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Biologia Molecolare e Biochimica

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Presentazione sul tema: "Biologia Molecolare e Biochimica"— Transcript della presentazione:

1 Biologia Molecolare e Biochimica
Monica Bianchini Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e Scienze Matematiche “La scienza non può risolvere il mistero ultimo della natura. E ciò perché, in ultima analisi, noi stessi facciamo parte del mistero che stiamo cercando di risolvere.” (M. Planck)

2 Sommario Introduzione Il materiale genetico
Struttura del gene e contenuto informativo Struttura e funzione proteica La natura dei legami chimici Strumenti per la biologia molecolare Contenuto informativo del genoma

3 Introduzione  1 La caratteristica dominante degli organismi vi-venti è la loro capacità di conservare, utilizzare e trasmettere le informazioni La Bioinformatica mira a: determinare quali informazioni sono biologicamente significative decifrare come vengono usate per il controllo della chimica degli organismi viventi

4 Introduzione  2 La Bioinformatica è una disciplina che si situa all’incrocio tra la Biologia, l’Informatica e le nuove tecnologie È caratterizzata dall’applicazione di metodi mate-matici, statistici, computazionali all’analisi di dati biologici, biochimici e biofisici Principale soggetto di studio è il DNA, ma con il diffondersi di tecniche sempre più economiche ed efficaci per acquisire dati proteici, anch’essi sono diventati disponibili all’analisi bioinformatica

5 Introduzione  3 Nella Bioinformatica, si possono individuare tre principali sottosettori: Sviluppo e implementazione di strumenti per conservare, analizzare e gestire dati Creazione di biobanche, database management Analisi e interpretazione dei dati per individuare informazioni Data mining Sviluppo di nuovi algoritmi per estrarre/verificare le relazioni tra un gran numero di informazioni Metodi statistici, intelligenza artificiale

6 Introduzione  4 La Bioinformatica è quindi…
l’insieme di metodi e strumenti informatici e delle ricerche di base e applicate che li utilizzano, che si sviluppano nei diversi settori della Biologia, della Chimica e della Medicina Sono oggetto della Bioinformatica: le tecniche di realizzazione di banche dati utili alla ricerca biomedica ed i software necessari per la loro interrogazione gli strumenti, tipici dell’intelligenza artificiale e della statistica, che consentono l’analisi di tali dati e l’individuazione/estrazione automatica di informa-zioni originali

7 Il materiale genetico  1
Il DNA (acido desossiribonucleico) è il materiale genetico È infatti l’informazione contenuta nel DNA che permette l’organizzazione di molecole inanimate in cellule viventi e in organismi capaci di regolare la propria composizione chimica interna e la propria crescita e riproduzione È inoltre il DNA che ci garantisce l’ereditarietà delle caratteristiche somatiche dei nostri avi, tramite la trasmissione dei geni

8 Il materiale genetico  2
I geni contengono l’informazione, sotto forma di specifiche sequenze nucleotidiche che costituisco-no le molecole del DNA Le molecole del DNA utilizzano solo quattro basi azotate, guanina, adenina, timina e citosina (G,A,T,C), a cui sono attaccati un gruppo fosfato (PO4) ed uno zucchero desossiribosio (C5H10O4), a formare un nucleotide Guanina Adenina Timina Citosina

9 Il materiale genetico  3
Tutta l’informazione contenuta nei geni deriva dal-l’ordine in cui i quattro nucleotidi si trovano lungo la molecola di DNA Geni complicati possono essere composti da centinaia di nucleotidi Il codice genetico di un organismo, detto genoma, è conservato in milioni/miliardi di nucleotidi Struttura chimica dell’Adenosina 5’ monofosfato: ogni nucleotide è composto da tre parti, un gruppo fosfato, uno zucchero desossiribosio centrale ed una delle quattro basi azotate

10 Il materiale genetico  4
Stringhe di nucleotidi possono essere unite tra loro a formare lunghe catene polinucleotidiche e, su larga scala, un cromosoma L’unione di due nucleotidi avviene attraverso la formazione di legami fosfodiestere, che uniscono il gruppo fosfato di un nucleotide allo zucchero desossiribosio di un altro nucleotide I legami estere coinvolgono collegamenti mediati da atomi di ossigeno I legami fosfodiestere si hanno quando un atomo di fosforo di un gruppo fosfato lega due molecole tramite due legami estere

11 Il materiale genetico  5
I nucleotidi del DNA sono uniti tra loro mediante legami covalenti fra i gruppi ossidrile (OH) in 5’ e 3’: l’alternanza dei residui fosfato e dei pentosi forma lo scheletro degli acidi nucleici

12 Il materiale genetico  6
Tutti gli esseri viventi formano legami fosfodie-stere esattamente allo stesso modo Ognuno dei cinque atomi di carbonio del desossi-ribosio  pentosio  ha assegnato un numero d’ordine (da 1’ a 5’)

13 Il materiale genetico  7
I gruppi fosfato di ogni nucleotide libero si trova-no sempre legati al carbonio 5’ dello zucchero I gruppi fosfato fanno da ponte tra il carbonio 5’ del desossiribosio di un nuovo nucleotide e il carbo-nio 3’ di una catena polinucleotidica preesistente Una stringa di nucleotidi termina sempre con un carbonio 5’, mentre all’altra terminazione della molecola vi è un carbonio 3’ libero L’orientamento della molecola del DNA è fonda-mentale per decifrare il contenuto informativo della cellula

14 Il materiale genetico  8
Un tema comune a tutti i siste-mi biologici, ed a tutti i livelli, è l’idea che struttura e funzione siano intimamente correlate La scoperta di J. Watson e F. Crick (1953) che la molecola di DNA all’interno delle cellule so-litamente esistesse come mole-cola a doppio filamento fornì un inestimabile indizio su come il DNA potesse agire come mate-riale genetico J. Watson e F. Crick (Nobel per la Medicina con M. Wilkinson, 1962)

15 Il materiale genetico  9
Il DNA è dunque costituito da due filamenti e l’informazione contenuta in un filamento è ridondante rispetto all’infor-mazione contenuta nell’altro Il DNA può essere replicato e trasmesso fedelmente da una generazione all’altra separan-do i due filamenti e usandone ciascuno come stampo per la sintesi di un nuovo filamento

16 Il materiale genetico  10
(Single Strand Binding Protein) Durante la duplicazione del DNA, il doppio filamento viene separato per mezzo dell’elicasi; ogni filamento di DNA serve come stampo per la sintesi di un nuovo filamento, prodotto grazie alla DNA polimerasi

