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Parità e non discriminazione

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Presentazione sul tema: "Parità e non discriminazione"— Transcript della presentazione:

1 Parità e non discriminazione
Il lavoro delle donne

2 Il lavoro della donna Il rilievo costituzionale
Art. 37: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.

3 La natura “ambivalente” dell’art. 37 Cost.
Il primo capoverso: l’affermazione del c.d. principio “paritario”; Il secondo capoverso: il rilievo delle specifiche esigenze di protezione della lavoratrice, in relazione alla sua essenziale funzione materna e familiare

4 Due diversi principi: tutela e parità
In possibile contraddizione (il caso del lavoro notturno delle donne) Secondo la Corte di giustizia prevale la parità sulla tutela Corte giust. 25 luglio 1991, causa C-345/89, Stoeckel c L' art. 5 della direttiva 76/207, relativa all' attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l' accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, è sufficientemente preciso per creare a carico degli Stati membri l' obbligo di non stabilire come principio legislativo il divieto del lavoro notturno delle donne, anche se quest' obbligo comporta deroghe, mentre non vige alcun divieto del lavoro notturno per gli uomini.

5 L’ordinamento comunitario
Uno sguardo alla normativa europea in materia di lavoro delle donne

6 Art. 119 Trattato CEE e direttiva 75/117 CEE (parità retributiva)
Direttiva 76/207 CEE (parità nelle condizioni di lavoro) n. 2002/73 di riforma della direttiva n. 76/207 Direttiva 96/34 (i congedi parentali) La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. Carta di Nizza)

7 Articolo 21 Carta dei diritti fondamentali dell’UE
“E’ vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età, o le tendenze sessuali”. (uguaglianza di trattamento in ogni area).

8 Articolo 23 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea “La parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione” (parità di trattamento).  

9 Segue… art. 23, 2 comma …Il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato” (uguaglianza di opportunità e risultati – azioni positive e sistema delle quote).

10 La legislazione interna
La strada della tutela La legislazione interna

11 Il costo del lavoro femminile
Le c.d. Clausole di nubilato I licenziamenti per causa di matrimonio

12 L’intervento del legislatore: la legge 7/1963
Nullità delle clausole di nubilato Nullità dei licenziamenti intimati per causa di matrimonio (presunzione relativa: dalla data di richiesta delle pubblicazioni a un anno dopo il matrimonio), nonché delle dimissioni (salva conferma entro un mese c/o l’UPLMO Eccezioni: colpa grave; cessazione dell’azienda; scadenza del rapporto a termine; esito negativo della prova.

13 Tutela delle lavoratrici madri
Legge 30 dicembre 1971 n. 1204 Tutela delle lavoratrici madri

14 Indica i criteri lavorativi da applicarsi durante il periodo di gravidanza della lavoratrice, compresi il congedo e la tutela della salute della donna incinta

15 Di recente abrogata e trasfusa nel d.lgs. 26 marzo 2001, n.151
Testo unico in materia di tutela e sostegno delle maternità e della paternità

16 1) Divieto di licenziamento
Le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, a prescindere dal fatto che il datore di lavoro ne sia a conoscenza. E’ sufficiente presentare idonea certificazione. Il licenziamento eventualmente intimato alla lavoratrice (o al padre che fruisce del congedo di paternità in luogo della madre) è nullo

17 Eccezioni (le stesse del divieto di licenziamento per causa di matrimonio)
colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta; ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine; esito negativo della prova.

18 2) Spostamento ad altre mansioni
Ai sensi dell’art cod. civ. “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto (…) ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione (…)” Il bene tutelato è la professionalità acquisita del lavoratore. La conseguenza della violazione: nullità di ogni patto contrario.

19 Eccezione: il caso della lavoratrice madre
Alla lavoratrice non può essere richiesto di svolgere le mansioni abituali ove pregiudizievoli per la sua salute, durante la gravidanza e fino a sette mesi di età del figlio. Quando il bene tutelato dalla norma entra in contatto con l’esigenza di protezione della salute della lavoratrice nel periodo della maternità…

20 SEGUE: Nei casi in cui l'ispettorato del lavoro accerti condizioni di lavoro o ambientali pregiudizievoli alla salute della donna, le lavoratrici devono essere destinate ad altre mansioni pur conservando la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originale nel caso di mansioni inferiori a quelle abituali.

