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Scusate, avevamo in mente un’altra categoria di profezie…

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Presentazione sul tema: "Scusate, avevamo in mente un’altra categoria di profezie…"— Transcript della presentazione:

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2 Scusate, avevamo in mente un’altra categoria di profezie…
LE PROFEZIE NELLA A cura di Yuri e Matteo

3 Nella Divina Commedia di Dante uno dei temi rilevanti è quello delle profezie. Durante il suo viaggio nei tre regni ultraterreni al poeta verranno annunciati avvenimenti futuri da diversi personaggi. Il percorso delle predizioni culmina nel XVII canto del Paradiso in cui l’avo di Dante, Cacciaguida, annuncia chiaramente il destino al quale andrà incontro il poeta. Caratteristica di ogni profezia è il carattere oscuro, tradizione risalente all’antichità, ovvero ai libri sibillini e ai responsi degli oracoli, come quello di Delfi, e la conseguente necessità di una chiave interpretativa.

4 XVII CANTO PARADISO Né per ambage, in che la gente folle già s'inviscava pria che fosse anciso 'Agnel di Dio che le peccata tolle,        33 ma per chiare parole e con preciso latin rispuose quello amor paterno, chiuso e parvente del suo proprio riso:        36 Qual venne a Climenè, per accertarsi di ciò ch'avëa incontro a sé udito, quei ch'ancor fa li padri ai figli scarsi;        3 tal era io, e tal era sentito e da Beatrice e da la santa lampa che pria per me avea mutato sito.        6 Per che mia donna «Manda fuor la vampa del tuo disio», mi disse, «sì ch'ella esca segnata bene de la interna stampa:        9 non perché nostra conoscenza cresca per tuo parlare, ma perché t'ausi a dir la sete, sì che l'uom ti mesca».        12 «O cara piota mia che sì t'insusi, che, come veggion le terrene menti non capere in trïangol due ottusi,        15 così vedi le cose contingenti anzi che sieno in sé, mirando il punto a cui tutti li tempi son presenti;        18 mentre ch'io era a Virgilio congiunto su per lo monte che l'anime cura e discendendo nel mondo defunto,        21 dette mi fuor di mia vita futura parole gravi, avvegna ch'io mi senta ben tetragono ai colpi di ventura;        24 per che la voglia mia saria contenta d'intender qual fortuna mi s'appressa: ché saetta previsa vien più lenta».        27 Così diss' io a quella luce stessa che pria m'avea parlato; e come volle Beatrice, fu la mia voglia confessa.        30 Né per ambage, in che la gente folle già s'inviscava pria che fosse anciso 'Agnel di Dio che le peccata tolle,        33 ma per chiare parole e con preciso latin rispuose quello amor paterno, chiuso e parvente del suo proprio riso:        36 «La contingenza, che fuor del quaderno de la vostra matera non si stende, tutta è dipinta nel cospetto etterno;        39 necessità però quindi non prende se non come dal viso in che si specchia nave che per torrente giù discende.        42 Da indi, sì come viene ad orecchia dolce armonia da organo, mi viene a vista il tempo che ti s'apparecchia.        45 Qual si partio Ipolito d'Atene per la spietata e perfida noverca, tal di Fiorenza partir ti convene.        48 Questo si vuole e questo già si cerca, e tosto verrà fatto a chi ciò pensa là dove Cristo tutto dì si merca.        51 La colpa seguirà la parte offensa in grido, come suol; ma la vendetta fia testimonio al ver che la dispensa.        54 Tu lascerai ogne cosa diletta più caramente; e questo è quello strale che l'arco de lo essilio pria saetta.        57 Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.        60 E quel che più ti graverà le spalle, sarà la compagnia malvagia e scempia con la qual tu cadrai in questa valle;        63 che tutta ingrata, tutta matta ed empia si farà contr' a te; ma, poco appresso, ella, non tu, n'avrà rossa la tempia.        66 Di sua bestialitate il suo processo farà la prova; sì ch'a te fia bello averti fatta parte per te stesso.        69 Dante abbandonerà ciò che più gli sta a cuore, sarà cioè esiliato Egli risponde chiaramente, al contrario del carattere oscuro delle precedenti profezie Avrà una compagnia malvagia, da cui si allontanerà Tutto ciò causerà al poeta disagi e dolore Da indi mi viene a vista il tempo che ti s'apparecchia.        45 Poiché la luce di Dio si riflette negli occhi di Cacciaguida tal di Fiorenza partir ti convene.        48

5 Nel VI Inferno Ciacco denuncia la decadenza di Firenze
La corruzione che porterà al declino di Firenze e al conseguente esilio del poeta è un tema trattato sin dal VI canto dell’Inferno Nel VI canto di Inferno, Purgatorio e Paradiso infatti si tratta il tema politico: Nel VI Inferno Ciacco denuncia la decadenza di Firenze Nel VI Purgatorio Dante produce un’apostrofe contro l’Italia Nel VI Paradiso a Giustiniano è affidata la cronaca sull’Impero

