti l’arbitrarietà morale sugli esiti distributivi. Questo è incoerente con gli scopi di una teoria della giustizia sociale che è centrata sul valore della scelta individuale e collettiva. Non è accettabile che istituzioni politiche e pratiche sociali sanzionino con il loro assetto e con il loro funzionamento l’arbitrarietà morale della sorte naturale e sociale. Anche la proposta dell’eguaglianza liberale, centrata sull’eguaglianza delle opportunità, è da ritenere insufficiente sulla base dell’argomento intuitivo di Rawls; il principio di efficienza è da rimpiazzare con il principio di differenza, specificando l’interpretazione dell’eguaglianza democratica: la priorità è data al punto di vista di chi è più svantaggiato nella distribuzione delle dotazioni iniziali, naturali e sociali. Si esprime così una “fraternità democratica”, basata su un’idea di reciprocità o solidarietà di cittadinanza. Solo sullo sfondo di istituzioni modellate dal principio di libertà e dal principio di differenza è possibile che una società superi il test della giustificazione etica per chi vi ha una vita, con gli altri, da vivere. Con l’idea di accettabilità unanime si tiene presente la procedura che dà precedenza a coloro per cui lo schema di cooperazione è meno accettabile: solo se l’accettazione è ottenuta da chi è più svantaggiato è possibile proseguire con il test sino a pervenire a chi è più avvantaggiato. Una società giusta è quindi uno schema di cooperazione stabile nel tempo e modellato da un principio base di reciprocità di cittadinanza. L’argomento analitico a favore dei due principi di giustizia fa ricorso ad una prospettiva propriamente contrattualistica: i principi di giustizia della concezione rawlsiana devono poter essere oggetto di scelta collettiva unanime da parte di individui che si trovino in una situazione iniziale del tipo della posizione originaria. Perché sia possibile pervenire a una scelta unanime dei principi di giustizia, è necessario mettere a tacere i nostri interessi e le nostre preferenze personali e legittimamente autointeressati: la posizione originaria, con il suo velo d’ignoranza, è l’efficace artificio espositivo che mira a ottenere ciò. Fatti contingenti e particolari devono essere neutralizzati per pervenire al mutuo accordo su quanto è collettivamente giusto, e il mutuo accordo deve dipendere dalla mera razionalità delle parti coinvolte nella procedura di convergenza; la giustizia sociale richiede perciò la virtù dell’impersonalità (secondo Rawls gli utilitaristi scambiano l’impersonalità con l’imparzialità). Il velo d’ignoranza, vincolando l’informazione sui fatti particolari, ci induce a valutare impersonalmente i principi di giustizia per regolare la cooperazione nel tempo. La teoria del contratto di Rawls non è una teoria della contrattazione, nella posizione originaria sono da escludere ricorsi a razionalità strategiche per determinare esiti di giustizia. Le parti non dispongono di informazioni in termini di probabilità soggettiva, sanno di poter essere chiunque nella società, ma non sanno quale probabilità hanno di essere in una qualsiasi delle posizioni rilevanti nella società; il velo d’ignoranza di Rawls è più spesso e fitto di quello richiesto dall’utilitarismo della preferenza. Rawls ritiene che sia razionale che le parti in posizione originaria scelgano principi che le assicurino contro il rischio o contro i peggiori esiti della lotteria naturale e sociale. Rawls introduce un’analogia con la regola di scelta del maximin: le parti scelgono il massimo dei minimi. Al buio sulla nostra sorte sociale è naturale che scegliamo quella distribuzione in cui è migliore la condizione di chi sta peggio. Così una società giusta è una società che mira a migliorare prioritariamente le posizioni relative dei gruppi svantaggiati nella distribuzione di beni sociali primari. Il contrattualismo come teoria della giustizia si presenta come una proposta di teoria politica normativa centrata sull’egualitarismo democratico. A differenza dell’utilitarismo che è dottrina morale comprensiva, quella di Rawls è una prospettiva basata sui valori politici fondamentali di una società giusta. In molti concordano con la teoria di Rawls (come fa sostanzialmente anche Amartya Sen), ma, come tutte le teorie filosofiche, non mancano le critiche (soprattutto dei sostenitori del liberalismo politico economico, come Friedman e Nozick). Tuttavia, Rawls ha dato uno dei maggiori contributi alla filosofia politica del XX secolo, questo lo dimostra il fatto che il suo grande rivale, Robert Nozick, ha ammesso che dopo Rawls i filosofi dovranno confrontarsi con la sua teoria (Nozick, "Anarchia, stato e utopia", Le Monnier, Firenze, 1981). Liberalismo Politico [modifica] La sua opera "Liberalismo Politico", uscita negli Stati Uniti nel 1993, costituisce una sorta di risposta alle critiche dei comunitaristi verso "Una teoria della giustizia", soprattutto per quanto riguarda le pretese di universalismo della propria teoria; secondo alcuni, "Liberalismo politico" costituisce anche un leggero cambiamento di rotta, un cambiamento di idee e posizioni rispetto alla precedente opera, per altri non è altro che una coerente prosecuzione nella ricerca di una società giusta, per qualcun'altro infine si tratta di una vera e propria revisione di "Una teoria della giustizia". I comunitari insistono sul fatto che una teoria del valore politico deve potersi basare su una concezione sostanziale di vita buona: le teorie liberali falliscono proprio perché, rinunciando per principio a un impegno a favore di una particolare versione della vita buona per le persone, o devono ricorrere a una concezione parziale del bene, in cui nessuno è in grado di riconoscersi e identificarsi con altri nella polis oppure spacciano per neutrale una preferenza implicita per il modello di vita buona che vale al massimo per sezioni di maggioranza della popolazione. La pretesa del liberalismo di essere neutrale rispetto al pluralismo manca, per i comunitaristi, l’obiettivo di una teoria politica seria ovvero quello di identificare una qualche idea condivisa di bene comune, espressa dalle forme di vita o dalle tradizioni o dalle culture. Una delle più elaborate repliche alla sfida comunitaria resta proprio quella presentata da Rawls in “Liberalismo Politico”: il dilemma del pluralismo viene presentato come estensione del principio di tolleranza; l’estensione è riuscita solo se viene guadagnato uno stabile consenso per intersezione su un grappolo di valori politici fondamentali. Persone che abbiano concezioni morali comprensive divergenti devono poter trovare, entro le proprie prospettive di valore, le ragioni convergenti dell’adesione a una idea politica di società giusta. Ciò che dobbiamo politicamente condividere è un sottoinsieme di valori, così la stabilità della lealtà civile è coerente con il fatto del pluralismo. Una concezione di valore politico deve essere neutrale nei confronti delle diverse concezioni, basandosi sull’idea del rispetto dovuto alle prospettive di valore etico, culturale o religioso di chiunque. Essere neutrali equivale a essere equi nei confronti della pluralità delle dottrine morali comprensive. Solo un tipo di disaccordo è rilevante, cioè quello tra agenti ragionevoli e non dogmatici o fondamentalisti. Si può incorrere negli oneri della ragione partendo da premesse simili, ognuno legge la realtà in modo diverso e formula quindi giudizi diversi, queste sono le differenze dovute a un utilizzo corretto della ragione (ragionevolezza intesa quando un agente è in grado di dare spiegazioni e quando l’agente ascolta e fa uno sforzo per capire e comprendere le ragioni di un altro ed è anche disposto a rivedere le proprie posizioni). Il fine degli agenti ragionevoli è dunque il raggiungimento di un accordo di sostanza accettabile da tutte le parti, un accordo di sostanza che superi il disaccordo dovuto al pluralismo dei valori (teoria sostantiva, in quanto l’accordo è di sostanza). Il fine ultimo è la strutturazione di una società bene ordinata con un assetto istituzionale bene ordinato, ovvero una società on cui valgono gli stessi principi di giustizia per tutti, nel senso che tutti li riconoscono, e le istituzioni sono modellate su questi principi condivisi in modo che possano sviluppare nei cittadini il senso di giustizia: se una società è così strutturata, allora sarà stabile nel tempo. Il consenso per intersezione è simile alla concezione di Rousseau per cui le leggi devono essere espressione della volontà generale che racchiude gli interessi di tutti e di ciascuno, gli interessi comuni già condivisi da tutti e non esito di negoziazione; partendo da ciò, Rawls è convinto che è possibile trovare un pacchetto d’accordo di natura politico (non religioso o morale ecc.), dei valori politici di base che possano forare istituzioni comuni. Il consenso per intersezione si differenzia quindi dagli accordi del tipo “modus vivendi” (accordo alla Hobbes, bilanciamento temporaneo di intrinseca mutevolezza) o consenso costituzionale (che pur non implicando un accordo sostanziale sui principi politici, controbilancia le divergenze quanto al modo di intenderli con un accordo formale sugli stessi). L’intersezione è più adatta, vi si troverà l’adesione alla libertà e all’eguaglianza come valori politici condivisi a cui agenti diversi ci arriveranno per vie diverse. Rawls è cosciente che i principi a cui si giungerà dipenderanno dai contesti, tuttavia è convinto che un modello liberale avrà