21 3) Divieto di lavori pesanti
Durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi dopo il parto è inibita l’adibizione al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri (indicati in un elenco periodicamente aggiornato dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità e per la solidarietà sociale, sentite le parti sociali). Ai lavori che comportano il rischio di esposizione agli agenti ed alle condizioni di lavoro indicate in un apposito elenco. La lavoratrice è, altresì, spostata ad altre mansioni nei casi in cui i servizi ispettivi del Ministero del lavoro, d'ufficio o su istanza della lavoratrice, accertino che le condizioni di lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla salute della donna.

22 Inoltre… Quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, il servizio ispettivo può disporre l'interdizione dal lavoro per tutto il periodo L'inosservanza di tali disposizioni è punita con l'arresto fino a sei mesi.

23 4) Divieto di lavoro notturno
È vietato adibire le donne al lavoro, dalle 24 alle 6, dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino (art. 53, co.1 d.lgs. 151/2001)

24 Non sono inoltre obbligati a prestare lavoro notturno:
• lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o alternativamente dal padre convivente con la stessa; • lavoratrice o dal lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni; • lavoratrice o dal lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni (d.lgs. 151/2001).

25 La tutela della maternità (e della paternità)

26 I controlli prenatali Le lavoratrici gestanti hanno diritto a permessi retribuiti per l'effettuazione di esami prenatali, accertamenti clinici ovvero visite mediche specialistiche, nel caso in cui questi debbono essere eseguiti durante l'orario di lavoro. Per la fruizione dei permessi le lavoratrici presentano al datore di lavoro apposita istanza e successivamente presentano la relativa documentazione giustificativa attestante la data e l'orario di effettuazione degli esami.

27 L’astensione “obbligatoria”
E’ vietato adibire al lavoro le donne: a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto; b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; c) durante i tre mesi dopo il parto; d) durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto.

28 Flessibilità del congedo di maternità
Le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.

29 Trattamento economico e normativo
Le lavoratrici hanno diritto ad un'indennità giornaliera pari all'80 % della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità. Alcuni contratti collettivi la prevedono al 100%. L'indennità di maternità è corrisposta anche nei casi di risoluzione del rapporto di lavoro I periodi di congedo di maternità devono essere computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie.

30 Il padre lavoratore ha diritto ad astenersi dal lavoro nei 3 mesi successivi alla nascita del figlio, in caso di: morte o grave infermità della madre abbandono del figlio da parte della madre affidamento esclusivo al padre

31 Astensione facoltativa (ora congedo parentale)
La legislazione previgente riconosceva alla lavoratrice, dopo il periodo di astensione obbligatoria, il diritto ad un ulteriore periodo semestrale di assenza dal lavoro, fruibile nel primo anno di vita del bambino; detto diritto, in alternativa alla madre, poteva anche essere esercitato dal padre.

32 La legge n. 53/2000 L’astensione facoltativa, ribattezzata congedo parentale, diventa diritto di entrambi i genitori, esercitabile più a lungo ed in un arco più ampio di tempo

33 Durante i primi otto anni di vita del bambino
Ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro per un massimo complessivo di dieci mesi. La madre lavoratrice, trascorso il periodo di astensione obbligatoria, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi Il padre lavoratore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.

34 Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo non inferiore a tre mesi, il limite di sei mesi è elevato a sette e il limite complessivo delle astensioni dal lavoro di dieci mesi è conseguentemente elevato a undici mesi.

35 Indennità dovuta alle lavoratrici ed ai lavoratori durante il congedo parentale
a) fino al terzo anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi;  b) fino al compimento dell'ottavo anno di vita del bambino un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, nell'ipotesi in cui il reddito individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria.

36 Alcune considerazioni sulla legislazione in materia di paternità
Le ricerche empiriche su vari paesi europei dimostrano una correlazione diretta grado di copertura dei servizi, minore disponibilità dei padri al lavoro di cura (congedi parentali) e tassi di occupazione femminile. In questi paesi la risposta è in termini di “mascolinizzazione delle biografie femminili”

37 Dalle discipline caratterizzate da una ratio di protezione
alla legislazione “paritaria”

38 La legislazione di parità
La Costituzione (artt. 3 e 37); L. 903/1977 (parità di trattamento) modificata dal d. lgs. 145/2005; L. 125/1991 (azioni positive) modificata dai d. lgs. 196/2000 e 145/2005; D. lgs. n. 198/2006, Codice delle pari opportunità fra uomo e donna (normativa di “consolidamento” delle discipline anteriori).