17 Il materiale genetico  11
Più esattamente: l’informazione contenuta nei due filamenti del DNA è complementare Per ogni G di un filamento si trova una C sul filamento complementare e viceversa Per ogni A di un filamento si trova una T sul filamento complementare e viceversa L’interazione tra G e C e tra A e T è specifica e stabile Nello spazio presente fra due filamenti di DNA (11Å), la guanina, con la sua struttura a doppio anello, è troppo grande per accoppiarsi con il doppio anello dell’adenina o di un’altra guanina La timina, con la sua struttura ad anello singolo, è troppo piccola per interagire con un’altra base a singolo anello (citosina o timina)

18 Il materiale genetico  12
Lo spazio tra i due filamenti di DNA non è una barriera all’interazione tra G e T, né tra A e C, ma la loro natura chimica le rende incompatibili Due legami idrogeno L’interazione chimica che si forma tra i due diversi tipi di coppie è così stabile ed energeticamente favorevole che da sola è responsabile dell’unione dei due filamenti complementari Tre legami idrogeno

19 Il materiale genetico  13
I due filamenti della molecola di DNA non hanno lo stesso orientamento (5’/3’): sono antiparalleli, con l’estremità 5’ di un filamento che corrisponde all’estremità 3’ del filamento complementare e viceversa

20 Il materiale genetico  14
Esempio Se la sequenza nucleotidica di un filamento è 5’GTATCC3’, la sequenza del filamento comple-mentare sarà 3’CATAGG5’ (o, per convenzione, 5’GGATAC3’) Sequenze caratteristiche poste in posizione 5’ rispetto ad un dato punto di riferimento sono comunemente definite upstream (a monte), quel-le in posizione 3’ si dicono invece downstream (a valle)

21 Il dogma centrale della biologia molecolare  1
Benché la specifica sequenza nucleotidica di una molecola di DNA contenga importanti informa-zioni, sono gli enzimi che, agendo come cataliz-zatori, compiono il lavoro di modifica della chimi-ca della cellula I catalizzatori sono molecole che permettono a specifiche reazioni chimiche di procedere più velocemente: non si consumano, né si alterano, e possono quindi essere utilizzati più volte per catalizzare la stessa reazione

22 Il dogma centrale della biologia molecolare  2
I geni contengono le istruzioni necessarie per realizzare i catalizzatori enzimatici prodotti dalla cellula Il processo di estrazione dell’informazione dalla sequenza nucleotidica di un gene per la costru-zione degli enzimi è comune a tutti gli esseri viventi Più in dettaglio: l’informazione conservata nel DNA è utilizzata per sintetizzare una molecola transitoria polinucleotide a singolo filamento, det-ta RNA (acido ribonucleico), che è a sua volta utilizzata per sintetizzare le proteine

23 Il dogma centrale della biologia molecolare  3
Il processo di copia di un gene in RNA è chiamato trascrizione ed è realizzato attraverso l’attività enzimatica di una RNA polimerasi Corrispondenza unoaduno tra i nucleotidi G, A, U (uracile), C dell’RNA e G, A, T, C del DNA Il processo di conversione dalla sequenza nucleo-tidica dell’RNA alla sequenza aminoacidica che costituisce le proteine è chiamato traduzione, ed è svolto da un complesso di proteine ed RNA, detto ribosoma RNA-polimerasi Ribosomi DNA-polimerasi

24 Il dogma centrale della biologia molecolare  4
Trascrizione da DNA a RNA tramite RNA polimerasi

25 La struttura del gene  1 Tutte le cellule interpretano le istruzioni gene-tiche allo stesso modo, grazie alla presenza di segnali specifici usati come segni di interpunzione fra geni Il “linguaggio” del DNA è stato elaborato all’inizio della storia della vita sulla terra ed ha subito poche modifiche nel corso di milioni di anni Sia gli organismi procarioti (batteri), sia gli eucarioti (organismi complessi) utilizzano lo stes-so alfabeto di nucleotidi e lo stesso formato ed approccio per immagazzinare e utilizzare l’infor-mazione genetica

26 La struttura del gene  2 Struttura di una cellula procariotica (a sinistra) e di una cellula eucariotica animale (a destra)

27 La struttura del gene  3 L’espressione genica è il processo che utilizza l’informazione conservata nel DNA per costruire una molecola di RNA che codifica a sua volta una proteina Costo energetico significativo per la cellula Gli organismi che esprimono proteine inutili competono sfavorevolmente per la sopravvivenza rispetto agli organismi che regolano la propria espressione genica in modo più efficace Le RNA polimerasi sono responsabili dell’attiva-zione dell’espressione genica attraverso la sintesi di copie di RNA del gene

28 La struttura del gene  4 Le RNA polimerasi devono:
distinguere in modo affidabile l’inizio del gene determinare quali geni codificano proteine necessarie L’RNA polimerasi non può cercare un particolare nucleotide perché ogni nucleotide si trova casual-mente in qualsiasi parte del DNA Le RNA polimerasi procariotiche esaminano una sequenza di DNA cercando uno specifico insieme di 13 nucleotidi 1 nucleotide serve come sito d’inizio per la trascrizione 6 nucleotidi sono posti 10 nucleotidi a monte del sito d’inizio 6 nucleotidi sono posti 35 nucleotidi a monte del sito d’inizio Sequenza promotrice del gene

29 La struttura del gene  5 Poiché i genomi procariotici sono lunghi solo pochi milioni di nucleotidi, le sequenze promo-trici, che si possono trovare casualmente solo una volta ogni 70 milioni di nucleotidi, permet-tono all’RNA polimerasi di identificare in modo statisticamente affidabile l’inizio del gene Il genoma degli eucarioti è di diversi ordini di grandezza più lungo: le RNA polimerasi devono riconoscere sequenze promotrici più lunghe e complesse per individuare l’inizio di un gene

30 La struttura del gene  6 Due biochimici francesi, F. Jacob e J. Monod, furono i primi ad ottenere evidenza sperimentale su come le cellule distinguano tra geni che debbano o meno essere trascritti Il loro lavoro sulla regolazione dei geni procariotici (Nobel 1965) rivelò che l’espressione dei geni strutturali (che codificano per proteine coinvolte nella struttura o nel metabolismo cellulare) è controllata da specifici geni regolatori Le proteine codificate dai geni regolatori sono in grado di legarsi al DNA cellulare solo vicino alla sequenza promotrice  e solo se lo richiede l’interazione con l’am-biente esterno  dei geni strutturali la cui espressione esse controllano