più successo. I due principi di giustizia verrebbero comunque giustificati in posizione originaria, a Rawls deve rendere conto delle critiche dei comunitaristi ricorrendo al consenso per intersezione. I due principi rimangono, ma solo nella sfera politica: fuori di questa restano i disaccordi sulle dottrine comprensive. Tutte le argomentazioni devono fare riferimento alla ragione pubblica, che comprende i concetti condivisi originati dal consenso per intersezione; la ragione pubblica è la cultura politica della società, essa è una sola, mentre le ragioni private sono molteplici (chiese, associazioni, tutte le strutture che non rientrano nell’intersezione), è pubblica in quanto è la ragione dei cittadini e contiene valori condivisi, pubblici in quanto condivisi da tutti. Le istituzioni di una società giusta devono essere imparziali, per esserlo devono essere condivise da tutti, indipendenti dai diversi valori religiosi, morali ecc., facenti perno sull’intersezione dei valori condivisi. La ragione pubblica vincola solo gli elementi costituzionali, la fase costitutiva essenziale, quindi vincola soprattutto i rappresentanti politici e i magistrati-giudici; essa deve però anche poter vincolare in un terzo modo anche tutti i cittadini soprattutto nel momento in cui vanno a votare e quando esercitano un controllo sui rappresentanti. I cittadini non devono votare secondo la propria convenienza personale, ma votare nell’interesse della società; anche quando si giudicano i rappresentanti, il giudizio deve partire dalla questione se il loro operato è coerente con i principi di base della società. Se così non fosse, l’operato dei rappresentanti ingiusto, ci deve essere quindi un diritto alla disobbedienza civile. La teoria di Rawls è sostantiva (descrive esiti giusti) e può avere difficoltà applicativa; più applicabili a livello transcontestuali paiono le teorie procedurali minimali. La revisione dell’opera del 1971 è centrata sul problema della stabilità nel tempo di una società giusta. In “Una teoria della giustizia” il problema della stabilità era affrontato nella terza parte dell’opera, in cui peraltro la giustizia come equità era presentata come dottrina morale comprensiva; la teoria politica normativa risultava una teoria del giusto non rispondente al fatto del pluralismo di società a tradizione democratica. Il pluralismo riguarda la varietà delle concezioni del bene, delle dottrine comprensive, religiose o meno. Il primo principio di giustizia ascrive e tutela le eguali libertà fondamentali, è l’esercizio di tali libertà a dar luogo al fatto del pluralismo. Se il pluralismo delle dottrine comprensive viene preso sul serio, una teoria politica normativa non può basarsi su una dottrina comprensiva: la teoria della giustizia deve allora includere un sottoinsieme di valori che è specificato dai valori solo politici fondamentali che devono modellare il solo ambito del politico. In questo senso il liberalismo che Rawls propone è “politico”. Il comunitarismo insiste sulla rilevanza dell’idea di comunità e di condivisione di una moralità sostanziale; ma la caratteristica delle società liberali è piuttosto la presenza di più comunità di condivisione di valori e lealtà divergenti. Rawls cerca dunque di rispondere alla domanda di come è possibile far permanere nel tempo una società giusta e stabile di cittadini liberi ed eguali ma che restano divisi da dottrine comprensive ragionevoli; introduce quindi l’idea di consenso per intersezione. I principi di giustizia per l’ambito politico devono giacere nel sottoinsieme di intersezione non vuoto fra gli insiemi delle dottrine comprensive. La condivisione della giustizia come equità si avvarrà delle ragioni che ciascuno ha, entro la propria dottrina comprensiva, per aderire ai valori politici fondamentali che la giustizia come equità ordina e specifica. Il consenso per intersezione non è una soluzione negoziale di equilibrio che contrassegna un modus vivendi, la teoria del contratto non è teoria della contrattazione. Il consenso per intersezione sancisce la condivisione di una base pubblica per la giustificazione delle istituzioni fondamentali di una società giusta che rende vincolante e, in caso di conflitto, superiore la comune lealtà civile ai valori politici fondamentali rispetto alle altre plurali lealtà. I valori politici fondamentali sono quelli che, in una società democratica, possiamo riconoscere come “costituzionali”; essi devono poter essere sottratti ai calcoli degli interessi sociali o agli esiti contingenti delle aggregazioni maggioritarie di preferenze politiche. La neutralità liberale è così riformulata come equità nei confronti della varietà di dottrine comprensive inevitabilmente presenti in una società democratica.