39 Le tre tipologie di discriminazione
Discriminazione nell’accesso al lavoro (1) Discriminazione per quanto riguarda le iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento professionale (2) Discriminazione per quanto riguarda la retribuzione, la classificazione professionale, l’attribuzione di qualifiche e mansioni e la progressione in carriera (3)

40 Art. 25, comma 1, d. lgs. n. 198 del 2006: nozione di discriminazione diretta
Discriminazione diretta: “qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e comunque il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga”

41 Esempio la mancata indicazione di candidati dell’uno e dell’altro sesso nei bandi di concorso

42 Art. 25, comma 2, d. lgs. n. 198 del 2006: nozione di discriminazione indiretta
Quale che sia la fonte del trattamento pregiudizievole, la discriminazione indiretta si distingue da quella diretta per la rilevanza discriminatoria di criteri di per sé neutri, ma che in realtà “possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto ai lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa” Clausole tipo disponibilità a spostarsi per lunghi periodi, al lavoro straordinario

43 Il dato statistico Sussiste discriminazione indiretta quando tali criteri si dimostrino atti a produrre conseguenze svantaggiose in misura proporzionalmente assai più elevata sulle lavoratrici, risultando per questo stesso all’origine di trattamenti assimilabili a quelli direttamente discriminatori.

44 La questione dei criteri “fisici”: l’altezza, il peso, la forza fisica
Esempio La questione dei criteri “fisici”: l’altezza, il peso, la forza fisica

45 Un caso particolare di discriminazione: le molestie…
Ai sensi dell’art. 26, d. lgs. n. 198 del 2006 si definiscono molestie: “quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di tale persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”

46 ….e le molestie sessuali
Molestie sessuali: “comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona, in particolare creando un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.

47 La connessione con l’istituto del mobbing
Fattispecie di difficile qualificazione agganciata, per offrire una qualche protezione ancorché insufficiente, all’art c.c. che si occupa della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

48 Una digressione Il MOBBING

49 Primi risultati della ricerca medica e psicologica
Sul piano della scienze ancillari al diritto del lavoro, la medicina del lavoro, la psicologia del lavoro, si incomincia a metter a fuoco questa tipologia di violenza morale nei confronti di singoli lavoratori e a identificarne la fattispecie: la durata e la persistenza delle molestie spesso attuate con strumenti o azioni formalmente legittimi; le caratteristiche, le diverse fasi di evoluzione della situazione di mobbing, la condizione di isolamento, gli effetti sulla vittima, le malattie che può causare.

50 Prime definizioni Il mobbing ha come uno dei dati salienti e caratterizzanti che la molestia, la violenza, l’azione produttiva di conseguenze dannose, a volte formalmente legittima, spesso proviene non dal datore di lavoro o da un preposto (il c.d. bossing ), ma dagli stessi colleghi di lavoro (il c.d. mobbing orizzontale) Molestia e violenza sono originate anche da ragioni che, per sintesi si possono definire “irrazionali” (cioè non giustificate in nome della razionalità produttiva, o scaturenti da situazioni di conflitto fisiologici nel luogo di lavoro, ma originate da cause spesso oscure scaturenti da quella mai sufficientemente esplorata caverna che è la coscienza e la psiche dell’essere umano con tutti gli annessi turbamenti esistenziali).

51 Definizione sintetica
Per sintetizzare il mobbing è quella violenza subdola, condita di aggressività, esercitata nei luoghi di lavoro, reiterata e sistematica, che conduce ad una intollerabile situazione di isolamento e sofferenza psicologica della vittima designata, che travalica la fisiologia del conflitto interpersonale, o della contrapposizione di interessi nel luogo di lavoro, che può avere magari origine in conflitti fisiologici, cui però si dà una risposta antigiuridica con conseguente lesione, a volte tutelabile con strumenti già apprestati dall’ordinamento giuridico, ma altre volte non tutelabile con strumenti di tutela tipici.

