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LA PSICOMOTRICITA’: Come rilevare le difficoltà attraverso il gioco

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Presentazione sul tema: "LA PSICOMOTRICITA’: Come rilevare le difficoltà attraverso il gioco"— Transcript della presentazione:

1 LA PSICOMOTRICITA’: Come rilevare le difficoltà attraverso il gioco
Corso formazione docenti Ist. Tecnico Industriale Statale “G.De Giorgi” Brindisi 12 febbraio 2008 D.ssa Luciana FENU D.ssa Luciana Fenu

2 IL GIOCO Il gioco appartiene alla dimensione sociale, che è spesso difficile spiegare in termini logici; I bambini giocano indipendentemente; dall’appartenenza culturale nazionale; Giocano per il solo piacere di farlo; Giocare rafforza la comprensione sociale del bambino; Il gioco origina dalla percezione infantile personale della realtà; Giocare è un’attività creativa; Giocare è l’unico modo che il bambino ha per esprimersi. D.ssa Luciana Fenu

3 TEORIE DEL GIOCO IL GIOCO PUO’ ESSERE INTESO COME:
UNA DISPOSIZIONE PSICOLOGICA; UN INSIEME DI COMPORTAMENTI OSSERVABILI; UN CONTESTO ALL’INTERNO DEL QUALE OSSERVARE IL VERIFICARSI DI PARTICOLARI FENOMENI. (Rubin, Fein, Vandenberg) D.ssa Luciana Fenu

4 Il gioco come disposizione psicologica
Prevede la combinazione di sei componenti diverse: La motivazione intrinseca; La priorità di mezzi sul fine; La dominanza dell’individuo rispetto alla realtà esterna; La non letteralità; La libertà dai vincoli; Il coinvolgimento attivo. D.ssa Luciana Fenu

5 IL GIOCO COME COMPORTAMENTO OSSERVABILE
Secondo uno schema evolutivo: Il gioco di esercizio Il gioco simbolico I giochi con le regole (Jean Piaget, 1945) Secondo i materiali del gioco: Giochi con oggetti Giochi con le parole Giochi con materiali sociali (Catherine Garvey, 1977) D.ssa Luciana Fenu

6 IL GIOCO COME CONTESTO Sia come situazione all’interno della quale leggere specifici fenomeni (es: particolari processi cognitivi o competenze sociali) Sia in rapporto alle circostanze in ambito delle quali le condotte ludiche hanno luogo (attenzione alle condizioni in cui il gioco si verifica, osservazione spontanea, ecc.). D.ssa Luciana Fenu

7 JEAN PIAGET Colloca il gioco nella teoria dello sviluppo cognitivo, più precisamente nel processo di “formazione del simbolo” Il gioco sostiene la funzione simbolica. Tramite il gioco i bambini fanno pratica di un’attività mentale che consiste nel creare simboli per evocare eventi o situazioni non presenti nella realtà. Il gioco è governato dall’assimilazione. Il gioco svolge nello sviluppo due funzioni: 1)consolida capacità già acquisite attraverso la ripetizione e l’esercizio; 2)rafforza nel bambino il sentimento di poter agire efficacemente sulla realtà. D.ssa Luciana Fenu

8 LEV VYGOTSKIJ Considera limitante una visione del gioco in termini essenzialmente cognitivi e rivolge l’attenzione agli affetti, alle motivazioni, alle circostanze interpersonali all’origine di questo. Il gioco rappresenta una risposta originale a bisogni non soddisfatti. Nel gioco il pensiero è separato dagli oggetti e l’azione nasce dalle idee più che dalle cose. Il gioco, collocandosi nell’ambito del possibile, apre una zona di “sviluppo prossimale”. D.ssa Luciana Fenu

9 GEORGE MEAD Analizza il gioco come una delle condizioni sociali al cui interno emerge il Sé (gioco simbolico, assunzione di ruolo). Due sono i processi sociocognitivi implicati nel gioco simbolico: Assunzione di ruolo (riguarda l’azione) Assunzione di prospettiva (vedere le cose dal punto di vista del personaggio immaginario) Si viene così a creare un processo di azione e reazione attraverso il quale si consolidano le nozioni di Sé e di Altro D.ssa Luciana Fenu

10 GREGORY BATESON Individua il gioco come una specie di palestra per l’esercizio delle abilità metacomunicative Gioco di finzione: consiste nel comunicare su qualcosa che non esiste. I bambini agiscono in una realtà fittizia e si comportano come se fosse vera D.ssa Luciana Fenu

11 IL GIOCO COME COMPORTAMENTO OSSERVABILE
Secondo Piaget, il gioco è da intendersi come “assimilazione pura”, ovvero come un processo cognitivo attraverso il quale i dati dell’esperienza vengono inglobati, “assimilati” entro schemi mentali già acquisiti. Es: “dopo aver appreso ad afferrare, dondolare, lanciare,ecc.., il bambino afferra per il piacere di afferrare, dondola per il gusto di dondolare” Il gioco comincia quando il comportamento del bambino non è più guidato dalla necessità di apprendere o di ricercare una soluzione ma soltanto dal piacere funzionale, cioè dal piacere di esercitare abilità già acquisite. D.ssa Luciana Fenu

12 GIOCO SENSOMOTORIO NEI PRIMI DUE ANNI
Il gioco ha un carattere percettivo-motorio Il bambino si rapporta solo con oggetti percettivamente presenti È assente una rappresentazione interna Il gioco è costituito da una o due azioni Il bambino è intento ad acquisire il controllo dei movimenti, impara a coordinare i gesti e la percezione dei loro effetti. Prima dei 2 anni il gioco viene definito funzionale in quanto l’oggetto è riconosciuto nel suo uso e adoperato in quanto tale. A 18 mesi-2 anni: comparsa del gioco simbolico. Grazie alla funzione rappresentativa, nel gioco di finzione gli oggetti adoperati rappresentano cose completamente diverse. D.ssa Luciana Fenu

13 I GIOCHI DI FANTASIA Dai 3 anni in poi i temi del gioco simbolico non dipendono più dall’esperienza diretta ma diventano temi di fantasia, con ruoli ben definiti e la presenza di regole (“Facciamo che io ero..”). Si differenzia dal gioco simbolico perché solitamente coinvolge più bambini e non riguarda più la routine quotidiana ma soprattutto il mondo dell’immaginazione. Gioco sociodrammatico o di fantasia: sono riconoscibili azioni, personaggi, trame, elementi di una storia (drammatico). Vi è la natura collettiva del gioco e la presenza di ruoli socialmente codificati (sociale). Questo tipo di giochi testimoniano la capacità del bambino di capire i ruoli sociali, le regole che caratterizzano i rapporti interpersonali, e di pensare con la testa degli altri. D.ssa Luciana Fenu

14 IL GIOCO DI FANTASIA: LE REGOLE
Coerenza interna nel gioco di simulazione: la bambina immagina di essere la madre e immagina che la bambola sia il bambino, così deve obbedire alle regole del comportamento materno. Ciò che nella vita normale passa inosservato, diventa una regola di comportamento nel gioco. Richiama notevoli capacità metacomunicative: reciproci ruoli, alternanza dei turni, strategie di negoziazione, ecc. D.ssa Luciana Fenu