2 John RAWLS A Theory of Justice (1971)
Lo stato di natura dei contrattualisti inteso come “posizione originaria”, situazione ipotetica caratterizzata da “velo di ignoranza” ed “equità”. L'americano John Rawls è unanimemente considerato uno dei più influenti filosofi politici del Novecento. Anche i suoi più strenui oppositori lo ammettono, come, ad esempio, Robert Nozick, il quale ha affermato che coloro che si occupano di questi temi o devono lavorare con Rawls o devono spiegare perché non farlo. E Amartya Sen giunge a considerare la teoria della giustizia rawlsiana " di gran lunga la più influente - e [...] più importante - che sia stata presentata in questo secolo ". Nato a Baltimora nel 1921, John Rawls ha studiato a Princeton e a Oxford e ha insegnato nella prestigiosa Università di Harvard. I suoi scritti principali sono: "Una teoria della giustizia" (1971) e "Liberalismo politico" (1993). La giustizia è per Rawls " il primo requisito delle istituzioni sociali ", così come la verità lo è dei sistemi di pensiero. Come una teoria, egli argomenta, deve essere abbandonata o modificata se non risulta vera, così le leggi e le istituzioni devono essere abolite o riformate se sono ingiuste, anche se fornissero un certo grado di benessere alla società nel suo complesso, in quanto " ogni persona possiede un'inviolabilità fondata sulla giustizia su cui neppure il benessere della società nel suo complesso può prevalere. Per questa ragione la giustizia nega che la perdita della libertà per qualcuno possa essere giustificata da maggiori benefici goduti da altri " ("Una teoria della giustizia"). Già in queste battute iniziali è possibile individuare la posizione dell'autore, nettamente contraria all'utilitarismo, disposto a sacrificare gli interessi degli individui sull'altare della Società, come Rawls stesso afferma chiaramente nella critica all'utilitarismo classico contenuta nel suo testo. Il ruolo della giustizia così configurato non consente, secondo Rawls, che possa definirsi giusta una società che pensi di poter controbilanciare i sacrifici imposti a pochi con una maggiore quantità di vantaggi goduti da molti. In una società giusta si devono dare per scontate " eguali libertà di cittadinanza ". Ad avviso di Rawls, l'eguaglianza nel godimento delle libertà fondamentali è un diritto assoluto, che non ammette eccezioni nè compromessi. L'unico caso in cui sia tollerabile un'ingiustizia perpetuata ai danni della libertà è quello in cui si è costretti ad evitare un'ingiustizia ancora maggiore come, ad esempio, nel caso desunto dalla storia antica in cui rendere schiavo il prigioniero di guerra (privandolo della libertà personale) rappresenta un passo avanti rispetto all'usanza di ucciderlo. Dopo aver chiarito queste posizioni di fondo sulla giustizia (e sul primato della libertà individuale), si pone, tuttavia, il problema di fondare su basi razionali alcuni essenziali criteri di giustizia che possano valere per tutti gli uomini, intesi kantianamente come esseri razionali interessati a cooperare tra loro. Si tratta di arrivare a delineare alcuni princìpi di giustizia, razionalmente condivisi da tutti i membri della società, sulla cui base, poi, decidere circa le pretese di accesso ai beni primari da parte dei singoli. Rawls si rende conto che gli individui di una società hanno obiettivi e fini diversi; ma proprio per questo ritiene necessario che gli uomini raggiungano un comune accordo sui criteri della equa distribuzione dei beni essenziali. In altre parole, è necessario stabilire in via preliminare una " pubblica concezione di giustizia ", che formi " lo statuto fondamentale di un'associazione umana bene-ordinata ". Da questo punto di vista ben si capisce come mai Rawls insista tanto nel ritenere che l'idea più importante della società non sia quella di "bene", ma quella di "giusto". Anzi, egli sostiene che una società si dirà "bene-ordinata" non solo se tende a promuovere il benessere dei suoi membri, ma se è anche regolata da una concezione pubblica della giustizia, che richiede due condizioni: a) che ogni individuo accetti e sappia che gli altri accettano i medesimi princìpi di giustizia; b) che le istituzioni fondamentali soddisfino in modo riconosciuto tali princìpi. In mancanza di un accordo tra i membri di una società su ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, osserva Rawls, risulta più difficile stabilire legami vantaggiosi di convivenza civile, in quanto diventano dominanti il sospetto e l'ostilità. II problema che ora si pone è quello di giustificare razionalmente le regole di giustizia da far valere all'interno delle moderne democrazie o, come preferisce l'autore, delle società bene-ordinate. Rawls ha avuto il merito di mettere in scena (nel senso teatrale dell'espressione) nel suo