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Visibilmente crudeli Malviventi, persone sospette e gente qualunque dal Medioevo all’età moderna Giacomo Todeschini Il Multino, Bologna 2007.

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1 Visibilmente crudeli Malviventi, persone sospette e gente qualunque dal Medioevo all’età moderna Giacomo Todeschini Il Multino, Bologna 2007

2 Le strutture di esclusione Ogni società elabora strutture di esclusione/identità: –Cittadino / forestiero –Cristiano / pagano –Civile / crudele –Fedele / infedele : «Non può essere considerato affidabile tra gli uomini chi si sia mostrato infedele a Dio» [Concilio di Toledo, 633: p. 32]

3 Un aperto conflitto Quello che veniva descritto, da parte di Agostino e dei teologi dei secoli successivi […] era, dunque, un conflitto aperto: fra, da un lato, tutti quelli che componendo la vera società dei cristiani potevano vedersi rappresentati come un soggetto collettivo pienamente umano perché pervaso da un’ispirazione di origine divina […] e, dall’altro, tutti quelli che, esterni, estranei o ribelli, potevano essere intesi come massa di soggetti spiritualmente deprivati, incapaci di capire, simili ad animali vaganti nel buio di un bosco e insofferenti ai vincoli stabiliti dalla civiltà cristiana. P. 19

4 Uomini come animali la distanza della fama pubblicamente riconosciuta dall’infamia evidente a tutti era dunque analoga a quella che separava l’“uomo” dall’“animale”, o lo “spirituale” dal “carnale” p. 66.

5 Dopo Carlo Magno «Sappiamo, carissimi, che da sempre gli uomini carnali sono stati soliti perseguitare gli uomini spirituali, e i malfattori abituati a diffamare e aggredire coloro che fanno del bene… Coloro dunque, che non sono sono di buon comportamento, o la cui vita è accusabile, o dei quali non si conosce la libertà, la vita e la fede, non possono accusare gli Apostoli e i loro successori» [Pseudo-Stefano I, Ep. II, in Decretales pseudoisidorianae… Leipzig 1863]

6 Le decretali pseudo-isidoriane Le lettere decretali di Stefano I che affermavano, in chiave normativa, questo principio di esclusione e di salvaguardia del potere carismatico erano state inserite nel corpus giuridico abitualmente ricordato come «Decretali pseudo-isidoriane», pochi anni dopo la morte di Carlo Magno, e nei pressi di quello che all' epoca era uno dei centri urbani più importanti della dinastia franca: Reims. Pur trattandosi nel complesso di un esempio rilevante di falsificazione medievale, questa raccolta di leggi, decreti conciliari e disposizioni pontificie (attribuite a un fantomatico e inesistente vescovo denominato «Isidorus Mercator» metteva accanto a testi «fabbricati» testi realmente esistiti (soprattutto norme emanate dai concili dei primi sei secoli dell'era cristiana). L'obiettivo era di costruire un codice dotato di una propria coerenza interna e nell'insieme in grado di provare l'antichità e l'autorevolezza di tutta una serie di presupposti normativi: riconducibili in ogni caso a dimostrare l'indiscutibilità tanto dei poteri episcopali quanto (per naturale transizione) dei poteri legittimati da quelli episcopali. P. 47