52 Altra definizione Si tratta di una prassi di violenza psicologica che ha origine in dinamiche irrazionali (non giustificate cioè da obiettivi, ancorché malintesi, di produzione o efficienza : antipatia personale, competizione patologica, violenza fine a se stessa originata da frustrazione o da attrazione sessuale); in questo caso l’accostamento naturale che gli studiosi fanno è ad altri fenomeni similari: il nonnismo tra i militari o il bullismo da goliardia tra gli studenti

53 Come si manifesta Questa forma di violenza può manifestarsi con una molteplicità di comportamenti. impedire al lavoratore di esprimersi; isolare il lavoratore (privandolo dei mezzi di comunicazione: telefono, computer, posta.), bloccare il flusso d’informazioni necessarie al lavoro, estrometterlo dalle decisioni, impedire che gli altri lavoratori gli rivolgano la parola, negare la sua presenza, comportarsi come se il mobbizzato non ci fosse, trasferirlo in luoghi isolati o distanti (che lo obblighino a tragitti faticosi, etc.);

54 Come si manifesta screditare il lavoratore attraverso attacchi contro la sua reputazione (ridicolizzarlo, umiliarlo, attaccare le sue convinzioni religiose, sessuali, morali, calunniare membri della sua famiglia); ridurre la considerazione di sé del lavoratore (privarlo degli status symbol; non attribuirgli incarichi; attribuirgli incarichi inferiori o superiori alle sue competenze; simulare errori professionali; avanzare continue critiche alle prestazioni o alle sue capacità professionali, anche di fronte a soggetti esterni, ma anche critiche soggettive; applicare sanzioni senza motivo apparente e senza motivazioni; affidare compiti volutamente confusi, contraddittori e/o lacunosi; mettere in atto azioni di sabotaggio, etc); compromettere il suo stato di salute (diniego di periodi di ferie o di congedo, attribuzione di mansioni a rischio o con turni massacranti etc); Imporre ingiustificati cambi di mansioni; operare violenza o minacce di violenza.

55 segue Spesso le pressioni violenze operate hanno lo scopo di indurre nelle vittime del mobbing reazioni “irragionevoli” che possono essere utilizzate al fine di promuovere contro di loro azioni disciplinari (fino al licenziamento) Molte delle azioni, sopra elencate, se isolate e non ripetute, possono avere luogo anche in condizioni normali, ed essere dettate da cause contingenti. Si parla, però, di mobbing quando una o più di queste azioni diviene sistematica ed a lungo termine

56 In sintesi. Tipologie di mobbing
Mobbing di tipo verticale: quando la violenza psicologica viene posta in essere nei confronti della vittima da un superiore (nella terminologia anglosassone questa forma viene anche definita bossing o bullying ); bossing: azione compiuta dall’azienda o dalla direzione del personale nei confronti di dipendenti divenuti scomodi. Si tratta dunque di una strategia aziendale di riduzione, ringiovanimento o razionalizzazione degli organici (detto anche mobbing pianificato); bullying: indica i comportamenti vessatori messi in atto da un singolo capo.

57 Una sintetica definizione giuridica di “mobbing”
una forma di molestia o violenza psicologica esercitata quasi sempre con intenzionalità lesiva, ripetuta in modo iterativo, con modalità polimorfe finalizzate ad estromettere il soggetto dal posto di lavoro.

58 Inquadramento giuridico della fattispecie.
Gli strumenti giuridici di tutela

59 Prima ipotesi Una prima ritiene sufficiente l’armamentario di tutela esistente nel nostro ordinamento giuridico: la novità del mobbing consisterebbe in un mutamento di impostazione, vale a dire la considerazione unitaria e non più frammentata di comportamenti miranti a ledere la dignità morale del lavoratore sul luogo di lavoro; secondo questa opinione si tratta di comportamenti antigiuridici che tuttavia già trovano adeguati rimedi nella legislazione vigente (tutela antidiscriminatoria, tutela della professionalità, strumenti di informazione e prevenzione contro atti e comportamenti lesivi del benessere psicofisico, tutela contro i licenziamenti ecc.).

