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Il Ciclo di Vita del prodotto (1)

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Presentazione sul tema: "Il Ciclo di Vita del prodotto (1)"— Transcript della presentazione:

1 Il Ciclo di Vita del prodotto (1)
Sequenza di fasi che usualmente caratterizzano la vita (dalla “nascita” alla “morte” di un prodotto (meglio: di un “business”, per comprendere anche aspetti del mercato e della competizione): sviluppo iniziale del mercato crescita rallentamento maturità saturazione declino competizione 2 (ciclo di vita)

2 Il Ciclo di Vita del prodotto (2)
Ciò che la “teoria” dice: il “profilo” tipico del ciclo le peculiarità delle diverse fasi dal punto di vista: della dinamica della domanda del suo grado di segmentazione dell’evoluzione delle tecnologie di prodotto e di processo della criticità di ciascuna fase per la dinamica competitiva Ciò che la “teoria” NON dice (o prevede): la durata del ciclo la consistenza della domanda nel punto di “massimo” i tempi del passaggio da una fase all’altra

3 Fasi del Ciclo di Vita SVILUPPO INIZIALE CRESCITA RALLENTAMENTO
MATURITA’ SATURAZIONE dinamica della DOMANDA ridotta scarsa crescita domanda in forte crescita e accelerazione crescita, ma in decelerazione (capacità in eccesso?) crescita ridotta (ri-acquisto) grado di SEGMENTAZIONE segmentazione ridotta sempre maggiore segmentazione (risposta a scala elevata e prezzi bassi) evoluzione delle TECNOLOGIE DI PRODOTTO elevatissima (ricerca configurazione più attrattiva) elevata minore evoluzione TECNOLOGIE DI PROCESSO scarsa evoluzione, influenzata da tecnologie di prodotto moderata molto sostenuta (competitività; riduzione costi; espulsione competitori più deboli) decrescente ATTIVITÀ CRITICHE per la dinamica competitiva Ricerca & Sviluppo Progettazione Produzione Marketing (segmentazione) Finanza (crescita esterna mediante acquisizioni)

4 L’impresa “in potenza”
Per capire ciò che l’impresa potrà diventare (seconda chiave di lettura), abbandonando quindi l’ipotesi “tranquillizzante” della continuità con il passato, più che focalizzarsi con il suo output attuale, è necessario guardare: alle risorse, conoscenze e competenze di cui dispone Da un certo punto di vista, infatti, l’impresa (come qualsiasi realtà sociale) è la sua storia, ma ciò non significa che essa possa seguire vie diverse da quelle percorse finora. L’impresa, infatti,a fronte di modifiche ambientali o a di spinte interne, può modificare parzialmente o radicalmente: il suo output (bisogni, clienti, mercati, etc.) l’assetto tecnologico / organizzativo i suoi rapporti con le altre imprese, etc.

5 Le risorse “nascoste” Gli elementi che favoriscono la capacità di cambiamento di un’impresa sono, in genere, meno evidenti e “misurabili” (di quelli che descrivono il suo successo “attuale”): le caratteristiche reattive, anticipative o creative del suo top management la qualità delle sue risorse umane e la capacità di attrarne di nuove (talenti) l’importanza che attribuisce alla Ricerca e Sviluppo (R&D) (idee innovative, brevetti, etc.) la forza delle sue strutture commerciali e delle sue marche (brand) l’attitudine ad operare in Paesi diversi (sia dal pdv commerciale che produttivo) la solidità finanziaria ed il credito e la reputazione di cui gode presso la comunità finanziaria

6 L’analisi dello scenario competitivo (1)
La seconda chiave di lettura (della discontinuità) proposta è focalizzata sul cambiamento e l’innovazione (importanti nel mondo attuale) ma: richiede un’analisi più complessa e riguarda aspetti per alcuni versi più sfuggenti (attitudini, etc.) Gli elementi considerati nella prima chiave di lettura, invece, consentono di delineare una “grammatica di base” della competizione, utile anche per affrontare argomenti più complessi Un modello concettuale è sempre una semplificazione della realtà, ma ci consente di fare ipotesi, confronti, di parlare di un argomento; riconoscere la complessità non vuol dire “dimenticare” le singole parti, ma comprendere le relazioni – ai vari livelli – tra esse