libro il contesto in cui vengono scelte le regole fondamentali del gioco sociale. Parte del successo della sua opera, come è stato osservato da alcuni critici, può ascriversi proprio al suddetto procedimento di rappresentazione, che colpisce e affascina la fantasia del lettore. Rawls immagina una situazione iniziale ( original position ) in cui i singoli individui scelgono i princìpi di giustizia in condizione di assoluta eguaglianza, in quanto sono privi di un certo numero di informazioni relative alla propria condizione futura nella società. La scelta viene, cioè, effettuata sotto " un velo di ignoranza " ( veil of ignorance ). Infatti, nota Rawls, coloro che fossero a conoscenza di essere ricchi potrebbero considerare ingiuste eventuali imposte a scopo assistenziale, mentre coloro che fossero a conoscenza del loro stato di povertà sarebbero molto probabilmente a favore di quelle stesse imposte. Il "velo di ignoranza" ha il compito di escludere la conoscenza di quei fattori contingenti che porrebbero gli uomini in conflitto tra loro, rendendo impossibile qualsiasi accordo sui princìpi di giustizia. Il "velo di ignoranza" rende eguali le parti nella posizione originaria: infatti, tutti hanno gli stessi diritti nella procedura di scelta dei princìpi e ognuno può avanzare proposte razionali da sottoporre al giudizio e all'accordo altrui. Le parti vengono, dunque, presentate come razionali e reciprocamente disinteressate, in quanto nessuno può pensare di avvantaggiarsi dalla scelta di taluni criteri. I princìpi di giustizia che ne scaturiscono sono il risultato di un accordo equo, proprio perché conseguito in una condizione iniziale equa. In questo senso la teoria rawlsiana può legittimamente definirsi "una teoria della giustizia come equità ". Giustizia come equità significa che i princìpi di giustizia sono appunto quelli che le persone razionali, preoccupate della propria sorte, sceglierebbero in condizione di eguaglianza iniziale, qualora cioè nessuno fosse manifestamente avvantaggiato o svantaggiato da contingenze sociali o naturali (velo d'ignoranza). Rawls attribuisce a Kant l'ispirazione della sua teoria. Come l'etica kantiana è sostanzialmente incentrata sulla scelta autonoma di persone razionali, libere ed eguali, così quella di Rawls, grazie al velo di ignoranza, fa discendere la giustizia dall'accordo di persone libere e indipendenti, in quanto non determinate da motivi egoistici e contingenti. Si tratta di un'etica dell'autonomia, che esclude ogni eteronomia morale, come chiaramente dice Rawls nel seguente brano: " Credo che Kant abbia sostenuto che una persona agisce autonomamente quando i princìpi della sua azione sono scelti da lui come l'espressione più adeguata possibile della sua natura di essere razionale libero ed eguale. I princìpi in base ai quali agisce non vanno adottati a causa della sua posizione sociale o delle sue doti naturali, o in funzione del particolare tipo di società in cui vive, o di ciò che gli capita di volere. Agire in base a questi princìpi significherebbe agire in modo eteronomo. Il velo di ignoranza priva le persone nella posizione originaria delle conoscenze che le metterebbero in grado di scegliere princìpi eteronomi. Le parti giungono insieme alla loro scelta, in quanto persone razionali libere ed eguali, conoscendo solo quelle circostanze che fanno sorgere il bisogno di princìpi di giustizia ". Inoltre, approfondendo il rapporto con Kant, Rawls proclama che i princìpi di giustizia sono da considerarsi come "imperativi categorici" nel senso kantiano. Infatti, con "imperativo categorico" Kant intende quel principio di condotta morale che si addice a una persona in virtù della sua natura di essere razionale, libero ed eguale. In altri termini, l'imperativo morale kantiano è categorico proprio perché prescinde da scopi o desideri particolari. Al contrario, un imperativo è ipotetico in quanto ci indirizza a fare certe mosse in vista di certi fini specifici: " agire a partire dai princìpi di giustizia significa agire a partire da imperativi categorici, nel senso che essi si applicano al nostro caso indipendentemente dai nostri scopi particolari ". A questo punto i riferimenti teorici di Rawls sono chiari: abbandonata la tradizione utilitarista, dominante nell'area anglo-americana, egli si riallaccia, anche se in termini nuovi, al contrattualismo che aveva trovato in Kant il suo momento più alto: " è mio scopo presentare una concezione della giustizia che generalizza e porta a un più alto livello di astrazione la nota teoria del contratto sociale, quale si trova ad esempio in Locke, Rousseau e Kant ". C'è, però, da osservare che il neo-contrattualismo di Rawls si differenzia dal contrattualismo classico in un punto fondamentale: il contratto sociale di