15 I GIOCHI CON LE REGOLE Compaiono alla fine dell’età prescolare
Richiede almeno due partecipanti in competizione tra loro Il comportamento dei giocatori è regolato da un codice solitamente prestabilito. Sono convenzionali e difficilmente modificabili Mette alla prova le proprie capacità e sino a che punto si è in grado di arrivare rispetto ad un determinato obiettivo. D.ssa Luciana Fenu

16 Il gioco simbolico “il bambino non riesce come noi a soddisfare i bisogni affettivi e anche intellettuali del suo io….E’ dunque indispensabile al suo equilibrio affettivo e intellettuale che egli possa disporre di un settore di attività la cui motivazione non sia l’adattamento al reale, ma al contrario l’assimilazione del reale all’io, senza costrizioni né sanzioni: tale è il gioco che trasforma il reale per assimilazione più o meno pura ai bisogni dell’io” J.Piaget D.ssa Luciana Fenu

17 Il gioco simbolico I tre più importanti temi che caratterizzano questo cambiamento, che interessa il periodo di età che va dai 12 ai 36 mesi, sono: 1. il decentramento, che svincola le azioni simboliche dal corpo del bambino e permette la differenziazione di significati da azioni sensomotorie a rappresentazioni astratte di significato, 2. la decontestualizzazione, che consente al gioco simbolico di essere eseguito con un sostegno ambientale decrescente, 3. l’integrazione che fa si che comportamenti simbolici o significati siano coordinati in sequenze. D.ssa Luciana Fenu

18 IL GIOCO SIMBOLICO Da un punto di vista cognitivo perché si costituisca una competenza ludico-simbolica è necessario che il bambino sia capace di rappresentazione mentale. I meccanismi sensomotori ignorano la rappresentazione. L’oggetto permanente (9-12 mesi) è ricerca di un oggetto scomparso ma che è stato appena percepito, corrisponde ad un’azione in corso ed un insieme di indizi attuali permette di ritrovarlo. Secondo Piaget è l’imitazione che assicura il passaggio dal senso-motorio al pensiero rappresentativo, preparandone il simbolismo necessario. D.ssa Luciana Fenu

19 LA FUNZIONE SEMIOTICA Al termine del periodo sensomotorio (18-24 mesi) si manifesta una funzione fondamentale che consiste nel poter rappresentare qualcosa (un significato) per mezzo di un significante differenziato che serve solo a questa rappresentazione, la funzione semiotica, caratterizzata da almeno 5 condotte: l’imitazione differita, il gioco simbolico, il disegno, l’immagine mentale, il linguaggio. La funzione semiotica (l’insieme dei significanti differenziati) stacca il pensiero dall’azione e crea in qualche modo la rappresentazione. D.ssa Luciana Fenu

20 LA FUNZIONE SEMIOTICA L’imitazione differita: compare in assenza del modello e costituisce un inizio di rappresentazione. Il gesto imitatore è un inizio di significante differenziato. Il gioco simbolico: il significante differenziato è un gesto imitatore ma accompagnato da oggetti che divengono simbolici. Il disegno: o immagine grafica è dapprima intermediario tra il gioco e l’immagine mentale. L’immagine mentale: appare come un’imitazione differenziata. Il linguaggio: permette l’evocazione verbale di avvenimenti non attuali. D.ssa Luciana Fenu

21 GIOCO E LINGUAGGIO Il bambino che usa i simboli, che imita modelli non visibili, interiorizzati, e che adopera le parole per riferirsi ad oggetti non presenti è ormai un bambino che pensa. Per Piaget l’origine del pensiero è da ricercarsi nella funzione simbolica: “…è permesso concludere che il pensiero precede il linguaggio, e che quest’ultimo si limita a trasformarlo profondamente”. Per Vygotskij pensiero e linguaggio hanno radici differenti, il passaggio da uno all’altro non è automatico, lo sviluppo di entrambi è inscindibile dal contesto sociale dell’individuo. Il linguaggio prende avvio nell’ambito del rapporto interpersonale. D.ssa Luciana Fenu

22 GIOCO E LINGUAGGIO Diverse ricerche confermano la stretta correlazione tra la comparsa del linguaggio, il gioco simbolico e l’imitazione. Ricerche recenti dimostrano che la gestualità nel gioco simbolico si sviluppa di pari passo con gli inizi del linguaggio ed é legata, a quanto pare, al desiderio di comunicazione. Sia i comportamenti articolatori nel linguaggio che quelli gestuali nel gioco sono usati per rappresentare informazione riguardante oggetti ed eventi nel mondo reale. Risultati di studi correlativi hanno confermato una relazione generale tra gioco simbolico e linguaggio. In uno studio di Fein bambini che avevano punteggi alti nella comprensione di linguaggio a 18 e a 24 mesi mostravano significativamente più finzione decentrata (per es., dare da mangiare alla bambola col poppatoio) dei bambini con punteggi di comprensione più bassi. Rosenblatt ha osservato che bambini di mesi con un livello di linguaggio avanzato per la loro età eseguivano gioco di rappresentazione più spesso degli altri bambini. Bates et al., (1979) hanno constatato che in bambini fra i 9 e i 13 mesi le misure di gioco simbolico erano le più predittive di azione e linguaggio. D.ssa Luciana Fenu

23 Il modello di McCune Nicolich
Nello schema evolutivo di McCune (1981) il gioco simbolico è caratterizzato da diversi livelli di sviluppo: Livello 1: Schemi presimbolici. Azione e significato sono uniti. L’atteggiamento verso gli oggetti è realistico (es: bere da un bicchiere) Livello 2: Schemi autosimbolici. Appare la consapevolezza tra ciò che è letterale e ciò che è per finta (es: bere rumorosamente). Riguardano sempre le routine della vita quotidiana (da 13 mesi). Livello 3: Gioco simbolico decentrato. Azioni dirette ad altri o all’oggetto. Prima il bambino era agente attivo, ora esce dalla situazione e manipola gli altri. Il bambino mette in atto una singola azione alla volta. Livello 4: Gioco simbolico combinatorio. Compie una sequenza di azioni secondo un ordine temporale e causale. Livello 5: Gioco simbolico gerarchico. L’attività di finzione non è più guidata dagli oggetti ma da un processo mentale. Prevede una pianificazione che precede l’esecuzione D.ssa Luciana Fenu

24 IL GIOCO SIMBOLICO E LINGUAGGIO
il livello 2 coincide con le prime parole. il livello 3 è raggiunto da quei bambini che hanno acquisito un linguaggio rappresentazionale (riferirsi verbalmente ad oggetti assenti o eventi passati). Il gioco simbolico combinatorio emerge simultaneamente alle prime combinazioni di parole. La capacità di pianificare e di organizzare gerarchicamente il gioco corrisponde alle combinazioni variate ed estese di parole. Successivamente lo sviluppo di linguaggio si distacca dallo sviluppo del gioco e precede autonomamente. D.ssa Luciana Fenu