7 L’elenco degli infami Si dice, in effetti, che sono «infami» e innominabili tutte quelle persone che, per qualche loro colpa, sono state contrassegnate da un marchio d'infamia, e cioè tutti coloro che abbandonano le regole stabilite dalla legge cristiana e disprezzano gli ordinamenti ecclesiastici: così vanno intesi i ladri, i sacrileghi e tutti quelli imputati di delitti capitali, i violatori di tombe e allo stesso tempo coloro che violano senza farsene un problema i decreti degli apostoli, dei loro successori e degli altri padri; così vanno intesi anche quelli che prendono le armi contro i padri, dal momento che in tutto il mondo costoro sono segnati come infami, e allo stesso modo devono essere intesi gli incestuosi, gli omicidi, gli spergiuri, i rapitori, i malfattori, gli avvelenatori, gli adulteri, i disertori, coloro che vantano diritti su proprietà non loro o si impadroniscono dei beni delle chiese, coloro che calunniano e accusano i fratelli e non provano le loro accuse, oppure coloro che aizzano i sovrani contro gli innocenti; bisogna ancora aggiungere tutti gli scomunicati o quanti siano stati scacciati fuori dalla Chiesa in conseguenza dei loro crimini, e in generale tutti quelli che sono definiti infami dalle leggi civili ed ecclesiastiche. Tutti costoro non potranno ricevere gli ordini sacri, e nemmeno lo potranno gli schiavi prima di essere liberati, i penitenti, i bigami, i servi di corte, o coloro il cui corpo non è integro o che non hanno sana la mente o l'intelligenza o che disubbidiscono alle decisioni dei santi o che si comportano come pazzi. Tutte queste persone non devono essere promosse ai sacri ordini, e né a loro né agli schiavi di recente liberati, né a quanti appaiano sospetti o privi della retta fede o dediti a comportamenti disonorevoli, deve essere consentito di muovere accuse contro i vescovi"

8 L’infamia come condizione sociale Infamia si cominciò ad intendere non soltanto, al modo romano, a conseguenza di una condanna o di una condizione oggettivamente segnata come extracivica, ma, al modo canonico, uno stato di inadeguatezza a far parte della comunità civica e morale dei cristiani determinato sia da colpe giuridicamente riconoscibili, sia da peccati ossia da trasgressioni rilevabili soprattutto alla luce della dottrina cristiana, sia da deficienze corporee o mentali in grado di definire l'inettitudine agli onori della vita civile. P. 122

9 L’indeterminatezza dell’infamia l’infame era una non persona e un non cittadino, individuabile come tale anche in assenza dell'esplicita condanna di un tribunale, la cui condizione di marginalità anche soltanto sospettata e intravista costituiva una minaccia e un confine per l'identità civica stessa. Il fulcro del pericolo civico rappresentato dagli «infami» stava appunto nella indeterminatezza. P. 123

10 L’usuraio infame per eccellenza l'usura e l'usuraio «manifesto», ossia chi prestava a interesse per mestiere, poterono apparire le tipologie tipiche di una relazione e di un'identità abusivamente insinuatesi nell'interno della communitas sociale definita e perimetrata dai vescovi, dai giudici, dai podestà o dai principi. Nella professione dell'usuraio erano infatti presenti caratteristiche che, al di là dei loro significati specificamente economici, ossia di quanto concretamente ne faceva un fenomeno conseguente alla accelerazione delle dinamiche commerciali dell'Occidente, realizzavano quotidianamente agli occhi e alla penna di chi regolava la vita mentale dei cristiani d'Occidente il paradigma della non appartenenza a una comunità ecclesiale sempre più intesa nel Duecento come identica a quella civica.

11 Una merce che non si vede La più vistosa di queste caratteristiche era costituita dalla invisibilità della merce pagata nel momento in cui un interesse compensava un prestito. Si supponeva che l'usuraio desse al tempo intercorrente fra prestito e restituzione un valore, arbitrario, reso visibile dall'interesse. Ma, come spesso teologi e canonisti ripetono, in ciò appunto stava l'immoralità contro natura dell'usuraio: che vendeva ciò che non era vendibile, ovvero il trascorrere del tempo, per definizione divino.

12 Mestieri disonorevoli professioni che, pur non essendo proibite per legge, erano in ogni caso percepite dalla comunità dei «fedeli» come vergognose e disonorevoli. non era netta la differenza tra attività legali ma considerate immorali, e attività intese come, oltre che legali, utili e necessarie, in se stesse non immorali, eppure percepite dalle comunità cristiane occidentali come impure e dunque, ancora una volta, in qualche modo disonorevoli. Al primo gruppo appartenevano la prostituzione, le arti sceniche, le attività economiche basate sull’ azzardo, dal gioco agli investimenti a rischio; del secondo gruppo facevano parte mestieri connessi al sangue e alla morte come quelli di boia, secondini, carcerieri, macellai, cerusici e chirurghi o alla manipolazione e trasformazione fisica delle materie prime, o con la ripulitura di quanto era sporco, come quelli di tintori, lavandai, spazzini, cuochi, panettieri, tessitori, pasticceri. P. 139