Hobbes, Locke, Rousseau, Kant aveva come fine quello di giustificare razionalmente il potere dello Stato, cioè quel potere che non ammette al di sopra di sé altro potere, non quello di proporre un modello di società giusta, che è al contrario lo scopo della teoria di Rawls. Definito il contesto ideale in cui gli esseri umani dotati di ragione e di senso morale potrebbero accordarsi sulla scelta equa dei princìpi di giustizia, Rawls procede a indicare in concreto tali princìpi. Naturalmente, si tratta pur sempre di una scelta etica, che ha il compito di prospettare solo alla lontana una determinata società politica. In altri termini, i princìpi di giustizia che stiamo per tratteggiare non vanno intesi come norme di comportamento pratico: essi sono dei criteri orientativi di carattere etico, bisognosi di essere ulteriormente tradotti in termini di prassi politica e istituzionale, una volta che gli uomini abbandonino la condizione originaria e il velo di ignoranza. Il primo principio afferma che ogni persona ha un eguale diritto al più esteso sistema di libertà fondamentali , compatibilmente con un simile sistema di libertà per tutti gli altri. Il secondo principio sostiene che le ineguaglianze economiche e sociali, ad esempio nella distribuzione del potere e della ricchezza, sono giuste soltanto se producono benefici compensativi per ognuno (in particolare per i membri meno avvantaggiati della società) e se sono collegate a cariche e posizioni aperte a tutti. Rawls ha dato varie formulazioni dei due princìpi, ma l'aspetto più importante e comune a tutte è il fatto che la scelta deve prescindere da intenti particolaristici (pensare a se stessi) o utilitaristici (pensare alla maggioranza), e deve invece essere compiuta in nome dell'universalità della natura umana. In questo senso, non è ammissibile che " alcuni abbiano meno affinchè altri prosperino "; ciò può essere utile, ma non è giusto (è questo il succo della critica rawlsiana all'utilitarismo). Invece, " i maggiori benefici ottenuti da pochi non costituiscono un'ingiustizia, a condizione che anche la situazione delle persone meno fortunate migliori in questo modo ". La libertà è da Rawls considerata come il primo e fondamentale principio di giustizia: essa deve essere goduta in modo eguale da tutti. Spingendo più nei particolari l'analisi, Rawls articola varie tipologie di libertà fondamentali: a) la libertà politica: diritto di voto, attivo e passivo; b) la libertà di parola e di riunione; c) la libertà di pensiero; d) la libertà personale e quella di possedere la proprietà privata; e) la libertà dall'arresto e dalla detenzione arbitrari. Queste libertà sono prioritarie rispetto al secondo principio di giustizia che, come abbiamo detto, afferma l'equa distribuzione del reddito e la pari opportunità di accesso alle cariche pubbliche. Tutti i valori sociali - libertà e opportunità, ricchezza e reddito, e le basi del rispetto di sé - devono essere distribuiti in modo eguale a meno che una distribuzione ineguale, di uno o di tutti questi valori, non vada a vantaggio di ciascuno. L'ingiustizia, quindi, coincide semplicemente con le ineguaglianze che non vanno a beneficio di tutti. Rawls ha dedicato maggiore spazio all'analisi e alla spiegazione del secondo principio di giustizia, che risulta effettivamente il più difficile da definire (chi sono, ad esempio, i "meno avvantaggiati"?). Egli reputa naturale l'esistenza all'interno delle società di gruppi meno favoriti (e ritiene, quindi, che ciò non costituisca ingiustizia); pensa, però, che occorra una "riparazione" verso i meno fortunati da parte della società giusta. Le società aristocratiche, egli osserva, sono ingiuste perché assumono le ineguaglianze naturali come una condizione necessaria ed eterna sulla cui base le persone vengono ingabbiate in caste chiuse. Una società giusta, al contrario, deve praticare il "principio di riparazione" secondo il quale se " si vuole assicurare a tutti un'effettiva eguaglianza di opportunità, la società deve prestare maggiore attenzione a coloro che sono nati con meno doti o in posizioni sociali meno favorevoli. L'idea è quella di riparare i torti dovuti al caso, in direzione dell'eguaglianza. Per ottenere questo obiettivo dovrebbero essere impiegate maggiori risorse nell'educazione dei meno intelligenti invece che in quella dei più dotati, almeno in un determinato periodo della vita, quello dei primi anni di scuola ". In termini più generali, Rawls adotta come elemento cardine della sua teoria della giustizia il cosiddetto " principio di differenza ", che egli collega all'idea di fratellanza (contenuta nella celebre rivendicazione dei rivoluzionari francesi del 1789, insieme alla libertà e all'eguaglianza). " Il principio di differenza sembra corrispondere al significato naturale