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L’imperialismo e il colonialismo

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Presentazione sul tema: "L’imperialismo e il colonialismo"— Transcript della presentazione:

1 L’imperialismo e il colonialismo

2 Che cosa si intende per IMPERIALISMO?
Che cosa per COLONIALISMO? Quale è il periodo interessato?

3 Il periodo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo fu definito come l’epoca dell’imperialismo. Esso unificò il mercato mondiale e stampò ovunque l’impronta del dominio e della cultura europei.

4 Colonialismo: assoggettamento politico e sfruttamento economico di colonie o protettorati
Interessi economici Materie prime Sbocchi commerciali per i prodotti della madrepatria Sbocchi per investire il capitale accumulato nella madrepatria

5 Motivazioni politico-ideologiche
Nazionalismo Politica di potenza Razzismo Spirito missionario (il “fardello dell’uomo bianco” di Kipling)‏

6 Alla fine dell’800 il mondo viene spartito in zone di influenza delle potenze europee (soprattutto Inghilterra e Francia)‏

7 Il dibattito sull’imperialismo e sul colonialismo iniziò già all’alba del XX secolo. Le prime teorie presero l’avvio dall’analisi dei mutamenti intervenuti nell’economia dei paesi capitalistici nel passaggio dalla stagione del capitalismo liberoscambista a quella del protezionismo, dei monopoli e del capitale finanziario.

8 Hobson, in un saggio del 1902, interpretò l’espansione coloniale come un «effetto perverso» del capitalismo industriale.

9 L’eccesso di risparmio prodotto in una fase alta del ciclo economico internazionale si sommava alla cronica debolezza della domanda interna causata dalla ineguale redistribuzione del reddito nazionale (basso prelievo fiscale e bassi salari), spingendo industriali, finanzieri e militari a pilotare tale eccedenza di risparmio verso obiettivi esterni di conquista e di dominio, per acquisire con la forza nuovi sbocchi per la sovrapproduzione interna.

10 Hobson era però convinto che le riforme sociali della democrazia liberale avrebbero aumentato la domanda di beni, eliminando il sottoconsumo alla base del colonialismo.

11 Qualche anno dopo (1910) Hilferding elaborò la classica teoria dell’imperialismo fondato sull’alleanza tra sistema industriale e sistema bancario.

12 Il capitale finanziario era il frutto di questa alleanza
Il capitale finanziario era il frutto di questa alleanza. Esso trovava sostegno nella politica dei governi che adottarono misure protezionistiche per favorire i prodotti nazionali, ponendo così le premesse per quella espansione economico-finanziaria e politico-militare che costituiscono i due aspetti fondamentali del fenomeno imperialista.

13 Dalle riflessioni di Hobson e di Hilferding si sviluppò un filone interpretativo socialdemocratico che trovò una organica formulazione negli scritti di Kautsky.

14 Questi rifiutò la concezione dell’imperialismo come conseguenza o degenerazione necessaria del capitalismo (che, come vedremo, era il nucleo della tesi marxista e leninista), convinto che era possibile sconfiggere l’imperialismo attraverso politiche di riforme e di democratizzazione interna agli stati.

15 In campo marxista il dibattito sulle cause e sulla natura dell’imperialismo fu assai vivace opponendo le due anime, riformista e rivoluzionaria, del socialismo europeo

16 Il leader dei revisionisti-riformisti, Bernstein, sosteneva che l’espansione intensiva del commercio estero (cioè l’interscambio tra i paesi ricchi) era molto più importante della sua espansione estensiva (la conquista di nuovi mercati) cosicché il colonialismo era destinato ad affievolirsi perché privo di razionalità economica.

17 I marxisti rivoluzionari
Tra i rivoluzionari Rosa Luxemburg, nel 1913, riprese la tesi di Hobson della condizione di sottoconsumo in cui era mantenuta la classe operaia, che consentiva una accumulazione di capitale disponibile per iniziative imperialistiche.

18 Essendo il mercato interno inadeguato a garantire l’accumulazione capitalistica, erano necessari sbocchi aggiuntivi. A differenza di Hobson, però, la L. non riteneva riformabile il sistema capitalistico, che sarebbe crollato per l’antagonismo tra le grandi potenze.

19 Nella stessa arena politica, Lenin vide nell’imperialismo la «fase suprema del capitalismo» (1916). A partire dall’inizio del Novecento il capitalismo monopolistico aveva definitivamente soppiantato quello della «libera concorrenza».

20 I sovrapprofitti conseguiti nelle colonie consentivano alle classi dominanti di attuare nella madrepatria una politica di salari alti che creava una «aristocrazia operaia» non più antagonista ma subalterna alla borghesia.

