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Il valore del segno Dalla tesi di laurea di Antonia Teoli

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Presentazione sul tema: "Il valore del segno Dalla tesi di laurea di Antonia Teoli"— Transcript della presentazione:

1 Il valore del segno Dalla tesi di laurea di Antonia Teoli
Powerpoint di don Mimmo Iervolino

2 Concetto di segno e simbolo
Si può sostenere che è il nostro modo di vedere, di pensare che trasforma una cosa in segno. Es. Campo di grano dal mio punto di vista e del contadino; una rosa per me o per l’innamorato alla sua fidanzata

3 Il segno Il concetto di segno è facilmente equivocabile perché, per definizione, il segno rappresenta qualcosa di diverso da sé.

4 Il segno è una realtà sensibile che rivela in se stessa una carenza, “marque et manque”1, e che per questo rimanda ad un’altra realtà assente. Quindi il segno, come realtà sensibile che ci fa presente qualcosa di altro da sé, nello stesso tempo rivela la cosa significata e la nasconde. La rivela perché esso fa da ponte fra il significante e il significato, la nasconde perché la cosa significata non appare immediatamente in sé stessa. 1Todorov T., “Segno”, in Ducrot O. - Todorov T., Dizionario enciclopedico delle scienze del linguaggio , ISEDI, Milano, 1972, op. cit., p. 133.

5 Come afferma C. Vagaggini:
“Il segno strumento non è perfettamente traslucido, ma oppone come una resistenza alla conoscenza della cosa significata; bisogna passare attraverso il segno per arrivare alla cosa significata. E’ come un velo sebbene trasparente. Per lo sguardo che non sa penetrare attraverso il velo, il segno è uno schermo. Penetrare attraverso il velo vuol dire capire il segno appunto nel suo valore significativo della cosa significata. Perciò a chi non capisce il valore del segno, il segno fa da schermo; a chi lo capisce , invece, il segno fa da ponte e da rivelatore”1. 1Vagaggini C., Il senso teologico della liturgia , Ed. Paoline, Roma, 1965, op. cit., p. 47.

6 Il Simbolo Il termine simbolo deriva dal verbo greco sym-ballein che, alla lettera, significa gettare insieme. In forma transitiva viene tradotto con “riunire”, “mettere in comune”, “scambiare”; in forma intransitiva significa “incontrarsi”, “intrattenersi”. Il sostantivo symbolé indica l’articolazione del gomito o del ginocchio, o anche l’idea di patto, di contratto, di congiunzione, di riunione.

7 Il symbolon, nel mondo antico, indicava un oggetto spezzato che veniva dato a due persone che contraevano un patto. Ognuno dei due pezzi separati non aveva alcun valore in sé, ma lo riacquistavano quando venivano rimessi insieme, poiché in essi, soltanto allora, si riconosceva il pegno di un contratto, di un’alleanza.

8 “Il simbolo, diversamente dal segno, non rimanda a qualcosa di un altro ordine, ma ha la funzione di introdurci in un ordine di cui esso stesso fa parte e che viene presupposto nella sua alterità radicale come ordine significante”.1 1Ortigues E., Le discours et les symboles , Aubier, Paris, 1962, op. cit., p. 65.

9 Il simbolo non rende presente una realtà distinta da se stesso, ma la contiene nella sua completezza. Ad esempio l’acqua non indica la vita ma contiene in se stessa la vita, l’acqua “è” vita.

10 Il simbolo ha una forza intrinseca, una potenza evocativa che gli permette di essere compreso universalmente, senza bisogno di spiegazione. Questo accade soprattutto quando ci troviamo di fronte a simboli che hanno una profondità antropologica

11 … sono cioè collegati con l’inconscio umano, tali simboli sono stati definiti da C. Jung “archetipi” e per il loro valore universali li troviamo, con lo stesso significato, presso tutte le culture e nelle forme di religiosità ad esse collegate; vedi, ad esempio, il valore simbolico dell’acqua, della luce, del fuoco, del pane.

12 I contributi della semiotica
La semiotica é “una scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale”.1 1De Saussure F. Corso di linguistica generale , Laterza, Bari, 1983, op.cit. p. 26.

13 In tale ambito scientifico il segno viene considerato come carico di significati diversi che si possono raggruppare sotto le categorie di: segno-segnale, segno-significazione e segno-simbolo. Da tale suddivisione è nata una equivocità riguardo il termine “segno”, equivocità confermata dai vari tentativi di definizione da parte della semiotica. Tale equivocità potrebbe essere superata soltanto operando una chiara distinzione della nozione di segno dalle nozioni di segnale e di simbolo.