31 La struttura del gene  7 Quando il legame fra DNA e proteine rende più facile l’inizio della trascrizione da parte dell’RNA polimerasi, si dice che è avvenuta una regolazio-ne positiva, negativa quando il legame impedisce invece la trascrizione I geni strutturali procariotici sono attivati/disattivati da una o due proteine regolatrici Gli eucarioti utilizzano un complesso di sette (o più) proteine

32 Il codice genetico  1 Mentre i nucleotidi sono le unità fondamentali utilizzate dalla cellula per conservare le informa-zioni (DNA) e per costruire le molecole atte a trasferirle (RNA), gli aminoacidi sono le unità fondamentali costitutive delle proteine La funzione di una proteina è fortemente dipen-dente dall’ordine in cui gli aminoacidi sono legati dai ribosomi durante la traduzione Struttura chimica di un aminoacido: il gruppo amminico, il carbonio , ed il gruppo carbossilico sono identici per tutti gli aminoacidi, che si differenziano invece in base al gruppo R (catena laterale)

33 Il codice genetico  2 Tuttavia, se per costruire le molecole di DNA ed RNA vengono utilizzati solo 4 nucleotidi, per la sintesi delle proteine si hanno 20 aminoacidi

34 Il codice genetico  3 Pertanto, non vi può essere corrispondenza uno auno tra i nucleotidi dei geni e gli aminoacidi delle proteine che essi codificano, ne vi può essere corrispondenza fra coppie di nucleotidi (16 al più) e aminoacidi È necessario che i ribosomi utilizzino un codice a triplette Con tre sole eccezioni, ogni gruppo di tre nucleotidi, un codone, in una copia di RNA della porzione codificante di un gene corrisponde ad uno specifico aminoacido I tre codoni che non indicano al ribosoma di inserire un aminoacido sono i codoni di stop

35 Il codice genetico  4 Per un limitato numero di geni batterici, il codone UGA codifica un ventunesimo aminoacido, la selenocisteina; un ventiduesimo aminoacido, la pirrolisina, è codificata da UAG in qualche specie batterica ed eucariotica

36 Il codice genetico  5 Gli aminoacidi sono classificati in quattro diverse categorie Gruppi R non polari, idrofobici: glicina, alanina, valina, leucina, isoleucina, metionina, fenilalanina, triptofano, prolina Gruppi R polari, idrofilici: serina, treonina, cisteina, tirosina, asparagina, glutammina Acidi (carica elettrica negativa): acido aspartico, acido glutammico Basici (carica elettrica positiva): lisina, arginina, istidina

37 Il codice genetico  6

38 Il codice genetico  7 Ben 18 aminoacidi su 20 sono codificati da più di un codone: questa caratteristica del codice gene-tico è detta degenerazione Un singolo cambiamento all’interno di un codone non è di solito sufficiente a causare la codifica di un aminoacido di categoria diversa Ovvero, durante la replicazione/trascrizione del DNA si possono compiere errori che non hanno effetto sulla composizione aminoacidica della proteina Il codice genetico è molto robusto e minimizza le conseguenze dei possibili errori presenti nella sequenza nucleotidica, evitandone il ripercuotersi sulla funzione della proteina codificata

39 Il codice genetico  8 La traduzione, ad opera dei ribosomi, avviene a partire da un sito d’inizio, posto sulle copie di RNA di un gene, e procede fino al primo codone di stop Il codone d’inizio è costituito dalla tripletta AUG (che codifica anche la metionina), sia negli eucarioti che nei procarioti La traduzione è accurata solo quando i ribosomi esaminano i codoni all’interno della cornice di lettura (delimitata da codone d’iniziocodone di stop) L’alterazione della cornice di lettura di un gene cambia ogni aminoacido posto a valle dell’alterazione stessa e causa solitamente la produzione di una versione troncata della proteina

40 Il codice genetico  9 La maggior parte dei geni codificano per proteine lunghe centinaia di aminoacidi Dato che, in una sequenza generata casualmente, i codoni di stop si hanno circa ogni 20 triplette (3 codoni su 64), le cornici di lettura dei geni presentano solitamente sequenze molto lunghe in cui non si presentano codoni di stop Cornici di lettura aperte (Open Reading Frame  ORF): sono una caratteristica distintiva di molti geni procariotici ed eucariotici

41 Introni ed esoni  1 Le copie di RNA messaggero, mRNA, dei geni procariotici corrispondono perfettamente alle sequenze di DNA presenti nel genoma, con l’eccezione dell’ura-cile, che viene utilizzato al posto della timina, mentre le fasi di trascrizione e traduzione sono parzialmente sovrapposte Negli eucarioti, le due fasi dell’espressione genica sono fisicamente separate dalla membrana nucleare: la trascrizione avviene nel nucleo, la traduzione solo dopo che l’mRNA è stato trasportato nel citoplasma Le molecole di RNA trascritte dalla polimerasi eucariotica possono essere modificate prima che i ribosomi le traducano

42 Introni ed esoni  2 La modificazione più evidente che subisce il trascritto primario dei geni eucariotici è lo splicing, che prevede il taglio degli introni ed il ricongiungimento degli esoni che li affiancano Molti geni eucariotici hanno un numero di introni assai elevato Esempio: il gene associato al-la fibrosi cistica ha 24 introni ed è lungo più di un milione di coppie di basi, mentre l’mRNA tradotto dai ribosomi è costi-tuito da circa mille coppie di basi

43 Introni ed esoni  3

44 Introni ed esoni  4 La grande maggioranza degli introni eucariotici è conforme alla regola GTAG, secondo cui gli introni iniziano con il dinucleotide GT e terminano con il dinucleotide AG Il fallimento del corretto splicing degli introni dal trascritto primario di RNA eucariotico può: introdurre uno spostamento della cornice di lettura generare un incontro prematuro con un codone di stop Inutilizzabilità della proteina tradotta

45 Introni ed esoni  5 Le coppie di nucleotidi sono statisticamente troppo frequenti per essere considerate un segnale sufficiente per il riconoscimento degli introni da parte dello splicesoma Si esaminano altri sei nucleotidi addizionali alle termi-nazioni 5’ e 3’, che possono essere diversi per cellule diverse Splicing alternativo: incremento della diversità proteica causato da modificazione dello splicesoma e delle proteine accessorie responsabili del riconoscimento del vicinato degli introni/esoni

46 La funzione delle proteine
I compiti delle proteine sono incredibilmente diversificati Le proteine strutturali, come il collagene, forniscono supporto alle ossa ed ai tessuti connettivi Gli enzimi agiscono come catalizzatori biologici, come la pepsina che regola il metabolismo Le proteine sono inoltre responsabili del trasporto di atomi e molecole nell’organismo (emoglobina), dei segnali e delle comunicazioni intercellulari (insuli-na), dell’assorbimento dei fotoni per i processi visivi (rodopsina), etc.