21 La Germania di Guglielmo II
Nello stesso tempo, tuttavia, la lotta per l’egemonia mondiale generava contrasti insanabili tra le potenze fino al culmine del conflitto mondiale.

22 Nella prima guerra mondiale infatti Lenin vedeva la guerra imperialista per eccellenza in quanto finalizzata alla spartizione del mondo, delle colonie, del capitalismo finanziario fra le grandi potenze.

23 La novità principale dell’analisi leniniana consisteva nel considerare il capitale monopolistico capace di controllare politicamente ed economicamente realtà sociali e territoriali più arretrate senza necessariamente ricorrere al dominio diretto proprio del colonialismo ottocentesco.

24 Nell’area del pensiero liberale, tre anni dopo il saggio di Lenin, Schumpeter definì l’espansione coloniale un «residuo feudale» dell’Europa precapitalistica, negando qualunque rapporto tra imperialismo e industria moderna e prevedendo la sua scomparsa col progredire del benessere e della democrazia.

25 L’imperialismo era dunque l’eredità di una società militarista d’ancién régime che sarebbe stata superata dalla piena affermazione del capitalismo inteso come sistema economico-politico razionale e razionalizzante.

26 Per completare questa rapida rassegna sulle teorie riguardanti l’imperialismo non si possono non citare le riflessioni di Hobsbawm e Fieldhouse.

27 Hobsbawm A partire dai primi anni del XX secolo la politica internazionale cominciò ad essere materia di pubblico confronto. Dovendo i parlamenti scegliere tra armamenti e spese sociali, l’opinione pubblica tendeva a polarizzarsi in due grandi correnti contrapposte: il nazionalismo e l’internazionalismo socialista.

28 L’imperialismo venne allora usato per incoraggiare le masse ad identificarsi con lo Stato e con la nazione in modo da giustificare il sistema politico-sociale esistente.

29 Era quello che Hobsbawm, in L’età degli imperi (1987), ha chiamato “imperialismo delle masse”. Avventure coloniali e propaganda nazionalistica rappresentarono eccellenti opportunità per i governi di distrarre le classi lavoratrici dai problemi sociali e politici.

30 Hobsbawm collega quindi la sua riflessione sull’imperialismo a quella sul nazionalismo. L’imperialismo si ispirava al principio di nazione come forza espansiva e al principio della lotta tra gli stati come motore della storia.

31 Al concetto di nazionalità, dopo il 1870, si sostituì una dottrina che predicava l’egoismo delle singole nazioni in gara fra loro per la loro supremazia. Gli ingredienti erano il militarismo, il conservatorismo sociale e il razzismo.

32 Fieldhouse Fieldhouse (L’età dell’imperialismo, 1975) ha confutato le spiegazioni deterministiche ed economicistiche, in particolar modo quelle derivanti dalle teorie di Hobson e di Lenin.

33 Le tesi tradizionali appaiono a F
Le tesi tradizionali appaiono a F. inadeguate perché spiegano l’imperialismo con la necessità per il capitalismo avanzato di nuove aree in cui investire il surplus di capitale, di nuovi mercati per ovviare al protezionismo, e con la spinta dei nazionalismi.

34 Per F. l’imperialismo, in particolare il «nuovo imperialismo» della fine dell’800, fu un fenomeno di origine soprattutto politica e dovuto alla reazione dei paesi europei ai problemi che ad essi ponevano i paesi extraeuropei.

35 Il fattore economico fu solo uno dei tanti che crearono uno squilibrio tra il mondo europeo «moderno» e il mondo esterno non strutturato. L’Europa fu dunque spinta all’imperialismo dalla forza magnetica della periferia.

36 La Francia intervenne nel 1881 in Tunisia, trasformando i suoi rapporti con il paese africano in un vero e proprio protettorato per bloccare le manovre del sovrano e della borghesia locale che si opponeva alla penetrazione finanziaria di un gruppo bancario di Marsiglia.

37 L’anno dopo l’Inghilterra occupò l’Egitto per garantire al consorzio bancario internazionale che aveva sostenuto finanziariamente la costruzione del canale di Suez (1869) il pagamento degli interessi del debito pubblico egiziano.

38 In questi casi si ebbe dunque l’intervento delle potenze europee interessate a risolvere i numerosi problemi periferici che scaturivano da situazioni locali.

39 Le frontiere turbolente spingevano le potenze coloniali ad estendere il proprio dominio a zone limitrofe ai propri territori. In definitiva, F. non nega l’importanza delle cause economiche ma valuta come altrettanto fondamentali le decisioni politiche.