6 VI CANTO INFERNO Al tornar de la mente, che si chiuse dinanzi a la pietà d'i due cognati, che di trestizia tutto mi confuse,        3 novi tormenti e novi tormentati mi veggio intorno, come ch'io mi mova e ch'io mi volga, e come che io guati.        6 Io sono al terzo cerchio, de la piova etterna, maladetta, fredda e greve; regola e qualità mai non l'è nova.        9 Grandine grossa, acqua tinta e neve per l'aere tenebroso si riversa; pute la terra che questo riceve.        12 Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra sovra la gente che quivi è sommersa.        15 Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, e 'l ventre largo, e unghiate le mani; graffia li spirti ed iscoia ed isquatra.        18 Urlar li fa la pioggia come cani; de l'un de' lati fanno a l'altro schermo; volgonsi spesso i miseri profani.        21 Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo, le bocche aperse e mostrocci le sanne; non avea membro che tenesse fermo.        24 E 'l duca mio distese le sue spanne, prese la terra, e con piene le pugna la gittò dentro a le bramose canne.        27 Qual è quel cane ch'abbaiando agogna, e si racqueta poi che 'l pasto morde, ché solo a divorarlo intende e pugna,        30 cotai si fecer quelle facce lorde de lo demonio Cerbero, che 'ntrona l'anime sì, ch'esser vorrebber sorde.        33 Noi passavam su per l'ombre che adona la greve pioggia, e ponavam le piante sovra lor vanità che par persona.        36 Elle giacean per terra tutte quante, fuor d'una ch'a seder si levò, ratto ch'ella ci vide passarsi davante.        39 "O tu che se' per questo 'nferno tratto", mi disse, "riconoscimi, se sai: tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto".        42 E io a lui: "L'angoscia che tu hai forse ti tira fuor de la mia mente, sì che non par ch'i' ti vedessi mai.        45 Ma dimmi chi tu se' che 'n sì dolente loco se' messo, e hai sì fatta pena, che, s'altra è maggio, nulla è sì spiacente".        48 Ed elli a me: "La tua città, ch'è piena d'invidia sì che già trabocca il sacco, seco mi tenne in la vita serena.        51 Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa de la gola, come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.        54 E io anima trista non son sola, ché tutte queste a simil pena stanno per simil colpa". E più non fé parola.        57 Io li rispuosi: "Ciacco, il tuo affanno mi pesa sì, ch'a lagrimar mi 'nvita; ma dimmi, se tu sai, a che verranno        60 li cittadin de la città partita; s'alcun v'è giusto; e dimmi la cagione per che l' ha tanta discordia assalita".        63 E quelli a me: "Dopo lunga tencione verranno al sangue, e la parte selvaggia caccerà l'altra con molta offensione.        66 Poi appresso convien che questa caggia infra tre soli, e che l'altra sormonti con la forza di tal che testé piaggia.        69 Alte terrà lungo tempo le fronti, tenendo l'altra sotto gravi pesi, come che di ciò pianga o che n'aonti.        72 Giusti son due, e non vi sono intesi; superbia, invidia e avarizia sono le tre faville c' hanno i cuori accesi".        75 Qui puose fine al lagrimabil suono. E io a lui: "Ancor vo' che mi 'nsegni e che di più parlar mi facci dono.        78 Farinata e 'l Tegghiaio, che fuor sì degni, Iacopo Rusticucci, Arrigo e 'l Mosca e li altri ch'a ben far puoser li 'ngegni,        81 dimmi ove sono e fa ch'io li conosca; ché gran disio mi stringe di savere se 'l ciel li addolcia o lo 'nferno li attosca".        84 E quelli: "Ei son tra l'anime più nere; diverse colpe giù li grava al fondo: se tanto scendi, là i potrai vedere.        87 Ma quando tu sarai nel dolce mondo, priegoti ch'a la mente altrui mi rechi: più non ti dico e più non ti rispondo".        90 Li diritti occhi torse allora in biechi; guardommi un poco e poi chinò la testa: cadde con essa a par de li altri ciechi.        93 E 'l duca disse a me: "Più non si desta di qua dal suon de l'angelica tromba, quando verrà la nimica podesta:        96 ciascun rivederà la trista tomba, ripiglierà sua carne e sua figura, udirà quel ch'in etterno rimbomba".        99 Sì trapassammo per sozza mistura de l'ombre e de la pioggia, a passi lenti, toccando un poco la vita futura;        102 per ch'io dissi: "Maestro, esti tormenti crescerann'ei dopo la gran sentenza, o fier minori, o saran sì cocenti?".        105 Ed elli a me: "Ritorna a tua scïenza, che vuol, quanto la cosa è più perfetta, più senta il bene, e così la doglienza.        108 Tutto che questa gente maladetta in vera perfezion già mai non vada, di là più che di qua essere aspetta".        111 Noi aggirammo a tondo quella strada, parlando più assai ch'i' non ridico; venimmo al punto dove si digrada:        114 quivi trovammo Pluto, il gran nemico. Ciacco risponde a Dante sul destino di Firenze E quelli a me: "Dopo lunga tencione verranno al sangue, e la parte selvaggia caccerà l'altra con molta offensione.        66 Poi appresso convien che questa caggia infra tre soli, e che l'altra sormonti con la forza di tal che testé piaggia.        69 Alte terrà lungo tempo le fronti, tenendo l'altra sotto gravi pesi, come che di ciò pianga o che n'aonti.        72 Giusti son due, e non vi sono intesi; superbia, invidia e avarizia sono le tre faville c' hanno i cuori accesi".        75 Ci sarà lo scontro fra guelfi bianchi e guelfi neri: prima vincerà la parte “selvaggia”, che in breve tempo verrà a sua volta sconfitta dalla parte avversaria Le cause di questo conflitto sono la superbia, l’invidia e l’avarizia dei cittadini

7 VI CANTO PURGATORIO O Alberto tedesco ch'abbandoni costei ch'è fatta indomita e selvaggia, e dovresti inforcar li suoi arcioni,        99 giusto giudicio da le stelle caggia sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto, tal che 'l tuo successor temenza n'aggia!        102 Quando si parte il gioco de la zara, colui che perde si riman dolente, repetendo le volte, e tristo impara;        3 con l'altro se ne va tutta la gente; qual va dinanzi, e qual di dietro il prende, e qual dallato li si reca a mente;        6 el non s'arresta, e questo e quello intende; a cui porge la man, più non fa pressa; e così da la calca si difende.        9 Tal era io in quella turba spessa, volgendo a loro, e qua e là, la faccia, e promettendo mi sciogliea da essa.        12 Quiv'era l'Aretin che da le braccia fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte, e l'altro ch'annegò correndo in caccia.        15 Quivi pregava con le mani sporte Federigo Novello, e quel da Pisa che fé parer lo buon Marzucco forte.        18 Vidi conte Orso e l'anima divisa dal corpo suo per astio e per inveggia, com'e' dicea, non per colpa commisa;        21 Pier da la Broccia dico; e qui proveggia, mentr'è di qua, la donna di Brabante, sì che però non sia di peggior greggia.        24 Come libero fui da tutte quante quell'ombre che pregar pur ch'altri prieghi, sì che s'avacci lor divenir sante,        27 io cominciai: "El par che tu mi nieghi, o luce mia, espresso in alcun testo che decreto del cielo orazion pieghi;        30 e questa gente prega pur di questo: sarebbe dunque loro speme vana, o non m'è 'l detto tuo ben manifesto?".        33 Ed elli a me: "La mia scrittura è piana; e la speranza di costor non falla, se ben si guarda con la mente sana;        36 ché cima di giudicio non s'avvalla perché foco d'amor compia in un punto ciò che de' sodisfar chi qui s'astalla;        39 e là dov'io fermai cotesto punto, non s'ammendava, per pregar, difetto, perché 'l priego da Dio era disgiunto.        42 Veramente a così alto sospetto non ti fermar, se quella nol ti dice che lume fia tra 'l vero e lo 'ntelletto.        45 Non so se 'ntendi: io dico di Beatrice; tu la vedrai di sopra, in su la vetta di questo monte, ridere e felice".        48 E io: "Segnore, andiamo a maggior fretta, ché già non m'affatico come dianzi, e vedi omai che 'l poggio l'ombra getta".        51 "Noi anderem con questo giorno innanzi", rispuose, "quanto più potremo omai; ma 'l fatto è d'altra forma che non stanzi.        54 Prima che sie là sù, tornar vedrai colui che già si cuopre de la costa, sì che ' suoi raggi tu romper non fai.        57 Ma vedi là un'anima che, posta sola soletta, inverso noi riguarda: quella ne 'nsegnerà la via più tosta".        60 Venimmo a lei: o anima lombarda, come ti stavi altera e disdegnosa e nel mover de li occhi onesta e tarda!        63 Ella non ci dicëa alcuna cosa, ma lasciavane gir, solo sguardando a guisa di leon quando si posa.        66 Pur Virgilio si trasse a lei, pregando che ne mostrasse la miglior salita; e quella non rispuose al suo dimando,        69 ma di nostro paese e de la vita ci 'nchiese; e 'l dolce duca incominciava "Mantüa ...", e l'ombra, tutta in sé romita,        72 surse ver' lui del loco ove pria stava, dicendo: "O Mantoano, io son Sordello de la tua terra!"; e l'un l'altro abbracciava.        75 Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!        78 Quell'anima gentil fu così presta, sol per lo dolce suon de la sua terra, di fare al cittadin suo quivi festa;        81. Dante comincia così la sua invettiva contro l’Italia, che poi continuerà contro il clero, l’imperatore e i cittadini di Firenze (e non la città) E se licito m'è, o sommo Giove che fosti in terra per noi crucifisso, son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?        120 O è preparazion che ne l'abisso del tuo consiglio fai per alcun bene in tutto de l'accorger nostro scisso?        123 Ché le città d'Italia tutte piene son di tiranni, e un Marcel diventa ogne villan che parteggiando viene.        126 In particolare l’imperatore, che dovrebbe occuparsi dell’Italia, resta invece in Germania, perciò Dante gli augura il castigo divino Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!        78 Appare evidente inoltre la corruzione del mondo: i contadini che invadono le città(ma che non è altro che l’ascesa della borghesia) Dante si chiede quindi se addirittura Gesù abbia voltato le spalle al mondo: di sicuro invece il disegno celeste ha in mente un rimedio e ora in te non stanno sanza guerra li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode di quei ch'un muro e una fossa serra.        84 Cerca, misera, intorno da le prode le tue marine, e poi ti guarda in seno, s'alcuna parte in te di pace gode.        87 Che val perché ti racconciasse il freno Iustinïano, se la sella è vòta? Sanz'esso fora la vergogna meno.        90 Ahi gente che dovresti esser devota, e lasciar seder Cesare in la sella, se bene intendi ciò che Dio ti nota,        93 guarda come esta fiera è fatta fella per non esser corretta da li sproni, poi che ponesti mano a la predella.        96 O Alberto tedesco ch'abbandoni costei ch'è fatta indomita e selvaggia, e dovresti inforcar li suoi arcioni,        99 giusto giudicio da le stelle caggia sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto, tal che 'l tuo successor temenza n'aggia!        102 Ch'avete tu e 'l tuo padre sofferto, per cupidigia di costà distretti, che 'l giardin de lo 'mperio sia diserto.        105 Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura: color già tristi, e questi con sospetti!        108 Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura d'i tuoi gentili, e cura lor magagne; e vedrai Santafior com'è oscura!        111 Vieni a veder la tua Roma che piagne vedova e sola, e dì e notte chiama: "Cesare mio, perché non m'accompagne?".        114 Vieni a veder la gente quanto s'ama! e se nulla di noi pietà ti move, a vergognar ti vien de la tua fama.        117 E se licito m'è, o sommo Giove che fosti in terra per noi crucifisso, son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?        120 O è preparazion che ne l'abisso del tuo consiglio fai per alcun bene in tutto de l'accorger nostro scisso?        123 Ché le città d'Italia tutte piene son di tiranni, e un Marcel diventa ogne villan che parteggiando viene.        126 Fiorenza mia, ben puoi esser contenta di questa digression che non ti tocca, mercé del popol tuo che si argomenta.   129 Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca per non venir sanza consiglio a l'arco; ma il popol tuo l' ha in sommo de la bocca.        132 Molti rifiutan lo comune incarco; ma il popol tuo solicito risponde sanza chiamare, e grida: "I' mi sobbarco!".        135 Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde: tu ricca, tu con pace e tu con senno! S'io dico 'l ver, l'effetto nol nasconde.        138 Atene e Lacedemona, che fenno l'antiche leggi e furon sì civili, fecero al viver bene un picciol cenno        141 verso di te, che fai tanto sottili provedimenti, ch'a mezzo novembre non giugne quel che tu d'ottobre fili.        144 Quante volte, del tempo che rimembre, legge, moneta, officio e costume hai tu mutato, e rinovate membre!        147 E se ben ti ricordi e vedi lume, vedrai te somigliante a quella inferma che non può trovar posa in su le piume,        150 ma con dar volta suo dolore scherma