60 II ipotesi Occorre un intervento legislativo ad hoc.
Strada intrapresa dalla Regione Lazio. La Corte Costituzionale (sent. 359/03) ha dichiarato incostituzionale tale intervento (ordinamento civile/competenza esclusiva non concorrente)

61 Prima ipotesi si è attinto all’apparato tradizionale di norme inderogabili di protezione del lavoratore subordinato per reprimere comportamenti che oggi vengono – assieme ad altri - ricondotti alla cornice più generale del mobbing. La norma sul divieto di dequalificare il lavoratore, adibendolo a mansioni inferiori a quelle sue proprie è stata la norma più utilizzata per reprimere, in passato, questi comportamenti

62 L’apertura di nuovo orizzonte
l’approdo a quella che è ormai la norma più utilizzata in caso di mobbing – l’art c.c. (norma sugli obblighi di sicurezza del datore di lavoro) ora coadiuvato dal permanente richiamo dell’art c.c. (e cioè della norma sul divieto di demansionamento);

63 Meccanismi di imputazione della responsabilità
I criteri di imputazione della responsabilità sono talmente sofisticati che, sebbene tali comportamenti possano non provenire direttamente dal datore di lavoro, sarebbero comunque a lui imputati, sulla base di meccanismi generali e speciali presenti nel nostro ordinamento (la culpa in vigilando, in eligendo, le norme sulla responsabilità datoriale contenute nel d.lgs. 626 ecc.). Pronuncia del Tribunale di TO del , in cui per la prima volta si dà rilevanza a comportamenti antigiuridici qualificati unitariamente come mobbing, e si predispongo rimedi risarcitori in relazione al danno biologico procurato alla vittima di isolamento, angherie e violenze morali, sembrerebbero confermare questa impostazione. Il mobbing può essere perseguito e la vittima tutelata anche senza bisogno di una disciplina speciale: sembrerebbe questo il messaggio più significativo proveniente da quella pronuncia

64 I rimedi tradizionali i repertori sono e pieni di sentenze in cui i giudici hanno posto rimedio - i con un ordinario e fisiologico ricorso alla normativa di tutela esistente e attraverso un accorto uso della interpretazione adattiva ed evolutiva - ad una serie di episodi di mobbing violento, estremo o degenerato (reitera ingiustificata di provvedimenti disciplinari, isolamenti e inattività forzosa per indurre alle dimissioni, licenziamento diffamatorio, dimissioni procurate con mezzi subdoli, trasferimenti ricattatori, molestie sessuali ecc.).

65 La fattispecie che non c’è. Tutto è mobbing niente è mobbing
Ma quanto si è di fronte ad un comportamento qualificabile come mobbing? La fattispecie che non c’è. Tutto è mobbing niente è mobbing

66 Una possibile ricostruzione
a) Il mobbing dovrebbe ricadere per intero nell’aerea della tutela della salute e sicurezza: è questa la sua collocazione naturale. Costituisce una sorta di nuova frontiera del diritto alla salute che comprende per intero anche gli aspetti più sottilmente psicologici che hanno difficoltà ad essere compresi nella regolamentazione della direttiva quadro del 1989 Ma anche nell’area dell’illecito civile per i comportamenti non imputabili al datore

67 b) La fattispecie mobbing deve essere qualificata teologicamente:
deve essere il risultato di una attività, di una sequenza di atti (non un semplice episodio ancorché grave), collegati da uno scopo: la distruzione psicologica o l’espulsione del soggetto mobbizzato.

68 Obiezione: un singolo atto?
E’ vero che, in astratto, anche un atto isolato, ma particolarmente grave, può essere qualificato come mobbing se è lesivo dei beni tutelati (la personalità morale, la dignità); Secondo alcuni il riferimento ad una somma di atti teleologicamente orientati ha solo “una valenza descrittiva, più che rigorosamente definitoria” è difficile immaginare il mobbing come atto singolo che non si possa reprimere autonomamente inquadrandolo in un’altra fattispecie tipica: licenziamento ingiurioso, demansionamento, per esempio [o, anche, nei casi di maggiore gravità in una fattispecie penale (ingiuria: a. 594 c.p.; diffamazione: a. 595 c.p., per esempio)].