della fraternità; cioè, all'idea di non desiderare maggiori vantaggi, a meno che ciò non vada a beneficio di quelli che stanno meno bene. La famiglia, in termini ideali, ma spesso anche in pratica, è uno dei luoghi in cui il principio di massimizzare la somma dei vantaggi è rifiutato. In generale, i membri di una famiglia non desiderano avere dei vantaggi, a meno che ciò non promuova gli interessi dei membri restanti. Il voler agire secondo il principio di differenza ha esattamente le stesse conseguenze. Coloro che si trovano nelle condizioni migliori desiderano ottenere maggiori benefìci soltanto all'interno di uno schema in cui ciò va a vantaggio dei meno fortunati ". A volte, osserva ancora l'autore, si pensa che l'ideale della fraternità non si addica alla società, in quanto implica legami affettivi e sentimenti che non è realistico attendersi dai membri del corpo sociale, ma ciò dimostra semplicemente che la nostra democrazia è ancora incompleta, dal momento che dei tre princìpi proclamati nel 1789 la fraternità è quello più trascurato. Al contrario, Rawls propone una concezione della società anti-meritocratica e cooperativa, per cui i membri, se agiscono razionalmente, non possono che ritenere dannose le ingiustizie. Il principio di differenza viene da Rawls collegato alla regola del maximin (abbreviazione di maximum minimorum ), in base alla quale bisogna migliorare il più possibile la situazione di coloro che stanno peggio o, con un'altra formulazione, le ineguaglianze sono ammesse quando massimizzano, o almeno contribuiscono generalmente a migliorare, le aspettative di lungo periodo del gruppo meno fortunato della società . Alla regola del maximin si attengono, secondo Rawls, gli individui nella posizione originaria, quando, incerti sulla propria condizione sociale futura (non sanno se saranno tra i più o i meno avvantaggiati), scelgono razionalmente la soluzione più equa dal punto di vista morale. Da sottolineare, infine, l'enfasi con cui Rawls collega i suoi princìpi di giustizia agli ideali democratici del 1789: " possiamo associare alle tradizionali idee di libertà, fraternità ed eguaglianza l'interpretazione democratica dei due princìpi di giustizia nel modo che segue: la libertà corrisponde al primo principio, l'eguaglianza all'idea di eguaglianza del primo principio unita all'eguaglianza di equa opportunità, e la fraternità al principio di differenza ". In "Political liberalism" (1993) Rawls ha rielaborato la sua teoria della giustizia in direzione di un liberalismo politico attento alla sfida del pluralismo, cioè impegnato a risolvere il problema " com'è possibile che esista e duri nel tempo una società stabile e giusta di cittadini liberi e eguali profondamente divisi da dottrine religiose, filosofiche e morali incompatibili, benché ragionevoli? " ("Liberalismo politico"). In "Una teoria della giustizia" la condivisione dei princìpi di giustizia era presentata come la condivisione di una sorta di dottrina morale. In "Liberalismo politico" si afferma invece che la teoria della giustizia è una dottrina politica autonoma rispetto a qualsiasi dottrina religiosa, filosofica e morale (poiché in caso contrario perderebbe la sua universalità), anche se cerca, in esse, un consenso supplementare. Infatti, pur essendo indipendente da ogni dottrina comprensiva ragionevole (e quindi da ogni concezione metafisica ed epistemologica), la concezione politica della giustizia cerca un "consenso per intersezione" ( overlapping consensus ) da parte delle varie dottrine filosofiche, morali e religiose ecc. Per queste caratteristiche, il liberalismo politico appare come la risposta più funzionale all'esigenza odierna di una società bene ordinata basata sul pluralismo e sulla giustizia. Nell'ambito di questi approfondimenti, Rawls ha riformulato i due princìpi di giustizia nel modo seguente: a) ogni persona ha uguale titolo a un sistema pienamente adeguato di uguali diritti e libertà fondamentali; l'attribuzione di questo sistema a una persona è compatibile con la sua attribuzione a tutti, ed esso deve garantire l'equo valore delle uguali libertà politiche, e solo di queste; b) le diseguaglianze sociali ed economiche devono soddisfare due condizioni: primo, essere associate a posizioni e cariche aperte a tutti, in condizioni di equa eguaglianza delle opportunità; secondo, dare il massimo beneficio ai membri meno avvantaggiati della società. Questi sviluppi, ammonisce Rawls in una nota, non eliminano, semmai confermano, la sostanza del suo liberalismo egualitario: " qualcuno ha pensato che sviluppando le idee del liberalismo politico io intendessi rinunciare alla concezione egualitaria della Teoria. Nessuna delle mie revisioni implica [...] un simile cambiamento, e penso che questo sospetto sia infondato ".