8 X CANTO INFERNO Ora sen va per un secreto calle, tra 'l muro de la terra e li martìri, lo mio maestro, e io dopo le spalle.        3 "O virtù somma, che per li empi giri mi volvi", cominciai, "com'a te piace, parlami, e sodisfammi a' miei disiri.        6 La gente che per li sepolcri giace potrebbesi veder? già son levati tutt'i coperchi, e nessun guardia face".        9 E quelli a me: "Tutti saran serrati quando di Iosafàt qui torneranno coi corpi che là sù hanno lasciati.        12 Suo cimitero da questa parte hanno con Epicuro tutti suoi seguaci, che l'anima col corpo morta fanno.        15 Però a la dimanda che mi faci quinc'entro satisfatto sarà tosto, e al disio ancor che tu mi taci".        18 E io: "Buon duca, non tegno riposto a te mio cuor se non per dicer poco, e tu m' hai non pur mo a ciò disposto".        21 "O Tosco che per la città del foco vivo ten vai così parlando onesto, piacciati di restare in questo loco.        24 La tua loquela ti fa manifesto di quella nobil patrïa natio, a la qual forse fui troppo molesto".        27 Subitamente questo suono uscìo d'una de l'arche; però m'accostai, temendo, un poco più al duca mio.        30 Ed el mi disse: "Volgiti! Che fai? Vedi là Farinata che s'è dritto: da la cintola in sù tutto 'l vedrai".        33 Io avea già il mio viso nel suo fitto; ed el s'ergea col petto e con la fronte com'avesse l'inferno a gran dispitto.        36 E l'animose man del duca e pronte mi pinser tra le sepulture a lui, dicendo: "Le parole tue sien conte".        39 Com'io al piè de la sua tomba fui, guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso, mi dimandò: "Chi fuor li maggior tui?".        42 Io ch'era d'ubidir disideroso, non gliel celai, ma tutto gliel'apersi; ond'ei levò le ciglia un poco in suso;        45 poi disse: "Fieramente furo avversi a me e a miei primi e a mia parte, sì che per due fïate li dispersi".        48 "S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogne parte", rispuos'io lui, "l'una e l'altra fïata; ma i vostri non appreser ben quell'arte".        51 Allor surse a la vista scoperchiata un'ombra, lungo questa, infino al mento: credo che s'era in ginocchie levata.        54 Dintorno mi guardò, come talento avesse di veder s'altri era meco; e poi che 'l sospecciar fu tutto spento,        57 piangendo disse: "Se per questo cieco carcere vai per altezza d'ingegno, mio figlio ov'è? e perché non è teco?".        60 E io a lui: "Da me stesso non vegno: colui ch'attende là, per qui mi mena forse cui Guido vostro ebbe a disdegno".        63 Le sue parole e 'l modo de la pena m'avean di costui già letto il nome; però fu la risposta così piena.        66 Di sùbito drizzato gridò: "Come? dicesti "elli ebbe"? non viv'elli ancora? non fiere li occhi suoi lo dolce lume?".        69 Quando s'accorse d'alcuna dimora ch'io facëa dinanzi a la risposta, supin ricadde e più non parve fora.        72 Ma quell'altro magnanimo, a cui posta restato m'era, non mutò aspetto, né mosse collo, né piegò sua costa;        75 e sé continüando al primo detto, "S'elli han quell'arte", disse, "male appresa, ciò mi tormenta più che questo letto.        78 Ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia de la donna che qui regge, che tu saprai quanto quell'arte pesa.        81 E se tu mai nel dolce mondo regge, dimmi: perché quel popolo è sì empio incontr'a' miei in ciascuna sua legge?".        84 Ond'io a lui: "Lo strazio e 'l grande scempio che fece l'Arbia colorata in rosso, tal orazion fa far nel nostro tempio".        87 Farinata è il primo personaggio a predire l’esilio del poeta: entro quattro anni anche Dante conoscerà bene “quell’arte”(dell’esilio) "S'elli han quell'arte", disse, "male appresa, ciò mi tormenta più che questo letto.        78 Ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia de la donna che qui regge, che tu saprai quanto quell'arte pesa.        81 "Noi veggiam, come quei c' ha mala luce, le cose", disse, "che ne son lontano; cotanto ancor ne splende il sommo duce.        102 Quando s'appressano o son, tutto è vano nostro intelletto; e s'altri non ci apporta, nulla sapem di vostro stato umano.        105 "La mente tua conservi quel ch'udito hai contra te", mi comandò quel saggio; "e ora attendi qui", e drizzò 'l dito:        129 "quando sarai dinanzi al dolce raggio di quella il cui bell'occhio tutto vede, da lei saprai di tua vita il vïaggio".        132 Il ghibellino inoltre spiega come funziona il dono della profezia dei dannati: essi sono come presbiti, cioè conoscono solo gli avvenimenti futuri, e non quelli presenti Nella parte finale del canto Virgilio raccomanda al poeta di ricordarsi la profezia per la spiegazione di Beatrice Poi ch'ebbe sospirando il capo mosso, "A ciò non fu' io sol", disse, "né certo sanza cagion con li altri sarei mosso.        90 Ma fu' io solo, là dove sofferto fu per ciascun di tòrre via Fiorenza, colui che la difesi a viso aperto".        93 "Deh, se riposi mai vostra semenza", prega' io lui, "solvetemi quel nodo che qui ha 'nviluppata mia sentenza.        96 El par che voi veggiate, se ben odo, dinanzi quel che 'l tempo seco adduce, e nel presente tenete altro modo".        99 "Noi veggiam, come quei c' ha mala luce, le cose", disse, "che ne son lontano; cotanto ancor ne splende il sommo duce.        102 Quando s'appressano o son, tutto è vano nostro intelletto; e s'altri non ci apporta, nulla sapem di vostro stato umano.        105 Però comprender puoi che tutta morta fia nostra conoscenza da quel punto che del futuro fia chiusa la porta".        108 Allor, come di mia colpa compunto, dissi: "Or direte dunque a quel caduto che 'l suo nato è co' vivi ancor congiunto;        111 e s'i' fui, dianzi, a la risposta muto, fate i saper che 'l fei perché pensava già ne l'error che m'avete soluto".        114 E già 'l maestro mio mi richiamava; per ch'i' pregai lo spirto più avaccio che mi dicesse chi con lu' istava.        117 Dissemi: "Qui con più di mille giaccio: qua dentro è 'l secondo Federico e 'l Cardinale; e de li altri mi taccio".        120 Indi s'ascose; e io inver' l'antico poeta volsi i passi, ripensando a quel parlar che mi parea nemico.        123 Elli si mosse; e poi, così andando, mi disse: "Perché se' tu sì smarrito?". E io li sodisfeci al suo dimando.        126 "La mente tua conservi quel ch'udito hai contra te", mi comandò quel saggio; "e ora attendi qui", e drizzò 'l dito:        129 "quando sarai dinanzi al dolce raggio di quella il cui bell'occhio tutto vede, da lei saprai di tua vita il vïaggio".        132 Appresso mosse a man sinistra il piede: lasciammo il muro e gimmo inver' lo mezzo per un sentier ch'a una valle fiede,        135 che 'nfin là sù facea spiacer suo lezzo.