14 Il concetto di simbolo, che designava un oggetto diviso in due in occasione di un contratto (come già in precedenza detto), di cui ciascuno dei due partners riceveva un pezzo; è legato più alla nozione di valore che di significazione. Il valore del simbolo emerge dalla ricongiunzione dei due pezzi, che evoca, rendendola presente, l’alleanza fra i due contraenti.

15 Il simbolo può essere, quindi, considerato come l’operatore di un patto sociale e suo segno di riconoscimento. Ogni simbolo ha la funzione di essere un mediatore di identità, poiché permette ad ogni individuo di riconoscersi come membro di un gruppo e di identificarsi con esso.

16 Il segno è un’azione che indica, è un concetto pratico, un dire che fa comprendere quello che dice svolgendo la funzione di “predicatore”. I segni stanno al posto di ciò che indicano, vogliono mostrare qualcosa d’altro, rappresentarlo.

17 Il segnale si riferisce ad un comportamento, è un segno che funziona come un comando da eseguire ed ha quindi la funzione di regolatore di comportamento. Per questo motivo ogni segnale è sempre abbinato ad un determinato significato, definito esattamente in base a convenzioni prestabilite.

18 Nella semiotica è universalmente accettato che queste tre realtà più che essere dei concetti sono delle funzioni mobili, infatti, col variare del contesto varia anche lo spessore e la significatività di un segno.

19 un esempio la croce può diventare, a seconda del contesto, il segno della passione e morte di Gesù, e quindi il simbolo della fede cristiana; può essere il segno che nella matematica indica l’addizione; può essere un segnale quando, nella segnaletica stradale, ci fa conoscere l’avvicinarsi di un incrocio pericoloso, e richiede la prudenza da parte del conducente.

20 Il segno è la nozione centrale, al di qua del segno si colloca il segnale, al di là del segno vive il simbolo. Segno Segnale Simbolo

21 Il segno nella liturgia

22 Il rituale: espressione simbolica privilegiata
Il rituale è una trasposizione simbolica delle esperienze umane fondamentali, attraverso di esso l’uomo tende a dare una forma alle sue esperienze più importanti: l’inizio e la fine della vita, le festività e i lutti, e i momenti in cui cerca di andare “oltre” se stesso.

23 Potremmo definire l’uomo, sulla scia di Cassirer che lo definisce homo symbolicum, “un creatore di rituali”, è quasi una seconda natura per lui fissare dei riti, codificare in una specie di compendio, fatto di parole e di gesti, quelle che sono le esperienze fondamentali della sua vita, per poterle mantenere nell’area della sua coscienza, considerandole fonte di energia e una direzione da seguire nella propria esistenza.

24 questo bisogno (di sicurezze) si conferma in ogni periodo della vita, sotto forma di una fame di ritualizzazione e di riti sempre rinnovati, sempre più formalizzati e sempre più largamente condivisi, che danno nuovamente il riconoscimento sperato. Queste ritualizzazioni comprendono lo scambio dei saluti ordinari, che rinforza il legame emotivo, fino alla fusione dell’individuo con il suo oggetto nell’amore. (E. Erikson)

25 Etimologia di” rito” Per comprendere la tipologia del rito ci viene già in aiuto l’etimologia stessa del termine sanscrito “rita” che significa “ciò che è conforme all’ordine” caratteristica essenziale del rito quella di essere ricevuto da una tradizione, dal passato.

26 Ogni rito che abbiamo è già stato programmato:
“Questa programmazione gli permette di essere ripetuto allo stesso modo, a intervalli regolari, ogni anno, stagione, settimana, luna nuova, o a ogni stagione della vita umana, o ancora quando capitano avvenimenti importanti per l’equilibrio sociale del gruppo…

27 …Ogni rituale è per sua essenza reiterabile: si rifà ciò che hanno fatto, alle origini, gli antenati, o gli dei...o il fondatore....A questo modo proteggono il gruppo da quella che M. Eliade chiama “il terrore della storia”, il passare del tempo che lo separa dall’origine fondatrice e minaccia così la sua identità…

28 L’anamnesi rituale opera una vera e propria rigenerazione, reimmergendo simbolicamente il gruppo nel tempo primordiale in cui è nato. L’attingere nuove risorse nell’ in illo tempore mitico della propria genesi, fa da sbarramento alle forze di morte che minano inevitabilmente e senza sosta la propria identità e minacciano quindi la propria esistenza, come pure all’esaurimento della significatività del mondo”.1 1Chauvet L.M., Linguaggio e simbolo ..., op. cit.,p. 123.