25 GIOCO E LINGUAGGIO Periodo sensomotorio: le parole servono per accompagnare un'azione o per evocarla 9/12 mesi : (comparsa dell’oggetto permanente) il bambino utilizza gesti comunicativi detti illocutori, performativi o deittici: offre, porge, indica, prende, ecc. Esprimono un’intenzione comunicativa e si riferiscono ad un oggetto/evento che si ricava osservando il contesto. (stretta correlazione tra il gesto indicare e sviluppo del linguaggio) Dai 12 mesi in poi: utilizza gesti referenziali. Produce le prime parole. Il bambino tocca gli oggetti denominandoli. Da 16 mesi in poi: aumento esponenziale della produzione verbale, riduzione/scomparsa dei gesti referenziali. D.ssa Luciana Fenu

26 GIOCO E LINGUAGGIO Periodo preoperatorio: le parole si separano dagli schemi sensomotori per assumere la funzione di ri-presentare la realtà stessa. 18/36 mesi:Il linguaggio in questo periodo stimola ed organizza funzionalmente i pensieri e i suoi oggetti, senza tuttavia consentire al bambino di utilizzarli per finalità operative senza avere un riferimento concreto. Molta di questa fase viene impiegata per sviluppare e consolidare il sistema fonologico, sintattico e il vocabolario, precisando i contenuti mentali. Le frasi diventano più complesse. Dai 4 anni in poi: inizia l’uso dello schema narrativo D.ssa Luciana Fenu

27 IL LINGUAGGIO EGOCENTRICO
Egocentrismo per Piaget significa: “difficoltà nel tener conto delle differenze dei punti di vista tra gli interlocutori, dunque nell’essere capaci di decentramento” Bambino di 4 anni intento a giocare con un trenino dice “Ora arriviamo alla stazione”. Per Piaget tale frase avrebbe lo scopo di riflettere i pensieri e le intenzioni del bambino, non di comunicare con un’altra persona. Inizialmente subordinato al pensiero, il linguaggio solo più tardi diventerebbe comunicativo e sociale. “I discorsi dei bambini dai 4 ai 6 anni non sono tutti destinati a fornire informazioni o a porre domande (linguaggio socializzato), ma spesso consistono in monologhi collettivi durante i quali ciascuno parla per sé senza ascoltare gli altri (linguaggio egocentrico) (Piaget Inhelder) D.ssa Luciana Fenu

28 IL LINGUAGGIO EGOCENTRICO
Per Vygotskij: il monologo egocentrico altro non è che un pensiero ad alta voce che anticipando il linguaggio interiore aiuta come principio regolatore, il pensiero e il comportamento. Tuttavia, sia Piaget che Vygotskij postulano una stretta connessione tra pensiero e linguaggio. D.ssa Luciana Fenu

29 PENSIERO EGOCENTRICO L’egocentrismo intellettuale: il bambino agisce sul piano pratico in modo differenziato, sa di esistere e di avere sensazioni la cui fonte è il mondo esterno. 4/6 anni: definito da Piaget intuitivo, in quanto il bambino interpreta la realtà basandosi soprattutto sull'intuizione e in riferimento alla propria esperienza diretta. L'egocentrismo tipico di tutto lo stadio assume tre particolari manifestazioni: Animismo: le cose sono viventi e dotate d’intenzionalità; Artificialismo: le cose sono state costruite dall’uomo o da un’entità divina; Realismo o letteralità: il pensiero è qualcosa di materiale. I bambini prendono tutto alla lettera. Sono incapaci di fare metafore autentiche. L’egocentrismo si manifesta anche nella comprensione di rapporti spaziali e temporali (esperimento della montagna). Piaget ha riscontrato tendenze egocentriche anche nella valutazione del tempo: fino ai 6-7 anni confondono la durata degli eventi con gli indici spaziali degli eventi stessi. D.ssa Luciana Fenu

30 Il racconto del bambino
Il racconto di sé: ciò che manca al bambino piccolo è la capacità di organizzare gli eventi o i ricordi in forma narrativa, cioè in una forma organica e coerente che colloca il ricordo o l’evento nel tempo e nello spazio. Quando questa capacità è acquisita, viene applicata automaticamente anche ai propri ricordi infantili, che vengono trasformati radicalmente perché possano essere inseriti in un contesto strutturato e coerente. Inoltre la nostra memoria è selettiva: vengono ricordati soprattutto gli episodi che hanno una particolare connotazione affettiva o emotiva. Rispetto alle testimonianze infantili, l’età dei 6 anni sembra a molti operatori un limite invalicabile. Quando al bambino vengono poste delle domande, la sua risposta è influenzata da tre fattori: dalla sua conoscenza del linguaggio, dalle aspettative su ciò che immagina che l’adulto voglia, dal contesto in cui la domanda è inserita. Inoltre, nel rispondere ai quesiti dell’adulto, il bambino è spinto dalla tendenza all’acquiescenza. Anche di fronte a domande strane e bizzarre il bambino tenderà a dare una risposta purchessia. Es: in un esperimento, Hughes e Grieve (1983), hanno posto a bambini tra 5 e 7 anni domande senza senso “Il latte è più grande dell’acqua?”, nessun bambino si rifiutava di rispondere e non chiedeva che gli si chiarisse il concetto della domanda. Solo intorno agli 8 anni i bambini sono in grado di produrre storie autobiografiche complete. D.ssa Luciana Fenu

31 IL GIOCO E LE COMPETENZE SOCIALI
Il gioco simbolico si configura come una palestra nella quale esercitare le competenze sociali. È risultato un collegamento positivo tra diverse misure relative al funzionamento sociale dei bambini quali la popolarità, l’accettazione, la prosocialità, l’alternanza dei turni e il gioco simbolico. I bambini che tendono al gioco di fantasia sono risultati meno aggressivi e più aperti alla collaborazione con i compagni. D.ssa Luciana Fenu

32 LE COMPETENZE SOCIALI La socialità concorrono a formarla più componenti, sia di ordine cognitivo che affettivo-emotivo. G. Petter ne indica almeno tre: acculturamento: l’individuo è adattato alla presenza ed alle esigenze di altri individui che vivono nel suo stesso ambiente ed interagiscono con lui in vario modo. La capacità di un individuo di porsi anche dal punto di vista degli altri. La capacità di entrare anche emotivamente in consonanza con gli altri. D.ssa Luciana Fenu

33 .2-5 anni: autonomia, iniziativa, autoregolazione
LE COMPETENZE SOCIALI ETA’ PRESCOLARE .2-5 anni: autonomia, iniziativa, autoregolazione 2-3 anni: Autonomia/vergogna o dubbio: controllo sul proprio corpo e sui propri movimenti, autonomia personale, ecc. (componente positiva). In opposto: eccessive esperienze di vergogna, esposizione alle critiche, dubbio su se stessi, ipercontrollo (componente negativa). 4-5 anni: Iniziativa/senso di colpa: intraprendere, pianificare, portare avanti degli scopi. L’iniziativa è sostenuta da progressi relativi alla mobilità, destrezza fisica, linguaggio, cognizione, immaginazione creativa (ruoli sociali nel gioco). In opposto senso di colpa se l’iniziativa viene castrata, se si sviluppa una coscienza severa che punisce comportamenti non accettati dagli adulti. Dai 6 anni alla pubertà: industriosità/inferiorità: il tema ricorrente “io sono quello che imparo”. Esperienze positive danno al bambino un sentimento di competenza e di padroneggiamento, al contrario, il fallimento porta con sé un senso di inadeguatezza e di inferiorità. D.ssa Luciana Fenu