9 XV CANTO INFERNO Ma quello ingrato popolo maligno che discese di Fiesole ab antico, e tiene ancor del monte e del macigno,        63 ti si farà, per tuo ben far, nimico; Vecchia fama nel mondo li chiama orbi; gent'è avara, invidiosa e superba: dai lor costumi fa che tu ti forbi.        69 La tua fortuna tanto onor ti serba, che l'una parte e l'altra avranno fame di te; ma lungi fia dal becco l'erba.        72 Ora cen porta l'un de' duri margini; e 'l fummo del ruscel di sopra aduggia, sì che dal foco salva l'acqua e li argini.        3 Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia, temendo 'l fiotto che 'nver' lor s'avventa, fanno lo schermo perché 'l mar si fuggia;        6 e quali Padoan lungo la Brenta, per difender lor ville e lor castelli, anzi che Carentana il caldo senta:        9 a tale imagine eran fatti quelli, tutto che né sì alti né sì grossi, qual che si fosse, lo maestro félli.        12 Già eravam da la selva rimossi tanto, ch'i' non avrei visto dov'era, perch'io in dietro rivolto mi fossi,        15 quando incontrammo d'anime una schiera che venian lungo l'argine, e ciascuna ci riguardava come suol da sera        18 guardare uno altro sotto nuova luna; e sì ver' noi aguzzavan le ciglia come 'l vecchio sartor fa ne la cruna.        21 Così adocchiato da cotal famiglia, fui conosciuto da un, che mi prese per lo lembo e gridò: "Qual maraviglia!".        24 E io, quando 'l suo braccio a me distese, ficcaï li occhi per lo cotto aspetto, sì che 'l viso abbrusciato non difese        27 la conoscenza süa al mio 'ntelletto; e chinando la mano a la sua faccia, rispuosi: "Siete voi qui, ser Brunetto?".        30 E quelli: "O figliuol mio, non ti dispiaccia se Brunetto Latino un poco teco ritorna 'n dietro e lascia andar la traccia".        33 I' dissi lui: "Quanto posso, ven preco; e se volete che con voi m'asseggia, faròl, se piace a costui che vo seco".        36 "O figliuol", disse, "qual di questa greggia s'arresta punto, giace poi cent'anni sanz'arrostarsi quando 'l foco il feggia.        39 Però va oltre: i' ti verrò a' panni; e poi rigiugnerò la mia masnada, che va piangendo i suoi etterni danni".        42 Io non osava scender de la strada per andar par di lui; ma 'l capo chino tenea com'uom che reverente vada.        45 El cominciò: "Qual fortuna o destino anzi l'ultimo dì qua giù ti mena? e chi è questi che mostra 'l cammino?".        48 "Là sù di sopra, in la vita serena", rispuos'io lui, "mi smarri' in una valle, avanti che l'età mia fosse piena.        51 Pur ier mattina le volsi le spalle: questi m'apparve, tornand'ïo in quella, e reducemi a ca per questo calle".        54 Ed elli a me: "Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorïoso porto, se ben m'accorsi ne la vita bella;        57 e s'io non fossi sì per tempo morto, veggendo il cielo a te così benigno, dato t'avrei a l'opera conforto.        60 Ma quello ingrato popolo maligno che discese di Fiesole ab antico, e tiene ancor del monte e del macigno,        63 ti si farà, per tuo ben far, nimico; ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi si disconvien fruttare al dolce fico.        66 Vecchia fama nel mondo li chiama orbi; gent'è avara, invidiosa e superba: dai lor costumi fa che tu ti forbi.        69 La tua fortuna tanto onor ti serba, che l'una parte e l'altra avranno fame di te; ma lungi fia dal becco l'erba.        72 Faccian le bestie fiesolane strame di lor medesme, e non tocchin la pianta, s'alcuna surge ancora in lor letame,        75 in cui riviva la sementa santa di que' Roman che vi rimaser quando fu fatto il nido di malizia tanta".        78 "Se fosse tutto pieno il mio dimando", rispuos'io lui, "voi non sareste ancora de l'umana natura posto in bando;        81 ché 'n la mente m'è fitta, e or m'accora, la cara e buona imagine paterna di voi quando nel mondo ad ora ad ora        84 m'insegnavate come l'uom s'etterna: e quant'io l'abbia in grado, mentr'io vivo convien che ne la mia lingua si scerna.        87 Ciò che narrate di mio corso scrivo, e serbolo a chiosar con altro testo a donna che saprà, s'a lei arrivo.        90 Tanto vogl'io che vi sia manifesto, pur che mia coscïenza non mi garra, ch'a la Fortuna, come vuol, son presto.        93 Non è nuova a li orecchi miei tal arra: però giri Fortuna la sua rota come le piace, e 'l villan la sua marra".        96 Lo mio maestro allora in su la gota destra si volse in dietro e riguardommi; poi disse: "Bene ascolta chi la nota".        99 Né per tanto di men parlando vommi con ser Brunetto, e dimando chi sono li suoi compagni più noti e più sommi.        102 Ed elli a me: "Saper d'alcuno è buono; de li altri fia laudabile tacerci, ché 'l tempo saria corto a tanto suono.        105 In somma sappi che tutti fur cherci e litterati grandi e di gran fama, d'un peccato medesmo al mondo lerci.        108 Priscian sen va con quella turba grama, e Francesco d'Accorso anche; e vedervi, s'avessi avuto di tal tigna brama,        111 colui potei che dal servo de' servi fu trasmutato d'Arno in Bacchiglione, dove lasciò li mal protesi nervi.        114 Di più direi; ma 'l venire e 'l sermone più lungo esser non può, però ch'i' veggio là surger nuovo fummo del sabbione.        117 Gente vien con la quale esser non deggio. Sieti raccomandato il mio Tesoro, nel qual io vivo ancora, e più non cheggio".        120 Poi si rivolse, e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro        123 quelli che vince, non colui che perde. Al vecchio maestro Brunetto Latini è affidata la seconda profezia sull’esilio Ciò che narrate di mio corso scrivo, e serbolo a chiosar con altro testo a donna che saprà, s'a lei arrivo.        90 Non è nuova a li orecchi miei tal arra: I Fiorentini, caratterizzati ancora una volta dall’avarizia, dall’invidia e dalla superbia, saranno “nemici” di Dante, ma né i Bianchi né i Neri riusciranno a toccarlo Il poeta riconosce la seconda profezia, ma per un chiarimento è consapevole di dover aspettare Beatrice