29 Il rito religioso Alla base di ogni rito religioso troviamo un mito fondatore. Rito e mito sono inscindibili. Mito non è sinonimo di fantasia, di illusione, ma è l’espressione più autentica della verità concreta che svela il mistero della vita umana. Il mito realizza un legame fra una percezione della realtà e il conferimento di valore ad essa.

30 Il mito ci introduce nel mondo del simbolo, esso non vuole mettere da parte la realtà o la storia, ma anzi vuole affermarle dandole uno spessore simbolico e trasfigurandole nel disvelare la verità che in esse si nasconde. La funzione fondamentale del mito, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, non è quella di spiegare razionalmente l’origine della realtà, ma di rendere tale realtà significativa fondandola su un’origine metastorica, che oltrepassa il tempo e lo spazio.

31 I rituali sono forse i più importanti simboli religiosi, poiché si rifanno non soltanto alla ragione dell’uomo, ma all’intera persona: corpo, sensazioni, emozioni. Gertz, Eliade, Shils hanno considerato i simboli e i rituali religiosi come necessariamente radicati nell’esigenza dell’uomo di una spiegazione ultima della realtà a cui affidare l’intera persona e sulla quale modellare la propria vita.

32 S. Agostino scriveva (Contra Faustum XIX, II ): “Nessuna religione, vera o falsa, può esistere senza riti”. Questo principio è tanto assoluto che può essere applicato alle forme di religiosità più umili, che non hanno alle spalle speculazioni teologiche, e che sembrano consistere, proprio, in una serie di riti.

33 I riti religiosi si pongono sempre in una “situazione di rottura” nei confronti dell’odierno, del quotidiano. Tutto quanto è coinvolto nel rito (luogo, tempo, persone, cose) diventa sacro, diverso dall’ordinario. I riti religiosi sono perciò una realtà di frontiera, in quanto operano su una realtà diversa da quella ordinaria e sono diversi rispetto ad essa…

34 L’efficacità del rito sta nella sua capacita di rigenerare i soggetti della comunità che si riconoscono in esso. Il primo motivo di efficacia del rito so trova nel fatto che esso è creduto efficace da tutti coloro che lo celebrano, la fede di ognuno è alimentata dalla fede di tutti gli altri.

35 Il rito perde la sua efficacia quando diventa indecifrabile per il fatto di non tener conto della realtà di vita di coloro che vi partecipano: venendo a mancare l’identificazione del gruppo nel rito che si celebra viene, di conseguenza, a mancare anche la fede in ciò che si celebra e così la ragione d’essere del rito stesso.

36 Il rito cristiano Il rito cristiano, come ogni rito religioso, si specifica nel riferimento al mito fondatore, chiaramente identificabile con la morte-resurrezione di Gesù Cristo. Questa testimonianza sull’eccellente lavoro di d. Odo Casel mette chiaramente in luce il rapporto fra il mito fondatore e il rito cristiano:

37 “Partendo dal fatto che la “liturgia” cristiana è chiamata costantemente “mistero”, Casel scopre che le componenti essenziali di questo termine tecnico-culturale sono: 1) l’esistenza di un “avvenimento” primordiale di salvezza; 2) che questo avvenimento è reso “presente” in un rito; 3) che l’uomo di ogni tempo attraverso il “rito” attua la sua storia personale di salvezza.

38 Applicati dunque questi elementi, risulta che il “culto cristiano”, realizzandosi sul piano e nella forma cultuale del “mistero”, non è tanto un’azione dell’uomo che cerca un contatto con Dio (concetto naturale di religione), quanto un momento dell’azione salvifica di Dio sull’uomo (concetto rivelato di religione).1 1Maggiani S., “Rito/Riti”, in Nuovo dizionario liturgico, ed. Paoline, Roma, 1983, op. cit.,p

39 La liturgia cristiana si pone nella categoria del “memoriale”, poiché c’è un rapporto inscindibile tra il momento della celebrazione e l’autocomunicazione di Dio in Gesù Cristo:

40 “La possibilità stessa dell’esistenza cristiana, come esperienza ‘agapica’ di Dio, è data geneticamente dalla partecipazione simbolico-rituale all’intervento rivelatore di Gesù Cristo, morto e risorto, anche se il luogo adeguato dell’esistenza cristiana sarà la liturgia vissuta e non la celebrazione. Se è vero quanto si afferma in una frase suggestiva che “l’uomo che vive è soprattutto colui che agisce e celebra”1, si può affermare che il cristiano è colui che , celebrando la Pasqua di Gesù Cristo, comprende, unifica, orienta, e plasma la sua intera esistenza a partire da ciò che ha celebrato”.2 1Gelineau J., “Celebrare la liberazione pasquale”, in Concilium, 10 (1974), n 2, p.150. 2 Ambrosio G., “Valore socializzante della liturgia”, in AA.VV., Comunicazione e ritualità.La celebrazione liturgica alla verifica delle leggi della comunicazione, Ed. Messaggero, Padova, 1988, op. cit.,p.286.