47 La struttura primaria  1
Seguendo le istruzioni contenute nell’mRNA, le proteine vengono tradotte dai ribosomi in un polimero lineare (catena) di aminoacidi I 20 aminoacidi hanno una struttura chimica simile e si diversificano solo in base al gruppo R La regione costante di ogni aminoacido è detta catena principale, mentre i diversi gruppi R vanno a costituire le catene laterali L’ordine in cui i diversi aminoacidi sono assem-blati in una proteina ne costituisce la struttura primaria

48 La struttura primaria  2
La catena proteica ha una direzione Un’estremità della catena ha un gruppo amminico libero (NH), mentre l’altra estremità termina con un gruppo carbossilico (COOH) La direzione della catena va dal terminale amminico (che è il primo ad essere sintetizzato) fino al terminale carbossilico

49 La struttura primaria  3
Dopo la traduzione, la proteina collassa, cioè si piega e si modella in una complessa struttura globulare, assumendo la struttura nativa, che dipende comunque dalla disposizione degli amino-acidi nella catena primaria La struttura nativa definisce la funzionalità della proteina

50 La struttura primaria  4
La chimica stessa della catena principale di una proteina ne forza la forma fondamentalmente planare Questi due legami permettono una rotazione circolare, dando origine agli angoli diedri ( e ) Tutte le varie conformazioni in cui può ripiegarsi la proteina derivano da tali rotazioni I soli segmenti “mobili” della catena principale sono i legami fra l’azoto ed il carbonio  e tra il carbonio  ed il carbonio carbonile

51 La struttura secondaria  1
L’esame della struttura delle proteine conosciute rivela che esiste un piccolo numero di motivi strutturali locali comuni La posizione e la direzione di tali motivi strutturali regolari definiscono la struttura secondaria della proteina Le strutture più comuni sono l’elica (che ha for-ma elicoidale simile ad una molla, 60°, 3.6 aminoacidi per giro) ed il foglietto  (135°, 135°)

52 La struttura secondaria  2
Foglietto  elica

53 Strutture terziaria e quaternaria
Le regioni di struttura secondaria di una proteina si impacchettano insieme e si combinano con altre regioni meno strutturate della catena principale a formare una figura tridimensionale che è chiama-ta struttura terziaria della proteina Spesso un enzima attivo è composto da due o più catene proteiche che si compongono insieme in un unico grande complesso, detto struttura quaternaria dell’enzima

54 Le strutture proteiche

55 La natura dei legami chimici
Molto di ciò che noi consideriamo essenziale per la vita può essere ricondotto ad un insieme di rea-zioni chimiche ed alle caratteristiche degli enzimi che ne controllano la velocità Per definizione, elemento è ciò che non può essere ulteriormente ridotto attraverso reazioni chimiche Gli elementi sono atomi (dal greco àtomos: indivisibi-le, a [alfa privativo] e tomé, divisione) singoli compo-sti da particelle subatomiche più piccole che posso-no essere separate solo tramite reazioni fisiche

56 Anatomia dell’atomo  1 Esistono centinaia di particelle subatomiche, ma solo tre sono stabili e particolarmente importanti per la chimica degli organismi viventi: neutroni (1.71024 grammi, senza carica) protoni (1.71024 grammi, con carica positiva) elettroni (8.51028 grammi, con carica negativa) Il numero di protoni presenti nel nucleo determina il tipo di elemento (e definisce il numero atomico)

57 Tavola periodica degli elementi

58 Anatomia dell’atomo  2 Per ogni protone nel nucleo esiste un elettrone posto in un orbitale relativamente lontano dal nucleo che ruota ad una velocità prossima a quella della luce Grandi spazi vuoti all’interno dell’atomo Gli elettroni non hanno orbite prevedibili: l’orbitale è lo spazio tridimensionale in cui l’elettrone passa il 90% del suo tempo

59 Anatomia dell’atomo  3 UkZe2/r
A livello atomico, l’energia è suddivisa in “pacchetti” di luce, i fotoni: più l’elettrone si trova lontano dal nu-cleo, maggiore è la sua energia potenziale: UkZe2/r dove k è la costante di Coulomb Ze è la carica positiva contenuta nel nucleo (Z numero atomico) e r è la distanza dell’elettrone dal nucleo Gli elettroni emettono luce quando passano da un orbitale più distante ad uno più prossimo al nucleo La quantità di energia richiesta è un quanto Si dice infatti che effettuano un salto quantico

60 La valenza  1 Poiché le cariche negative degli elettroni fanno sì che si respingano, solo due elettroni possono con-dividere un orbitale ad un certo istante Gli elettroni ad energia più bassa si trovano nell’orbitale (sferico) più vicino al nucleo, indicato con 1s Il secondo livello di elettroni è costituito da quattro or-bitali: un orbitale sferico 2s e tre orbitali “a manubrio” 2p

61 La valenza  2

62 La valenza  3 Le proprietà chimiche di un atomo dipendono dal suo guscio di elettroni più esterno Mentre il numero di protoni nel nucleo non cambia durante una reazione chimica, la posizione relativa degli elettroni, e talvolta anche il loro numero, è variabile Sebbene sia una regola fondamentale in Natura quella del bilanciamento delle cariche, vi è anche, tuttavia, la tendenza a mantenere gli orbitali atomici più esterni completamente pieni o completamente vuoti Regola dell’ottetto: Nella formazione di legami, ogni atomo tende, attraverso la cessione, l’acquisto o la messa in comune di elettroni, a raggiungere la configurazione elettronica dei gas nobili, corrispondente alla presenza di 8 elettroni negli orbitali s e p dello strato più esterno

63 La valenza  4 Queste due priorità, potenzialmente conflittuali, si risolvono permettendo agli orbitali di un atomo di sovrapporsi a quelli di altri atomi La condivisione di elettroni, che deriva dalla so-vrapposizione degli orbitali, è alla base del legame covalente

64 La valenza  5 Gli elementi, come l’elio (2He), che non presen-tano elettroni spaiati nell’orbitale più esterno, non sono chimicamente reattivi e non sono mai legati covalentemente ad altri atomi Viceversa, atomi con valenze simili hanno pro-prietà chimiche simili (14Si, 6C) Il numero di elettroni spaiati nell’orbitale più ester-no di un atomo, la sua valenza, rappresenta la sua capacità di legame (1H1, 8O2, 7N3, 6C4)