10 XVII CANTO PARADISO Nei canti X e XV dell’Inferno si è detto che Dante deve aspettare Beatrice per conoscere il suo destino, ma di fatto è Cacciaguida ad esporglielo Qual venne a Climenè, per accertarsi di ciò ch'avëa incontro a sé udito, quei ch'ancor fa li padri ai figli scarsi;        3 tal era io, e tal era sentito e da Beatrice e da la santa lampa che pria per me avea mutato sito.        6 Per che mia donna «Manda fuor la vampa del tuo disio», mi disse, «sì ch'ella esca segnata bene de la interna stampa:        9 non perché nostra conoscenza cresca per tuo parlare, ma perché t'ausi a dir la sete, sì che l'uom ti mesca».        12 «O cara piota mia che sì t'insusi, che, come veggion le terrene menti non capere in trïangol due ottusi,        15 così vedi le cose contingenti anzi che sieno in sé, mirando il punto a cui tutti li tempi son presenti;        18 mentre ch'io era a Virgilio congiunto su per lo monte che l'anime cura e discendendo nel mondo defunto,        21 dette mi fuor di mia vita futura parole gravi, avvegna ch'io mi senta ben tetragono ai colpi di ventura;        24 per che la voglia mia saria contenta d'intender qual fortuna mi s'appressa: ché saetta previsa vien più lenta».        27 Così diss' io a quella luce stessa che pria m'avea parlato; e come volle Beatrice, fu la mia voglia confessa.        30 Né per ambage, in che la gente folle già s'inviscava pria che fosse anciso 'Agnel di Dio che le peccata tolle,        33 ma per chiare parole e con preciso latin rispuose quello amor paterno, chiuso e parvente del suo proprio riso:        36 «La contingenza, che fuor del quaderno de la vostra matera non si stende, tutta è dipinta nel cospetto etterno;        39 necessità però quindi non prende se non come dal viso in che si specchia nave che per torrente giù discende.        42 Da indi, sì come viene ad orecchia dolce armonia da organo, mi viene a vista il tempo che ti s'apparecchia.        45 Qual si partio Ipolito d'Atene per la spietata e perfida noverca, tal di Fiorenza partir ti convene.        48 Questo si vuole e questo già si cerca, e tosto verrà fatto a chi ciò pensa là dove Cristo tutto dì si merca.        51 La colpa seguirà la parte offensa in grido, come suol; ma la vendetta fia testimonio al ver che la dispensa.        54 Tu lascerai ogne cosa diletta più caramente; e questo è quello strale che l'arco de lo essilio pria saetta.        57 Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.        60 E quel che più ti graverà le spalle, sarà la compagnia malvagia e scempia con la qual tu cadrai in questa valle;        63 che tutta ingrata, tutta matta ed empia si farà contr' a te; ma, poco appresso, ella, non tu, n'avrà rossa la tempia.        66 Di sua bestialitate il suo processo farà la prova; sì ch'a te fia bello averti fatta parte per te stesso.        69 Ci sono possibili interpretazioni: Infatti Virgilio presume tutto ciò poiché sa che consegnerà Dante a Beatrice, che comunque ben conosce il suo destino La cultura teologica, simboleggiata da Beatrice, è l’unica che può spiegare ciò a cui la ragione umana non arriva E’ Beatrice che, intuendo il desiderio del poeta, lo spinge ad iniziare il dialogo sulle profezie