69 Terzo elemento c) La fattispecie mobbing, proprio perché si realizza attraverso una attività teologicamente orientata, deve essere caratterizzata da un ordito, da un trama, posta in essere dagli autori o degli autore (il mobber) che deve essere riconosciuta oggettivamente tale ; in alternativa deve essere disvelata dal soggetto che lo subisce anche attraverso il sistema delle presunzioni semplici (ma questa è questione legislativamente regolabile). Occorre lo scopo o basta l’effetto? Occorre dare rilevanza al comportamento dell’autore o è sufficiente l’effetto sulla vittima?

70 Quarto elemento d) Il mobbing è attività antigiuridica che si evidenzia attraverso una sequela di atti che singolarmente considerati possono essere anche legittimi (collocare volutamente un lavoratore in una posizione a lui palesemente sgradita o inadatta professionalmente, affidargli obiettivi irraggiungibili, isolarlo fisicamente ecc.).

71 Mobbing e tutela della salute
il mobbing deve ricadere per intero nell’area della tutela della salute e della sicurezza: questa è la sua collocazione più naturale. il mobbing “costituisce una sorta di nuova frontiera del diritto alla salute”; questa l’impostazione è confermata da una serie di segnali provenienti dall’ordinamento comunitario già la Risoluzione del Parlamento europeo sul mobbing, del 2001, era chiara in proposito

72 Il danno I danni da mobbing – lo si legge nelle sentenze dei giudici del lavoro – possono essere danni patrimoniali (nella doppia veste di danni emergenti e di lucro cessante: spese mediche sostenute; perdita di chance lavorative, di carriera), biologici (se c’è lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertata) e esistenziali.

73 esempio Tribunale Trieste, 10 dicembre 2003
Il comportamento del datore di lavoro consistente in atti vessatori nei confronti del lavoratore compiuti al fine di isolarlo e denigrarlo integra gli estremi del c.d. mobbing ed obbliga il datore di lavoro a risarcire il danno biologico. Viola l’articolo 2087 del codice civile l’ente pubblico che omette di salvaguardare la professionalità, il ruolo, la dignità personale, la salute del proprio funzionario, consentendo al superiore – Segretario generale di continuare e perseverare nell’illecita condotta persecutoria nei confronti del sottoposto. Le conseguenze del danno devono ritenersi molteplici in quanto relative alla potenzialità economica (danno patrimoniale puro), alla salute psicofisica (danno biologico e morale), alla dimensione professionale(danno d’ordine professionale e d’immagine). Con riguardo al danno professionale la quantificazione del danno avviene riguardo ad una percentuale della retribuzione mensile che nel caso in esame, considerata la gravità della condotta attuata, è determinata equamente nella misura del 100% della retribuzione mensile. La responsabilità dell’ente pubblico è piena e duplice, contrattuale ai sensi degli articoli 2087 e 1228 del codice civile, ed extracontrattuale in base agli articoli 2043 e 2049 del codice civile, è indiretta (per fatto del proprio dipendente) è diretta per fatto (omissivo) proprio. Ad essa si aggiunge in veste solidale quella del Segretario generale.

74 Contro il danno esistenziale
In un provocatorio saggio critico nei confronti del danno esistenziale, Gazzoni si diverte ad immaginare una serie di “perdite” di tipo esistenziale, di pregiudizi alla serenità di vita dell’individuo (nel ns. caso del soggetto mobbizzato) che diventerebbero così risarcibili a discrezione del giudice: “la perduta possibilità di scrivere lettere d’amore (…); di andare a passeggio (…), di incontrarsi con gli amici; di scrivere romanzi d’appendice(…)” e quant’altro; il giudice diventerebbe, alla fine, una sorta di Babbo Natale incontrollabile alle cui pulsioni finirebbe per essere affidato il danneggiato

75 La Cassazione recente i più recenti orientamenti della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione sul danno non patrimoniale ex art – pronunce tutte dello scorso anno (Corte cost e Cass e 8828 del 2003) -, dal momento che hanno svincolato la risarcibilità del danno non patrimoniale dalla sussistenza dell’illecito penale e ne hanno ampliato la nozione, comprendendovi anche disagi esistenziali non necessariamente coincidenti con il tradizionale danno morale soggettivo (il cd. patema d’animo), rendono ormai poco utile l’individuazione di una diversa categoria di danno – quella del danno esistenziale – da quelle tradizionali (patrimoniale, non patrimoniale o morale, biologico).