7 L’analisi dello scenario competitivo (2)
I successivi passi dell’analisi saranno: il business model in generale (la “mappa” di quel che fa l’impresa: cosa vende, a chi e per soddisfare quale bisogno; etc.) le configurazioni del portafoglio di output (focalizzato – differenziato) l’assetto tecnologico / organizzativo (grado di integrazione verticale; outsourcing; tipologie di attività: primarie, ausiliarie, etc.) i differenziali di costo o di attrattività tra competitori; i fattori che influiscono su di essi la presentazione di alcuni scenari tipici (le scelte dell’impresa sono sempre libere e le possibili combinazioni infinite, ma alcuni elementi “stanno meglio insieme”).

8 Il “business model” Comprendere (a scopo di studio o per prendere delle decisioni al suo interno) ciò che l’impresa è e quali “avversari” deve affrontare (in relazione ai volumi venduti ed ai margini di profittabilità) richiede di comprendere: il suo Output (non necessariamente un prodotto di consumo, ma anche un bene o servizio di tipo “industriale” o “intermedio”) la presentazione di alcuni scenari tipici (le scelte dell’impresa sono sempre libere e le possibili combinazioni infinite, ma alcuni elementi “stanno meglio insieme”).

9 Gli elementi dell’output
i prodotti (in senso stretto): i beni (materiali ed immateriali ed i servizi che l’impresa vende i clienti ultimi (o finali) che l’impresa serve, i bisogni che cerca di soddisfare ed i servizi complementari (in fase di pre-vendita, vendita e post-vendita) (nel complesso, prodotto in senso lato) i clienti intermedi con i quali l’impresa interagisce: intermediari commerciali (grossisti, dettaglianti, GDO - Grande Distribuzione Organizzata); cfr. servizi complementari forniti da essi le aree geo-politiche (città, aree locali, regioni, stati, aggregati sovra-nazionali) dove l’impresa offre i suoi prodotti

10 considerati nella loro interezza
I Clienti La distinzione tra Clienti Finali (importanti perché definiscono il bisogno da soddisfare) e Clienti Intermedi (con i quali l’impresa ha contatti diretti) non deve far dimenticare che essi vanno considerati nella loro interezza ciò che conta sono: i bisogni da soddisfare (di entrambi) i servizi complementari da apprestare Soprattutto per i beni di consumo, si distingue tra: strategia push: conquistare i clienti facendo pressione (incentivando: sconti, premi, etc.) gli intermediari commerciali, i tecnici che installano apparecchiature, etc. strategia pull: agire direttamente sui consumatori finali (pubblicità, promozioni, raccolte punti, etc.); sono i consumatori a chiedere i prodotti

11 Le aree geo-politiche aspetti “quantitativi”: popolazione, reddito medio pro-capite, etc. disomogeneità culturali e negli stili di vita: comportamenti di consumo e di acquisto; sensibilità al prezzo tipologie di intermediari commerciali presenti (“canali commerciali”) tipologie di competitori e di prodotti sostitutivi In ogni caso: è sempre una scelta, e come tutte le scelte deve essere effettuata confrontando le alternative, considerando solo i costi e vantaggi futuri (quando si decide per il futuro, il denaro già speso o quello già incassato non contano, perché immodificabili) es.: in Congo ho speso 100 € mln in pubblicità; per “sfondare”, dovrei spenderne altri 150; in Ghana, devo iniziare da zero, e dovrei spendere 250 € mln: dove conviene investire ?