34 LE COMPETENZE SOCIALI Autoregolazione
L’autocontrollo viene raggiunto a 24 mesi: il bambino interiorizza le prescrizioni ed il controllo degli adulti. L’autoregolazione intesa in senso ampio, include non solo un’autonomia fisica ma anche una percezione più realistica del pericolo, la coscienza morale, la capacità di resistere alle tentazioni. Il processo d’interiorizzazione delle norme parentali, la possibilità di renderle sensibili al contesto, di interpretarle e di giungere quindi all’autoregolazione avviene all’interno di routine domestiche. Le routine sono delle attività ricorrenti e prevedibili che caratterizzano la vita sociale. Sono fortemente dipendenti da un contesto. D.ssa Luciana Fenu

35 LE COMPETENZE SOCIALI: LE ROUTINE
Le routine si compongono di elementi successivi tra loro coordinati (es: andare a letto). Portano alla costruzione di copioni o script. Le routine sono importanti per almeno 2 aspetti: aumentano la prevedibilità dei fenomeni, creano un contesto di attese, questa prevedibilità dà sicurezza, comporta la consapevolezza che esiste una regola. Proprio perché si riferiscono a situazioni familiari, sono una strada per imparare delle regole su come le cose vanno fatte, sono il contesto entro il quale avvengono esperienze cognitive, sociali ed emotive. D.ssa Luciana Fenu

36 ROUTINE E TEORIA DELLA MENTE
Una ricaduta importante prodotta dalle routine e dalla conseguente costruzione e violazione di regole riguarda la teoria della mente. La comprensione di ciò che è normale attendersi o ciò che è normale fare in una data situazione include almeno 2 tipi di violazioni: 1° es: camminare ad occhi chiusi per raggiungere la propria stanzetta provocherà un ammonimento più o meno divertito da parte del genitore. 2° es: mettere una sedia sopra il tavolo per raggiungere un armadietto provocherà una grande arrabbiatura. Ciò significa che non rispettare una regola corrisponde ad una violazione di tipo morale. A 4 anni il bambino che viola una regola, mette in atto delle strategie riparatorie usando per esempio la menzogna in modo da far credere che la regola è stata rispettata cercando delle attenuanti e ragionando dal punto di vista del genitore. Questa particolare capacità di saper ragionare non nei termini di come stanno le cose ma di come gli altri pensano che siano presuppone una teoria della mente. D.ssa Luciana Fenu

37 La teoria della mente Diversi filoni di ricerca sconfermano l’ipotesi dell’egocentrismo formulata da Piaget per spiegare l’inefficacia comunicativa sperimentata dai bambini. Si è trovato che già in età prescolare i bambini sono in grado di valutare caratteristiche distintive dell’interlocutore e produrre messaggi appropriati. Intorno ai 4 anni il bambino sa ragionare non nei termini di come le cose stanno, ma di come gli altri pensano che stiano. Possiede una teoria della mente (abilità di inferire gli stati mentali degli altri). D.ssa Luciana Fenu

38 GIOCO E COMPETENZE SOCIALI
ETA’ PRESCOLARE A 2-3 anni i bambini sono in grado di istituire con il coetaneo scambi di oggetti, avere comportamenti imitativi e relazioni di tipo ludico. A 4-5 anni le sequenze di collaborazione si fanno più frequenti e i giochi da diadici diventano di gruppo. Vi è una maggiore aderenza alle regole di gioco e una simmetria nella competizione. La simmetria nelle relazioni facilita l’alternanza e la reciprocità. A quest’età il gioco permette di esprimere in modo socialmente accettato e divertente l’aggressività: l’azione aggressiva ha uno scopo giocoso, è segnalata da una mimica evidente che permette all’altro di comprenderne il significato, è condivisa da entrambi i partner, prevede un’intesa (gioco della lotta senza farsi male). D.ssa Luciana Fenu

39 GIOCO E COMPETENZE SOCIALI
ETA’ SCOLARE Nell’età scolare 5-11 anni, sul piano sociocognitivo si riscontrano notevoli progressi. Questi progressi sono il risultano sia dei processi avviati nell’età precedente, sia dalle nuove esigenze poste dal sistema scolare. Durante questo periodo i bambini sperimentano la capacità di “Role talking”, cioè la capacità di decentrarsi e di assumere un punto di vista diverso dal proprio. Manca ancora la capacità di mettere in relazione i vari punti di vista che si acquisirà verso la fine dell’età scolare. Aumenta la comprensione delle relazioni sociali e dei ruoli sociali D.ssa Luciana Fenu

40 IL GIOCO DI GRUPPO Nel gioco di gruppo i bambini fanno esperienze interattive di diverso tipo: accettazione, rifiuto, isolamento. Sembrerebbe (Putallaz, 1983) che: i bambini più ricercati (popolari) sono quelli capaci di giocare senza imporsi, che usano strategie per mantenere relazioni; I turbolenti, molto attivi, loquaci e poco collaborativi rischiano di diventare dei rifiutati; I bambini isolati sono timidi, poco aggressivi, insicuri, svolgono attività solitarie, evitano attività diadiche. D.ssa Luciana Fenu

41 LE INTERAZIONI PROSOCIALI E AGGRESSIVE
Connesse con le relazioni di accettazione, rifiuto e isolamento ci sono quasi sempre forme di interazione prosociale o aggressive. Le condotte prosociali possono essere dirette (aiutano o recano piacere all’altro), indirette (legate ad un’attività strumentale). Denotano interesse verso l’altro. Le condotte aggressive possono essere ostili e dirette (si nuoce l’altro) o strumentali e indirette (riguardano il possesso di un oggetto). L’aggressione a sua volta può essere fisica diretta, verbale e indiretta: 1. Fisica: appartiene ai bambini piccoli che non hanno sviluppato le capacità verbali e sociali ad un livello simbolico; 2. Verbale: appartiene ai bambini che hanno sviluppato nel loro senso più pieno le capacità verbali e sociali; 3. Indiretta: appartiene ai bambini con un intelligenza sociale sufficientemente sviluppata. Diventano abili a recare danno psicologico mediante la manipolazione sociale. In condizioni normali aggressività e prosocialità vengono opportunamente utilizzate nella cooperazione e nella competizione. D.ssa Luciana Fenu