11 XXIII CANTO PURGATORIO
Mentre che li occhi per la fronda verde ficcava ïo sì come far suole chi dietro a li uccellin sua vita perde,        3 lo più che padre mi dicea: "Figliuole, vienne oramai, ché 'l tempo che n'è imposto più utilmente compartir si vuole".        6 Io volsi 'l viso, e 'l passo non men tosto, appresso i savi, che parlavan sìe, che l'andar mi facean di nullo costo.        9 Ed ecco piangere e cantar s'udìe 'Labïa mëa, Domine' per modo tal, che diletto e doglia parturìe.        12 "O dolce padre, che è quel ch'i' odo?", comincia' io; ed elli: "Ombre che vanno forse di lor dover solvendo il nodo".        15 Sì come i peregrin pensosi fanno, giugnendo per cammin gente non nota, che si volgono ad essa e non restanno,        18 così di retro a noi, più tosto mota, venendo e trapassando ci ammirava d'anime turba tacita e devota.        21 Ne li occhi era ciascuna oscura e cava, palida ne la faccia, e tanto scema che da l'ossa la pelle s'informava.        24 Non credo che così a buccia strema Erisittone fosse fatto secco, per digiunar, quando più n'ebbe tema.        27 Io dicea fra me stesso pensando: 'Ecco la gente che perdé Ierusalemme, quando Maria nel figlio diè di becco!'.        30 Parean l'occhiaie anella sanza gemme: chi nel viso de li uomini legge 'omo' ben avria quivi conosciuta l'emme.        33 Chi crederebbe che l'odor d'un pomo sì governasse, generando brama, e quel d'un'acqua, non sappiendo como?        36 Già era in ammirar che sì li affama, per la cagione ancor non manifesta di lor magrezza e di lor trista squama,        39 ed ecco del profondo de la testa volse a me li occhi un'ombra e guardò fiso; poi gridò forte: "Qual grazia m'è questa?".        42 Mai non l'avrei riconosciuto al viso; ma ne la voce sua mi fu palese ciò che l'aspetto in sé avea conquiso.        45 Questa favilla tutta mi raccese mia conoscenza a la cangiata labbia, e ravvisai la faccia di Forese.        48 "Deh, non contendere a l'asciutta scabbia che mi scolora", pregava, "la pelle, né a difetto di carne ch'io abbia;        51 ma dimmi il ver di te, dì chi son quelle due anime che là ti fanno scorta; non rimaner che tu non mi favelle!".        54 "La faccia tua, ch'io lagrimai già morta, mi dà di pianger mo non minor doglia", rispuos'io lui, "veggendola sì torta.        57 Però mi dì, per Dio, che sì vi sfoglia; non mi far dir mentr'io mi maraviglio, ché mal può dir chi è pien d'altra voglia".        60 Ed elli a me: "De l'etterno consiglio cade vertù ne l'acqua e ne la pianta rimasa dietro, ond'io sì m'assottiglio.        63 Tutta esta gente che piangendo canta per seguitar la gola oltra misura, in fame e 'n sete qui si rifà santa.        66 Di bere e di mangiar n'accende cura l'odor ch'esce del pomo e de lo sprazzo che si distende su per sua verdura.        69 E non pur una volta, questo spazzo girando, si rinfresca nostra pena: io dico pena, e dovria dir sollazzo,        72 ché quella voglia a li alberi ci mena che menò Cristo lieto a dire 'Elì', quando ne liberò con la sua vena".        75 E io a lui: "Forese, da quel dì nel qual mutasti mondo a miglior vita, cinqu' anni non son vòlti infino a qui.        78 Se prima fu la possa in te finita di peccar più, che sovvenisse l'ora del buon dolor ch'a Dio ne rimarita,        81 come se' tu qua sù venuto ancora? Io ti credea trovar là giù di sotto, dove tempo per tempo si ristora".        84 Ond'elli a me: "Sì tosto m' ha condotto a ber lo dolce assenzo d'i martìri la Nella mia con suo pianger dirotto.        87 Con suoi prieghi devoti e con sospiri tratto m' ha de la costa ove s'aspetta, e liberato m' ha de li altri giri.        90 Tanto è a Dio più cara e più diletta la vedovella mia, che molto amai, quanto in bene operare è più soletta;        93 ché la Barbagia di Sardigna assai ne le femmine sue più è pudica che la Barbagia dov'io la lasciai.        96 O dolce frate, che vuo' tu ch'io dica? Tempo futuro m'è già nel cospetto, cui non sarà quest'ora molto antica,        99 nel qual sarà in pergamo interdetto a le sfacciate donne fiorentine l'andar mostrando con le poppe il petto.        102 Quai barbare fuor mai, quai saracine, cui bisognasse, per farle ir coperte, o spiritali o altre discipline?        105 Ma se le svergognate fosser certe di quel che 'l ciel veloce loro ammanna, già per urlare avrian le bocche aperte;        108 ché, se l'antiveder qui non m'inganna, prima fien triste che le guance impeli colui che mo si consola con nanna.        111 Tempo futuro m'è già nel cospetto, cui non sarà quest'ora molto antica,        99 nel qual sarà in pergamo interdetto a le sfacciate donne fiorentine l'andar mostrando con le poppe il petto.        102 Quai barbare fuor mai, quai saracine, cui bisognasse, per farle ir coperte, o spiritali o altre discipline?        105 Ma se le svergognate fosser certe di quel che 'l ciel veloce loro ammanna, già per urlare avrian le bocche aperte;        108 ché, se l'antiveder qui non m'inganna, prima fien triste che le guance impeli colui che mo si consola con nanna.        111 La profezia dell’amico Forese verte sulle pene che subirà la sfacciata società fiorentina, e nel particolare si parla delle donne spudorate La “Barbagia” va in giro col petto scoperto, ma ben presto arriverà il castigo divino, annunciato con il tipico stile apocalittico: la vendetta celeste che si abbatte sui colpevoli, il dubbio sulle proprie doti profetiche, l’indicazione temporale non precisa ma sufficientemente chiara

12 Quasi tutte le profezie hanno come tema la politica e l’esilio, e sono post eventum, cioè sono già state vissute dal Dante auctor: egli ha quindi una visione abbastanza pessimistica del mondo. Fa eccezione la profezia contenuta nel I canto dell’Inferno: in essa c’è la speranza del poeta della venuta di un salvatore, il “veltro”. Anche il sogno profetico del XXVII canto del Purgatorio rappresenta un’eccezione, perché esso prefigura il passaggio di Dante dal Purgatorio al Paradiso.

13 I Canto inferno Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.        3 Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura!        6 Tant'è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch'i' vi trovai, dirò de l'altre cose ch'i' v' ho scorte.        9 Io non so ben ridir com'i' v'intrai, tant'era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai.        12 Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto, là dove terminava quella valle che m'avea di paura il cor compunto,  15 guardai in alto e vidi le sue spalle vestite già de' raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle.        18 Allor fu la paura un poco queta, che nel lago del cor m'era durata la notte ch'i' passai con tanta pieta.        21 E come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l'acqua perigliosa e guata,        24 così l'animo mio, ch'ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva.        27 Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso, ripresi via per la piaggia diserta, sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso.        30 Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta, una lonza leggera e presta molto, che di pel macolato era coverta;        33 e non mi si partia dinanzi al volto, anzi 'mpediva tanto il mio cammino, ch'i' fui per ritornar più volte vòlto.        36 Temp'era dal principio del mattino, e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle ch'eran con lui quando l'amor divino        39 mosse di prima quelle cose belle; sì ch'a bene sperar m'era cagione di quella fiera a la gaetta pelle        42 l'ora del tempo e la dolce stagione; ma non sì che paura non mi desse la vista che m'apparve d'un leone.        45 Questi parea che contra me venisse con la test'alta e con rabbiosa fame, sì che parea che l'aere ne tremesse.        48 Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza, e molte genti fé già viver grame,        51 questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch'uscia di sua vista, ch'io perdei la speranza de l'altezza.        54 E qual è quei che volontieri acquista, e giugne 'l tempo che perder lo face, che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;        57 tal mi fece la bestia sanza pace, che, venendomi 'ncontro, a poco a poco mi ripigneva là dove 'l sol tace.        60 Mentre ch'i' rovinava in basso loco, dinanzi a li occhi mi si fu offerto chi per lungo silenzio parea fioco.        63 Quando vidi costui nel gran diserto, "Miserere di me", gridai a lui, "qual che tu sii, od ombra od omo certo!".        66 Rispuosemi: "Non omo, omo già fui, e li parenti miei furon lombardi, mantoani per patrïa ambedui.        69 Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi, e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.        72 Poeta fui, e cantai di quel giusto figliuol d'Anchise che venne di Troia, poi che 'l superbo Ilïón fu combusto.        75 Ma tu perché ritorni a tanta noia? perché non sali il dilettoso monte ch'è principio e cagion di tutta gioia?".        78 "Or se' tu quel Virgilio e quella fonte che spandi di parlar sì largo fiume?", rispuos'io lui con vergognosa fronte.        81 "O de li altri poeti onore e lume, vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore che m' ha fatto cercar lo tuo volume.        84 Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore, tu se' solo colui da cu' io tolsi lo bello stilo che m' ha fatto onore.        87 Vedi la bestia per cu' io mi volsi; aiutami da lei, famoso saggio, ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi".        90 "A te convien tenere altro vïaggio", rispuose, poi che lagrimar mi vide, "se vuo' campar d'esto loco selvaggio;        93 ché questa bestia, per la qual tu gride, non lascia altrui passar per la sua via, ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide;        96 e ha natura sì malvagia e ria, che mai non empie la bramosa voglia, e dopo 'l pasto ha più fame che pria.        99 Molti son li animali a cui s'ammoglia, e più saranno ancora, infin che 'l veltro verrà, che la farà morir con doglia.        102 Questi non ciberà terra né peltro, ma sapïenza, amore e virtute, e sua nazion sarà tra feltro e feltro.        105 Di quella umile Italia fia salute per cui morì la vergine Cammilla, Eurialo e Turno e Niso di ferute.        108 Questi la caccerà per ogne villa, fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno, là onde 'nvidia prima dipartilla.        111 Ond'io per lo tuo me' penso e discerno che tu mi segui, e io sarò tua guida, e trarrotti di qui per loco etterno;        114 ove udirai le disperate strida, vedrai li antichi spiriti dolenti, ch'a la seconda morte ciascun grida;        117 e vederai color che son contenti nel foco, perché speran di venire quando che sia a le beate genti.        120 La società del XIV secolo è corrotta e macchiata dal peccato: le tre fiere, in particolare la lupa, cioè l’avidità, hanno la meglio su Dante, rappresentante l’umanità intera Molti son li animali a cui s'ammoglia, e più saranno ancora, infin che 'l veltro verrà, che la farà morir con doglia.        102 Questi non ciberà terra né peltro, ma sapïenza, amore e virtute, e sua nazion sarà tra feltro e feltro.        105 Di quella umile Italia fia salute per cui morì la vergine Cammilla, Eurialo e Turno e Niso di ferute.        108 Questi la caccerà per ogne villa, fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno, là onde 'nvidia prima dipartilla.        111 Per risolvere questa grave situazione verrà un “veltro”, un salvatore, che sconfiggerà la lupa L’espressione “tra feltro e feltro” allude probabilmente alle umili origini del salvatore, o alla sua provenienza dal Nord Italia (tra Feltre e Montefeltro) Ipotesi sul veltro: Papa Benedetto XI o un francescano Cangrande o addirittura Dante stesso Arrigo VII