40 L’imperialismo, inoltre, non fu solo “formale”, cioè teso alla vera e propria conquista di territori, ma anche “informale”, caratterizzato da una penetrazione esclusivamente economica.

41 L’esempio più eclatante di imperialismo formale è rappresentato dalla spartizione dell’Africa. La conquista del continente cominciò nel quadro della «questione d’oriente», con l’occupazione di due territori dell’Africa mediterranea nei quali la sovranità nominale dell’Impero ottomano aveva lasciato il posto a deboli governi locali (Tunisia e Egitto, appunto).

42 L’azione di Inghilterra e Francia proseguì fino alla completa conquista del continente (nell’ultimo ventennio dell’800 si aggiunsero Germania, Belgio e Italia).

43 La spartizione dell’Africa

44 La maggior parte delle colonie africane fondate alla fine dell’Ottocento non erano colonie di popolamento, come quelle del sud, dove si erano avuti forti investimenti stranieri direttamente nella produzione ma colonie di sfruttamento dove la produzione rimaneva nelle mani degli africani mentre i colonizzatori riservavano per sé il commercio di importazione e di esportazione («economia di tratta»).

45 Un esempio di imperialismo informale fu invece quello di cui fu oggetto la Cina. Mentre alla spartizione dell’Africa presero parte solo le potenze europee occidentali, in Asia si aggiunsero la Russia, gli Usa e il Giappone. L’obiettivo fu la Cina e fu proprio l’esistenza di molti concorrenti a rendere difficoltosa la corsa al predominio nel grande paese asiatico.

46 L’attacco cominciò dalla periferia dell’impero, dall’odierno Vietnam dove i primi a penetrare negli anni ’80 dell’800 furono i francesi. La minaccia principale alla Cina venne però dal suo vicino, il Giappone, destinato a diventare un vera e propria potenza economica.

47 Fra il 1871 e il 1879 i giapponesi, che si erano impegnati nei decenni precedenti in un intenso processo di riforme istituzionali, modernizzazione economica e di privatizzazione di importanti settori produttivi diedero inizio a una azione di militarismo imperialista, costringendo la Corea a rendersi indipendente dalla Cina.

48 Quando la Cina pose la questione della sovranità sulla penisola asiatica, il Giappone dichiarò guerra alla Cina e la sconfisse.

49 La Cina fu costretta a cedere importanti territori (tra cui l’isola di Formosa) e a pagare una ingente indennità di guerra. Ma, a quel punto, intervennero altre potenze ad imporre un vero e proprio imperialismo informale alla Cina.

50 La Russia si impadronì della Manciuria, l’Inghilterra e gli Usa, invece costrinsero la Cina ad accettare l’istituzione di basi commerciali straniere, per mezzo di «trattati ineguali», che stabilivano oneri solo per la Cina e annullavano, in certe zone, la sovranità cinese.

51 Poiché nessun paese era riuscito ad assicurarsi il predominio esclusivo, la Cina era diventata «semicolonia» di tutte le potenze interessate a partecipare allo sfruttamento delle risorse cinesi. La reazione si ebbe nel 1900 quando scoppiò una rivolta (quella dei Boxer) contro la penetrazione straniera. La rivolta fu repressa nel sangue.

52 Un terzo e originale modello di espansione coloniale fu infine rappresentato da quello statunitense. Fu a partire dalla fine del XIX secolo che l’intenso sviluppo economico e il boom del commercio con l’estero posero gli Stati uniti in gara con le potenze europee per la conquista di nuovi mercati.

53 Gli Stati uniti passarono dalla condizione di paese importatore a quella di paese esportatore di capitali. Due furono le direttrici dell’espansione statunitense: l’America latina e l’estremo oriente.

54 Nel 1898 le due colonie spagnole di Cuba (dove il capitale americano si era impadronito delle piantagioni di canna da zucchero) e delle Filippine (base coloniale strategica vicina alle coste cinesi) furono “aiutate” dagli Usa a raggiungere l’indipendenza.

55 La pace tra Spagna e Usa segnò la nascita dell’impero coloniale statunitense che aveva posto un protettorato di fatto sull’isola dei caraibi e aveva impiantato nel Pacifico un solido sistema di basi militari.

56 In un secondo momento l’espansione americana si indirizzò verso il centro America (dove Panama venne convinta a rendersi indipendente dalla Colombia) e l’America Latina.

57 In quest’ultimo caso, però, la strategia volta a creare una unione doganale che contrastasse la penetrazione delle merci europee, non ebbe molto successo, almeno fino alla prima guerra mondiale.


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