3 John RAWLS Velo di ignoranza:
nessuno degli individui nella posizione originaria “conosce il suo posto nella società, la sua posizione di classe o il suo status sociale, la parte che il caso gli assegna nella suddivisione delle doti naturali, la sua intelligenza, forza o simili”.

4 Giustizia come equità:
John RAWLS Giustizia come equità: la giustizia è frutto di una scelta compiuta da individui in condizioni di equità (accordo tra persone morali: razionali, libere ed eguali) (imperativi categorici e non quelli ipotetici degli utilitaristi).

5 Scelta di due principi di giustizia basilari:
John RAWLS Scelta di due principi di giustizia basilari: 1) “Il primo richiede l’eguaglianza nella assegnazione dei diritti e dei doveri fondamentali; 2) il secondo sostiene che le ineguaglianze economiche e sociali, come quelle di ricchezza e di potere, sono giuste soltanto se producono benefici compensativi per ciascuno, e in particolare per i membri meno avvantaggiati della società.

6 John RAWLS Questi principi escludono la possibilità di giustificare le istituzioni in base al fatto che i sacrifici di alcuni sono compensati da un maggior bene aggregato. Il fatto che alcuni abbiano meno affinché altri prosperino può essere utile, ma non è giusto” (30).

7 John RAWLS Motivazioni: egoistiche (pensare solo a se stessi)
utilitaristiche (pensare alla maggioranza) morali (incondizionate o kantiane: pensare a tutti)

8 John RAWLS “Primo: ogni persona ha un eguale diritto alla più estesa libertà fondamentale compatibilmente con una simile libertà per gli altri; Secondo: le ineguaglianze sociali ed economiche devono essere combinate in modo da essere: a) ragionevolmente previste a vantaggio di ciascuno; b) collegate a cariche e posizioni aperte a tutti” (66).

9 Libertà fondamentali civili e politiche (prioritarie e inviolabili):
John RAWLS Libertà fondamentali civili e politiche (prioritarie e inviolabili): politica (diritto di voto, attivo e passivo) di parola e riunione di coscienza e di pensiero personale e di possesso di proprietà personale dall’arresto e dalla detenzione arbitrari

10 John RAWLS Differenze e ineguaglianze nella distribuzione del reddito sono “ingiuste” se arrecano danno a qualcuno; sono ammesse se portano vantaggi non a pochi o a molti, ma a tutti, e in particolare ai meno avvantaggiati. Le cariche (autorità, responsabilità) devono essere aperte a tutti: eguaglianza delle opportunità. “L’ingiustizia, quindi, coincide semplicemente con le ineguaglianze che non vanno a beneficio di tutti” (67)

11 John RAWLS “Gruppo meno favorito”: chi si trova in condizioni economiche precarie o chi per ragioni naturali, non dipendenti dalla società, sono meno avvantaggiati rispetto alla media (svantaggi “immeritati”). “Le società aristocratiche o castali sono ingiuste perché fanno di questi fatti contingenti la base ascrittiva su cui assegnare l’appartenenza a una classe sociale più o meno chiusa e privilegiata” (99).

12 John RAWLS Principio di “riparazione”: “L’idea è quella di riparare torti dovuti al caso, in direzione dell’eguaglianza…maggiori risorse nell’educazione dei meno intelligenti invece che in quella dei più dotati, almeno in un determinato periodo della vita, quello dei primi anni di scuola” (97). Principio di differenza (parte dalla condizione dei più avvantaggiati anziché dei meno avvantaggiati): “richiede che le maggiori aspettative dei più avvantaggiati contribuiscano alle prospettive di quelli che lo sono meno” (93), cosicché “il benessere di ognuno dipende da uno schema di cooperazione sociale, in mancanza del quale nessuno potrebbe avere un’esistenza soddisfacente

13 John RAWLS Passaggio da una condizione etica (scelta dei due principi di giustizia) a una condizione politica (scelta delle istituzioni conformi ai due principi): assemblea costituente: primo principio delle libertà fondamentali; assemblea legislativa: distribuzione delle risorse e garanzia delle pari opportunità per le cariche; fase applicativa: “applicazione, da parte dei giudici e amministratori, delle norme ai casi particolari, e del loro rispetto, in generale, da parte dei cittadini. In questo stadio, ognuno ha pieno accesso a tutti i fatti” (174). E’ caduto il velo d’ignoranza.


Scaricare ppt "John RAWLS John Rawls (Baltimora, 21 febbraio 1922 – 24 novembre 2002) è stato un filosofo statunitense. Le sue idee hanno influenzato notevolmente il."

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