65 La valenza  6 La forma e la dimensione di un composto dipen-dono dalla valenza degli atomi da cui è formato c (a) (b) Due esempi di legame covalente: Acqua (a) e Metano (b); nella molecola di acqua esiste un legame covalente fra due atomi di idrogeno ed uno di ossigeno; nella molecola di metano, quattro atomi di idrogeno formano legami covalenti con un solo atomo di carbonio

66 L’elettronegatività  1
L’elettronegatività di un atomo è una funzione del numero di elettroni che l’atomo deve acquisire o donare per completare o svuotare gli orbitali più esterni Per esempio, sia 1H che 6C hanno lo shell di elettroni più esterno pieno per metà Hanno uguale elettronegatività Nei legami covalenti tra idrogeno e carbonio gli atomi partecipano allo stesso modo

67 L’elettronegatività  2
La situazione è molto diversa nei legami con l’ossigeno; dato che 8O deve acquisire due elet-troni o perderne sei, esso è molto più elettro-negativo rispetto a idrogeno e carbonio Gli elettroni coinvolti nei legami covalenti dell’ac-qua, per esempio, tendono a passare più tempo nelle vicinanze dell’atomo di ossigeno I legami polari provocano pertanto una leggera separazione delle cariche, che rende l’ossigeno nell’H2O leggermente negativo e gli idrogeni leg-germente positivi

68 L’elettronegatività  3
La leggera separazione di cariche derivante dai legami polari genera una particolare interazione tra molecole, chiamata legame idrogeno Ogni molecola di acqua è debolmente associata ad una rete di altre molecole di acqua, perché le legge-re cariche positive degli idrogeni generano affinità con le leggere cariche negative degli atomi di ossi-geno posti nelle vicinanze È richiesta molta meno energia per rompere un legame idrogeno che un legame covalente, dato che nel primo caso non vi è condivisione fra gli atomi

69 I legami idrogeno (a) (b)
La molecola d’acqua (a) e l’interazione tra molecole tramite legami idrogeno (b)

70 Idrofilicità e idrofobicità  1
I composti chimici possono essere divisi in due categorie, quelli che interagiscono e quelli che non interagiscono con l’acqua I composti idrofilici sono costituiti da molecole dotate di legami polari, capaci di formare legami idrogeno con l’acqua Si disciolgono facilmente in soluzioni acquose

71 Idrofilicità e idrofobicità  2
I composti che hanno atomi legati solo da legami covalenti non polari sono detti idrofobici e non interagiscono con le molecole d’acqua La loro presenza fisica induce le molecole dell’acqua ad interagire fra di loro e impedisce la compen-sazione delle loro cariche parziali Di conseguenza, molecole come i grassi (con legami carboniocarbonio e carbonioidrogeno) sono esclu-se dalle soluzioni acquose e costrette ad associarsi le une con le altre (es. doppio strato lipidico che costituisce la membrana cellulare)

72 Idrofilicità e idrofobicità  3

73 Strumenti per la biologia molecolare  1
Il riconoscimento dell’informazione contenuta nel-la sequenza di DNA del genoma procariotico è molto più facile rispetto al compito equivalente sul più complesso genoma eucariotico Inoltre, negli eucarioti, il problema di identificare l’informazione che codifica una proteina è ulte-riormente complicato dal fatto che un introne in un particolare tipo di cellula può essere un esone in un’altra Tuttavia… i problemi associati alla decifrazione del contenuto informativo del genoma non sono in-sormontabili quando si conoscono le “regole” utilizzate dalle cellule allo scopo

74 Strumenti per la biologia molecolare  2
È compito della bioinformatica riconoscere/estrarre le regole dai pattern, che si osservano dall’enorme quantità di dati disponibili Sorprendentemente piccolo è invece il numero di stru-menti comunemente usati dai biologi molecolari per: generare i dati grezzi necessari per tali analisi… …verificare il significato biologico delle possibili re-gole estratte

75 Strumenti per la biologia molecolare  3
Sei principali tecniche di laboratorio definiscono l’intera disciplina della biologia molecolare: Enzimi di restrizione Elettroforesi su gel Blotting e ibridazione, microarray Clonaggio Reazione a catena della polimerasi (PCR) Sequenziamento del DNA

76 Enzimi di restrizione  1
Il lavoro originale di Wilkinson, Watson e Crick (1953), che valse loro il Nobel nel 1962, spiegava come il DNA fungesse da materiale genetico Ma fu solo venti anni dopo che H. Smith et al. scoprirono gli enzimi di restrizione, che permisero di manipolare le molecole di DNA in modo spe-cifico per decifrare il loro contenuto informativo Nel corso dello studio sulla causa che portava alcune cellule batteriche a migliorare la propria difesa contro le infezioni virali, infatti, rilevarono che i batteri producevano degli enzimi capaci di rompere le molecole di DNA in corrispondenza di particolari stringhe di nucleotidi

77 Enzimi di restrizione  2
Gli enzimi di restrizione possono essere isolati dalle cellule batteriche ed utilizzati come “forbici”, che permettono ai biologi di tagliare/incollare le molecole di DNA Di solito le molecole di DNA a doppio filamento vengono scisse in modo da lasciare una breve sequenza di DNA a singolo filamento all’estremità di ogni frammento Tale sequenza è, per natura, complementare con la sequenza di qualunque altra estremità prodotta dallo stesso enzima Le due sequenze hanno dunque terminazioni coesive o “appiccicose”, in grado di tenere insieme i due frammenti fino a che un altro speciale enzima, detto ligasi, li ricongiunge in modo permanente, ricostruendo i legami fosfodiestere tagliati dall’enzima di restrizione

78 Enzimi di restrizione  3

79 Enzimi di restrizione  4
Gli enzimi di restrizione possono dare origine an-che a terminazioni piatte, che si legano a moleco-le di DNA con uguali terminazioni

80 Enzimi di restrizione  5
Esempio EcoRI (Escherichia Coli  batterio che vive nella parte infe-riore dell’intestino di animali a sangue caldo, Restrizione, I) Scinde la molecola di DNA tra i nucleotidi G ed A ogniqualvolta li incontra nella sequenza (che si verifi-ca in media ogni (1/4)61/4096 cop-pie di basi) 5’GAATTC3’ La stringa di nucleotidi riconosciuta da EcoRI è il suo sito di restrizione Provoca la terminazione coesiva 5’AATT3’, la cui sequenza com-plementare è 5’AATT3’