42 Dinamiche relazionali e aggressività infantile
LE COMPETENZE SOCIALI Dinamiche relazionali e aggressività infantile È stata trovata sovente una correlazione tra ruolo di rifiutato e stile aggressivo. I bambini non adattati socialmente, vuoi perché rifiutati o perché aggressivi, sarebbero caratterizzati da un deficit sociocognitivo in base al quale farebbero degli errori di valutazione nel corso del loro processo di elaborazione delle informazioni sociali. Es: interpretano male i segnali sociali. Quando le interazioni aggressive riproducono se stesse e diventano stabili, solitamente si crea una circolarità tra il bambino e il suo ambiente: l’aggressività è sostenuta dalle risposte degli altri, ma anche dal modo che il soggetto ha di interpretarle. Non tutti i rifiutati sono aggressivi e non tutti gli aggressivi sono rifiutati. D.ssa Luciana Fenu

43 Dinamiche relazionali e aggressività infantile
LE COMPETENZE SOCIALI Dinamiche relazionali e aggressività infantile Alcuni ricercatori (Himel et al.1990, Shaffer et al. 1996) hanno confrontato rifiutati aggressivi con rifiutati non aggressivi a 7 e 10 anni. A 10 anni i rifiutati non aggressivi presentavano problemi di interiorizzazione, erano paurosi, ansiosi e ritirati, mentre i rifiutati aggressivi avevano sviluppato problemi di esteriorizzazione, erano più ostili e impulsivi. Da questa ricerca sembra che quando il rifiuto si associa ad un basso livello di aggressività, può ostacolare un’adeguato sviluppo sociale, forse perché un basso livello di aggressività è esso stesso espressione di ansietà. Quando l’aggressività non è associata al rifiuto, essa stessa sembra contenere certi aspetti di competenza sociale, i bambini sono capaci di cercare una soluzione positiva tra i compagni. D.ssa Luciana Fenu

44 LA PSICOMOTRICITA’: come rilevare le difficoltà attraverso il gioco
La psicomotricità: sia dal punto di vista teorico che operativo, considera la persona nella sua globalità psico-corporea, strutturale e funzionale, il cui vissuto complessivo svolge un ruolo di fondazione della vita e si pone come: Base dello sviluppo dell’identità, Espressione della vita emozionale, Fondamento dei processi cognitivi, Organizzatore della motricità funzionale e relazionale. D.ssa Luciana Fenu

45 PSICOMOTRICITA’ E GIOCO
Il bambino esprime attraverso il gioco e il movimento il suo funzionamento globale; gioco e movimento sono proprio oggetto di studio nell’approccio psicomotorio, dove la lettura delle modalità del corpo e del suo movimento in relazione con l’altro e con gli oggetti viene utilizzata come punto centrale della pratica. D.ssa Luciana Fenu

46 PSICOMOTRICITA’ E GIOCO: COSA OSSERVARE
COSA VEDO COSA SENTO D.ssa Luciana Fenu

47 PSICOMOTRICITA’ E GIOCO
COSA VEDO L’attenzione è orientata verso l’esterno e permette di osservare i dati oggettivi del bambino in relazione con se stesso, con l’altro, gli oggetti, lo spazio il tempo D.ssa Luciana Fenu

48 PSICOMOTRICITA’ E GIOCO
COSA SENTO L’attenzione è orientata verso l’interno con l’intenzione di portare alla consapevolezza Le proprie sensazioni Percezioni Emozioni Riflessioni D.ssa Luciana Fenu

49 PSICOMOTRICITA’ E GIOCO
L’osservazione Si utilizza l’integrazione tra un metodo descrittivo, che prevede una raccolta di dati oggettivi secondo i parametri psicomotori (o tenendo conto delle tappe dello sviluppo del bambino) ed il metodo dell’osservazione partecipata che permette di rilevare gli elementi soggettivi attraverso il vissuto di chi osserva. D.ssa Luciana Fenu

50 L’OSSERVAZIONE DEL GIOCO
F. Montecchi Realizzare un intervento efficace presuppone di: Sapere (conoscere i contenuti teorici relativi al problema) Saper fare (applicare le procedure operative adeguate) Sapere essere (conoscere e gestire l’emozioni) D.ssa Luciana Fenu

51 L’OSSERVAZIONE DEL GIOCO
G. Moretti Osservare significa non soltanto registrare dei fenomeni, ma anche prendere atto delle situazioni, dei contesti, delle condizioni in cui tali fenomeni hanno luogo. Osservare con distensione, sospendere il giudizio, cercare di comprendere e non di chiarire (atteggiamento naif). D.ssa Luciana Fenu

52 L’OSSERVAZIONE DEL GIOCO
Sospendere le aspettative e il giudizio: se ci mettiamo ad osservare con la mente di aspettative e giudizi, rischiamo di interpretare in modo distorto i comportamenti dell’altro; ad es. da un bambino generalmente aggressivo potremmo aspettarsi sempre comportamenti inadeguati. 2. Osservare quanto accade: raccogliere gli elementi per le azioni successive. 3. Astenersi da forme immediate d’intervento: intervenire rapidamente sulla base solo di sensazioni e di movimenti istintivi, può essere rischioso e fuorviante. 4. Ascoltare l’emozioni attivate da quanto osservato: significa a) entrare in contatto con le proprie emozioni da quanto si sta osservando (es: rabbia per il bambino che sta distruggendo la classe); b) entrare in contatto con le emozioni del bambino (es: ansia) cercando di contenere e mantenere distinti i due aspetti. Evitare di essere presi da emozioni sgradevoli che bloccherebbero l’offerta di aiuto al bambino. D.ssa Luciana Fenu

53 L’OSSERVAZIONE DEL GIOCO
COSA OSSERVARE: Rapporto con il proprio corpo: uso del tono, della postura, del movimento, dello sguardo, della mimica, della voce. Si osserva se l’uso del corpo è adeguato e adatto a quanto la situazione richiede, o se sfugge al controllo. Si rilevano l’armonia, la congruenza, le contraddizioni dei diversi canali all’interno del gioco. Il mantenimento del piano del gioco-realtà: l’armonia e la congruenza tra i diversi segnali non verbali ci permette di identificare il piano di realtà, mentre l’incongruenza degli stessi ci permette di identificare il piano simbolico. Il collegamento e l’integrazione tra l’intenzione, l’azione e l’emozione: il fare del bambino in un’attività d gioco sviluppa sempre un tema, che costituisce il filo logico, imprime una direzione al gioco e ne definisce il contenuto. L’intenzione di gioco, l’azione e l’emozione guidano il controllo del movimento del corpo, dei suoi segmenti nell’investimento dello spazio, del tempo e degli oggetti. D.ssa Luciana Fenu

54 L’OSSERVAZIONE DEL GIOCO
4. Spazi e tempi del gioco: rivelano gli interessi e il grado di libertà di azione del bambino. La capacità di organizzazione e strutturazione di un’attività sono indicatori importanti dello stato di salute del bambino. Alcune particolarità si manifestano nella difficoltà di “dare ordine” alle varie azioni in vista di un obiettivo. 5. Rapporto con i materiali: strutturati e non strutturati. Può essere che di fronte ad un materiale (senso-motorio) il bambino si blocchi oppure perda il controllo, mentre funzioni bene in altre situazioni e con altro tipo di materiale (per es. più didattico). 6. Rapporto con gli altri: pari e adulti. D.ssa Luciana Fenu