76 Torniamo alle discriminazioni sessuali
Torniamo alle discriminazioni sessuali. Il rimedio della tutela giudiziaria La donna che, al momento dell’ingresso nel mondo del lavoro o durante la propria vita lavorativa, rimane vittima di discriminazioni in fasi diverse.

77 Tutela processuale contro le discriminazioni
“È nullo qualsiasi patto od atto diretto a: a) subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione (…); b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio (…). Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali . Art. 15 Legge 300/1970, modificato dalla legge 903/1977 e, da ultimo, dal d.lgs. 216/2003.

78 L’azione individuale ex art. 15 L.903/1977
Qualora vengano posti in essere comportamenti discriminatori (in tutti i casi di azione individuale in giudizio), su ricorso del lavoratore o per sua delega delle organizzazioni sindacali, il giudice, nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, ordina all'autore del comportamento denunciato, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.

79 Le due fasi del procedimento:
la prima urgente e sommaria, volta a concludersi con un decreto motivato immediatamente esecutivo con cui il giudice, in accoglimento del ricorso della lavoratrice, ordina la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti. Il provvedimento così emesso ha carattere inibitorio-restitutorio. Si tratta, sostanzialmente, di un procedimento che ricalca l’art. 28 st. lav., in materia di repressione della condotta antisindacale la seconda, eventuale, instaurata a seguito dell’opposizione al decreto, a cognizione piena ed esauriente, articolata nei tradizionali gradi del giudizio.

80 Critiche alla legittimazione ad agire individuale. Perché..
da un lato disconosce la rilevanza superindividuale dell'illecito discriminatorio, in cui il singolo è colpito in quanto appartenente ad un gruppo identificato da una particolare caratteristica (nel nostro caso il sesso) dall'altro non considera l'esigenza di protezione del lavoratore discriminato, il quale, nella maggior parte dei casi, rinuncerà all’azione per il timore di ritorsioni da parte del datore di lavoro.

81 Critiche all’insufficienza della tutela
I problemi riguardano: la dimostrazione in giudizio dei fatti, considerato che l’evento si consuma normalmente in assenza di testimoni; la conoscenza delle circostanze idonee ad attestare la discriminazione, che rientrano nell’ambito di controllo del datore di lavoro; Il fatto che il rimedio civilistico della nullità colpisce l’autore della discriminazione, senza però recare utilità al lavoratore discriminato. inadeguatezza dei provvedimenti previsti al termine delle diverse azioni e le difficoltà probatorie incontrate dalla lavoratrice ricorrente

82 L'azione “pubblica” introdotta dalla L
L'azione “pubblica”  introdotta dalla L.125/91 per i casi di discriminazione collettiva esperibile dal Consigliere regionale di parità o, nei casi di rilevanza nazionale, dal Consigliere nazionale. La tutela giudiziaria contro le discriminazioni collettive viene, quindi, affidata ad un organo pubblico in grado di garantire, nello stesso tempo, capacità di mediazione rispetto ai conflitti tra lavoratori di sesso diverso e neutralità rispetto alla questione femminile.

83 I consiglieri di parità
Al Consigliere di parità è affidato un duplice ruolo promozionale e di tutela giudiziaria: da un lato, infatti è tenuto ad  assumere "ogni utile iniziativa ai fini del rispetto del principio di non discriminazione e della promozione di pari opportunità", dall'altro rimane titolare dell'azione pubblica prevista per i casi di discriminazioni di carattere collettivo, introdotta con la legge 125/91, mantenendo anche la possibilità di agire in giudizio su delega  delle lavoratrici o di intervenire nel giudizio promosso dal soggetto discriminato.

84 Parziale inversione dell’onere della prova
Benché di generale applicabilità, si tratta di un istituto calibrato sui caratteri della discriminazione indiretta. La prova statistica (che può basarsi su dati relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti) è di cruciale rilievo, in particolare, ai fini dell’accertamento dell’impatto differenziato.

85 Per rendere più agevole la posizione processuale del “soggetto debole”
È sufficiente che il ricorrente produca elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, purché “idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso”; nel qual caso graverà sul convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione.