81 Enzimi di restrizione  6
Comunque… tagliando una molecola di DNA e determinando l’ordine dei tagli (ottenuti con più enzimi) ed il numero di frammenti, si può comprendere la specifica organizzazione e sequenza della molecola  mappe di restrizione con gli enzimi di restrizione si possono isolare e manipolare sperimentalmente i singoli geni

82 Elettroforesi su gel  1 Per genomi composti da milioni (come il genoma di E.coli) o da miliardi di coppie di basi (come il genoma umano), la scissione completa tramite enzimi di restrizione può fornire centinaia di migliaia di frammenti di DNA L’elettroforesi su gel di agarosio (o poliacrilammi-de) è una tecnica classicamente utilizzata per analizzare e separare tali frammenti

83 Elettroforesi su gel  2 L’elettroforesi su gel sfrutta le cariche presenti nelle molecole di DNA o RNA (la catena principale è carica negativamente, grazie alla presenza dei fosfati) per farle migrare, in un campo elettrico, attraverso il gel Il gel funge da setaccio, essendo costituito da una rete di pori, che consentono di separare le mole-cole in base alla loro grandezza: quelle più piccole attraversano più velocemente i pori rispetto a quelle più grandi si avrà una separazione in funzione della velocità

84 Elettroforesi su gel  3

85 Blotting ed ibridazione  1
Individuare il singolo frammento di DNA che con-tiene uno specifico gene tra centinaia di migliaia di frammenti, anche se divisi per dimensione, è un compito impossibile L’ibridazione è una tecnica che consente di verifi-care la complementarietà esistente tra due mole-cole di acidi nucleici in base alla loro omologia di sequenza Ciò è possibile perché le proteine a funzione biolo-gica fondamentale, come l’emoglobina, l’insulina, l’ormone per la crescita, hanno sequenze molto simili tra di loro in organismi filogeneticamente vicini

86 Blotting ed ibridazione  2
L’appaiamento di basi può avvenire tra due DNA, due RNA o un DNA ed un RNA Il principio della reazione consiste… …nell’esporre l’una all’altra due preparazioni di acido nucleico a singolo filamento (di cui uno marcato radioattivamente) e, successivamente, nel visualizzare (autoradiogra-fia o colorazione) oppure misurare la quantità di materiale a doppio filamento che si è formato (quantificandone la radioattività incorporata)

87 Blotting ed ibridazione  3
La tecnica di ibridazione su filtro o membrana, detta blotting, è la più utilizzata per verificare la presenza di sequenze particolari (e quindi di geni) di diversa origine, provenienti ad esempio da un altro animale o da un’altra specie Si utilizzano a questo scopo delle sonde mole-colari, cioè frammenti di DNA che codificano per la proteina da analizzare

88 Blotting ed ibridazione  4
La sonda viene marcata con un isotopo radioattivo e mescolata in soluzione, ed a temperatura prossima ai 100° (per ottenere la denaturazione dei 2 filamenti di DNA) con un filtro (nitrocellulosa o nylon) su cui è fissato un frammento di DNA che dovrebbe contenere la sequenza complementare

89 Blotting ed ibridazione  5
Al termine della procedura di ibridazione, la sonda non legata viene lavata via e la membrana viene esaminata per vedere dove è avvenuto l’accoppia-mento tra la sonda e la sequenza bersaglio L’esposizione del filtro ad una lastra fotosensibile (o la colorazione) permetterà di rilevare una trac-cia che confermerà l’appaiamento, mentre se non sussiste omologia non avverrà nessuna ibrida-zione

90 Blotting ed ibridazione  6
Blotting: ibridazione su membrana

91 Microarray  1 Una variante del sistema di ibridazione mediante membrana è la tecnologia del microarray, o chip a DNA, o biochip In questo caso, decine di migliaia di sequenze nucleotidiche vengono fissate una per una in una specifica posizione sulla superficie di un piccolo chip di silicio I microarray sfruttano una tecnica di ibridazione inversa, che consiste nel fissare tutti i segmenti di DNA, detti probe, su un supporto e nel marcare invece l’acido nucleico che vogliamo identificare, detto target

92 Microarray  2 È una tecnica che è stata sviluppata negli anni ‘90 e oggi permette l’analisi dell’espressione genica monitorando in una sola volta gli RNA prodotti da migliaia di geni Sforzi computazionali significativi sono necessari sia per costruire i chip sia per interpretarne i risultati

93 Microarray  3

94 Clonaggio  1 Mentre per le cellule è normale estrarre infor-mazione dalle singole molecole di DNA, in biologia molecolare occorrono quantità di materiale da analizzare tali da essere quasi visibili a occhio nudo (molti milioni di molecole) Invocare l’aiuto delle cellule nella generazione di sufficienti quantità di specifiche molecole di DNA

95 Clonaggio  2 Nel genoma di un organismo diploide, ad esempio in una cellula umana, un gene è presente in ge-nere in duplice copia, “diluito” in mezzo a moltis-sime altre sequenze di DNA Tramite il clonaggio molecolare è possibile isolare un singolo gene o, più in generale, un frammento di DNA dal genoma di un organismo, e produrne molte copie identiche La disponibilità di un gene in forma pura e in grande quantità ne consente lo studio a livello molecolare

96 Clonaggio  3 Il clonaggio coinvolge l’inserimento di frammenti specifici di DNA all’interno di trasportatori simili ai cromosomi, chiamati vettori, che ne permettono la replicazione e l’isolamento all’interno di cellule viventi I primi vettori che furono utilizzati derivavano da virus batterici e da piccoli pezzi di DNA extra-cromosomale, detti plasmidi, presenti nelle cellule procariotiche

97 Clonaggio  4 Tutti i vettori devono possedere le seguenti caratteristiche: Disporre di una zona in cui può essere inserito il DNA esogeno (detta polylinker) Contenere le sequenze che permettono al vettore di replicarsi all’interno della cellula vivente Contenere le sequenze che conferiscono alla cellula ospite la capacità di rilevarne la presenza Dimensioni e forma tali da permettere al vettore di essere separato dal DNA della cellula ospite