55 L’OSSERVAZIONE DEL GIOCO
7. Le singole componenti funzionali in rapporto all’età del bambino. 8. Il linguaggio verbale: definizione, conoscenza, competenza espresse in contatto con il piano emotivo del gioco, con il piano descrittivo del fare, non collegate al contesto o congruenti. Tutti questi rapporti sono interconnessi. D.ssa Luciana Fenu

56 L’OSSERVAZIONE DEL GIOCO
Il gioco, in sintesi, offre all’osservatore una serie di conoscenze in merito a diversi aspetti, quali: L’attitudine del bambino a rapportarsi ai giochi (inibizione, eccitazione) e le modalità con cui li usa (tutti insieme, uno dopo l’altro, ecc.) La capacità di organizzare il gioco, che indica la maturazione affettiva del bambino ed il tipo di funzionamento mentale; La tematica del gioco (stereotipie, scene di aggressione, ecc.) per il suo alto valore proiettivo; La verbalizzazione che accompagna il gioco; L’abilità psicomotoria (armonia dei gesti, abilità di prensione, stabilità motoria); La tolleranza alle frustrazioni, che si può rilevare nel momento di interrompere il gioco. Nel complesso il gioco rappresenta una modalità privilegiata per valutare il livello di sviluppo del bambino, per conoscere le caratteristiche del suo pensiero e, soprattutto, per accedere al suo mondo interno. D.ssa Luciana Fenu

57 L’OSSERVAZIONE DEL GIOCO
Sul piano clinico Guillemant suggerisce quattro possibili situazioni abnormi: Riduzione o assenza del gioco (inibizione o depressione). Eccesso del gioco (nevrosi di comportamento, ipercinesia) Insufficienza o cattiva organizzazione del gioco (deficit cognitivo, ADHD) Bizzarria: cose e persone vengono utilizzate secondo un simbolismo inabituale (anomalie psicopatologiche). Una certa modalità di gioco è da assumere come indicatore di patologia solo a condizione che essa sia la più frequente e tale da escludere altre forme alternative, supponendo la mancanza di interesse e di piacere per qualsiasi altro gioco. D.ssa Luciana Fenu

58 RILEVARE LE DIFFICOLTA’: I DISORDINI DEL LINGUAGGIO
Segnali di rischio per il disturbo del linguaggio: 1. Mancata acquisizione di schemi d’azione con oggetti a 12 mesi; 2. Assenza o ridotta presenza di gioco simbolico da 24 a 30 mesi; 3. Vocabolario ridotto: meno di 20 parole a 18 mesi e meno di 50 parole a 24 mesi; 4. Ritardo nella comparsa della combinazione tra gesto e parola; 5. Deficit nella comprensione di ordini non troppo contestualizzati; 6. Persistere di espressioni verbali incomprensibili dopo i anni. D.ssa Luciana Fenu

59 GIOCO E DISORDINI DEL LINGUAGGIO
Dai 2 ai 4 anni il bambino deve aver acquisito tutti i fonemi, tra i 4 e i 6 anni non ci devono essere più processi di semplificazione. L’incapacità di formulare frasi di due parole a 3 anni è da considerarsi segno di ritardo significativo. Tuttavia, fare una diagnosi differenziale di Ritardo Semplice di Linguaggio nella fascia di età compresa fra i 2 e i 4 anni è molto difficile. In molti casi il R.S.L. scompare spontaneamente verso i 4-5 anni, mentre un Disturbo Specifico di Linguaggio persiste oltre quest’età. I disturbi psicopatologici più frequenti che vengono segnalati in associazione con un disturbo del linguaggio sono i disturbi della condotta e i disturbi emotivi. D.ssa Luciana Fenu

60 Disturbo semantico-pragmatico del linguaggio
Sono bambini che possono avere un linguaggio sintatticamente ben formato e fonologicamente corretto, ma che hanno difficoltà a seguire una conversazione o ad impegnarsi in un discorso a scopo comunicativo. Memorizzano frasi ma non le costruiscono, hanno difficoltà a comprendere i discorsi, ripetono meccanicamente ciò che sentono. Non usano frasi per relazionarsi con gli altri. Preferiscono i giochi solitari e prestabiliti, talvolta i giochi sono sempre gli stessi, possono non fare giochi di finzione anche se sono in grado di giocare come gli altri gli hanno insegnato o recitare scene dei libri. Possono recitare numeri e lettere dell’alfabeto. È un deficit linguistico e non sociale (sindrome di Asperger). D.ssa Luciana Fenu

61 Disturbo semantico-pragmatico del linguaggio
Che fare: 3-5 anni: giochi di alternanza, giochi di ruolo che tengano conto di alcune regole comunicative: scambiarsi i turni nel dare e ascoltare istruzioni Chiedere e ascoltare le richieste Ottenere l’attenzione di qualcuno Fare domande dare risposte Dare informazioni Dire Si e No 6-8 anni: se il bambino ha imparato modi più appropriati di comunicare con gli altri. È utile, successivamente, imparare a usare queste abilità per interagire con maggiore efficacia con gli altri bambini: Interpretare la comunicazione verbale e non verbale, Consapevolezza delle regole della conversazione Abilità di inferenza e di linguaggio logico sequenziale e temporale, ecc. D.ssa Luciana Fenu

62 RILEVARE LE DIFFICOLTA’: I disturbi della coordinazione motoria
È un disordine della pianificazione ed esecuzione di azioni intenzionali, in assenza di patologie neurologiche. È un disturbo dello sviluppo. Sinonimi: goffaggine, disprassia evolutiva, disfunzioni pratto-gnosiche, disordini percetivo-motori, disordini della coordinazione, ecc. Il disordine interferisce con l’apprendimento e con le attività della vita quotidiana. Alcuni autori lo definiscono un disturbo del livello rappresentativo simbolico; Altri un disturbo del livello esecutivo. D.ssa Luciana Fenu

63 Disturbi della coordinazione motoria
Dewey (1995) definisce la disprassia dello sviluppo come un disordine delle performance gestuali, e ritiene che vi sia una sequenza evolutiva nella rappresentazione gestuale: Es: lavarsi i denti Fino a 3 anni: i bambini hanno difficoltà nella rappresentazione di gesti e presentano un comportamento deittico, cioè indicano l’area dove l’azione dovrebbe aver luogo (es. la bocca), oppure manipolano l’oggetto dell’azione (percuotono i denti senza considerare lo spazzolino). Dopo i 4 anni inizia la rappresentazione del gesto, cioè la prassia ideomotoria, ma l’azione viene rappresentata con l’uso del corpo come oggetto. Dopo i 7-8 anni la rappresentazione simbolica degli oggetti emerge gradualmente e continua a svilupparsi fino ai 12 anni, quando le abilità prassiche diventano simili a quelle dell’adulto. D.ssa Luciana Fenu