13 Sul confine della rispettabilità Questo era il punto di vista di chi produceva cultura scritta, dunque clerici, magistrati, teologi e giurisperiti Commerciare il proprio corpo, fare il pane, pulire le strade, tingere le stoffe, ballare sulla scena, sgozzare un animale, tenere bottega e svolgere piccoli commerci, frustare o uccidere un condannato, se, da un lato certamente stabilivano nel cuore della città dei cristiani pratiche e comportamenti connessi ad ambiti tipicamente «carnali» e dunque ben lontani dall'intelligenza spirituale che avrebbe dovuto essere tipica di una società di ispirati, d'altro canto però erano di norma assegnati a chi si trovasse nei pressi del margine sociale, o scelti per necessità da quanti, socialmente, erano i subditi, i sottoposti, il «popolo» per eccellenza, ma anche da chi, sia pure in una prospettiva di ascesa sociale, doveva comunque cominciare vendendo le proprie capacità di «fare» qualcosa. Vi era dunque in questo tipo di attività, abitualmente riconosciute come utili per la costruzione e l'efficienza della civitas, un intreccio significativo abbastanza complesso di utilitas comunemente riconosciuta, e quindi migliore o peggiore reputazione di chi le praticava, infamia dipendente dal fatto che queste mansioni erano comunque da considerarsi, per dottrina e per consuetudine, altrettanti bassi servizi dipendenti in sostanza dalla condizione di peccato in cui il genere umano dopo la caduta e prima del giudizio finale veniva a trovarsi, e «infamia» determinata dalla condizione sociale effettiva di coloro che normalmente ne erano i protagonisti. In altri termini, benché vi fossero innumerevoli sfumature di differenza tra la collocazione sociale di un macellaio e quella di una prostituta, o fra quella di un medico-cerusico e quella di un falegname proprietario della sua bottega, restava indubitato che queste persone, per quanto capaci di svolgere una professione utile e necessaria, si trovavano al tempo stesso sul confine della rispettabilità pubblica. P. 141

14 Era stato previsto 1 Sappi che negli ultimi tempi verranno momenti difficili. 2 Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, empi, 3 senza amore, sleali, calunniatori, intemperanti, intrattabili, disumani, 4 traditori, sfrontati, accecati dall’orgoglio, amanti del piacere più che di Dio, 5 gente che ha una religiosità solo apparente, ma ne disprezza la forza interiore. Guàrdati bene da costoro! 2Tim, 3,1-5

15 Ebrei ed eretici una profezia del santo Apostolo, nella quale si prevedeva la gran quantità di malefatte future degli eretici e degli ebrei; sono infatti caratteristiche di costoro tutte le depravazioni che egli nomina e che in se stesse sono ostili alla fede. L'Apostolo, poi, ha anche detto: Come dovrò giudicare di coloro che stanno al di fuori? Poiché quelli che hanno un'idea sbagliata di Dio, e non hanno paura di trarre guadagno dai loro insulti a Dio, come potranno mai operare bene tra gli uomini? E ha poi anche detto: Hanno una sembianza religiosa, ma negano la sostanza della religione; infatti si professano cristiani, pur agendo perfidamente e ragionando perversamente. Dio, in effetti, si loda e si onora non con dichiarazioni, ma agendo". Ambrosiaster in Epistulam Pauli ad Timotheum secundam, cit. p. 173.

16 La paura dei poveri I lebbrosi, gli usurai, le prostitute, i deformi non erano soltanto e semplicemente un popolo di «marginali» oggettivamente estraneo a una maggioranza tranquillamente consapevole di se e della propria condizione sociale: piuttosto essi indicavano ogni giorno a chi, pauper, non faceva parte del ristretto centro carismatico della società quanto facilmente poteva indebolirsi l’identità della gente qualunque, quanto labile e sospetta fosse l’appartenenza giuridica della maggior parte della popolazione teoricamente « fedele » e quanto vicino e visibile fosse il confine al di la del quale si stendeva la desolazione della non riconoscibilità civica. P. 230


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