12 I Prodotti (1) Duplice accezione:
accezione stretta: l’oggetto della vendita (l’automobile, il pc, il viaggio fino al Mar Rosso) nell’accezione larga: comprende tutti i servizi che rendono più appetibile per il cliente (assistenza, installazione a domicilio, garanzie, dilazioni nei pagamenti, etc.) ma che comportano per l’impresa: maggiore complessità organizzativa incrementi nei costi

13 I Prodotti (2) Attenzione: non sempre il prodotto dell’impresa è il bene/servizio oggetto della compravendita ad es., il prodotto del grossista è il servizio di intermediazione commerciale o distributiva, cioè il fatto di mettere a disposizione un assortimento di prodotti in tempi e luoghi diversi da quelli di produzione d’altro canto, spesso la GDO offre prodotti con un proprio marchio, il che è assimilabile ad una produzione in outsourcing

14 Caratteristiche dei Prodotti (std)
Due estremi: Standard vs Unicità Caratteristiche STANDARD: perché imposte dalla tradizione (es.: spaghetti), dalla normativa (assicurazione rca) o perché favorisce l’utilizzo In genere, i pdt intermedi 7 industriali sono standardizzati: ad es., bulloni; tubi; componenti elettronici (cavi e spine, etc.); esistono enti che si occupano proprio di definire e diffondere gli standard: ISO I prodotti di consumo con caratteristiche standard sono spesso “materie prime” (zucchero; farina), prodotti agricoli o beni che per essere usati devono essere “connessi” o inseriti in qualcos’altro (batterie; lampadine)

15 Caratteristiche dei Prodotti (unicità)
Sono percepiti dal mercato come UNICI, DIVERSI rispetto a quelli dei competitori, anche se rivolti a stessi clienti, bisogni, aree, etc., in quanto contraddistinti da: Una tecnologia proprietaria: brevetti, know-how esclusivo (es.: settore farmaceutico) Uno standard proprietario: non compatibile con quello dei concorrenti (es.: Windows vs. Apple; macchine fotografiche istantanee (Kodak) vs reflex vs compatte) Un design caratterizzante: abbigliamento, automobili Una modalità di servizio caratterizzante: es. Fast Food Una marca (brand) nota: denota il singolo prodotto, o categoria (“linea”) di pdt o l’intera impresa La complessiva immagine dell’impresa: serietà, competenza, accuratezza del servizio, solidità finanziaria (forniture o commesse industriali, appalti, etc.) Presenza (assenza: discount) di servizi complementari

16 Clienti - Bisogni - Canali distributivi - Aree geo-politiche
Aree di Business A parte la “unicità” intesa come contrapposta alla standardizzazione, i prodotti possono essere DIVERSI perché si rivolgono a diversi: Clienti - Bisogni - Canali distributivi - Aree geo-politiche In alcuni casi, l’impresa produce perché riesce a sfruttare sinergie in alcune attività o processi, o almeno dal punto di vista finanziario, delle risorse umane, di immagine, etc. Per business area si intende uno specifico contesto competitivo relativo ad un / una determinato/a: Prodotto o categoria omogenea di pdt Insieme omogeneo di clienti, bisogni e canali Area geo-politica (se disomogenea rispetto alle altre

17 Aree di Business ed Organizzazione
La specifica parte di impresa – se ce n’è una - (unità organizzativa) che si occupa di una business area è una business unit Se l’impresa ha un assetto giuridico unitario, le varie business unit costituiranno ripartizioni interne di essa (tipicamente: divisioni; si avrà così un’impresa divisionale; es. editoria: divisione periodici; distribuzione: divisione Italia nord-est) Se l’impresa è un Gruppo, le unità saranno società autonome e la capo gruppo sarà una Holding o capo-gruppo (possono esservi più livelli, con capo-gruppo settoriali o geografiche ed una capo-gruppo “centrale” o di 2° livello) In tal caso, il business model dell’impresa sarà colto: nel suo insieme (al livello “corporate”) al livello dei singoli business (o aree di business)

18 Il portafoglio di Output (1)
Focalizzato vs Differenziato In termini di: Prodotti Clienti Bisogni Aree Es.: 1)pneumatici: clienti Case automobilistiche e famiglie; canali diversi, prezzi, quantità, etc. 2) Unilever: beni di consumo dsparati: alimentari (Algida, Knorr, Findus, Lipton) detersivi, dentifrici e deodoranti (Cif, Axe, Rexona, Mentadent) profumi (Valentino, Calvun Kleuin, Cerruti); in comune: clienti, canali distributivi (GDO)