98 Clonaggio  5

99 Clonaggio  6 Tutte le copie identiche dei frammenti, i cloni moleco-lari, possono essere utilizzate per uno studio immedia-to o conservate in librerie genomiche Una libreria genomica ideale dovrebbe contenere una copia per ogni segmento del DNA di un organismo Il numero di cloni (dato dalla dimensione del genoma diviso la lunghezza media dei frammenti) definisce un equivalente genomico Esempio: E.coli ha un genoma lungo  coppie di basi; se fosse completamente digerito da un enzima di restrizione come EcoRI, per la costruzione di una libreria genomica completa dovrebbe essere clonato ogni fram-mento di DNA, su un totale di più di 1000 frammenti di lunghezza media pari a coppie di basi

100 Clonaggio  7 Sfortunatamente, però, la libreria non può essere costruita con una semplice digestione del DNA genomico di una singola cellula e quindi con la costruzione di cloni per ogni frammento Il processo di clonaggio non è efficiente e di solito è necessario raccogliere DNA da migliaia di cellule per clonarne un singolo frammento Inoltre, la natura casuale del processo di clona-zione fa sì che qualche frammento venga clonato più volte, mentre altri non sono rappresentati nell’equivalente genomico

101 Clonaggio  8 Aumentare il numero di cloni in una libreria geno-mica equivale ad aumentare la probabilità che essa possa contenere almeno una copia di ogni segmento di DNA Una libreria genomica contenente da quattro a cinque equivalenti genomici ha, in media, da quattro a cinque copie di ogni frammento di DNA il 95% di probabilità di contenere almeno una copia di ogni porzione del genoma dell’organismo

102 Clonaggio  9 Implicazioni pratiche:
I vettori che permettono il clonaggio di lunghi frammenti di DNA sono i migliori per la realiz-zazione di librerie genomiche, perché richiedono pochi cloni per realizzare l’equivalente genomico Il clonaggio dell’ultimo 5% di un genoma è spesso un’operazione difficile quanto il clonaggio del primo 95%

103 Clonaggio  10 Alternativa: libreria di cDNA
La porzione di genoma di maggior interesse è quella che corrisponde alle regioni che codificano per le proteine, che vengono quindi trascritte preventiva-mente in mRNA Gli mRNA possono essere separati dagli altri poli-nucleotidi presenti nella cellula tramite un enzima, la trascrittasi inversa, che converte le sequenze di mRNA in DNA complementare (cDNA) e quindi clona i cDNA come parte di una libreria Tuttavia… si perde il contenuto genomico relativo a sequenze regolatrici, introni, etc.

104 Reazione a catena della polimerasi  1
La tecnica della reazione a catena della polimerasi (Polymerase Chain Reaction, PCR, K. Mullis, 1985) ha rivoluzionato le metodiche dell’ingegneria genetica, offrendo uno strumento straordinaria-mente potente nell’amplificare in vitro e in poco tempo particolari sequenze di DNA Questa tecnica consente di ottenere centinaia di migliaia di copie del DNA di interesse per succes-sive caratterizzazioni (determinazione della lun-ghezza, della sequenza nucleotidica, etc.) senza dover ricorrere ai comuni metodi di clonaggio né all’uso di enzimi di restrizione

105 Reazione a catena della polimerasi  2
La PCR sfrutta la reazione di sintesi in vitro del DNA, reazione catalizzata dalla DNA polimerasi Questo enzima richiede per il suo funzionamento uno stampo (template), rappresentato da un fila-mento di DNA a cui deve trovarsi appaiato un primer, che funge da innesco per la replicazione del DNA I primer sono necessari perché molte DNA poli-merasi non possono iniziare la sintesi di un nuovo filamento “ex novo”, ma possono solo aggiungere nucleotidi ad un filamento preesistente

106 Reazione a catena della polimerasi  3
La PCR si basa sull’uso di due primer di lunghez-za pari a 1820 nucleotidi, che sono disegnati in modo da essere esattamente complementari alle corrispondenti sequenze fiancheggianti il tratto di DNA da amplificare I due primer sono diretti in direzione opposta ma convergente e definiscono le estremità del futuro prodotto dell’amplificazione L’attività della DNA polimerasi determinerà la sintesi di nuovi filamenti a partire da ciascun primer

107 Reazione a catena della polimerasi  4
La reazione è divisa in tre stadi, ciascuno condotto ad una tempe-ratura diversa denaturazione (94°C) per separare i due filamenti della molecola stampo annealing (5060°C) durante la qua-le i primer si appaiano ai filamenti denaturati, determinando il punto di innesco della sintesi di DNA polimerizzazione (estensione, allun-gamento, 72°C)

108 Reazione a catena della polimerasi  5
Il ciclo di denaturazioneappaiamentoestensione viene ripetuto 2030 volte in modo tale da otte-nere una grande amplificazione del DNA compreso nella regione di appaiamento dei due primer I primi prodotti “di buona qualità” di PCR si formano a partire dal terzo ciclo e si accumulano con un andamento di tipo esponenziale (N2n2, dove N è il numero di molecole di partenza e n il numero di cicli di amplificazione)

109 Reazione a catena della polimerasi  6
Le molecole di DNA amplificate sono prodotte molto più velocemente ed efficacemente rispetto a quelle ottenibili dai cloni Il maggior vantaggio della PCR, tuttavia, consiste nel poter iniziare con quantità di materiale (come quelle tipicamente associate a campioni prove-nienti da musei, o fossili o forensi) molto minori di quanto non siano solitamente disponibili (e neces-sarie) negli esperimenti di clonaggio

110 Sequenziamento del DNA  1
Il termine sequenziamento indica il processo per la determinazione della struttura primaria esatta di un biopolimero (una macromolecola), cioè del-l’ordine delle basi nel caso di un acido nucleico, o degli aminoacidi nel caso delle proteine La caratterizzazione molecolare finale di un fram-mento di DNA consiste, infatti, nella determina-zione dell’ordine, o sequenza, dei suoi nucleotidi

111 Sequenziamento del DNA  2
Tutte le strategie di sequenziamento del DNA comprendono tre passi Generazione di un insieme completo di sottofram-menti della regione in esame, che differiscono l’uno dall’altro per un singolo nucleotide Marcatura di ogni frammento con una delle quattro differenti etichette (tag) che dipendono dal nucleo-tide posto al termine del frammento Separazione dei frammenti sulla base delle loro di-mensioni (mediante elettroforesi su gel) per leg-gere la sequenza in base al riconoscimento del-l’ordine in cui sono posti i diversi tag

112 Sequenziamento del DNA  3
Metodo di A. M. Maxam e W. Gilbert (1977): degradazione chimica del DNA Metodo di F. Sanger (1978): a terminazione di catena Hanno in comune la generazione di una scaletta di frammenti di DNA a singolo filamento, ciascuno più lungo del precedente di una base