64 Disturbi della coordinazione motoria
La disprassia può manifestarsi come disordine delle performance di: Gesti rappresentazionali (esprimono azioni significative, es, ciao); Gesti nonrappresentazionali (es. imitazioni di posture); Sequenze gestuali (es. imburrare un pezzo di pane). Questa definizione esclude i bambini con P.C., ma comprende i bambini con disordini percettivo-motori e con disfunzioni neurologiche minori (non vi è un pattern lesionale specifico). Esistono due tipi di disprassia: 1. Ideativa o di pianificazione: il bambino non sa cosa fare, non è in grado di pianificare le azioni per svolgere un compito; 2. Ideomotoria o esecutiva: il bambino non sa come fare, il piano generale è conservato ma sono compromesse le singole sequenze motorie, non sa come eseguirlo. D.ssa Luciana Fenu

65 Disturbi della coordinazione motoria
Patogenesi: secondo alcuni autori la disprassia dello sviluppo è da imputarsi ad un disordine simbolico/concettuale: difficoltà nella rappresentazione astratta del gesto, le sequenze sono alterate o il corpo viene utilizzato come oggetto (difficoltà nella simbolizzazione dell’azione). Il riscontro frequente tra disordini del linguaggio e disordini prassici ipotizzano che alla base di entrambi vi sia un disturbo di un sistema simbolico comune, che si esprime nella comunicazione gestuale e linguistica. Dewey ritiene che possano essere attribuiti a deficit del controllo della sequenza temporale, del controllo della forza e dell’organizzazione spaziale del movimento. Prestazioni scadenti nei giochi di movimento, d’imitazione di gesti, nelle prime attività grafomotorie e costruttive. D.ssa Luciana Fenu

66 Disturbi della coordinazione motoria
Cosa è consigliato fare: Apprendere una routine con guida verbale (imparare a memoria le istruzioni); Scomporre le sequenze di un compito, fornendo al bambino dimostrazioni e guidandolo nel feedback per la valutazione degli errori; Inefficaci le attività motorie globali che oltre a non migliorare le prestazioni motorie, inducono frustrazione e ansia. D.ssa Luciana Fenu

67 Le emozioni in gioco Il bambino ansioso
In situazione nuove si tiene in disparte, ritirato, apparentemente poco interessato e poco disponibile alle proposte avanzate, talora sospettoso. L’eloquio: il tono di voce può essere basso, piatto, eloquio lento, povero di contenuti, spesso costituito da risposte brevi alle domande rivolte. Qualità del rapporto: cerca continue rassicurazioni. Il gioco: presenta contenuti adeguati ma modalità di svolgimento spesso ripetitive al fine di evitare l’imprevedibile, il cambiamento. Quest’ultimo, quando proposto, ingenera timore e inibizione, aumento delle richieste di conferma e di rassicurazione. D.ssa Luciana Fenu

68 Le emozioni in gioco Il bambino depresso:
Caratteristiche: alterazione del tono dell’umore, espressione di tristezza caratterizzata da povertà della mimica, sguardo inespressivo, rarità del sorriso, pianto per motivi futili, povertà espressiva della postura. L’eloquio: scarsa iniziativa verbale, alterazioni della prosodia. Il tono di voce può essere piatto, basso, l’eloquio lento e povero di contenuti o al contrario tono di voce alto, eloquio rapido, contenuti confusi. Il comportamento: riduzione dei livelli di attività, scarsa iniziativa, inibizione, rallentamento psicomotorio. Molto spesso le alterazioni delle attività sono caratterizzate da comportamenti ipercinetici e condotte aggressive. L’interazione sociale: tendono ad evitare le occasioni d’incontro con gli altri e, quando inseriti nell’ambito del gruppo, assumono atteggiamenti passivi o tendono ad isolarsi. Il gioco: i contenuti sono poveri di creatività e si collocano spesso ad un livello inferiore rispetto a quanto atteso per età; le proposte di cambiamento vengono accettate passivamente senza generare alcuna apparente reazione emotiva; è spesso necessario sollecitarlo perché svolga quanto avviato. In genere c’è scarso interesse per l’oggetto, ridotta partecipazione, impoverimento della creatività. D.ssa Luciana Fenu

69 L’emozioni in gioco Il bambino con DDAI
Il DDAI è una sindrome comportamentale caratterizzata da impulsività, iperattività e inattenzione (facile distraibilità). La semplice osservazione del bambino permette di rilevare facilmente gli elementi caratterizzanti il disturbo: Entra nella stanza (irruente) Investe lo spazio (caotico) Si rapporta all’oggetto (frenetico) Aderisce alle proposte dell’adulto (superficiale) Si impegna nel compito (discontinuo) Resiste alle distrazioni (inadeguato) È stata sottolineata l’esistenza, nel bambino iperattivo, di un disturbo nella formazione del Sé corporeo e dei suoi confini che permette di controllare l’azione. Il DDAI comincia in genere a manifestarsi con l’inizio della deambulazione autonoma, i livelli di attività possono presentare un picco intorno ai tre anni. In età prescolare però è difficile formulare una diagnosi differenziale con altri disturbi, ciò rende necessario la formulazione di una diagnosi spesso provvisoria. D.ssa Luciana Fenu

70 L’emozioni in gioco Il bambino con DDAI L’eloquio: tono e velocità passano da livelli vicini a quelli normali a livelli elevati, soprattutto in concomitanza con il divieto e la frustrazione. La qualità del rapporto: la relazione si caratterizza per la sua frammentarietà: egli infatti la mantiene e la interrompe a seconda che la sua attenzione venga attratta da altri stimoli. E’ comunque sempre mantenuto l’interesse per la relazione. Il gioco: nelle situazioni di gioco libero, in cui c’è ampia possibilità di movimento, egli non mostra particolari difficoltà, mentre in contesti in cui si richiede il rispetto di determinate regole il bambino viene etichettato come “problematico e difficile da gestire”. Il gioco è più semplice, stereotipato, povero di significato, caratterizzato da semplici atti motori e continui cambi di interessi (Alessandri, 1992). Il corpo del bambino ipercinetico è sprovvisto di parola, la motricità sostituisce il linguaggio, è ciò che si chiama passaggio all’atto. D.ssa Luciana Fenu

71 Il sistema dell’attenzione e le funzioni esecutive
L’emozioni in gioco Il sistema dell’attenzione e le funzioni esecutive La capacità di inibire alcune risposte motorie ed emotive a stimoli esterni, al fine di permettere la prosecuzione delle attività (autocontrollo), è fondamentale per l’esecuzione di qualsiasi compito. Per raggiungere un obiettivo nello studio o nel gioco, occorre essere in grado di ricordare lo scopo (retrospezione), di definire ciò che serve per raggiungere quell’obiettivo (previsione), di tenere a freno l’emozioni e di motivarsi. D.ssa Luciana Fenu

72 L’emozioni in gioco Nei primi sei anni di vita, le funzioni esecutive sono svolte in modo esterno: i bambini spesso parlano tra sé ad alta voce, richiamando alla mente un compito (memoria di lavoro), che inizialmente verbale, diviene ben presto non verbale. Durante la scuola primaria, i bambini imparano ad interiorizzarle, a rendere private le funzioni esecutive, tenendo per sé i propri pensieri (interiorizzazione del discorso autodiretto). Imparano a darsi istruzioni, a costruire sistemi mentali per capire le regole e adoperarle. Imparano a regolare i propri processi attentivi. Probabile disturbo prefrontale che regola l’inibizione delle risposte impulsive. Una lettura psicomotoria che viene data ai problemi di attenzione riguarda la difficoltà di investire “che io sono presente in quello che dico” J. Berges D.ssa Luciana Fenu