41 Il segno nella liturgia cristiana.
La liturgia è un ambito che non appartiene primariamente all’ordine conoscitivo, quello della ‘-logia’, ma all’ordine pratico quello dell’ ‘-urgia’: è un’azione, una comunicazione totale, fatta di parole, ma anche di gesti, movimenti, azioni, simboli. Nella liturgia prevale il linguaggio dei simboli, e sono proprio questi a permetterci di entrare in contatto con la realtà inesauribile di Dio.

42 Tutte le azioni simboliche con le quali noi cristiani esprimiamo la nostra relazione con Dio le abbiamo ereditate dalla Rivelazione, da Gesù Cristo e dalla Tradizione della Chiesa; ma a loro volta, sia gli autori divinamente ispirati che Gesù e la Chiesa, non hanno inventato questi segni dal nulla, ma li hanno presi dalla vita:

43 “..tutti capiscono ciò che significa e realizza l’immersione nell’acqua, o il mangiare e il bere insieme, o i benefici dell’unzione massaggio, con l’olio...”.1 1Aldazabal J., Gesti e simboli. Significato antropologico biblico e liturgico , LDC, Torino 1995, op. cit., p. 18.

44 Dei molti elementi simbolici che abbiamo nella liturgia alcuni sono legati alle cose materiali: la luce, le candele, le immagini, le campane, i paramenti ecc.... Lo stesso luogo dove si svolge la celebrazione ha un valore simbolico e così pure tutti gli elementi che troviamo in esso: l’ambone, l’altare, il seggio del presidente, ecc.. Altri simboli sono legati al corpo umano

45 Ci sono diverse motivazioni per giustificare la presenza di segni e gesti simbolici nella liturgia cristiana. Una prima motivazione è di ordine antropologico: l’uomo manifesta esteriormente tutto ciò che vive interiormente, sentimenti e pensieri, e lo fa servendosi di parole e di gesti. “L’uomo non può vivere senza esprimere la sua vita”.1 1Cassirer E., Saggio sull’uomo...., op. cit.,p. 368.

46 Le scienze antropologiche oggi tendono a spostare la loro attenzione dal linguaggio al gesto, perché è proprio attraverso di esso che si può arrivare ad una conoscenza profonda dell’uomo. E’ proprio attraverso il corpo che l’uomo realizza la sua presenza nel mondo, ed è ancora per mezzo di esso che attua una prima conoscenza della realtà.

47 I gesti sono un linguaggio, linguaggio che nel bambino precede l’uso della parola, e che anche nell’adulto l’accompagna per sottolinearla, vivificarla. I gesti nell’esprimere i sentimenti li rafforzano e riescono a trasmetterli agli altri, per questo la gestualità costituisce la categoria più importante della comunicazione non verbale.

48 Abbiamo poi un’altra motivazione che deriva dall’alto valore che il simbolo ha per l’uomo, e dal fatto che esso nasca da un senso di ‘mancanza’. L’uomo nel simbolizzare riesce a dare pienezza alla sua vita. Se troviamo simboli in ogni ambito umano, ancor più li troveremo laddove l’uomo cerca il contatto con Dio, per Gesù Cristo, nello Spirito.

49 L’uomo riesce a realizzare il suo incontro con Dio proprio attraverso segni e gesti corporei. I gesti nella liturgia sono segni che esprimono e, nello stesso tempo, realizzano, in virtù della loro essenza simbolica, il rapporto del popolo cristiano con il proprio Dio.

50 L’ultima motivazione che può giustificare la presenza di segni e gesti nella liturgia è di ordine teologico: Gesù Cristo stesso è il miglior modello di attuazione simbolica. Nella sua persona egli è linguaggio di Dio, che ci mostra la sua vicinanza, e, nello stesso tempo, simbolizza la risposta più alta che l’uomo possa dare a Dio.

51 Gesù ha usato continuamente il linguaggio dei gesti simbolici nella sua azione salvifica utilizzando parole, gesti, azioni, miracoli. Possiamo quindi affermare che per i cristiani l’incarnazione deve essere il nucleo e la fonte di ogni gesto liturgico, e di conseguenza la nostra gestualità liturgica va modellata sulla gestualità di Cristo.

52 La prossima volta: Gli atteggiamenti religiosi


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