113 Sequenziamento del DNA  4
Metodo di Maxam e Gilbert Basato sulla degradazione chimica di frammenti di DNA, è ormai poco utilizzato perché impiega com-posti chimici dannosi alla salute e perché non adat-to al sequenziamento automatico Si differenzia dal metodo di Sanger perché non uti-lizza sintesi enzimatiche, ma trattamenti chimici che agiscono a livello di singoli nucleotidi È basato sull’abilità di alcuni composti chimici  idrazina, N2H4, acido formico, HCOOH, dimetilsolato, (CH3)2SO4  di modificare in modo specifico le basi all’interno del DNA e di altri  piperidina, (CH2)5NH  di catalizzare la rottura del filamento di DNA a li-vello dei nucleotidi modificati

114 Sequenziamento del DNA  5
Metodo di Sanger Il sottogruppo di frammenti necessari per il sequen-ziamento è generato attraverso l’incorporazione di nucleotidi modificati che impediscono l’aggiunta di ulteriori basi alla catena da parte della DNA polimerasi Tali nucleotidi differiscono dalla loro controparte standard per la mancanza del gruppo idrossile alla terminazione 3’, a cui dovrebbe attaccarsi il nucleo-tide successivo in un normale frammento di DNA che cresce Sono dotati di tag (colorante fluorescente) per individuarli quando vengono frazionati per dimensione

115 Sequenziamento del DNA  6

116 Il paradosso del valore C  1
Nel 1948 fu scoperto che la quantità di DNA all’interno di ogni cellula di uno stesso organismo è la stessa Tale quantità è detta valore C, termine coniato nel 1950 da Henson Swift “Sono spiacente per il fatto che la lettera C non stia per nulla di più emozionante di costante, con riferimento ad esempio all’ammontare del DNA caratteristico di un parti-colare genotipo” (H. Swift a Michael Bennett) È interessante notare che, mentre la grandezza del genoma di una specie è costante, si osservano forti variazioni tra le varie specie, ma senza una correlazione con la complessità dell’organismo

117 Il paradosso del valore C  2
L’assenza di correlazione tra la complessità e la dimensione del genoma origina il paradosso del valore C La quantità totale di DNA spesso differisce di un fattore maggiore di cento tra specie molto simili L’implicazione chiara  ma difficile da provare  è che una lunga porzione di DNA presente in alcuni organismi è in eccesso e, apparentemente, non fornisce un contributo significativo alla comples-sità dell’organismo

118 Il paradosso del valore C  3

119 Cinetica di riassociazione  1
Quando i filamenti complementari della doppia catena di DNA sono separati, o denaturati, per mezzo del calore o di trattamenti alcalini, possono facilmente rinaturarsi nella struttura a doppio fila-mento quando le condizioni all’interno della cellula tornano alla normalità Si può comprendere qualcosa della struttura di un genoma dal modo in cui si riforma il DNA dena-turato Più una sequenza genomica è unica, maggiore sarà il tempo necessario affinché ogni filamento trovi e ibridizzi con il suo filamento complementare

120 Cinetica di riassociazione  2
Britten e Kohne, nel 1968, hanno descritto l’equa-zione cot che definisce la cinetica di riassociazione del DNA nella forma: c/c0=1/(1+kc0t) dove c è la concentrazione di DNA a singolo fila-mento al tempo t (c0 concentrazione iniziale) e k è una costante (dipendente dalla concentrazione di cationi, dalla temperatura, dalla dimensione del frammento e dalla complessità della sequenza nucleotidica)

121 Cinetica di riassociazione  3
L’equazione cot stabilisce una relazione di propor-zionalità inversa fra la frazione rimanente di DNA a singolo filamento e c0t Da tale equazione si può ricavare per ogni organismo uno specifico valore c0t1/2, che è diretta-mente proporzionale al numero di nucleotidi delle sequenze non ripetute Pertanto, la misura del tempo t1/2 richiesto da me-tà dei singoli filamenti di DNA per rinaturarsi (c/c00.5) permette la determinazione sperimentale della quantità totale di informazione genetica uni-ca codificata in un genoma

122 Cinetica di riassociazione  4
Dato che c0t1/2 è il prodotto tra la concentrazione ed il tempo necessario per la rinaturazione di me-tà della quantità totale di DNA, un valore grande di c0t1/2 implica una reazione lenta e riflette la si-tuazione in cui ci sono poche copie di una parti-colare sequenza dentro una data massa di DNA Il valore c0t1/2 è una misura della lunghezza totale di sequenze diverse all’interno del genoma e “ne descrive la complessità”

123 Cinetica di riassociazione  5
Mentre il valore C non è in generale indicativo della complessità di un organismo, il valore c0t1/2 solitamente lo è La disparità fra i due valori di solito indica la presenza di copie multiple di sequenze di DNA inutili, chiamate junk DNA Sequenze ripetute all’interno del DNA spazzatura differiscono molto in termini di complessità (da uno o due a migliaia di nucleotidi) e distribuzione (raggruppamenti locali o casuale sparsità) all’in-terno del genoma

124 Concludendo…  1 Il DNA è la molecola che contiene l’informazione conservata all’interno della cellula L’ordine specifico dei quattro differenti nucleotidi è trascritto dalla RNA polimerasi in mRNA, che viene tradotto in proteine Per costruire le proteine vengono utilizzati venti diversi aminoacidi e l’ordine e la composizione specifica di questi “mattoni” giocano un ruolo importante nella costruzione e nel mantenimento della struttura e della funzione delle proteine

125 Concludendo…  2 I biologi molecolari hanno a disposizione un numero piuttosto limitato di strumenti per studiare il DNA e l’informazione contenuta al suo interno Gli enzimi di restrizione tagliano la molecola di DNA quando riconoscono una determinata stringa di nucleotidi L’elettroforesi permette la separazione dei frammenti di DNA in base alla loro lunghezza ed alla loro carica Le tecniche di blotting e ibrididazione garantiscono il reperi-mento di specifici frammenti di DNA in una mistura Il clonaggio permette la propagazione di sequenze specifiche, per un utilizzo ripetuto La PCR garantisce una rapida amplificazione e caratterizzazione di specifici frammenti di DNA Il sequenziamento, infine, determina l’ordine dei nucleotidi, garantendo la caratterizzazione della molecola di DNA

126 Concludendo…  3 La cinetica di riassociazione ha rivelato che il contenuto di DNA di una cellula, il suo valore C, non sempre corrisponde direttamente al contenu-to informativo di un organismo Negli organismi complessi vi sono ampie zone di DNA spazzatura


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