73 L’emozioni in gioco Che fare
Le linee guida per il DDAI (2006) suggeriscono interventi di tipo psicoeducativo: modificare l’ambiente fisico e sociale al fine di modificarne il comportamento. Gli interventi sono focalizzati a garantire al bambino una maggiore struttura, maggiore attenzione e minori distrazioni. Parent training e consulenza agli insegnanti. Riassunto delle linee guida: Regole chiare, Istruzioni concise Conseguenze positive o negative immediatamente dopo il comportamento avvenuto, Strategie positive prima di utilizzare tecniche di punizione. L’intervento psicomotorio, viceversa, centra l’attenzione sul corpo, sull’investimento positivo del sé corporeo per cercare di favorire il passaggio dall’azione alla rappresentazione dell’atto, cioè al pensiero. D.ssa Luciana Fenu

74 L’aggressività nel bambino
L’emozioni in gioco L’aggressività nel bambino B. Aucouturier: l’aggressione, per il bambino è il mezzo per segnalarci il suo rifiuto, è un richiamo per essere sentito, ascoltato, riconosciuto, amato, per uno stare meglio esistenziale; in fondo è una richiesta di comunicazione. L’autore individua tre forme di manifestazioni aggressive nel bambino: Una forma estravertita: il bambino iperinveste il mondo esterno. Lo spazio, gli oggetti, le persone sono luoghi dei suoi eccessi violenti; Una forma intravertita: l’inibizione, nella quale il bambino non investe il mondo esterno. La sua motilità tonica-emozionale rimane potenziale ma è bloccata nel suo esternarsi; Una forma ancora più introvertita: l’autoaggressione, durante la quale il bambino non investe il mondo esterno. D.ssa Luciana Fenu

75 L’emozioni in gioco Aucouturier intravede, nel bambino inferiore a 8 anni, un’evoluzione delle modalità d’investimento delle manifestazioni aggressive: 1. Le manifestazioni aggressive senza mediazione: riguardano il passaggio all’atto puro, il bambino ignora la specificità degli spazi, il senso di utilizzazione degli oggetti, dei materiali e delle parole. Le scariche aggressive sono violente e di breve durata, e si alternano a momenti di comunicazione tollerabili. 2. Le manifestazioni aggressive mediate: produzioni gestuali e vocali ritualizzate che evitano il passaggio all’atto (forma presimbolica); 3. Manifestazioni aggressive derivate: possono operare sia sullo spazio, sia sugli oggetti. La tecnica è quella di far evolvere l’aggressione del bambino verso forme d’investimento simbolico accettabili, riconosciute sul piano sociale. D.ssa Luciana Fenu

76 ELEMENTI DI AIUTO La prima fondamentale condizione per impostare un’azione di aiuto con questi bambini è quella di riconoscere il loro comportamento come una manifestazione di disagio e non come una provocazione per lo più vissuta sul piano personale. Questi bambini colpiscono prima che sul piano didattico, sul piano emotivo. D.ssa Luciana Fenu

77 ELEMENTI DI AIUTO Utilizzare le caratteristiche del gioco del bambino senza interpretarle, aiutandolo a dotare di senso il suo fare o non fare. Assumere un atteggiamento recettivo consapevole, empatico. Ciò richiede capacità di ascoltarsi, di riconoscere l’emozioni e di esserne consapevoli. Solo in questo modo possiamo cogliere i vissuti dell’altro. Accettazione, comprensione, condivisione, limite facilitano nel bambino il sentimento di sentirsi apprezzato e considerato. Uno dei risultati dell’empatia è il sentire che il bambino diventa oggetto di considerazione e di sentimenti positivi per l’adulto che si prenderà cura di lui. L’assenza di giudizio, l’iniziativa lasciata al bambino, la positività del clima emotivo, l’ascolto di se stessi, l’attenzione alla globalità e non al sintomo facilitano uno sguardo verso l’altro. D.ssa Luciana Fenu

78 LA RELAZIONE EDUCATIVA
Una relazione buona e significativa è la cornice indispensabile di ogni attività di sviluppo e apprendimento. Se la relazione è carente o disturbata, il disagio che si crea può portare allo sviluppo di problematiche o accentuarle. D.ssa Luciana Fenu

79 LA RELAZIONE EDUCATIVA
Una relazione è buona quando desideriamo arricchirci di essa. Una buona relazione di aiuto ha bisogno di tempo, di occasioni e di incontri ripetuti. (Canevaro, 1999). D.ssa Luciana Fenu

80 LA RELAZIONE EDUCATIVA
E’ essenziale sfuggire a due rischi: La manipolazione e il controllo dell’altro per i propri bisogni(approvazione, sentirsi efficaci,ecc.) Il non sentirsi responsabili delle proprie emozioni, dubbi, difficoltà. D.ssa Luciana Fenu

81 LA RELAZIONE EDUCATIVA
Come facilitarla: Accettazione incondizionata e attribuzione di valore positivo. Ascolto attivo, conoscenza, comprensione. Proattività, stimolo, aiuto, decisione, accompagnamento, azione orientata, guida, attese D.ssa Luciana Fenu

82 Accettazione incondizionata e attribuzione di valore positivo
Ci si accetta profondamente per quello che si è, quando l’altro mi va bene, al di là delle sue capacità e del suo comportamento. L’altro vale in sé, non produce per me valore solo se cambia, se apprende, se procede verso i miei obiettivi attraverso i miei interventi. Suggerimenti: dedicarsi del tempo allo stare insieme, non vincolato ad un’attività finalizzata dal docente. Riflessione: che valore attribuisco all’alunno in difficoltà e quanto lo accetto senza condizionare questa mia benevolenza al suo fare qualcosa che io desidero? D.ssa Luciana Fenu

83 Proattività, stimolo, aiuto, azione orientata
Una relazione si avvia a diventare buona quando qualcuno che ci valorizza e ci comprende, ci guida per mano, anche decisamente ed energicamente, quando sentiamo che questa guida sa dove andare e come andarci. L’azione deve essere regolare nel tempo, costante e frequente. Deve essere negoziata, condivisa, co-decisa, rispettosa. D.ssa Luciana Fenu

84 La relazione educativa
Canevaro ci invita a lavorare pedagogicamente sulla resistenza dell’altro, perché lì si trova il punto di inizio di una relazione educativa. D.ssa Luciana Fenu

85 LO SGUARDO VALORIZZANTE
Il bambino in difficoltà ha bisogno di uno “sguardo che lo valorizzi” che gli riconosca delle opportunità, che possa progettare, desiderare e sognare “su di lui” e “con lui” e, insieme, far sì che questo progetto possa diventare realtà! Non basta guardarsi allo specchio per sapere come siamo, gli occhi di chi ci sta di fronte sono lo specchio migliore. D.ssa Luciana Fenu


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