86 Il nuovo sistema delle sanzioni
Il giudice che accerta la discriminazione di carattere collettivo: Ordina all’autore del comportamento discriminatorio di definire un piano di rimozione delle discriminazioni accertate Provvede, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale

87 L’estensione della tutela al caso di molestie
La tutela prevista contro la discriminazione viene estesa anche alle molestie. Il giudice può prevedere il risarcimento del danno, anche non patrimoniale, ed ordinare la cessazione del comportamento, la rimozione degli effetti e anche la predisposizione di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate

88 Inoltre… Nella quantificazione del danno il giudice deve tenere conto dell’eventualità che la discriminazione costituisca una ritorsione ad una precedente azione giudiziale o una reazione ad un comportamento del soggetto volto ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento.

89 L’eguaglianza di chance nel lavoro
Pari opportunità e azioni positive

90 Legge 125/1991 azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro (ora art. 42 ss. D. lgs. n. 198 del 2006) Istituisce il Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento e di uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, con compiti sia di informazione e sensibilizzazione sia di controllo e verifica dei progetti di azione positiva Istituisce le figure di Consiglieri e Consigliere di parità anche a livello provinciale, oltre che regionale:pubblici funzionari, il cui compito è promuovere iniziative contro la discriminazione sessuale Prevede finanziamenti ad hoc per la realizzazione di progetti di azioni positive.

91 Cos’è un’azione positiva?
Le azioni positive promuovono interventi rivolti a migliorare la posizione delle donne nel mercato del lavoro, cercando soluzioni per una migliore conciliazione tra vita lavorativa e vita privata. Si tratta di orientamenti, misure, attività formative e organizzative, sperimentazioni, ecc.. con le finalità di potenziare le possibilità di lavoro e di carriera delle donne, eliminare o prevenire la discriminazione o compensare gli svantaggi.

92 Come agiscono le azioni positive?
Sono vere e proprie “discriminazioni positive” che, attraverso il “rafforzamento” della presenza delle donne, accelerano il processo di instaurazione di fatto dell’uguaglianza e combattono le forme di discriminazione dirette e indirette nei confronti delle lavoratrici.

93 Gli ambiti di intervento riguardano:
La formazione scolastica e professionale L’accesso al lavoro La progressione di carriera L’inserimento femminile nelle attività e nei settori professionali in cui le donne sono sottorappresentate, per garantire un migliore equilibrio e una migliore ripartizione tra i sessi delle responsabilità familiari e professionali.

94 Vengono considerate azioni positive le misure che:
favoriscano l’occupazione delle donne e la promozione dell’imprenditorialità femminile valorizzino il potenziale e il lavoro femminile, sia in termini quantitativi che qualitativi in ogni settore, mansione e grado identifichino e successivamente correggano le disparità che colpiscono le donne nell’accesso e nella partecipazione al mercato del lavoro. Le misure sono volte ad eliminare gli effetti negativi derivanti dalla tradizionale divisione dei ruoli tra uomini e donne all’interno della famiglia e della società e a conciliare le responsabilità familiari con quelle professionali concretizzino la parità effettiva tra uomini e donne

95 Si distinguono, in relazione alla tipologia di intervento in:
azioni positive verticali, relative alla promozione dell’avanzamento femminile nelle gerarchie aziendali e nei ruoli di responsabilità azioni positive orizzontali finalizzate, invece alla creazione di occupazione mista ed equilibrata in tutti i settori azioni positive miste, che riguardano, invece, entrambi gli ambiti.

96 Da chi possono essere promosse?
Dal Comitato di pari opportunità e dai consiglieri di parità; dai centri per la parità e le pari opportunità a livello nazionale, locale e aziendale, comunque denominati, dai datori di lavoro pubblici e privati, dai centri di formazione professionale, Dalle organizzazioni sindacali nazionali e territoriali, anche su proposta delle rappresentanze sindacali aziendali o degli organismi rappresentativi dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni

97 Definizione del Programma- obiettivo
Formulato annualmente dal Comitato nazionale di pari opportunità, finalizzato alla richiesta del rimborso degli oneri connessi all’attuazione degli obiettivi del piano stesso.

98 Segue… Presentazione della domanda da parte dei datori di lavoro pubblici e privati interessati: Ogni anno dal 1° ottobre al 30 novembre Finanziamento: Mediante quota del Fondo di rotazione (FSE) E’ ripartito fra le regioni in misura proporzionale ai contributi richiesti per i progetti approvati


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