14 XXVII CANTO PURGATORIO
Sì come quando i primi raggi vibra là dove il suo fattor lo sangue sparse, cadendo Ibero sotto l'alta Libra,        3 e l'onde in Gange da nona rïarse, sì stava il sole; onde 'l giorno sen giva, come l'angel di Dio lieto ci apparse.        6 Fuor de la fiamma stava in su la riva, e cantava 'Beati mundo corde!' in voce assai più che la nostra viva.        9 Poscia "Più non si va, se pria non morde, anime sante, il foco: intrate in esso, e al cantar di là non siate sorde",        12 ci disse come noi li fummo presso; per ch'io divenni tal, quando lo 'ntesi, qual è colui che ne la fossa è messo.        15 In su le man commesse mi protesi, guardando il foco e imaginando forte umani corpi già veduti accesi.        18 Volsersi verso me le buone scorte; e Virgilio mi disse: "Figliuol mio, qui può esser tormento, ma non morte.        21 Ricorditi, ricorditi! E se io sovresso Gerïon ti guidai salvo, che farò ora presso più a Dio?        24 Credi per certo che se dentro a l'alvo di questa fiamma stessi ben mille anni, non ti potrebbe far d'un capel calvo.        27 E se tu forse credi ch'io t'inganni, fatti ver' lei, e fatti far credenza con le tue mani al lembo d'i tuoi panni.        30 Pon giù omai, pon giù ogne temenza; volgiti in qua e vieni: entra sicuro!". E io pur fermo e contra coscïenza.        33 Quando mi vide star pur fermo e duro, turbato un poco disse: "Or vedi, figlio: tra Bëatrice e te è questo muro".        36 Come al nome di Tisbe aperse il ciglio Piramo in su la morte, e riguardolla, allor che 'l gelso diventò vermiglio;        39 così, la mia durezza fatta solla, mi volsi al savio duca, udendo il nome che ne la mente sempre mi rampolla.        42 Ond'ei crollò la fronte e disse: "Come! volenci star di qua?"; indi sorrise come al fanciul si fa ch'è vinto al pome.        45 Poi dentro al foco innanzi mi si mise, pregando Stazio che venisse retro, che pria per lunga strada ci divise.        48 Sì com' fui dentro, in un bogliente vetro gittato mi sarei per rinfrescarmi, tant'era ivi lo 'ncendio sanza metro.        51 Lo dolce padre mio, per confortarmi, pur di Beatrice ragionando andava, dicendo: "Li occhi suoi già veder parmi".        54 Guidavaci una voce che cantava di là; e noi, attenti pur a lei, venimmo fuor là ove si montava.        57 'Venite, benedicti Patris mei', sonò dentro a un lume che lì era, tal che mi vinse e guardar nol potei.        60 "Lo sol sen va", soggiunse, "e vien la sera; non v'arrestate, ma studiate il passo, mentre che l'occidente non si annera".        63 Dritta salia la via per entro 'l sasso verso tal parte ch'io toglieva i raggi dinanzi a me del sol ch'era già basso.        66 E di pochi scaglion levammo i saggi, che 'l sol corcar, per l'ombra che si spense, sentimmo dietro e io e li miei saggi.        69 E pria che 'n tutte le sue parti immense fosse orizzonte fatto d'uno aspetto, e notte avesse tutte sue dispense,        72 ciascun di noi d'un grado fece letto; ché la natura del monte ci affranse la possa del salir più e 'l diletto.        75 Quali si stanno ruminando manse le capre, state rapide e proterve sovra le cime avante che sien pranse,        78 tacite a l'ombra, mentre che 'l sol ferve, guardate dal pastor, che 'n su la verga poggiato s'è e lor di posa serve;        81 e quale il mandrïan che fori alberga, lungo il pecuglio suo queto pernotta, guardando perché fiera non lo sperga;        84 tali eravamo tutti e tre allotta, io come capra, ed ei come pastori, fasciati quinci e quindi d'alta grotta.        87 Poco parer potea lì del di fori; ma, per quel poco, vedea io le stelle di lor solere e più chiare e maggiori.        90 Sì ruminando e sì mirando in quelle, mi prese il sonno; il sonno che sovente, anzi che 'l fatto sia, sa le novelle.        93 Ne l'ora, credo, che de l'orïente prima raggiò nel monte Citerea, che di foco d'amor par sempre ardente,        96 giovane e bella in sogno mi parea donna vedere andar per una landa cogliendo fiori; e cantando dicea:        99 "Sappia qualunque il mio nome dimanda ch'i' mi son Lia, e vo movendo intorno le belle mani a farmi una ghirlanda.        102 Per piacermi a lo specchio, qui m'addorno; ma mia suora Rachel mai non si smaga dal suo miraglio, e siede tutto giorno.        105 Ell'è d'i suoi belli occhi veder vaga com'io de l'addornarmi con le mani; lei lo vedere, e me l'ovrare appaga".        108 E già per li splendori antelucani, che tanto a' pellegrin surgon più grati, quanto, tornando, albergan men lontani,        111 le tenebre fuggian da tutti lati, e 'l sonno mio con esse; ond'io leva' mi, veggendo i gran maestri già levati.        114 "Quel dolce pome che per tanti rami cercando va la cura de' mortali, oggi porrà in pace le tue fami".        117 Virgilio inverso me queste cotali parole usò; e mai non furo strenne che fosser di piacere a queste iguali.        120 Tanto voler sopra voler mi venne de l'esser sù, ch'ad ogne passo poi al volo mi sentia crescer le penne.        123 Come la scala tutta sotto noi fu corsa e fummo in su 'l grado superno, in me ficcò Virgilio li occhi suoi,        126 e disse: "Il temporal foco e l'etterno veduto hai, figlio; e se' venuto in parte dov'io per me più oltre non discerno.        129 Dante si addormenta ed ha una visione onirica: sogna due donne Lia, moglie di Giacobbe, simbolo della vita attiva = ragione Rachele, sorella di Lia, simbolo della vita contemplativa = fede Solo grazie all’unione di fede e ragione potrà raggiungere il Paradiso Da notare la precisa collocazione temporale del sogno: all’alba, inoltre quando Dante si trova vicino all’Eden, e quindi al Paradiso