19 Il portafoglio di Output (2)
Nei casi di diversificazione, spesso il Portafoglio pdt è per “gruppi” di pdt o Cluster, focalizzati al loro interno, ma distanti tra loro Si distinguono cluster che presentano comunanze di produzione e/o concezione (processi, materie prime, R&D) o costituiscono fasi successive della stessa filiera (l’impresa, cioè, vende parte dei suoi “semi-lavorati) cluster totalmente separati anche dal pdv produttivo: si parla di portafogli prodotti conglomerali (es. Gruppo De Agostini) La dimensione geo-politica è ulteriore elemento di complessità

20 Integrazione verticale e Outsourcing
Due estremi: Impresa integrata: realizza prevalentemente al suo interno Impresa che ricorre massicciamente all’Outsourcing (cd. Hollow corporation o “impresa vuota”: si limita ai ruoli di “cervello” e “cassaforte” e delega tutte le attività all’esterno) Spesso si hanno soluzioni intermedie La tendenza (soprattutto in periodi di crisi e/o incertezza) è di “concentrarsi sul core business” e fare “in casa” solo: le attività che si è comparativamente più bravi a fare quelle che è rischioso delegare

21 Outsourcing (1) Il ricorso all’outsourcing può riguardare:
Beni (servizi) standard, con mercati strutturati e prezzi ben definiti (ovviamente, variabili nel tempo, a seconda della quantità, etc.); Beni / servizi ad hoc : devono essere progettati sulla base delle specifiche esigenze dell’impresa, possono richiedere investimenti altrettanto specifici, orizzonti temporali di fornitura di lungo periodo e, quindi, una organizzazione del rapporto molto più complessa (collaborazione; fiducia, etc.) Nel primo caso è quasi una scelta obbligata es. energia elettrica; ha senso produrla internamente solo per le imprese che operano nel campo dei pdt energetici, che hanno enormi fabbisogni (acciaierie) o hanno sottoprodotti da bruciare (industrie chimiche)

22 Outsourcing (2) Al crescere del ricorso all’outsourcing:
Cresce la necessità di coordinamento con i fornitori esterni Inoltre, più sono elevate le prestazioni che si richiedono ai pdt finali, più è necessari auna organizzazione per processi: trasversale rispetto all’impresa ed a quelle fornitrici talvolta prolungata anche a valle (distribuzione, assistenza, etc.) trasversale anche rispetto alle unità organizzative in cui si articolano le singole imprese Un processo è un insieme di attività concatenate es.: processo che va dall’ordine del cliente alla consegna

23 Outsourcing (3) Ragioni per ricorrere all’outsourcing:
Timore che il “fornitore interno” sia poco stimolato ad innovare e a migliorare la qualità, perché ha “il cliente assicurato” La dimensione del mercato interno è insufficiente (se vi sono economie di scala o di apprendimento) Difficoltà ad attirare risorse umane qualificate e di talento per le attività “non core”, perché sanno che hanno poca possibilità di fare carriera Il capitale investito in attività non core renderebbe di più se investito in altre attività

24 Integrazione Verticale
L’integrazione verticale ha dei vantaggi: È una garanzia contro il rischio di perdere il know-how e, quindi, contro il rischio di spillover (cioè, di “traboccamento”: possono nascere nuovi competitori perché basta mettere insieme i vari “pezzi” che sono stati dati in outsourcing); tipico delle imprese innovative È una garanzia contro il formarsi di monopoli / oligopoli a monte della filiera (oltre a quelli “naturali”, ciò dovuti a insormontabili economie di scala, che normalmente già esistono); l’impresa avrebbe poco potere contrattuale e vedrebbe ridotta la sua profittabilità È una garanzia per: Continuità e Tempestività delle forniture Qualità e Prezzi degli input che subiscono perturbazioni soprattutto nelle fasi di punta (surriscaldamento) del ciclo economico


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