15 Nella seconda parte del XVII canto del Paradiso si chiude il percorso sulle profezie: per il poeta ci sarà una consolazione Sarà ospitato dalle personalità squisite dei Della Scala Il ponte fra l’esilio e le profezie è proprio Cangrande A Dante viene data l’investitura di poeta-profeta L’investitura gli viene data da Cacciaguida: il suo avo, un martire, un crociato, un santo Il Dante auctor si fonde col Dante agens: l’intero viaggio è una visione profetica che il poeta dovrà raccontare sulla Terra per salvare l’umanità, come gli apostoli hanno diffuso la buona novella

16 A lui t'aspetta e a' suoi benefici; per lui fia trasmutata molta gente, cambiando condizion ricchi e mendici;        90 e portera'ne scritto ne la mente di lui, e nol dirai»; e disse cose incredibili a quei che fier presente.        93 Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose di quel che ti fu detto; ecco le 'nsidie che dietro a pochi giri son nascose.        96 Non vo' però ch'a' tuoi vicini invidie, poscia che s'infutura la tua vita vie più là che 'l punir di lor perfidie».        99 XVII CANTO PARADISO Dopo il dolore provato per l’esilio, Dante troverà disponibilità e accoglienza presso i Della Scala, in particolare Cangrande Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello sarà la cortesia del gran Lombardo che 'n su la scala porta il santo uccello;        72 ch'in te avrà sì benigno riguardo, che del fare e del chieder, tra voi due, fia primo quel che tra li altri è più tardo.        75 Con lui vedrai colui che 'mpresso fue, nascendo, sì da questa stella forte, che notabili fier l'opere sue.        78 Non se ne son le genti ancora accorte per la novella età, ché pur nove anni son queste rote intorno di lui torte;        81 ma pria che 'l Guasco l'alto Arrigo inganni, parran faville de la sua virtute in non curar d'argento né d'affanni.        84 Le sue magnificenze conosciute saranno ancora, sì che ' suoi nemici non ne potran tener le lingue mute.        87 A lui t'aspetta e a' suoi benefici; per lui fia trasmutata molta gente, cambiando condizion ricchi e mendici;        90 e portera'ne scritto ne la mente di lui, e nol dirai»; e disse cose incredibili a quei che fier presente.        93 Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose di quel che ti fu detto; ecco le 'nsidie che dietro a pochi giri son nascose.        96 Non vo' però ch'a' tuoi vicini invidie, poscia che s'infutura la tua vita vie più là che 'l punir di lor perfidie».        99 Poi che, tacendo, si mostrò spedita l'anima santa di metter la trama in quella tela ch'io le porsi ordita,        102 io cominciai, come colui che brama, dubitando, consiglio da persona che vede e vuol dirittamente e ama:        105 «Ben veggio, padre mio, sì come sprona lo tempo verso me, per colpo darmi tal, ch'è più grave a chi più s'abbandona;        108 per che di provedenza è buon ch'io m'armi, sì che, se loco m'è tolto più caro, io non perdessi li altri per miei carmi.        111 Giù per lo mondo sanza fine amaro, e per lo monte del cui bel cacume li occhi de la mia donna mi levaro,        114 e poscia per lo ciel, di lume in lume, ho io appreso quel che s'io ridico, a molti fia sapor di forte agrume;        117 e s'io al vero son timido amico, temo di perder viver tra coloro che questo tempo chiameranno antico».        120 La luce in che rideva il mio tesoro ch'io trovai lì, si fé prima corusca, quale a raggio di sole specchio d'oro;        123 indi rispuose: «Coscïenza fusca o de la propria o de l'altrui vergogna pur sentirà la tua parola brusca.        126 Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, tutta tua visïon fa manifesta; e lascia pur grattar dov' è la rogna.        129 Ché se la voce tua sarà molesta nel primo gusto, vital nodrimento lascerà poi, quando sarà digesta.        132 Questo tuo grido farà come vento, che le più alte cime più percuote; e ciò non fa d'onor poco argomento.        135 Però ti son mostrate in queste rote, nel monte e ne la valle dolorosa pur l'anime che son di fama note,        138 che l'animo di quel ch'ode, non posa né ferma fede per essempro ch'aia la sua radice incognita e ascosa,        141 né per altro argomento che non paia». indi rispuose: «Coscïenza fusca o de la propria o de l'altrui vergogna pur sentirà la tua parola brusca.        126 Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, tutta tua visïon fa manifesta; e lascia pur grattar dov' è la rogna.        129 Ché se la voce tua sarà molesta nel primo gusto, vital nodrimento lascerà poi, quando sarà digesta.        132 Questo tuo grido farà come vento, che le più alte cime più percuote; e ciò non fa d'onor poco argomento.        135 L’espressione: “e portera'ne scritto ne la mente di lui, e nol dirai “ segue la tradizione del genere apocalittico-profetico, infatti c’è sia la rivelazione sia l’ordine di non rivelarla, ma è anche indice di una profezia ante eventum: in particolare le seguenti “cose incredibili” rispecchiano le speranze di Dante Nel congedo finale Cacciaguida affida a Dante la missione profetica: il poeta-profeta racconterà ciò che ha visto nel suo viaggio ultraterreno per rendere consapevole l’umanità delle pene e delle beatitudini divine: così facendo la riporterà sulla retta via. L’onore che ne riceverà sarà grande Finite le profezie, Cacciaguida non vuole che il poeta serbi rancore: la malvagità sarà infatti punita

17 Le Profezie: Schema Riassuntivo
Canti Personaggi-Profeti Temi Paradiso XVII Parte 1, Inferno VI, Purgatorio VI Purgatorio XXIII Cacciaguida, Ciacco, Dante Forese Donati La corruzione del mondo(da Firenze, all’Italia, all’Impero) Paradiso XVII Parte 1, Inferno X, Inferno XV Farinata degli Uberti, Brunetto Latini L’esilio di Dante Inferno I, Purgatorio XXVII, Paradiso XVII Parte 2 Virgilio, Sogno, Cacciaguida Speranza di salvezza, Fede e Ragione, L’investitura poeta-profeta di Dante e la sua missione che causa esperienze necessaria per

18 Presentazione sviluppata da:
Yuri Gabriel Sneider Matteo Vommaro IIIF E per concludere…


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